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Poesie

La soglia dell'esilio

Il pittore G.Bruno

Il pittore G.Cuttone

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    Inizio

 

Ci sono periodi di altissimo sviluppo che non hanno rapporto diretto con lo sviluppo

generale della società né con la base materiale e la cultura portante della sua organizzazione.

Marx

 

Il forte rilievo dato al potenziale politico delle arti…esprime prima di tutto

l’esigenza di una effettiva comunicazione dell’atto di accusa alla realtà costituita

e degli obiettivi della liberazione. È lo sforzo di trovare forme di comunicazione

capaci di spezzare il dominio oppressivo del linguaggio e delle immagini costituite 

sulla mente e sul corpo dell’uomo; linguaggio e immagini che sono diventati

da molto tempo mezzo di dominio, di indottrinamento e inganno.

Marcuse

 

Il comunismo è l’abolizione dello stato di cose presente.

Marx

.

 

Sono passati ormai più di vent’anni dal 1979, l’anno in cui Gianni Grana in Epilogo Aperto (ma non è stato il solo nel XX secolo) ha scritto che finché c’è vita, qualunque strumento tecnico inventato si possa arrogare il diritto privilegiato ed escludente della comunicazione, si farà arte e si scriverà poesia. La morte dell’arte e della poesia è, in fondo, però, solo una metafora che nasconde la volontà di eliminare gli spazi della libertà.

Ma la libertà della parola parlata e scritta, nonostante gli sforzi deliberati dei gestori del mondo amministrato per la sua soppressione totale, continua non solo a resistere ma a progettare un mondo diverso. E gli uomini che la usano, utilizzando una lingua che sfugge alla cattura dell’amministrazione e della mercificazione, anche nella versione odierna telematica e show, sono quegli artisti e poeti che oltre a dissacrare il quotidiano producono testi logico-linguistici che sfuggono al senso comune e a un uso facilmente manipolabile.

La libertà della poesia, ancora, nel tempo del più raffinato e penetrante disincanto, inscena danze e spicca voli con la memoria del verso di chi ha la sapienza delle turbolenze e delle alee e ha saputo abbattere mostri e alzarsi in cielo, sovrano. “Il poeta non ha delle gru le ali, ma è istintivamente incline a mimare la loro danza, ne continua a osservare i trampoli in evoluzioni che insistono a scavalcare intricati percorsi d’un virtuale labirinto”[1]. Il poeta del XXI secolo, come ieri quello del XX secolo, continuerà a danzare e volare perché, visibile e inafferrabile, ucciderà ancora i mostri che ne vogliono spezzare le ali e abbandonerà i labirinti, anche quelli dell’era elettronica, usando la quarta dimensione della leggerezza – quella del linguaggio che naviga tra tempeste e turbolenze e prefigurando avvista nuovi sogni - che nessuna prigione può rinchiudere.

Il XX secolo, “breve” per qualche storico della statura di Hobsbawn, s’è ne andato tra i clamori dei suoi splendori e delle sue rovine. Ma le rovine provocate dalla critica delle armi, più o meno intelligenti e telecomandate, non si sa se siano state più pesanti di quelle provocate dalla totale abdicazione della critica e del dissenso. Il nuovo ordine del mondo, ma nuovo solo sfacciatamente, dopo la caduta del “muro” è stato un gendarme senza rivali e antagonismo. Solo nella lingua e nella scrittura di pensiero si sono avvertiti i pungoli della critica e della rivolta, e specie lì dove l’eldorado oppressivo, strutture argomentative, sintassi e senso hanno subito gli effetti delle onde sismiche sussultorie. La critica e il dissenso della poesia, forse per la caratteristica peculiare del linguaggio poetico, non sono stati così appariscenti da occupare ventiquattro ore su ventiquattrore ore i balconi del mass-media, ma ci sono stati; hanno svolto il compito di rottura e di decentramento lì dove hanno preso le distanze dal qualunquismo e dall’adesione all’emotivo e al patetico e hanno puntato su una poesia di pensiero trasfigurante, alimentata dal magma delle contraddizioni e dal bisogno della disalienazione.

Qualche volta, tentando anche l’incontro con la gente, e al di là degli esiti e delle considerazioni che non hanno trovato omogeneità di veduta e di valutazione, la poesia contemporanea di fine millennio, in Sicilia come altrove, ha anche trovato il tempo per riflettere sul valore di verità della contraddizione e non contraddizione, sul senso e non senso della razionalità dell’ordine e della cultura occidentale. Disarticolandone le mistificazioni linguistiche, ha così, tra l’evidenza e le pieghe delle ambiguità politico-culturali, contribuito ad approfondire il livello di coscienza critica già oggetto delle stesse riflessioni ideologico-politiche d’opposizione. Ha ulteriormente contribuito a mettere a nudo la mistificazione del reale-razionale del sistema esistente denudando l’apparente democraticità delle forze produttive neoliberiste.

L’organizzazione complessiva della vita in questo sistema, infatti, pianifica e persegue l’omogeneizzazione delle differenze senza residuo alcuno. L’analisi ne ha messo in luce così le mortali conseguenze sul sistema di vita svelandone sia una polarità di verità e falsità paralizzata sia una polarità soggettiva diffusa problematizzante sviluppi e controsviluppi. In fondo l’ambiente non è solo quello di classe ma di tutti gli uomini che vi interagiscono.

Tra tante contraddizioni e condizioni, la poesia di pensiero e di stile trasfigurante, puntando sulla contingenza e alimentandosene, ha dialettizzato i contrari, derealizzato gli stereotipi e il linguaggio consueto. Si è differenziata in molteplice linee di sviluppo. Linee capaci di salvaguardare e mantenere vivo l’esercizio del pensiero, della lingua e della scrittura graffianti e biforcanti nella connessione con l’ideologia. E tra le linee di sviluppo, quella che certamente è rimasta e rimane all’altezza dello stato di ebollizione del pensiero e della scrittura poetica – critica e sperimentale – è stata la logica, la lingua e l’azione di quanti, scrivendo e pubblicando, hanno giudicato e giudicano il mondo per riprogettarlo nel crocevia materialistico e storico. Ed è per questo che “la prassi poetica, armonizzata con una teoria della lingua che assume il significato essenziale, non può dimenticare i nessi, pur contraddittori, di reciprocità tra linguaggio e ideologia o, per dirla con Benjamin, talismano del quale nessun vero critico può fare a meno, dell’<<identità di qualità e tendenza>>”[2]che percorrono il divenire materiale della storia. Una storia che alla luce dei suoi conflitti irrisolti e dei suoi linguaggi variamente intrecciati ormai si profila come un cammino temporale che si articola tracciando sentieri non lineari e scrivendo una mappa dei tentativi fatti.

 Alla fine del XX secolo, sul piano del linguaggio poetico, l’interrogazione e la comunicazione assumono inevitabilmente il cammino di un e-silio inquietante che oscilla tra la perdita di senso e altre possibilità di aperture e possibilità che potevano emergere dalle soglie dei paradossi e delle contraddizioni. La ricerca di natura poetica, consumata ancora e anche all’aperto della scena pubblica del mondo, cercando il contatto diretto, nonostante il magma dei conflitti e la sua particolare struttura di media non immediato, ha mantenuto fermo l’orizzonte politico della comunicazione  tra langue e parole rinnovate.

Certo il contatto (cercato e praticato) della poesia con la strada e la piazza ha spiazzato  e spinto la poesia dalla scrittura verso l’oralità dell’ascolto e l’ha esposta ai rischi del caso. Non va dimenticato, infatti, che la lexis – parola - della poesia nella sua memoria contiene il valore politico del dia-logo della parola che nel mondo si muove anche tra l’azione e le opinioni in conflitto. Essa si esercita nella praxis di un io e un tu che, nel comune spazio socio-politico, conducono dialoghi non certamente in maniera uniforme e senza conflitti di posizione. Il tu non sempre è l’alter ego, anzi, spesso, è l’assolutamente altro: la differenza dei bi-sogni, il nato per far scelte fra alternative date e/o per far nascere nuovi inizi e operare per costruire un tertium “fra noi” immanente, capace, oggi, di sfruttare anche le nuove frontiere dei flussi elettronici.

E se la lexis, nel linguaggio che ci attraversa, porta la memoria della praxis immersa nel realismo-ideologico critico, questa non è nemmeno assente dalla memoria della po(i)esis che della parola orale/scritta si nutre. Se è vero, infatti, che il comune terreno della cultura occidentale che attraversa dia-letticamente il nostro sapere è un textum-taglio di a-létheia/ále-theía[3] (svelamento della verità che c’è e/o vagabondare dello sguardo nella luce che si fa largo tra le ombre, visione) e di emet[4] (la verità non c’è ma si fa, è po(i)esis, la costruzione dell’azione del fare), allora dire e scrivere il vedere, l’errare e il fare è un  poiein che non può fare a meno della parola. I prodotti e il processi del fare, sensati perché evolventisi all’interno di un campo di relazioni storiche inter-soggetti(ve) e oggettive, chiedono e presuppongono infatti un linguaggio e una parola che attivino comunicazione e dia-logo. Il fare, come quello della poesia, allora non esclude l’azione e la parola – elementi irreversibili e imprevedibili – ma vi si coniuga come in un testo che è un taglio dell’ordine della complessità.

È un produrre che mette in circolo liberamente, sulla base di scelte linguistiche e di atti altrettanto liberi, i significati, le produzioni e i processi di senso non mercificabili dei soggetti plurali che s’incontrano sulla/con la scena del mondo. La Verità allora diventa la/e verità che si riconfigura/no permanentemente in un tra che determina quanto indetermina. Nella vaga(b)bondanza dell’erranza delle azioni, e senza garanzia di verità e certezza, i soggetti dello spazio pubblico della parola allora decidono degli eventi della con-tingenza cogliendo le opportunità del kairós. Il “tempo debito” che fa incrociare dinamicamente concetti, doxa, schemi, immaginari, ecc. tra cascate di sbocchi e possibilità plurime per ulteriori verità mai definite e definitive che, così, dicono, contraddicono e contra-dicono. Da questo campo multiplo e multiversum degli eventi, i soggetti, alle-goricamente, elaborano allora l’eccedenza di senso che si stacca per meta-phorein dalla totalità in fieri e, ana-logicamente, connettono i frammenti che nel contesto ac-cadono oltre gli ordini dei discorsi procedurali e protocollari imposti dai diktat amministrativi via linguaggio orwelliano, e funzionale alla comunicazione strumentale. E ciò anche se qualcuno, come Umberto Galimberti, puntualizza il rischio che nell’epoca del dominio dell’era della tecnica gli stessi gestori non dominano ma sono dominati, e che tutt’al più, nella complessità delle cose, possono solo esercitare una “decisione selettiva” tra le alternative e le possibilità “rese disponibili dalla stessa tecnica”[5]. È come dire che non tutte le possibilità sono state giocate, e che una scelta, più scelte, possono rischiare la comunicazione, una comunicazione poetica e responsabile che non ignora la realtà, ma la penetra e la trasfigura.

