Premio Tagliacozzo 1989

Le case di terra

La casa bassa

La guardiana delle oche

Nostos

I neri allori

Il breviario

Il tappeto volante

La parola alle cose

Amica del lampo e del tuono

Nascita delle streghe

Una citazione da Antoine de Sainte Exupery

Note critiche

 

Forlì, Forum, 1990
pp. 58, cm 21 X 12.
Presentazione di Elena salibra
Disegno di Stefano Ianni
Fotografia di copertina di Cesare Ianni
Apporto critico finale

Il volume raccoglie 31 componimenti poetici, suddivisi in 2 sezioni:
Le case di terra, Il tappeto volante.


Ricordo di aver letto in un articolo che, in occasione di una visita del Duce, in un paese si preoccuparono di coprire, lungo il percorso della sfilata, le case di terra.
È sempre bene che l'umiltà, esaltata a parole, non mostri tracce troppo visibili di sé.
A quelle case, a chi le ha costruite e abitate, alla metafora di sobrietà e modestia che esse sottendono, é dedicato questo libro.


La casa bassa Torna su

Così bassa che il cielo la schiaccia,
così sola nella campagna immensa,
attaccata al suo filo di fumo
una piccola casa.
Così piccola
che le pareti sono coperte dai libri
e c'é spazio per terra
solo per un tappeto tondo.
Qui aspettare
il primo vento di novembre
che sa di neve e trovare nella zolla
il primo fiore del disgelo.
Qui imparare le voci del legno del fuoco e dell'erba
e per amico un gatto buono.
Anche questo é un luogo dell'anima, il luogo
dell'ultima attesa.


La guardiana delle oche Torna su

Credo di essere nata per abitare
una di quelle case quadrate
col tetto grande e le finestre piccole
che si aggrappano,
silenziose e chiuse,
forse deserte,
sulle colline fitte di boschi scuri
dell'Austria austera e triste.
Le guardo, passando con l'automobile
e penso che, se loro appartengono alla mia fantasia,
anch'io forse appartengo alla loro
e in qualche epoca remota
dobbiamo esserci incontrate. Forse quella donna
con la cuffia bianca
che compare per un attimo tra le oche,
le spinge energica verso la stia,
allettandole col becchime, forse quella donna
sono io.


Nostos Torna su

Tornare di sera,
partire con l'ultima luce
e le nuvole livide all'orizzonte; la notte
ti viene incontro,
buia. Corriamo
tra le case, che hanno già acceso le luci
e gli orti che l'ombra notturna
rende tutti uguali.
Ogni casa ha una storia,
più spesso squallida,
talvolta brutale. Eppure
in questo passaggio rapido, straniero,
da ognuna accolgo
un messaggio di vita.
Che un libro entri in una di queste case:
come il tavolo col piano di fòrmica.
Come il televisore.


I neri allori Torna su

Amo le vecchie città di provincia
che a sera accendono
luci arancione.
Sono tutte uguali
e tutte diverse
come le vecchie signore.
La patina del tempo le ricopre
di ombre viola
e in quelle ombre
hanno il nido i piccioni.
- Stanno i volti di pietra e le chimere
acquattati dietro ai campanili -
I portoni di legno massello
si chiudono con un colpo sordo, definitivo:
chi é fuori é fuori; noi non sapremo mai
quali porcellane e lumi
splendano dentro le case; noi
non udremo mai
il sussurro fantastico
della voce del vento
tra le chiome sconvolte
dei neri allori dei giardini.


Il breviario Torna su

Entrammo nel paesaggio tristissimo,
una tristezza intessuta di colline,
alberi spogli, erbe basse,
biancospini in fiore.
A casa trovammo la nonna
novantenne, col figlio vecchio vicino,
tutti e due vicini al fuoco, il breviario
aperto alla pagina
di quel giorno e di quell'ora. Essi
non sapevano
di essere un frammento di eternità,
una scaglia lucente
intrisa di tempo e di destino.


