Foglietti cinesi
(Racconti di viaggio)

Edizioni dell'Oleandro, Roma 1997


Shanghai, 30 agosto, venerdì


Shanghai, 30 agosto, venerdì Torna su

A Shanghai si conosce la Cina dei grandi contrasti: quella degli alberghi di gran lusso, dei grattacieli, dei negozi eleganti, delle grandi banche, ma anche, del fango, della miseria, dei tuguri cadenti, di un'umanità che sta ai limiti della sopravvivenza.
"Siete fortunati - ci ha detto la guida - perché potete vedere luoghi che presto non ci saranno più": stavamo attraversando la città vecchia, un agglomerato di casucce fatiscenti, immerse nel fango.
Attraverso i vetri, incrostati di polvere, o per qualche finestra aperta, si intravedono gli interni affumicati, carichi di cianfrusaglie che debordano anche fuori, sui tettucci sottostanti; dovunque panni stesi, balconcini sgangherati, verande luride.
Sotto è anche peggio: una sequela di bassi che hanno un unico gabinetto in comune, un pozzetto per l'acqua, esterno, dove le donne lavano panni e verdure. I bassi di Napoli, a confronto, sono confortevoli.
Ho viso 2/3 bugigattoli adibiti a parrucchierìa: sedie in ferro arrugginito, specchi rotti, un vecchissimo casco asciugacapelli, la parrucchiera seduta su una sedia, con i piedi nudi appoggiati sul davanzale dello specchio.
Ai tuguri adibiti ad abitazione, si alternano negozietti sporchissimi, che vendono di tutto; qui un'umanità miserrima svolge i suoi piccoli traffici quotidiani, vive la sua minuscola vita; tra non molto, li costringeranno a sloggiare. Al posto di questo ammasso di rottami sorgeranno i grattacieli; la gente verrà portata altrove, in lontane periferie. Un segno di croce connota le porte chiuse degli edifici che saranno immediatamente abbattuti: come le case degli appestati, nel Medio Evo. Non tutti gli abitanti di questi luoghi orribili sono contenti di evacuare: lasciano una vita di stenti, che però hanno imparato a conoscere e a sopportare; li aspetta lo squallore delle grandi periferie, un'incognita terrificante.
Un'altra scena di miseria è nello spiazzo una vera palude di fango e immondizia in cui è parcheggiato il pullman: un gruppo di mendicanti, attratto dalle nostre piccole elemosine, si è riunito, in attesa. Uno sembra lebbroso: il viso coperto di chiazze bianche, il braccio ridotto a un moncherino.
Partiamo, finalmente, verso altre zone della città. Siamo nei pressi della Casa del Mandarino, uno dei luoghi più celebrati della città. Anche la zona intorno è piacevole: bei negozi, strade luminose, alberi. Ci fermiamo in una farmacia grande e ben tenuta. La guida ci spiega che le farmacie, in Cina, si dividono in due reparti: uno per la medicina cinese, uno per quella occidentale. I Cinesi preferiscono ricorrere, ai loro farmaci, fatti con erbe ed estratti naturali, finché è possibile; si affidano alla medicina occidentale solo nei casi più gravi.
Questa farmacia di Shanghai è divisa, nelle due parti, da un passaggio che comprende un tempietto, un minuscolo lago, un albero e un ponticello con balaustrina di legno. Il tempietto è dedicato a un dio della medicina. Il ponticello porta all'altra zona della farmacia, quella cinese, dove si vendono scatole e scatolette piene di misteriose misture, e la pianta del Ginseng, che sembra una brutta donna nuda.
Sotto la pioggia, arriviamo alla Casa del Mandarino. Tutto l'isolato è bello, circondato dall'acqua, costruito in legno rosso, i tetti aguzzi, con le immancabili file di animaletti scolpiti che ornano la parte terminale delle punte.
La vera e propria Casa del Mandarino è preceduta da un edificio graziosissimo, affacciato sull'acqua, con finestre e balconcini di legno; vi si accede con un ponte a nove curve (per sviare gli spiriti malvagi). Nel laghetto, oltre alle ninfee e ai fiori di loto, ci sono statue che raffigurano delle concubine: il luogo, infatti, era, fino a qualche tempo fa, una casa di piacere; ora è una sala da tè per turisti.
Il Mandarino progettò la casa per i suoi genitori, che erano vecchi, e avrebbero voluto godere delle gioie della natura rimanendo in città. Ma la costruzione durò così a lungo, che i due vecchi morirono prima di poterI a abitare. Ne prese possesso, quindi, il figlio Mandarino, che fece scrivere sulla facciata "il bosco e la campagna in città".
Sulle porte fece scolpire tre spighe: il grano, il riso, il mais.
Il giardino della casa è racchiuso tra alte mura, sor vegliato da dragoni in pietra scura; era proibito raffigurare il drago, che era simbolo solo dell'imperatore; ma, poiché il drago imperiale era giallo, l'astuto Mandarino pensò che, raffigurandolo di colore grigio scuro, avrebbe evitato la proibizione.
Non sappiamo come la prese l'imperatore. Ma forse bene, perché vari segni fanno capire che il Mandarino soggiornò a lungo, felice, in questa casa.
Il giardino ha le caratteristiche del giardino cinese, che sono tre: il lago, la roccia, i pesci.
Questi sono numerosissimi, grassi, escono fuori dal l'acqua per prendere le molliche. Mai visti pesci rossi più vispi e ben nutriti.
C'è un ruscello che finisce contro un muretto di roccia; in tal modo dice la guida simboleggia l'infinito. Il limite della roccia, infatti, fa pensare che il ruscello non giri da una parte, ma continui fino a chi sa dove. Come non pensare a Leopardi? La sua siepe era l'ostacolo che suggeriva l'infinito. Ma, a chi comunicarlo?
C'è, in una finestrella alta, incassata in un muro grigio; una lampada colorata, accesa, che pende da un soffitto. C'è una vita, oltre quel muro inerte; ne percepisco la realtà, anche se non la conosco.
"Nella finestra lontana! s'è accesa una luce / Come fu atroce/ l'infanzia." (Brillanti di bottiglia, 1978).
Nel palazzo c'è una stanza che ha una funzione speciale: serve per ammirare, dalle vetrate, i diecimila fiori del giardino.
Così come c'è un luogo per celebrare, con gli amici, la festa della luna, che cade il 15 settembre.



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