 Nel tempo-luogo del testo del contesto reale, dove procedure e modelli s’intrecciano con la vita e l’agire concreti, infatti, non opera la formalizzazione bensì un intreccio chiasmatico, contraddittorio, polifonico e polimorfico. C’è così anche un quid fra le pieghe della realtà concreta che non è assolutamente riducibile al dire procedurale, e rimane indicibile e indecidibile deterministicamente. La sua dicibilità rimane fluttuante e si processualizza come ulteriorità di sensi nel tra linguistico di uno sporgersi dalla soglia e in un e-siliarsi verso bordi rizomatici della pluralità reticolare. È come se l’intreccio chiasmatico e l’intersecazione dei livelli processualizzasse il textum-kairós con gli effetti della “risonanza” di Poincaré che governa i fenomeni non-meccanici e non-lineari, e che mette in crisi sia la reversibilità che l’analogia.

 

I bordi rizomatici sono la miscela del mondo e del mondo della vita, ed esterno e interno, pubblico e privato, visibile e invisibile (dove la piega – direbbe Merleau-Ponty –  è il “punto zero” tra due visibilità o possibilità di senso) hanno la forma dell’intersezione chiasmatica e uno sviluppo quasi barocco, se non fosse per l’analogia che, oggi, in un pluriversum di eventi e singolarità, ha lasciato il “demone” dell’antica somiglianza che funzionava da ponte e continuum di passaggi.

L’analogia, oggi, per esempio, considerato il volume dei paradossi e delle questioni indecidibili e indicibili se non per approssimazioni di natura soggettiva o per costitutive misure probabilistico-statitistiche dei saperi contemporanei non ha più la forza razionalizzante e schematizzante della vecchia logica. La realtà e gli interrogativi degli stessi fenomeni del caos – turbolenze, vortici, errori nelle trasmissione, andamento delle coste, ecc. - simultaneamente instabili e stabili, ordinati e disordinati, prevedibili e non prevedibili senza verità e certezze, leggibili con i modelli stocastici, gli “attrattori strani”, la topologia e i frattali, non possono più sfruttare neanche la similarità e la contiguità come principio d’ordine che, risalendo di causalità in causalità fino all’unico e all’identico, escludeva e/o dominava la differenza contraddittoria dell’eteros. L’equivalenza del nome e del significato della cosa, che assicurava l’identico dell’unità semantica, che raccordava la molteplicità delle variabili schematizzandole, non è più garantita neanche da un rapporto indiretto e tra cose di genere diverso. I generi in fondo non sono altro che astrazione derealizzata (de-cosificata) e rappresentano itinerari di somiglianza analogica di vecchio tipo; conducono più per credibilità di scelte che per evidenza o dimostrazione cognitiva materiale.

La scienza dei fenomeni complessi – come è del resto il mondo della poesia –, infatti, “ambisce a oltrepassare lo stadio delle analogie, per seducenti che siano”[6]. Il loro punto zero, che tra storia ed evoluzione simultaneamente processualizza dinamiche caotiche e stati relativamente stabili, infatti, appunto per questa sua capacità di attivare diversi divenire (e diversi), sensibili alle condizioni iniziali e alle variazioni infinitesimali regolari o irregolari, mette in crisi somiglianza e rapporti d’equilibrio lineare, e con essi la stessa analogia che nella screziata razionalità della contingenza non gioca più un ruolo determinante e previsionale di agganci a script già presenti nella memoria collettiva.

Anche nei testi di poesia una minima variazione introdotta nei livelli, e fra gli elementi, può produrre “effetti farfalla” (sensibilità alle variazioni del sistema/testo) che possono introdurre, a loro volta, altri “attrattori strani”/sensi possibili o una polisemia tale che fluttua nella soglia del testo stesso per altri e-sili altri in cammino verso il re-ale(a): il dire-scrivere l’alea, il caso accidentale della complessità contingente che fa ac-cadere nella cir-costanza un quid assolutamente irriducibile, caotico e turbolento, sfuggente agli stessi rapporti analogici e pensabile, forse, nei termini di un “barocco” ana-logico (il prefisso “ana” usato in senso negativo) delle pieghe, delle fratture e delle falde, delle rette, dei zig zag e dei vortici.

I processi del caos – simultaneamente ordinati in una direzione e disordinati in un’altra -, infatti, non si prestano più ai rapporti di similarità che una volta, astratta e generalizzata la somiglianza o la quasi somiglianza, grazie al demone dell’analogia barocca classica, si avviavano verso l’armonia e l’ordine della supposta identità come esclusione dell’altro o degli eventi paradossali e molteplici che venivano considerati effimeri e illusori.

La piega e le sue variazioni infinite, infatti, danno possibilità di costruire modelli plurali e coesistenti del divenire, perché l’essere del divenire non si sviluppa in un solo divenire ma si dirama nella molteplicità dei divenire, sì che si può parlare di un “neobarocco” della piega e delle variazioni infinite, plurali e coesistenti che interagiscono non necessariamente gerarchizzate e gerarchizzabili sulla base di un sistema di riconoscimento consolidato. È, infatti, secondo G. Deleuze, “proprio il pensiero barocco, o meglio neobarocco, della piega [… ] che assume (corsivo nostro) il pensiero delle variazioni infinite, dei <divenire> come eventi dispiegati ed esplicati, verso una teoria dei compossibili e insieme degli incompossibili, che allontana il barocco dalla sua scommessa di convergenza armonica per disegnare una divergenza rizomatica neobarocca”[7], e nella dissonanza del chaosmos declinare la molteplicità in un meta-pherein linguistico-figurale piuttotosto eterologico. Ma l’analogia barocca a questo punto perde il demone dell’identità sim-bolica destoricizzatta per farsi ana-logia dia-bolica di differenze multiple: verità particolari, materiali e storiche, rapportabili, se la cosa è possibile, per salti temporali e ponti a balzi, in una miscela di simbolico-semiotica di linguaggi, logiche e tempi che chiede lettori e soggetti ergastolani della mente critica e di febbrile immaginazione, perché senz’ombre si guardi ai molteplici piani del reale e alle alternative possibili anche in termini di utopia. Poesia – scrive Cristina Campo - “è anch’essa attenzione, cioè lettura sui molteplici piani della realtà intorno a noi, che è in verità figura. E il poeta, che scioglie e ricompone quelle figure, è anch’egli un mediatore: tra l’uomo e il dio, tra l’uomo e l’altro uomo, tra l’uomo e le regole segrete della natura”[8].

 

Ora, la poesia, che alla fine del XX secolo e all’inizio del terzomillennio, dopo Auschiwtz, la guerra fredda, il ‘68 e il riflusso, la caduta del “muro”, internet e i talk show, ha cercato e cerca il lettore-ascoltatore-pubblico (attraverso la piazza, il palcoscenico, l’editoria, ecc.), comunque, oltre l’aspetto estetico, conserva il suo carattere etico-politico critico di contatto con il pubblico variamente differenziato e orientato. La qualità del taglio, naturalmente, sia per l’impegno sia per lo stile non è, e non è stata, cosa trascurabile!

La poesia, infatti, che ha attenzionato i materiali della guerra, delle violenze, delle contraddizioni di classe, vecchia e nuova, e la doppiezza dell’attuale mondo capitalistico della produzione elettronica, sebbene non avesse provocato ribaltamenti, ha esercitato il suo ruolo di critica. Ha dis-seminato il senso con l’uso non consumistico della sua libertà inalienabile di parola orale/scritta disgregante l’omologazione del pensare e della scrittura ideologica mass-mediale; lì dove gli ordini del discorso presentavano il diktat dei fatti compiuti e chiudevano le porte alla significanza oppositiva e differenziante, la poesia ha minato i campi dei significati reificati e mercificati scompaginando la struttura lineare della sintassi logico-liguistica del discorso di mercato che mediava una comunicazione sociale rassicurante.

Gli imperialisti e i mistificatori di turno non l’hanno fagocitata. La poesia, infatti, non si fa digerire facilmente dalla logica del mercato, del supermercato e dello spettacolo show. Gli investimenti non restituiscono, infatti, plusvalore aggiunto o saggio di profitto sia in termini economico-monetari che in termini di consensi sociali acritici, che poi è la cosa che più interessava e interessa per insaccare la rabbia, la ribellione e la carica dirompente dei linguaggi differenti. Ma gli amministratori di turno non per questo hanno lasciato il controllo delle regole del gioco per il dominio coatto delle contraddizioni esplose.

Industria bellica e ideologica hanno così continuato ad agire indisturbate in tutto il pianeta e insaccare l’opposizione predicando la buona novella del verbo delle guerre giuste e umanitarie e facendo subito terra bruciata di ambienti e vite umane in nome di un presunto e vero ordine che deve essere mantenuto e conservato a tutti i costi. Anzi, l’ordine va esteso all’intero pianeta che, con ulteriore lungimiranza (!), sta per essere imprigionato panotticamente tra gli scudi stellari.

Senza mezzi termini hanno usato il genocidio o le tecniche di Auschiwtz rinnovandole con l’aggiunta della strategia della distruzione delle strutture produttive e delle infrastrutture civili. L’asserragliamento per embargo e fame, nonché la strategia della quarantena dell’informazione di massa pilotata ad hoc, hanno fatto il resto. Lo spettacolo indecoroso, poi, degli aiuti umanitari alla gente, contro cui si era scatenata prima una guerra senza esclusione di colpi, e con la spudoratezza di chiamarla umanitaria o giustificarla in nome della democrazia (?!), ha svuotato di senso persino la pietà degli consumatori passivi della tragedia.