Il tappeto volante Torna su

L'uomo barbuto
col turbante bianco
e la pelle scura
siede
sul tappeto azzurro.
La punta del disegno
é rivolta verso la Mecca.
Stanno fermi,
il tappeto e l'uomo.
Eppure quello
é un tappeto volante.
Lo dice
la schiena dritta dell'uomo,
lo sguardo fisso
nell'occhio nero di bistro,
la piuma verde
immobile sul suo turbante.


La parola alle cose Torna su

Altissima sui sugheri
cammino per le stanze.
È estate.
Sposto un calamaio pesante,
raddrizzo un fiore
nella polla d'acqua di un vaso di cristallo.
In questi stessi spazi,
ampliati da un ordine chirurgico,
ieri
uno sciame di vespe mi seguiva.
Oggi tocco la realtà e le cose:
angoli e superfici tonde,
il legno levigato, gli specchi,
la scarna ruvidezza del coccio,
la porcellana bianca del bricchetto del latte,
l'alluminio povero dei tempi della guerra
- oro e rame alla patria - Ora
mi pare di capire
perché Morandi dipingeva da recluso,
trincerato oltre una fila interminabile di stanze: le cose
vogliono un grande silenzio
prima di prendere la parola.


Amica del lampo e del tuono Torna su

Visse nella notte dei tempi
Lucy, ominide femmina.
Conobbe il bagliore del fuoco
e la polpa del frutto,
il vagito del neonato
che cerca il latte.
Imparò presto a nascondere
e a nascondersi,
con pari astuzia si difese
dalle belve e dal maschio.
La sua pupilla stretta dall'ansia,
dilatata dal terrore,
ridente di fugace piacere,
vela contro vento,
amica del lampo e del tuono,
la sua buia ardente misteriosa pupilla
é l'eredità che attraverso i millenni
scelgo di possedere.


Nascita delle streghe Torna su

Dal cranio della donna preistorica
fracassato da una pietra.
Dal silenzio della vecchia lappone
lasciata a morire tra la neve.
Dalla fanciulla che legge il libro
ma presto saprà
che l'ignoranza è forza.
Da tutto questo - ed altro -
sono nate le streghe.

 


Una citazione da Antoine de Sainte Exupery Torna su

<< Se verrai alle quattro
- disse la volpe -
dalle tre io incomincerò
ad essere felice >>

 

 


Note critiche Torna su

La connotazione materica affiora dai versi con la naturalezza di qualcosa che si fa da sè, dominata dalle stesse leggi che regolano i riti della terra. E case e terra sono parole che ricorrono spesso in queste liriche, quasi a voler designare uno strano connubio tra due spazi, quello interiore ed incerto dell'anima e quello aperto e globale, che appartiene alla terra. Al primo si fa riferimento con maggiore o minore approssimazione attraverso delle metafore legate all'io, al profondo, alla vita; il secondo si sviluppa in modo quasi aleatorio, dominato dal caso; tanti piccoli eventi si svelano e svaniscono con discrezione, in un tempo ed uno spazio stretto, dove avviene che per eccesso di esistenza l'individuo incontra la storia e in maniera dissimulata, intermittente, progressiva, se ne fa portavoce ed interprete.
Testimoni di questo incontro sono proprio le case di terra, che, come l'autrice racconta nell'epigrafe, alludono ad un episodio storico preciso, la visita del Duce in un paese di campagna. Ma le case di terra non partecipano da protagoniste a questo evento, esse sono coperte lungo la sfilata. Questo loro non esserci d'autorità di fronte alla storia ufficiale è la metafora ardita di quella doppia realtà che sempre si cela dietro agli eventi grandi e fa sì che essi si interiorizzino e si rivestano di parole. Così i segni diventano cose: le parole interrogano i segni e cercano di rovesciarli in modo che le cose stesse prendano senso.