Questi, infatti, aderendo alla campagna pubblicitaria che demonizzava il cattivo di turno - kurdo, islamisco, ex jugoslavo, africano, asiatico, latino-americano ribelle, indiano, ecc. - (il quale rimaneva senza il contraltare di una parola antagonista nella campagna di mistificazione che l’accerchiava), distratti e distanti, guardavano e agivano dietro lo zapping televisivo, mentre i consumatori attivi nelle stanze dei bottoni pigiavano i comandi elettronici delle armi più sofisticate dell’ultima generazione scientifica delle guerre stellari e logiche.

Il XX secolo, attraversato da più o meno raccapriccianti fenomeni di lacerazione violenta e gratuita, se n’è andato così con la sua storia di esìli e esodi. Ha raccontato le fratture/differenze e il riassorbimento delle rivoluzioni mancate o fatte abortire con una ingordigia distruttiva che ha impersonato l’allegoria della morte quasi fine a se stessa. È stato il trionfo dell’omogeneizzazione pianificata perseguita sia con le armi mass-mediologiche sia con la critica delle armi. Il mattatoio delle guerre inter-confine e intra-confine sono state usate come spettacolo terrorizzante per chiunque sognasse di ribellarsi ai gendarmi del pianeta e alla loro logica di omologazione di massa.

 

Il XX secolo è, però, anche il secolo della nuova razionalità. Il secolo che ha coniugato, senza più scandalo per la stessa cultura scientifica, criticamente, ordine e caos, caso e necessità in una visione plurale e dinamica, immanente e materialistica. Il XX secolo è il tempo che ha maturato sia la coscienza dei limiti dello sviluppo e dell’instabilità degli ecosistemi sia la dinamica scientifica non-lineare e non periodica dei fenomeni evoluzionisti. Il sapere che ha reso conto delle fluttuazioni e delle biforcazioni in un intreccio unico e dialettico delle possibilità espulse, e-siliate dalla soglia del divenire e comprese con le logiche nomadi degli eventi raccolti mediante i modelli stocastici e congetturali. Il taglio che, nella realtà della contingenza, miscela tutti i fenomeni e gli eventi del mondo della vita e del caosmico veliero in termini di separazione unita e congiunzione separata, alle-goricamente, e secondo un punto d’osservazione particolare e singolare. L’osservatorio e la sperimentazione che nell’assenza del fondamento trova una condizione e non un impedimento per un erranza continua che intreccia ritorni e irreversibilità: “Le scienze non riflettono l’identità statica di una ragione alla quale bisognerebbe sottomettersi oppure resistere. Esse partecipano alla creazione di senso negli stessi termini dell’insieme delle pratiche umane […] e incoraggiano (corsivo nostro) concezioni pluraliste, poiché non abbiamo che una finestra sul mondo”[9].

L’esilio della verità della vecchia ragione classica, ancorata alla stabilità delle dimore, nemica del tempo e della contingenza, di erranza in erranza, ha battezzato la nascita di una nuova razionalità come e-silio dalle soglie dei processi temporali e ha dato configurazione alla razionalità della contingenza e dell’instabilità entro sistemi sistemici che creano e producono anche autopo(i)eticamente gli eventi circostanti. E in questo ambiente, la dimensione della pro-gettualità non smette mai di essere giudizio-tra, in situazione. Il giudizio di uno spettatore partecipe che agisce con la ri-flessione di un pensiero che è capace di distanziarsi criticamente mentre vive nel contesto e nell’intertestualità dei processi storico-temporali dell’ambiente. Sebbene senza verità e con il rischio dell’incertezza, il soggetto vive, pensa e vuole dentro una configurazione comunque di senso, alle-goricamente e in una direzione determinata sebbene probabilisticamente. È l’allegoria dell’eredità benjaminiana che disvela la frantumazione della vita camuffata dietro una totalità apparentemente unitaria e integrata, e sviluppa “ sino in fondo il momento della conoscenza razionale e critico-negativa”[10], e il contatto con la storia e il tempo.

 Ragione non fa più rima con Verità e certezza, procedure chiuse ed equilibrio statico; contingenza non fa più rima con il rifiuto del probabile e dell’alea; non-equilibrio e disordine non fa più rima con ignoranza e parvenza. Ragione è equilibrio e non-equilibrio, coerenza incoerente e incoerenza coerente – complessità –; è esposizione alla follia del tertium datur che, finora, tranne che nelle regioni della poesia, è stato espulso dal tertium non datur della ragione classica (considerata fondamentale). Complessità di condizioni e variabili cogenti, la con-tingenza e gli eventi che ne dis-pongono e progettano le possibilità, così, non sono più un’illusione, un divenire delle apparenze come parvenze, provvisorietà che aspirano alla sostanza e all’assoluto di cui, secondo la tradizione, sarebbero manifestazioni di passaggio (tradizione che è stata anche di un certo tipo di barocco presente nella cultura e nel mito della poesia dei siciliani). La razionalità della contingenza è una soglia delle possibilità in cui il passaggio è l’e-silio dei sensi e dei controsensi, emergenza di nuove configurazioni significanti che, nel disporsi del logos e dell’azione, trovano sistemazioni diverse, ma non completamente escludentesi per quel fondo di comune eccedenza di realtà e di significati che se non abitano la scienza e la filosofia abitano tuttavia l’interrogazione poetica e l’interpretazione. Così ciò che derealizza la razionalizzazione del sapere scientifico e dei suoi modelli lo realizza l’immaginario virtuale del pensiero poetico impiegando la razionalità della contingenza, deformando gli assetti della logica, della sintassi e del linguaggio ordinari con i suoi versi inversi e paradossali e prospettanti così mondi possibili alternativi. L’alternativa è poetica, ma c’è come la realtà virtuale - reale senza essere attuale -.

 

Virtuale e poesia, in fondo, mantengono con la realtà un particolare rapporto segnico di simulazione e sostituzione che è tipico della poesia come textum. La modellizzazione semiotica del reale-possibile e del possibile-reale, che simula la miscela della complessità informazionale del mondo, infatti, nei due contesti svela e costruisce determinati mondi possibili e dà realtà ai sensi e alla potenza in fieri delle possibilità funzionando come se fosse un “attrattore strano” che aggrega e dà forme alle variabili in perenne movimento.

La poesia, come il virtuale, rende visibile ciò che non è visibile, e come il virtuale crea immagini (gli ossimori, i paradossi, i non sense, ecc.) che non sono né copia né rappresentazione (non sempre rispondono allo sguardo della visione esterna) ma solo costruzione segnico-simbolica e simulazione segnica aseica e autoreferenziale, sebbene veicoli  una direzione di senso. La pagina bianca come il video, lo schermo di un PC. La differenza è che lo schermo consente di accedere dentro “allo spazio della realtà virtuale, cioè a uno spazio che non è materiale ma puramente informazionale. […]  e la capacità (corsivo nostro) […] di produzione di una realtà virtuale che non rinvia a nessun’altra dimensione che non sia quella della pura immagine[11].

Il virtuale, come la poesia e il sogno, non si sostituisce al reale ma ne rappresenta un’amplificazione delle possibilità in fieri; fa sì che, perché non si rimanga prigionieri del dato e/o del suo ordine costituito, manipolato ad hoc o meno, si possa spingere exodicamente per ridefinire, riprogettare  e prospettare una nuova realtà  e nuovi mondi possibili di comunità reali e virtuali che accolgano la qualità del sentire, del pensare e dell’agire come dipendente anche dai soggetti e non dagli oggetti o dalle funzioni strumentali. “Fra realtà e sogno si inserisce un terzo polo di esperienza: la simulazione su schermo. Si tratta di una non-realtà che consente nondimeno la strutturazione d’una esperienza reale.”[12] È un’esperienza che lascia liberi e agisce sulla realtà senza toccarla (una realtà che diventa più mobile, fluida, flessibile e manipolabile, ecc.) ma con effetti di cambiamento reali.

Tra i mondi possibili, quello della compossibilità della virtualità e del mondo della poesia è un altro dei possibili che oggi si può realizzare nella dimensione comunicativa e linguistico-simbolica del cyberspazio, dove peraltro i siti che si occupano di poesia, come il resto di tutta l’altra editoria, sono all’ordine del giorno. In questo “cronotopo” i poeti si possono incontrare, aggregare, fare gruppo secondo le nuove modalità delle comunità virtuali. Comunità di persone che accomunate da una o più tematiche o da un comune patrimonio di significati e valori interagiscono in rete secondo le modalità, virtuali appunto, offerte dal mezzo interattivo, ma con effetti reali che agiscono e si attualizzano nella destabilizzazione attiva e concreta. E l’interattività funziona sia come amplificazione della soggettività che della contingenza. Qualche tempo fa l’esperienza del netstricke di Seattle ha dimostrato di fatto la verità e la validità della cosa.

Il netstricke – occupazione mobile del sito – di Seattle in pratica è stata la messa fuori uso del sito web che aveva in rete la conferenza mondiale del Wto, l’incontro dei ricchi e potenti del mondo per il controllo dell’organizzazione mondiale del commercio e delle biotecnologie a scapito dei paesi poveri.  Il netstricke, infatti, è stata la dimostrazione di come la protesta di soggetti, che condividevano una scelta anticapitalistica e antiliberista, si sia trasformata via INTERNET in un’azione di sabotaggio contro il dominio e il controllo della goblalizzazione neoliberista americana e dei paesi ricchi che in quell’incontro volevano sottoscrivere il patto. Il sito è stato reso inutilizzabile con l’invio o la richiesta di scarico di materiale informativo oltre le possibilità di gestione dello stesso provider.

L’evento netstricke è stato sicuramente un evento dell’intreccio delle variabili della contingenza che con la sua causalità e casualità, miscelando condizioni soggettive e oggettive, indeterminate e determinate, probabili e improbabili, ha messo in crisi un sistema comunicativo informatico molto sofisticato, così come succede con un testo poetico che attacca e sospende la comunicazione ordinaria piuttosto collaudata e controllata. Il controllo dell’informazione, a un certo punto, non ha più veicolato i significati dell’ordine del discorso e del discorso dell’ordine Wto. Inter-net sembra aver funzionato come un testo di alta complessità – come può essere un textum di poesia -: ha liberato le sue possibilità contestative, di disgregazione e ribaltamento dell’informazione controllata del discorso univoco del potere comunicativo, seminando dis-ordine con effetti concreti dall’alto della realtà virtuale del cyberspazio. Ed è nel luogo virtuale di questa complessità, in questa con-tingenza inter-net, e nella diramazione possibile dei suoi effetti devastanti che funziona l’analogia con l’essere dell’evento del testo poetico. Il textum poetico con la complessità esponenziale del suo vertere, infatti, alterando le consuete modalità comunicativo-espressive, innesta significanze dirompenti con il portato ambiguo e polisemico, destrutturante e destrutturato della tipicità della systasis organizzata e, contemporaneamente, ribalta la comunicazione dei significati controllati.

La razionalità classica invece espungeva come disturbo della conoscenza, della verità e dell’agire sia la soggettività sia la contingenza. Le riconosceva proprie solo al mondo dell’arte e della poesia, salvo a ricondurle sempre nell’ambito della proporzione e dei ritmi contemplativi dell’armonia dell’ordine dell’essere e del già dato per evitare lo scoglio del “nichilismo” e in questo la perdita dei significati/valori.

Sarebbe opportuno a questo punto allora riconsiderare le cose e rivedere il parallelogramma delle forze.

 

La razionalità ha cambiato look e il fatto non può essere ignorato. Siamo nel campo di una nuova razionalità, una razionalità paradossale, “irrazionale”, capace di coniugare simultaneamente gli opposti e dar realtà e senso al possibile contraddittorio come accade nella logica epistemologica, in quella temporale del “tempuscolo”, in quella delle matematiche contemporanee, o in quella del forcing o in quella modale di derivazione kripkiana, dei “sistemi di conoscenze parziali” o dell'affermazione. È una razionalità che non conosce mai una negazione definitiva, ma un’inclusione continua e illimitata perché, qui, l’affermazione è conoscenza e insieme prassi, inferenza logica e implicazione materiale, dimostrazione, argomentazione, intuizione, probabilità e abduzione, ed equivale a dire “io conosco a”: le dò senso costruendolo. È una razionalità nuova che (come quella già elaborata dalla logica intuizionista dell’infinito potenziale, o dalla logica minimale che di volta in volta, accettando le contraddizioni locali, rifiuta il terzo escluso) salvaguarda la soggettività che relaziona conoscenza e azione come libertà di scelta o d’inizio in situazione e sul campo; la razionalità che pratica il cammino delle possibilità iterandosi di e-esilio in e-silio.

La nuova razionalità  è quella che tra fratture e pieghe pensa i mondi e i saperi nei limiti infondati e illimitati della con-tingenza e dello stupore materiale fondante: il gioco infondato del tertium datur, delle contraddizioni e contra-dizioni che, intersecantisi e interagenti nel sistema sistemico dinamico e paradossale del “simbolo”, fluiscono e fluttuano come corpi browniani nell'ambito di una concezione  materiale e quindi sperimentale  del mondo. Parafrasando Bas C. Van Fraassen (per Van Fraassen, la razionalità è “irrazionalità imbrigliata”), la nuova razionalità sbriglia l’<<irrazionalità>> e ne rivela le possibilità per costruire mondi possibili altri dall’esistente.

I mondi di questa nuova razionalità non cercano l’esclusione. Praticano l’inclusione materiale e critica del taglio dialettico plurale. I paradossi che li attraversano come le contraddizioni che li segnano, come avviene nei testi della poesia, sono fonte di vita e d’informazioni plurale e di polisemia che rigiocano l’ambiguo e l’equivoco come soglia di possibilità. E non necessariamente tutta, e sempre, l’informazione è rapportabile entro i termini della dicibilità e decidibilità deterministica. L’indeterminato, il probabile, l’approssimato informa quanto la configurazione di una fiamma che è, per dirla con M. Serres, una sirresi di ritmi-aritmi e di tempi diversi: meccanici, bilogici, evoluzionisti, culturali.

Se il sapere della scienza, della poesia e del mondo è il “come se” della complessità, allora la coerenza è quella del tempo che in questo “se” contiene la soglia itinerante dove il poeta tra un e-silio e una non-so-sta conosce i mondi alla deriva e ne costruisce altri per-colando la miscela delle logiche e dei tempi diversi che vi coesistono contingentemente. Il mondo dei testi poetici è una miscela di elementi eterogenei e indipendenti che vi interagiscono rendendolo instabile, deterministicamente impredicibile e semanticamente polisemico.

J. Lotman e Kolmogorov hanno già evidenziato questa particolarità della poesia come testo che simula il testo del mondo con un tempo che è appunto esponenziale e miscelato con più variabili come è il tempo del kairós.

La poesia così viene a presentarsi come un testo linguistico polifonico che scorre, si versa, si ritma aritmicamente in una sin-cronia particolare. È la sin-cronia- kairós, infatti, del verso della poesia che coniuga, unitamente e separatamente, linearità e circolarità, irreversibilità e reversibilità con il suo ritmo o il suo scorrere fluente. L’aspetto lineare del tempo come semplice successione di istanti (i vari elementi della systasis poetica) è solo un aspetto del tempo, quello appunto della sincronia come linearità e successione d’intervalli costanti misurabili deterministicamente. Il verso della poesia è, infatti, il ritmo complesso, la fluenza dello scorrere della lingua scritta che simulando la complessità del reale e del suo tempo né ri-produce anche la non linearità. Il verso, infatti, va avanti – linearmente – e ritorna – circolarmente -, si biforca, si sventaglia, si incurva in una circolarità che, sincronizzandola, sembra simulare anche una combinazione opportuna di spazi euclidei e non euclidei sulla superficie del foglio bidimensionale come un complesso di nodi retificati. Il dire della poesia, la sua dicibilità (rhetón), il discorrere dei dis-corsi fluenti dei suoi versi (rhèsis), è allora il dire/scrivere il re-ale(a): il dire-scorrere della caosmicità della realtà o la simulazione po(i)etica della testualità complessa del/i mondo/i, del/i tempo/i e  delle altre variabili, compresa la soggettività degli uomini che come il mondo è incrocio e sincronia di tempi diversi. Il corpo e la soggettività umana sono teatro e attori di tempi reversibili e irreversibili così come lo è il mondo. Le universalità astratte e generiche, scientifiche o socio-politiche non tengono più la scena riflessiva né tanto meno quella della poesia che flette l’incrocio della con-tingenza.

Nascono così i mondi della poesia – contromondi o mondi possibili – in cui tautologie, contraddizioni, esplosione dei nessi e dei ritmi ordinari, grazie alle trasformazioni, alle associazioni e alle implicazioni logiche e materiali fanno convivere logos e alogos, e nel loro ambito di senso verità particolari e ulteriori che si processano in molteplicità di nodi e di reti.

Le tautologie e le contraddizioni, come i paradossi, nel mondo della poesia hanno valore semantico (nei testi di poesia opera una semantizzazione a vasto raggio) perché altre sono le logiche dell’in-semazione, e non certamente quelle dell’omologazione del logos identitario, strumentale e funzionale. Sono le logiche della molteplicità del/i divenire e della topologia, delle pieghe e delle fratture e del loro intreccio in textum “nuovo barocco”?: taglio concreto e non astratto che miscela intrecciandole le due biforcazioni, finora escludentesi, del sapere scientifico-matematico e umanistico. Multiversum di regolarità e irregolarità che si versano contemporaneamente seguendo il cammino dell’infinito continuo e discreto, delle logiche della con-tingenza e delle variazioni differenziali e castrastrofiche del tempo e della storia oltre l’astratto rettilineo della razionalità classico-moderna; dentro il tempo- kairós degli eventi già attenzionati da G. Deleuze e M. Serres che richiamano la durata di Bergson e le piccole percezioni – eventi - delle monadi leibniziane. “Nella piega Deleuze trova, più in generale, la figura del barocco, momento matriciale della cultura moderna: pieghe infinite di materia e di spirito tengono lontane le filosofie dell’essenza, oltrepassando il cartesianesimo. Pli è piegatura, ondulazione, curva, flessione, sinuosità, inclinazione, iscritta nelle molteplici prospettive; la piega, propria dello stile del pensare barocco, sostituisce lo stile del meccanicismo e dell’essenzialismo, sia in qualità di multiplo del continuo (nella materia), che in qualità di multiplo della libertà (nell’anima). […] La logica dell’evento, nella quale eventi e predicati si includono nel fondo oscuro del soggetto […], mette a punto la relazione dell’implicazione materiale e dell’inclusione (corsivo e variazione nostra), nella quale le procedure di inclusione vengono modulate in un manierismo logico che asserisce la <<spontaneità>> delle maniere (contro l’essenzialità della logica degli attributi) e l’onnipresenza del fondo oscuro, origine segreta delle maniere (contro la chiarezza della forma). […] Sul piano della matematica infinitesimale della monade, Deleuze coglie i temi di una filosofia matematica  a carattere morfologico nella quale la trasformazione dell’inflessione spiega i modi di costituzione <<frattali>> delle turbolenze, che perdono la sostanzialità del soggetto e dell’oggetto per ritrovarsi come <<super-getti>> […] Oggetti che prendono posto in un continuo per variazioni, divenendo così eventi, e soggetti che si riconoscono nelle inflessioni dei punti di vista, nelle condizioni sotto le quali appare al soggetto la verità di una variazione […] un prospettivismo non soggettivistico […] Tale prospetivismo matematico viene letto in sincronia con la morfologia, la topologia e la matematica dei frattali, seguendo anche il nesso matematica-metafisica estrinsecato magistralmente da Serres […]”[13].

Senza scandalizzare nessuno, scienza e poesia, poesia e filosofia e letteratura attivano mondi e contro-mondi possibili grazie alla nascita della nuova razionalità po(i)etica della con-tingenza. Textum di complessità che intreccia e incrocia mille variabili, la nuova razionalità, rispetto alla ratio del calcolo e del tertium non datur, della non contraddizione e dell’identità, è luce e ombra che si accompagna con la pluralità exodica della soglia e della contingenza fra le aperture, le fratture della verità di una ragione che ora indossa la carne – l’accidentale - della materia, ne ascolta l’esuberanza e produce verità ulteriori.