Dalla presentazione di Elena Sabina


Anna Ventura si associa e si adatta alle "cose" con la più genuina partecipazione. La parola le occorre per trarle da certi immutabili silenzi, per immetterle in confessioni profferte a bassa voce. La loro escussione è evocativa e costruttiva a un tempo: paesaggi, interni, vecchi arredi, oggetti usuali, compassate atmosfere di provincia, brani attinti alla coscienza si accalcano, ma senza disordine, per un'appartata udienza. Perché la parola assuma sensi sentimenti e significati oltre la loro scarsa modalità. Difatti il corredo linguistico inerisce, con piena rispondenza, alle implicazioni "situazionali" con l'uso di una lingua essenziale, i cui vocaboli alludono a nessi semantici simmetrici ed espansivi.

Tito Spinelli
in: Abruzzo Letterario - Avezzano - anno I n° 2-1989


[…]Solitudini. Ma in queste solitudini una acutissima fantasia s'è via via esercitata a immaginare i segni segreti della vita, come il sussurro del vento tra neri lauri sconvolti in un giardino nascosto, o, in un bosco, le piccole voci degli animali e il bramito notturno d'una cerva bianca.
Questa fantasia non resistibile ha la forza d'un tappeto magico, e la può portare lontano, anche farla viaggiare nel tempo, a identificarsi con uno stilita nella sua ansiosa Tebaide, o con una ominide femmina costretta a difendersi con l'astuzia contro le belve e contro il maschio...

Aldo Capasso
in: Arte Stampa, Savona, aprile giugno 1989


[…]Scritta da una necessità ineludibile, o che è lo stesso, dal Caso, anche la storia dei grandi eventi diventa strumento caduco, e le case di terra, il quotidiano, il vissuto, la vita spazializzata e temporalizzata sono l'unico punto di riferimento di un modo teso tra un passato ed un futuro apparenti, inutilmente scanditi dagli eventi: unico segno d'eternità cui l'uomo può attingere.
Rimane reale solo il tempo dell'anima che l'autrice vive bergsonianamente, ponendosi in ogni momento, in ogni poesia, in ogni verso, con tutta se stessa: memoria, forza creativa, attesa.

Francesca Pecora
In: Marsica Domani, Avezzano, anno XIII, n. 6, 30 maggio 1989


Tutte le poesie di Anna Ventura, anche quelle di raccolte precedenti, non si circoscrivono ad un esercizio privato, né ad un momento isolato, ma investono le ragioni più profonde di un periodo intero: illuminano le ansie, le speranze, le illusioni, di una generazione cresciuta sull'onda della ricostruzione post-bellica e del "boom" economico degli anni Sessanta, insoddisfatta dalla falsa solidità della vita costruita su quelle rovine, insofferente della vuota felicità di un benessere che non riesce a nascondere la paura e la violenza.

Giuseppe Possa
in: Eco Risveglio Ossolano, anno XLIV, n. 24, 15 giugno 1989


L'abruzzesità della Ventura non assume colori folkloristici. Ella non fa della regione un arcobaleno di colori facili, ma la rappresentazione di un rapporto onesto, educato con le persone e le cose, che è il porto d'imbarco per la ricerca di vaste comunioni.
Benché meridionale, la Ventura ha capito che non si può più fare una poesia documentaria di marca meridionalistica, essendosi gli orizzonti della vita dilatati, ma è anche consapevole che l'inizio dei grandi spazi comincia dalla porta di casa.
Sobria senza ammiccamenti di saccenteria, chiude una delle poesie forse un po' sapienziali (questo sì che v'è dietro il suo verseggiare sottovoce) con queste parole:
Anche questo è un luogo dell'anima il luogo dell'ultima attesa.