Gli inizi esplosivi, senza molte forzature, possono essere già individuati nelle fratture e nei decentramenti inferti alla ragione dell’astrazione totalizzante che nel corso del tempo hanno segnato la nascita dei mondi contro-mondo della razionalità della contingenza.

Sono i mondi che, in sintesi, sin dai primordi della razionalità occidentale hanno dato vita alle antinomie logiche, alla realtà dei numeri irrazionali e infiniti, alle varie fratture epistemologiche, e giù fino alla realtà virtuale del cyberspazio odierno con l’impatto di una tensione che ha esercitato costruttivamente la propria hybris contro l’ordine statico dell’epistème.

Nei mondi di questa con-tingenza che, oggi, materializza anche l’intelligenza collettiva nel cyberspazio di INTERNET, la hybris può trovare espressione di libertà nuova e di erosione coerente nelle azioni conflittuali e di sabotaggio degli hackers, dei crackers e dei cyberpunks, avanguardia on line, che attaccano, singoli o in gruppo, con le bombe logiche dei virus l’accumulazione informatica capitalistica finalizzata a sofisticare ulteriormente e più pervasivamente il controllo totale del pianeta, delle sue risorse e della galassia assoggettando tutto l’uso al mercato del consumo e dello scambio mercificato. La hybris dell’intelligenza collettiva nel cyberspazio di INTERNET (il nuovo spazio tempo della realtà virtuale), esercitata attraverso il linguaggio e l’azione degli hackers, dei crackers e dei cyberpunks, è, infatti, un’avanguardia di conflitto e opposizione che coniuga linguaggio e azione sia per criticare sia per prospettare un diverso uso di INTERNET.

 

Il XX secolo dovrebbe essere ricordato anche per questo vitale aspetto della sua po(i)esis che, migrando nel terzomillennio, vive e produce poeticamente nella nuova razionalità della con-tingenza e nelle scelte che vi si operano senza lasciare l’onda della soglia che la esistenzia e la individua, mentre va avanti e indietro conservando e praticando spazi di libertà per la parola e l’azione di uomini plurali e storici. Non è una frattura da poco e un decentramento irrilevante rispetto alle altre rivoluzioni che hanno intaccato e frammentato la monoliticità totalizzante della cultura occidentale bloccata sugli assetti riduzionistici dell’identità  dell’identico dell’uni-verso del vecchio logos.

Fratture, decentramenti, frammenti, razionalità-immaginazione e immaginario della contingenza hanno comunque messo in luce, oggi forse più di ieri, che la vita e la storia si configurano come un e-silio, un uscire-viaggiare nella soglia del tempo come textum-miscela di possibilità kairós. Le possibilità che si decidono nel transito del de-serto collettivo secondo anche un’etica della de-cisione e della responsabilità. Camminando nel “tra” di spettatori partecipi e responsabili degli eventi culturali e politici non tutto dipende, però, si sa, dal controllo volontario singolo o di gruppo più o meno vasto.

Esodo senza fine fino alla fine la vita degli uomini, gli uomini dunque sono dei para-sitos che in ogni mobile sosta del pensiero e della volontà sperimentano il kairós –“tempo debito”- e il suo essere textum-miscela e processualità situazionale; una processualità-tra dell’essere in situazione, un meta-pherein che articola il cammino come oscillante e permanente tensione fra attrazione bi/pluiridirezionale del suolo-suola-soglia verso il quasi-suolo e il movimento del suo essere-suolo-suola che si muove e-silio – cambiando luogo – mentre coniuga e declina l’allontanamento immanente senza arrivare mai al tempo dell’escatologia che perderebbe l’utopia con il suo carattere storico e umano di rivoluzione permanente. Esodo come mondo e passaggio tra mondi di testi, iper-testi, la cui linearità è sostituita da link che legano le fratture-frammenti in nodi e reti associative sempre più plurali.

In tutti i mondi di questa con-tingenza, il simbolismo - il syn-ballein degli elementi - non è la quiete pacificata e metafisica dell'unità dell'essere bensì la pluralità sistemica, complessa, storica e non lineare della possibilità materiale del reale di cui l'allegoria - alle-goria - può rappresentare e configurare  la hybris della ribellione e dell'ironia dell’interrogazione costante e della ricerca. E la hybris può essere la nuova forma di rifiuto permanente e attivo che attacca e corrode l'ordine statico che, cristallizzato, intrappola e blocca gli eventi della con-tingenza e i paradossi mentre registra l’autunno dell’analogia come presupposto d’ordine.

La hybris potrebbe essere, infatti, l’altro dell’alle-goria, il diverso dell’ulteriorità di senso, configurabile a partire dalla complessità del reale che si processa come possibilità di eventi del “vuoto quantico” attraversato da una molteplicità di traiettorie e frecce del tempo.

I paradossi, che risuonano la mescolanza dei contrari  e delle contraddizioni nella contradizzione non-contraddittoria della contingenza, aprono, infatti, le porte dell’in-finito dove tutto si raccoglie e convive versandosi in una con la crisi del vecchio modello dell’analogia. L’analogia basata sul presupposto della rassomiglianza imperfetta delle cose o della somiglianza perfetta di due rapporti tra cose assolutamente dissimili o del trasferimento del significato nel dualismo di linguaggio proprio e figurato, infatti, non regge più. La compresenza di più logiche e più tempi della pluralità complessa e sistemica del kairós della razionalità della contingenza, dove la simultaneità dei processi che coniuga ordine e disordine, reversibilità e irreversibilità, e la po(i)esis come condizione del re-ale(a) – dire il caso, l’alea - vive una materialità spirituale che non ha memoria di similarità in modelli precedenti, neanche, forse, nella frattura a suo tempo rappresentata dallo stesso vecchio barocco del demone dell’analogia.

Scrive il poeta Antonio Machado: gli uomini sono quegli itineranti cui bisogna ricordare che per il “caminante, no hay camino/ se hace camino al andare” (“viandante, non c’è via/la via si fa con l’andare/con l’andare si fa la via”). Gli itinerari della conoscenza e della costruzione, volti al senso delle cose e degli uomini, non possono, infatti, essere se non nel/col peso delle responsabilità di chi, in patria o in esilio, rifiutando vie e metodi determistici, via linguaggi plurimi e miscelati, si mette in cammino verso gli orizzonti delle risposte (mai concluse e definitive) e rimane nello stesso interrogare come nel luogo proprio del contra-dire l’esistente aprendone le contraddizioni materiali e culturali. Il terreno di misura, di rischio e di scommessa dell’uomo contemporaneo della certezza dell’incertezza, è il movimento, lo stesso cercare, l’e-silio come permanente transitare che sconvolge ininterrottamente gli ordini dell’estetizzazione anestetizzante di massa della società odierna e del suo ordine omologante e violento. Il metodo o la via, infatti potrebbero, arrestare il gioco della vita e della ricerca. Un ragionevole paradosso? “E questa ragionevolezza […] ci fa vedere che senza questo irragionevole rischio ci ridurremmo tutti all’immobilità, esito sicuro di ogni falso movimento o di ogni <andare a cercare>. E anche di ogni sentirsi sicuri in terra straniera, di ogni esilio cercato, singolare. Si tratta di sapere se preferiamo tracciare dei confini domestici, con oggetti e voci che ci fanno eco, o se ci risolviamo ad avventurarci in un bosco dove più nessuno ci accompagna e dove le promesse di verità restano tali perché subito vacillano e spariscono”[14].

Non sembra azzardato (ma forse lo si vuole) qui (di passaggio) assimilare a questa testualità del pensiero, dell’esodo nella/della soglia, e dentro il suo ritmo-aritmo di unione e separazione non escludente, quanti poeti abitatori del tempo, nell’allegorica tensione-azione di opposti ironici che si in-tendono e com-prendono, fanno dell’anima, della mente e della vita una multisinfonia poetica materiale e contingente, atonale e dissonante che si coagula nel filo rosso della poesia materiale della contraddizione[15], dei linguaggi e della nuova razionalità. Una razionalità plurale, probabilistica e scanzonatamente conduttrice di un’armonia dissacrante e zigzagante; una testualità complessa, non lineare, lontana dall’equilibrio entropico di certa antropologia antropocentrica ed omeostatica della modernità borghese; un ac-cadere di eventi con-tingenti quanto concretamente materiali e contingenti di una necessità non-contraddittoria. Questa razionalità po(i)etica materialista, non svuotata né dell’ideologia né dell’anti-ideologia (orizzonte invalicabile dove si è, si vive e agisce), in Italia – Nord, Sud, Meridione, Isole, Sicilia -, è stata anche il supporto di molti poeti delle ultime generazioni del secolo scorso. Sono i poeti che, sintonizzati col marxismo di sinistra e il realismo critico guardavano verso Brecht, Gramsci, Korsch, il giovane Lukács di Storia e coscienza di classe, Sartre di Esistenzialismo è umanismo  e le coordinate dell’allegoria tracciate  da W. Benjamin, i pensatori critici che parlavano della realtà come molto ampia e piena di contraddizioni rispetto a quella “imbrigliata” dagli stessi sistemi di parrocchia. Ma la poesia ha certamente altre referenze

La realtà  può essere descritta in molti modi: la storia crea e rifiuta modelli, e l’estetica – scriveva Brecht - così come la nostra moralità la deriviamo “dai bisogni della nostra lotta”.

Sono i poeti che, protagonisti di un pensiero e di una scrittura poetica demistificante e dissacrante, si riferivano agli autori citati, i portavoci di una prassi della soggettività e di una dialettica orientata non deterministacamente, e che poi calavano nelle loro poesie di critica al sistema.

 Il taglio politico dei testi, altrove, forse, ha avuto impasti populistici e una retorica del civile che non sempre si sono coniugati bene con lo stile particolare e aseico della poesia. La dissacrazione ha fatto spettacolo di sé però nelle vesti del rifiuto del sistema, del gesto, del non senso, del riso raziocinante e dell’ironia nelle forme dell’humour, della risata, della satira, del sarcasmo o del dis-corso asintattico  e plurisegnico con intenti di denuncia etica e politica, oltre che di godimento estetico e di comunicazione culturale altra. Una denuncia, ieri come oggi, che ha conosciuto e conosce momenti di ribellione attiva nei movimenti dissidenti e operativi.

Questi poeti (per la Sicilia dell’”Antigruppo” poetico, il Meridione d’Italia, rapporti e influenze, si rimanda alla nostra ipotesi di lettura, in appendice al libro. Il testo, rielaborato e approfondito, nella sua tematica, è stato l’oggetto di una conferenza tenuta all’Università Complutense di Madrid nel corso dell’autunno 1998 agli studenti del corso di Laurea in lingua italiana) hanno spiazzato gli ordini del discorso del pensiero beatificante-mistificante del quotidiano politico di classe che, ancora oggi, cerca di sterilizzare l’intelligenza critica. La pratica assorbente è esercitata mediante il bombardamento rullante dell’ideologia pubblicitaria e degli spot ipertestuali che mediano la pseudo gratificazione faustiana promettendo eterna giovinezza, salute e benessere sociale a tutti quelli che lavorando e consumando ne ingoiano l’anima.

Questi poeti del Sud hanno reagito contro una poesia del cuore e dell’emozione senza tachicardia e fibrillazione e contro la poesia senza la coscienza di un pensiero po(i)etico ribelle e, per lo più, quasi per tutti, agito tra conservazione e innovazione e al riparo, non sempre, da pericolose scivolate retoriche e populistiche. Sono i poeti e i pensatori non acquiescenti e non compromessi con gli ordini dell’ideologia del potere dominante e del dominio capitalistico e globale, o comunque del potere che, a qualsiasi latitudine, pratica la disciplina del “sorvegliare e punire”, ordina il consumo della vita come merce e sottomissione e il controllo totale delle soggettività e della lexis delle prassi plurali e antagoniste. Sono i poeti che alla parola poetica esiliata dal linguaggio standardizzato hanno cercato di riattaccare come pratica significante l’azione della dis-locazione dissidente, la denuncia e fuga dal circuito della mercificazione dei significati. Provocazione, hanno riattivato, pur nella differenza dei casi (condivisibili o meno nelle riuscite della stessa provocazione linguistico-poetica) e dei contesti, una pratica significante di produzione e processi di senso che rifiuta e lotta la reificazione della parola, e soprattutto di quella poetica; quella parola ribelle che l’estetizzazione spettacolare  e produttivistica dei padroni della società dell’informazione vorrebbe, invece, disinnescare.

E la disattivazione, infatti, oggi, si consuma nei luoghi della visibilità sterilizzata dei giochi della parvenza e della stupidità ludico-divertente d’intrattenimento della massmedioideologica videotelematica. Qui, infatti, la carica dirompente dell’evento segnico-simbolico della po(i)esis è svilita nella forma dello spot pubblicitario che veicola oggetti e significati mercificati del consumo oggettuale e dello stesso consenso sociale: il convivere gratificante, e capace di conciliare le differenze plurali, viene dato per realizzato.

L’esilio della parola di questi poeti, che muovono la loro suola fra le soglie del kairós, crediamo s’inoltri ancora nel terzomillennio lì dove la poesia sta lì in non-so-sta a simulare il textum complesso del tempo e della storia. Il kairós che li se-duce in un amplesso di inquieto e permanente desiderio di vita concreta e di eventi e-siliati che si solleva dal suolo-suola-soglia del divenire delle possibilità e punta alla liberazione e alla libertà come conquista e promessa ininterrotta.

Il suolo-suola-soglia, infatti, esprime e concettualizza bene, sembra, l’idea che simula una realtà che è un re-ale(a) (dire il caso, l’alea) che, per transitare nell’attimo della sua eventualità con-tingente, è un muoversi che sosta-alzando il passo dentro la soglia del divenire, mentre la possibilità ac-caduta e/o scelta o iniziata si fa fatto, azione, giudizio che sa di non-so-stare. Il suolo-suola-soglia esprime concretamente l’esser-ci kairós-topologico della pluralità delle variabili e degli eventi che si fanno/sono relazione e reti di linguaggi. La tensione della mobilità permanente, che caratterizza l’e-silio nell’essere possibile, e fuori del quale non c’è spazio che possa metaforizzare il suo tempo-tempuscolo e il suo cammino di storia e scelte tra un apparire e un altro, nell’immagine metaforica della soglia trova appropriata l’alle-goria di senso che attraversa la po(i)esis della natura e della storia tra perdite e progetti che si rinnovano. Processa bene l’equilibrio lontano dall’equilibrio degli eventi che errano tra paradossi e contraddizioni viventi, quasi un barocco di nuovo conio di temporalità esponenziale, raffigurabile come una sirresi di tempi, logiche diverse e linguaggi diversi, e che nessuna procedura amministrativa e ordine del sapere può distruggere sebbene possa ignorare. E il poeta che ne coglie il sapere particolare, quasi il poeta “barocco”, forse,  di una volta, n’è il viandante che ne conosce e pratica le possibilità mimandole (per Aristotele la mimesi del poeta, in fondo, era immagine della contingenza degli eventi) nel/con il linguaggio delirante della libertà dei versi che scorrono e sboccano.

 Avanguardia del possibile, nella sua miscela di teoria, prassi e giudice partecipe, anche in Sicilia, il poeta è stato ed è navigatore di soglie e non di ordini e forme stabili, e anche per questo è stato un pensatore della ribellione a volte giocata nel laboratorio del singolo o del Gruppo o dell’Antigruppo, dell’Intergruppo, dell’Intergruppo-Singlossie. Di questa esperienza, oltre le pubblicazioni personali, nell’Isola sono rimaste anche le testimonianze delle riviste come Impegno ’70 e 80 (Trapani), Lunarionuovo (Catania), Integruppo-Singlossie (Palermo), ecc. In questa sua ribellione, secondo noi, la lexis della poesia, in quanto parola e segno che si dirama anche nel politico (che con la poesia condivide l’uso della parola pubblica e della sua azione inter-soggettiva), non può non avere anche un carico di prassi eversiva che agiti le forme d’ordine sociale stabili e stabilizzanti mentre s’inoltra per la via dell’interrogazione critico-dialogica.

Un qualsiasi ordine che vuole la staticità della forma, infatti, è anche un ordine ideologico di classe che pratica l’analfabetismo coatto del pensiero, della parola e dell’azione rivoluzionari in nome di una adesione alla pace di tutti e per tutti; ma è solo supina acquiescenza. A questa, però, la parola viva, e quella della poesia in particolare, non dà tregua. La messa in scena della scrittura-lettura-ascolto della parola critica dia-logica, né riduzionista né definitiva, infatti, mette in azione l’insonnia di Troskij e dei significati assenti che cercano la vita della luce anche lunare.

Scrive Vincenzo Leotta (alludendo alla nascita della poesia barocca e alla sua “forma di vita”): il poeta “non è cantore di essenze immutabili e definitive, ma di vicende cangianti e mutevoli, che non si lasciano catturare e rinchiudere in una forma”[16].

La forma, ogni forma che pretende l’adaequatio e la corrispondenza ontologica nell’ottica della mimesi del dato, congela gli eventi della con-tingenza (che si sa impossibile immobilizzare per la complessità dinamica delle sue variabili) perché procede per astrazione, determinazione, generalizzazione e fissazione. Ma l’illusione non tarda a denudare l’ingenuità della credenza o della presunzione.  Si può far finta, forse, puntando sul come se della non esistenza degli eventi e del valore di una parola cangiante – che è la cosa più seria – o sulla convinzione che li si può manipolare progettando un futuro senza l’angoscia della loro strutturale contingenza; ma questo non significa che si mette in essere una metamorfosi definitiva che arresta il gioco della soglia e dell’e-silio del divenire nel kairós della parola e dell’azione  po(i)etica straniante.

La soglia come permanente tensione dell’esserci-divenire vuole il tempo-miscela/taglio, il complesso intreccio che tra le sue concause comprende anche quella delle azioni degli uomini che condividono pensiero, volontà, giudizio, linguaggio e azioni pubbliche esposte al gioco responsabile delle opinioni. Il tempo attimo (atomo semplice, indivisibile e preciso), il sapore annunciato e pregustato di una eterna e immobile felicità al riparo del rischio degli eventi, non gli appartiene, non ha rispondenza alcuna con la concretezza materiale delle cose se non per sussunzione modellistica.

Il suo muoversi di suola/soglia dal suolo rimanendovi dentro – superficie e/o profondità, linearità o circolarità zigzagata e/o vorticosa – come cammino e viaggio tra insiemi infiniti d’infiniti possibili, dove gli elementi frammentati sono raccolti dal logos-alogos mediante gli “attrattori strani” che coagulano (come avviene nei fenomeni dinamici e stocastici) il senso di mondi possibili, è anche il modo d’essere che meglio configura un pensiero lontano dall’equilibrio definitivo.

E in questa realtà del possibile ragione ed etica, temporalità e modalità non possono e non debbono essere disgiunte se non tenendole unite nella tensione del kairós -“tempo debito”- degli eventi. Gli eventi che, in quanto tali, unici e singolari, sfuggendo alla logica dell’ordine continuo e necessario, consentono di costruire un senso storico comune e vi si aggregano come presi da uno stesso “attrattore strano” per perseguire una stessa prassi di senso e di futuro vivibile. E questa è la dimensione, secondo noi, più propria e conducente della razionalità della con-tingenza ossia dell’essere del divenire della temporalizzazione che si realizza e attualizza per la singolarità di eventi che piegano e vertono il tempo. Il tempo che si fa anche, appunto, ritmo, dis-corso, verso della po(i)esis e coesistenza “virtuale” di compossibili e impossibili, di pluriversi possibili e molteplicità differenti. Il terreno è ancora quello della complessità e del suo multiversum. E qui il racconto della parola e la sua testualità, nella genesi temporale e nella contestualità della forma di vita intrecciata a più livelli, non può non aggregare, associare la propria po(i)esis attorno a nuclei di senso che funzionano da “attrattori strani” e gravitazionanti una certa configurazione tra i campi della polisemia significante.