Gennaro Manna
in: L'Osservatore Romano, 19 luglio 1989


Già in altre occasioni abbiamo accennato alla carica metaforizzante del discorso poetico di Anna Ventura: non nel senso della retorica classicistica che, com'è noto, poneva la metafora tra le figure di parola, come comparazione abbreviata; e neppure nel senso della retorica barocca, che la utilizzava solo per suscitare meraviglia secondo lo spirito del concettismo; ma nel senso tutto moderno, anzi propriamente novecentesco, secondo cui la metafora indica ogni tipo di linguaggio figurato, nel quale la parola assume un significato che non è il suo, ma che finisce per arricchire la realtà esterna, anche la più minuta e apparentemente banale, di simboli allusivi che possono suggerire al lettore intuizioni e sensazioni profonde, capaci di riscattare la materia del peso ingombrante del provvisorio.

Vittoriano Esposito
In: Marsica Domani, Avezzano, anno XII, n. 15, 23 agosto 1989


Poetica della dimora in Anna Ventura

"E una volta ti regalerò una marmitta a 3 piedi,
dove tu possa stipare cibi diversi"(1)

abbiamo fatto ricorso al frammento di Alcmane per introdurre l'opera di Anna Ventura, in quanto ci è parso che in questi versi fossero contenuti alcuni dei temi e dei motivi cari alla scrittrice aquilana, tesa a definire, nell'ambito della ricerca linguistica, le coordinate di una esperienza immediata e chiara del reale.
Nel tentativo di delimitare l'ek-stasis della parola che si pone come momento preliminare alla scoperta della dimensione del "vero" e del "sublime", la Ventura concepisce la sua poetica sotto le forme di un preciso gesto scritturale, laddove esso si realizza come "dono" e "dimora": TOPOI, questi, nei quali si possono "stipare" elementi diversi (emozioni, voci, paesaggi, nostalgie, illuminazioni e saggezze fini e delicate). Se dunque da una parte si avvicina al mythos della "verosimiglianza", dall'altro la Ventura se ne discosta, tracciando le linee di un lirismo pacato, conquistato per il tramite di un verso "integro e puro", scarnificato e reso mero dominio oggettuale grazie allo scambio costante attuato tra l'esterno e l'interiorità.

(1) E' un frammentodi Alcmane, il 49°

Massimo Pamio
In: Abbruzzo Letterario, Avezzano, anno I, n.4 ottobre/dicembre 1989


Sul sentimento della terra e su quello dell'evasione, che rispettivamente pervadono la prima e la seconda sezione della silloge (Le case di terra, Il Tappeto volante), la poetessa compone le sue poesie che subito colpiscono per un'insolita originalità e maturità di stile.
Un modo di dire semplice e insieme arcano, sacrale, proprio di chi pare vedere le cose, altrimenti consuete, per la prima volta e le svela con stupore e profondo rispetto.

Silavano Demarchi
In: Rivista Abruzzese, Lanciano, anno XXXIX, n.4 ottobre/dicembre 1989


Sono poesie radicate nel senso ancestrale della sua terra, nell'umiltà di segno religioso propria della gente d'Abruzzo: versi nutriti di terra ma anche percorsi da zampilli di luce, da brividi di vento celeste.

Alberto Frattini
Presidente della Giuria del Premio Tagliacozzo; XVI Edizione, Tagliacozzo, 3 dicembre 1989


Gentile Signora,
a me il Suo libro di versi è piaciuto moltissimo. Ella sa evocare da un'ombra fonda di tempo e di mistero, personaggi, vicende in un linguaggio che è, al tempo stesso, di narrazione e di sogno. Nel cerchio di ogni testo viene fuori un frammento di verità assoluta della vita, che si compone con gli altri in una visione fantastica e, insieme, esemplare, invenzione, com'è, ed esperienza profonde dell'essere al di là delle apparenze.
Le case di terra sono davvero un'opera di originale e viva poesia. Grazie per l'invio! Con i migliori auguri e saluti.

Giorgio Barberi Squarotti
Lettera del 6 maggio 1989, da Torino





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