Nei testi della poesia della con-tingenza, il senso-attrattore strano, che si va configurando durante la composizione delle energie linguistiche in ingresso, funziona come se ci si trovasse di fronte ai fenomeni caotici delle turbolenze, dei vuoti quantici o dei mondi microscopici. “Nella sorgente di luce laser osserviamo dei tipi di processo tra loro differenti. Quando gli atomi del laser sono eccitati dall’esterno solo debolmente, emettono la luce di una comune lampada, del tutto caotica. Quando l’energia in ingresso è aumentata oltre il valore critico, appare una configurazione ben regolata, quella di un’onda completamente coerente: il caos microscopico si è trasformato in uno stato ordinato in modo del tutto auto-organizzato […] gli atomi sono controllati dalla crescita della radiazione laser che, a sua volta, è alimentata dall’emissione luminosa degli atomi […] un stupendo esempio di causalità circolare nel mondo inanimato: mentre il campo luminoso controlla gli atomi, questi, dal canto loro, sostengono il campo luminoso[17].

L’e-silio non ha alle spalle una terra o una patria da cui è stato espulso, un luogo del ritorno a cui la nostalgia lo vincola. È tutt’al più una malinconia dell’esser-ci inquieto che ac-cade e che il versare della poesia, vertigine esplosiva dell’ordine e degli ordini del discorso, itinera iterandolo tra una non-so-sta e un’altra.

L’esilio allora non è il muro del pianto, bensì il modo d’essere più proprio degli uomini di essere e vivere sim-bolico-sistemico una situazione senza fondamento alcuno o un evento che ac-cade e che perciò stesso, essendo, fonda una configurazione d’esser-ci sempre contingente, e che la semiotica e la semantica del linguaggio della poesia narra e simula allegoricamente e tensivamente nella sua equivocità polisemica. È una situazionalità che si snoda tra due o più transiti, la cui traduzione, trascrizione e dicibilità è legata a più logiche; le logiche dei linguaggi che tracciano l’uscire e l’entrare dal textum-miscela del kairós delle possibilità del divenire attualizzando eventi di vita e di senso come frammenti separati quanto uniti topologicamente. È come se una allegoria immanente e materialistica pre-figurasse e volesse com-prendere un esser-ci-divenire fluente e fluttuante con tutta la paradossale complessità e responsabilità che ne contraddistingue la vita: una ucronotopia della totalità in fieri.

L’e-silio delle variabili della complessità è simulato da una parola po(i)etica che (intrecciata) inferisce/induce/abduce logicamente e “implica materialmente” sia le azioni dei soggetti che vi interagiscono sia i sensi attratti nell’orbita gravitazionale del modello scelto nell’ambito della comunicazione intersoggettiva coniugando ricerca, sperimentazione e libertà. L’interazione si fa intreccio testuale e miscelato delle possibilità, mentre la differenza rimane una frattura dif-ferita che si mantiene in-tensione nella simulazione del linguaggio che consuma il passaggio della differenza nella dialettica di una semiosi continua e instabile. Qui la differenza avanza e si consuma  come la sua stessa distanza interna tra significante e significato, segno e senso, logica denotativa e intensionale, logica dimostrativa e argomentativa, fluente e fluttuante: ratio della mente e prassi del vertere “ontologico” particolare degli eventi poetici. I versi della poesia, infatti, trasformano la stessa successione ripetitiva di parole e costrutti – anafore, anadiplosi, ecc. – come gioco del divenire del verso differenziante che problematizza il tempo come molteplicità e virtualità capace di far convivere il ritorno del ciclico della dinamica meccanica e l’irreversibilità dei tempi biologici, cosmologici e della turbolenza caotica che generano il nuovo e i nuovi campi semantici. Poeticamente è la temporalità di G. Deleuze dell’oltrepassamento del tempo della successione che “proietta in un divenire differenziante dell’eterno ritorno, che esalta la ripetizione come prodotto del gioco della differenza”[18].

Il poeta allora è il custode-custodito dell'utopia possibile come il filosofo o lo scienziato possono essere i custodi-custoditi dell'essere come possibilità di reti di mondi possibili che  hanno di mira la libertà e la pace, e sono disposti “a cedere il posto, a reggere sulle proprie spalle il peso di un esodo senza fine [… ]. La filosofia del <<corpi miscelati>> è allora una scommessa augurale che, nelle figure congiunte del messaggero Hermes e della bella Afrodite, annuncia la novella della pienezza e dell'abbondanza, la logica del terzo incluso, la mescidanza dei nostri corpi nella miscela infinita della vita sociale e naturale (già compresa dai fisici della Ionia)”[19].

La vita è un esodo permanente e gli uomini sono eterni para-sitos, e come uomini di cultura, poeti ed artisti, in ogni modo, sono promessi e compromessi in una caosmicità profetica e in un impegno volto a realizzare nella società contemporanea e futura i valori della dimensione utopico-scientifica dei bisogni fondamentali ed irrinunciabili della pace e della libertà, dell'eguaglianza e dell'Eros che sono la negazione di quelli che padroni e dirigenti, oggi azionisti del cyberspazio, hanno fatto assimilare alle masse e agli individui nel sistema costituito. Ciò richiede naturalmente un linguaggio nuovo, se vogliamo sperimentale, non conformista nel senso più ampio, nuove forme comunicative ed espressive, adeguati ai nuovi obiettivi, per spezzare codici ed immagini interiorizzati (ormai quasi cristalizzati e naturalizzati) inventando magari o reinventando in senso sovverssivo per esempio gli strumenti tradizionali dell'arte e della poesia, perché “todo y cada uno de los poemas […] son <inter-rog(o)azione> de la realidad, de los ombres, de su hybris y praxis, de la historia”[20].

Occorre demistificare e aggredire (esercizio di critica e di hybris) i discorsi e le immagini che razionalizzano e valorizzano la propria gratuita violenza in nome della libertà, della pace, della democrazia e della cultura umanistica mentre demonizzano gli avversari o chi resiste e si oppone al dominio di chi ha potere di regime e deterrenti quasi incontrastati. Sotto il regime, infatti, “lottare per la pace è in realtà fare la guerra (ai <<comnunisti>> di tutti i paesi – vedi oggi certi avventurieri italiani della destra liberista che si sciacquano la bocca, in ogni occasione, con la lotta ai comunisti che non ci sono più (corsivo nostro) -; mettere fine alla guerra significa esattamente ciò che il governo belligerante sta facendo, anche se può essere in realtà tutto il contrario, e cioè intensificare il massacro invece che estenderlo; la libertà è esattamente ciò che il popolo ha sotto l’Amministrazione, anche se può essere in realtà tutto il contrario; gas lacrimogeni e defolianti – oggi bombe intelligenti e quant’altro di più sofisticato ha prodotto l’industria bellica contro i ribelli odierni del mondo arabo o dell’Europa orientale (corsivo nostro) – <<sono legittimi e umani>> contro i vietnamiti perché provocano <<minori sofferenze>> al popolo che <<bruciarli vivi col napal>> […] la parola qual è definita dall’Amministrazione […] stimola il comportamento e l’azione desiderati […] un portavoce del governo deve solo pronunciare le parole <<sicurezza nazionale>> per ottenere ciò che vuole, e più presto che tardi”[21].

La hybris della poesia, in ogni modo, è la forza della trasformazione e delle metamorfosi, della ribellione e dell'interrogazione ironica, a volte satirica e dissacrante con cui la praxis po(i)etica degli scrittori e degli scienziati scatena le contra-dizioni delle contraddizioni e degli assurdi che appartengono più alla civiltà, alla cultura e alla storia delle "naturalizzazioni" forzate e ideologiche che agli stessi processi della vita e dei saperi.

 

Dissacrare e frazionare la corrispondenza dell’adaequatio parole e cose, modelli e eventi, immagini e mondo, pensiero e linguaggio, ideologia e sistemi è, dopotutto, ricordando che siamo immersi nella semiosfera (J. Lotman, Barthes), un passo ineludibile se non si dimentica, appunto, che la semiosfera è tale e che i segni non danno mai piena corrispondenza tra dato, tecnica, virtualità, realtà, possibile e linguaggi.

Un testo di poesia è così come un sistema di alta complessità, il cui tempo e il cui ritmo esplode e implode, si ripiega, si stende e si tende in maniera così retificata e aggomitolata che è impossibile trattarlo con i modelli della semplicità logica lineare e delle sue procedure chiuse. Il modello di lettura, interpretazione e ri-interpretazione, è piuttosto paragonabile, sempre, ad un’ulteriore metafora linguistica di spostamento -  differire il posto - più che ad un vero e proprio sistema di codifica e decodifica biunivoca tra parola e testo. E la stessa cosa avviene nella nuova scienza. Il rapporto con la realtà comunque non manca. Negata, allusa, pro-vocata, trasformata è lì nell’occhio dell’azione della razionalità dinamica della con-tingenza che intreccia soggettività e oggettività.

I saperi della nuova razionalità, infatti, come la poesia – textum di aseità semantica e organicità contestuale (per dirla con Galvano della Volpe) e taglio tautoeterologico -, includono la soggettività. La soggettività, con tutto il suo carico di materialità e storicità, interagisce in una con la molteplicità e plurivocità del contesto, per cui la linearità del senso della configurazione del testo poetico, che aggrega attorno a una molteplicità di sensazioni, percezioni, sensualità e intellezioni po(i)etico-estetiche, viene meno. Il senso, che oscilla in un contesto instabile e irreversibile e tra logiche temporali e modali, allora procede per balzi, come se fossero in atto i processi dei salti quantici dei campi atomici relativistici o le biforcazioni dei fenomeni non lineari.

Gli eventi si possono configurare semanticamente procedendo per costruzione a balzi e partendo da un eventuale senso che trova il suo inizio nella fine e la sua fine nell’inizio, invertendo cioè anche la classica catena temporale e lavorando per un futuro nuovo costruito sulle percezioni po(i)etico-estetiche alternative che funzionano da “attrattori strani”. Come succede nei fenomeni della turbolenza dei fluidi, dei sistemi autopoietici o nei fenomeni dell’emissioni dei fotoni nei campi luminosi, il loro compito è di strutturare e configurare un evento dinamico, caotico e complesso in una immagine unitaria ma dinamica che intreccia determinazioni e indeterminazioni.

Non è possibile morire allora senza ridere e non essere sacrileghi nel tempo della serietà della spettacolarità oscena che identifica la scena con il palcoscenico delle luci alla ribalta e delle notizie di superficie e rinunciare alle possibilità offerte dalla prassi storica; non è possibile farsi convincere che non ci siano più pieghe e che gli attori non abbiano più la capacità della distanza del sospetto; che non possano, anche spettatori partecipi, giudicare e agire per progettare mondi condivisi e alternativi nell’esperienza e nella storia dei conflitti permanenti.

Il sospetto che sia possibile, infatti, rimane sia nelle azioni sia nella parola degli uomini che sono testi mai compiuti e definitivi perché processualità temporale e storica. Sebbene l’era della tecno-elettronica capitalistica utilizzi la velocità del tempo in termini inversi (i mutamenti stessi sono usati per garantire il proprio tipo di stabilità nello spazio: “Il tempo del mutamento comanda e struttura lo spazio della stabilità.”[22]), rimane una soggettività che interagendo con la contestualità non è possibile bloccare definitivamente.

 Ma il sospetto rimane ed è coltivato soprattutto dalla parola della poesia che progetta la cura del vertere del verso dove scorre un pensiero che non lavora per far combaciare segni e vita, sistema e mondo. Esso scivola e si nega alle catture omologanti e alle reificazioni praticate dalla spettacolocrazia come massiccia dose giornaliera di rincoglionimento di massa. E quello della parola della poesia, è il sospetto e l’azione che si sottrae anche al consumo reificante dell’oralità secondaria che evita la sosta della scrittura come pausa riflessiva e distanza critica. Di fronte al verbo immediato e viscerale delle pagine patinate o dei teleschermi/televideo/PC interconnessi che consumano, identificando pubblico e pubblicitario, notizie di notizie e scene di vita evirate del gioco e della prassi reali delle pieghe delle differenze multiple dei soggetti, la poesia si riappropria degli eventi della contingenza e, dall’astrazione dei flussi categorizzati, ci rimette nei flussi materiali e contraddittori del divenire stesso.

Il divenire reale, per quanto il mondo possa essere ridotto ai flussi e alle simulazioni delle immagini di sintesi – simboli e simulacri della categorizzazione virtuale dell’informazione digitalizzata -, non potrà mai fare a meno dei corpi concreti e della materia ob-iecta. Accendere e spegnere sono azioni che, comunque, hanno bisogno di una mano che mette in esecuzione un ordine emesso da un pensiero e da un soggetto che si trova già in un mondo e in un contesto che ha logiche altre.

Non è possibile evirare la contingenza, e il luogo della poesia che la conserva e la ri-propone in tutta l’estensione dei suoi casi e dei suoi eventi, se non al prezzo mistificante di quell’ideologia, di cui peraltro, consapevoli mentitori, tanto se ne decanta la morte; non è possibile neanche se, come dicono alcuni, il mondo della tecnica e la stessa realtà virtuale abolisse la distanza e la tensione tra il dato e il pensato, la cosa e la parola, vita e arte, la realtà e il possibile. Realtà e possibilità, infatti, nella miscela della loro contingenza hanno un tale carico di informazioni in fieri e di progettualità che nessuna identità o metafisica deterministica o ideologia d’occasione può eliminare e ignorare le contraddizioni che non possono essere completamente controllate e le ulteriorità di senso che, inevitabilmente, si vanno prefigurando all’orizzonte delle attese.

Le contraddizioni e le potenzialità, infatti, non si esauriscono all’interno degli schemi pacificati e non bloccano il motore della storia; anzi, ne incentivano le possibilità e le capacità d’azione che, appunto, perché azione, prassi tra soggetti differenti e in conflitto, nessuna tecnica può chiudere definitivamente annullandone la tensione e le ulteriorità di senso.

Persino chi esperisce la realtà virtuale “apprende che il nostro corpo non è un oggetto che si muove in uno spazio definito una volta per sempre ma genera esso stesso la percezione dello spazio in base alla sua <<storia interna>> […] che la realtà non è là, fuori di noi, disponibile a essere immediatamente conosciuta, ma è piuttosto il portato mai definitivo di un processo costante d’interscambio tra il già noto e il nuovo, tra quanto giunge attraverso i sensi e le categorie già elaborate.”[23]

Che questo mondo, poi, non abbia bisogno di poesia e di utopia è tutt’altro che dimostrato, e soprattutto non è neanche all’orizzonte della fattualità della contingenza di questo mondo che il capitalismo neoliberista e globale di oggi tende, invece, a distruggere. Anzi, oggi, di fronte al capitalismo globale che, al costo della distruzione e dell’autodistruzione, impone unico tempo, unico spazio e unico modello di vita, bisognerebbe tagliare in tempo – come diceva W. Benjamin – “il filo che brucia” e liquidare questo assetto così cinico “prima che la scintilla arrivi alla dinamite” e tutto sia perduto. E il fuoco ha già fatto molta strada. Non sono solo le molte guerre interne ed esterne, di confine e contro i confini, di prepotenza o pre-testuose che si combattono; sono il diniego alla cultura critica, alle forme di vita alternative e alla creatività artistico-poetica e culturale non funzionale o strumentale, i milioni di morti per fame o per cattive condizioni ambientali, la desertificazione del pianeta, la militarizzazione della società e dello spazio, le povertà vecchie e nuove che aumentano (il 20% della popolazione, se non meno, oggi, gode del quasi 90% della ricchezza e del benessere prodotti). I poveri sempre più poveri debbono ingaggiare una lotta a coltello per avere le briciole del rimanente o di ciò che graziosamente viene elargito per spirito umanitario (?!), ecc.

Maiakovskij ricordava all’amico e poeta morto suicida, Sergej Esenin, : “Lei se n'è andato, / come suol dirsi, / all'altro mondo. / Molto è il lavoro, / bisogna fare in tempo./ Bisogna / strappare / la gioia ai giorni venturi. / In questa vita / non è difficile morire. / Costruire la vita / è tanto più difficile /”. Ma è urgente “fare in tempo”.

Le mutazioni antropologiche e sociologiche apportate dal capitalismo globale della simulazione e dell’informazione come forza produttiva e “distruttiva” non hanno allentato le morse del dominio politico di classe, l’hanno solo aggiornato e reso più sofisticato. Frammentato, flessibile e virtuale, fluido ma non per questo meno liberticida e discriminatorio, lo scontro di classe e dell’antagonismo oggi veste i panni della new economie, della e-economy (economia di rete e in rete), del prosumer (produttore-consumatore) e della favola del socialcapitalismo - “a ognuno secondo le sue possibilità e i propri bisogni” -, in grado (!?) di far coincidere per ogni individuo vita e arte, creatività e lavoro, comunità e libertà. La coincidenza, però, finora è stata una sola: la guerra di tutti contro tutti, la competitività senza esclusione di colpi, quasi una primordialità d’altri tempi.

Di poesia c’è ancora bisogno come dei sogni per tenere acceso il cammino che si sviluppa tra bordi rizomatici, nodi d’erranza, razionalità contingente e un e-silio e una non-so-sta nel testo tagliato del kairós e delle sue soglie.

  

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[1] Mario Grasso, La danza delle gru, Prova d’Autore, Catania 1999, p. 11.

[2] Stefano Lanuzza, Poeti italiani della modernità, in Il Ponte (11-12), 1996, p. 94.

[3]Umberto Galimberti, Gli Equivoci dell’anima, Feltrinelli, Milano 1988, p. 153.

[4]Umberto Galimberti, Il gioco delle opinioni, Feltrinelli, Milano 1989, p. 275.

[5] Umberto Galimberti, Psiche e teche, Feltrinelli, Milano 1999, p. 453.

[6] Grégoire Nicolis, Verso una fisica dei fenomeni complessi, in AA. VV., Conoscenza e Complessità, a cura di P. Alferj e A. Pilati, Theoria, Napoli 1999, p. 33.

[7]Gaspare Polizzi, Il mio Deleuze-Serres,  in “Tutto è andato storto: i molti divenire-filosofia (da un inedito gentilmente concesso).

 

[8] Cristina Campo, Gli imperdonabili, Adelphi, Milano 1987, p. 166.

[9]Ilya Prigogine, Elogio dell’instabilità, in AA. VV., Conoscenza e Complessità, a cura di P. Alferj e A. Pilati, Teoria, Roma-Napoli 1990, pp. 23-25.

[10]Romano Luperini, Lukács, Benjamin e il problema del naturalismo, in Controtempo, Liguori Editore, Napoli 1999, p. 39.

[11]Carlo Formenti, Gli incantati dalla rete, Raffaele Cortina Editore, Milano 2000, p. 30.

[12]  Ibidem.

[13]Gaspare Polizzi, La filosofia, un “Gesto”, in AA. VV.,  Il secolo Deleuziano, a cura di Salvao Vaccaio, Mimesis, Milano 1997, pp. 260-262

[14] Piero Aldo Rovatti, “L’incipit di María Zambrano”, in Aut Aut, (279), 1997, p.61.

[15] AA. VV., Poesia italiana della contraddizione, a cura di Cavallo e M. Lunetta, Newton Compton Editori, Roma 1989.

[16]Vincenzo Leotta, Nel dire poesia, in AA. VV., Arrivederci a Sortino, a cura di Luigi Ingaliso, Prova d’Autore, Catania 1999, p.34.

[17] Cfr. Hermann Haken, La sinergetica, in AA. VV.,  Conoscenza e Complessità, a cura di P. Alferj e A. Pilati, Teoria, Roma-Napoli 1990, p. 41

[18]Gaspare Polizzi, Il mio Deleuze-Serres,  in Tutto è andato storto”: i molti divenire-filosofia, op. cit.

 

[19]Gaspare Polizzi, Michel Serres. Per una filosofia dei corpi miscelati,  Liguori Editore, Napoli 1990, p.33.

[20]Nicolò Messina, Postefacio a una antologìa de poetas sicilianos contemporáneos”, in Equivalencías, (18), 1989, p. 12.

[21]Herbert Marcuse, Arte e rivoluzione, in Comunità, (167), 1972, p. 295.

[22]Romano Màdera, L’alchimia ribelle, Palomar, Bari 1997, p. 219.

[23]Lorenzo De Carli, Il senso della possibilità, in AA. VV., La realtà del virtuale, a cura di Jader Jacobelli, Laterza, Bari 1998, pp.48-49.