Diario italiano
Il Rimino 158, anno XI

Febbraio 2009

17/02/2009
Sardi e sordi


I sardi hanno detto la loro. Adesso gli altri non debbono fare i sordi. La crisi del Pd non è un'invenzione post-elettorale per la sconfitta di Soru. Nel giugno scorso, chiudevamo un post con queste parole: "Veltroni dovrebbe lasciare, Prodi ripensare il suo abbandono, lo spirito ulivista essere ripescato e rivissuto in questa grave emergenza costituzionale dell'Italia." Oggi, finalmente, Veltroni lascia. Con onestà e velocità di riflessi recuperata in extremis, in un contesto ormai per lui insostenibile: "Per molti sono un problema", avrebbe detto...

Dallo scorso giugno ad oggi niente di positivo è avvenuto nel Pd. Anzi le minacce odierne della sen. Paola Binetti di lasciare il partito perché il collega chirurgo Ignazio Marino avrebbe aperto all'eutanasia, aggravano ulteriormente il quadro 'clinico' circa la laicità del Pd e dello Stato.

Per il ricambio, più si aspettava peggio sarebbe stato. L'alibi delle elezioni europee non poteva funzionare. Per Veltroni, se restava in carica sino all'estate, si preparava una lezione sonora, con un'astensione mai vista. Non sono sporchi e cattivi gli elettori, se non vanno alle urne. Sono incoscienti quei dirigenti del Pd che non prendono atto che ha ragione Cacciari: "E' il Pd nel suo insieme che non va".
Ne hanno fatto un movimento che naviga a vista fra Vaticano e Palazzo Grazioli, e non ha mai visitato Porta Pia.

Veltroni lascia, ma le colpe non sono tutte e soltanto sue. Nel Pd hanno fatto confluire cento anime diverse, un esperimento di genetica politica accettabile nel contesto dell'Ulivo, pericoloso nell'isolamento che sottolinea più i contrasti che le convergenze. Veltroni ha cacciato Prodi, che non era un mito né un padre nobile da venerare secondo i riti ottocenteschi. Ma è stato un politico onesto che resterà assieme a Ciampi nell'albo d'onore repubblicano. E questo va ricordato soprattutto per un fatto: oggi è finalmente stato "applicato" per il capo del governo il "lodo Alfano" in un processo conclusosi a Milano con una condanna dell'imputato a 4 anni e 6 mesi. Di Pietro si lecca i baffi: "Siamo l'unica opposizione, noi", in questo Paese dove, se fosse normale, il presidente del Consiglio si sarebbe già dimesso


16/02/2009
Tremonti: bravo Prodi


Il ministro Giulio Tremonti torna ad elogiare Romano Prodi. Stamani sul "Messaggero", con una breve lettera al direttore, piena di elogi verso il premier dell'Ulivo: "Romano Prodi pubblica sul suo giornale articoli sempre di grande interesse, questo è di grandissimo interesse e, se posso aggiungere, è anche un articolo che esprime la 'cifra' della grande politica".

Insomma, per Tremonti, Prodi è un grande economista ed un grande politico.
In queste parole si nasconde forse un obiettivo preciso: comunicare a tutti che, al contrario di Prodi, Berlusconi non è né un grande economista né un grande politico.

Non è la prima volta che succede, e non sarà neppure l'ultima. Il 18 gennaio, ospite in tv di Fabio Fazio, Tremonti aveva dichiarato che Prodi "ha ragione quando dice che non esistono soluzioni nazionali a una crisi globale".

Giovanni Sartori aveva preso spunto da queste parole per contrapporre, sul "Corrierone", l'ottimismo di Berlusconi alle incertezze di Tremonti ("si divincola tra dire il vero e esternare assurdità", e soprattutto "pasticcia tra previsioni e ipotesi").

Dopo il cambio di rotta del cavaliere che venerdì 13 febbraio si è detto "preoccupato" per una crisi le cui dimensioni "non sono ancora del tutto definite", Tremonti rincara perfidamente la dose.
L'elogio di Prodi non è un gesto di cortesia formale. Può essere inteso tranquillamente come un (nuovo) atto di plateale dissenso verso il capo del governo di cui fa parte.

Tremonti chiude la sua lettera concordando con il professore e con un ringraziamento "di cuore" che immaginiamo diretto al fondatore dell'Ulivo e non al direttore del "Messaggero".
Che cosa ha detto Prodi di tanto illuminante da fulminare Tremonti sulla via per Bologna? Che "per non passare da una crisi all’altra serve un leone non un gattino".

Adesso attendiamo un altro editoriale di Sartori. In quello che abbiamo ricordato, citava a scopo di derisione una sentenza di Tremonti: il prevedere è "un mestiere da astrologi".
Ora che il ministro in carica dimostra di apprezzare più i leoni dei gattini, si potrebbe dire che un bravo economista non fa le fusa ai mici, ma scende nella gabbia debitamente addobbato come un domatore da circo.

Ma attenzione perché a volte, per scherzo, in quella stessa gabbia passano pure tremebondi pagliacci. Attenzione anche perché il rispettabile pubblico, quello che paga il biglietto agli spettacoli e le spese delle crisi (di tutte le crisi), sa distinguere bene tra chi fa sul serio e chi si comporta da clown.


15/02/2009
Gli sbronzi di Riace


Per il G8 del prossimo luglio in Sardegna, Berlusconi vorrebbe avere a disposizione anche i Bronzi di Riace. Si sa come è il personaggio. Ha la passione per l'arredamento. Al G8 di Genova, 2001, fece attaccare i limoni con la colla ad alberelli spogli che montavano la guardia senza convinzione e dignità vegetativa. La Natura, secondo il Cavaliere, è manipolabile come la sua capigliatura. Ciò che non c'è, s'importa. E che gli importa se poi il risultato è quello di una scenografia teatrale di cartapesta da sfilata del carnevale di Viareggio?

La notizia sui Bronzi di Riace ci permette di intitolare impunemente questo post. Avremmo voluto invece ispirarci ad una frase che leggiamo virgolettata nel saggio composto da Fabrizio Rondolino nella pagina culturale della "Stampa", e che riguarda certe opere letterarie odierne, così "alte" da essere accettate impunemente "in qualche parnaso di stronzi".

Ecco il nostro pensiero segreto. Il titolo ideale per questo post era: "Gli stronzi di Riace". Ma temendo di essere troppo audaci, abbiamo rinunciato al progetto e ci siamo affidati alla riverenza verso la notizia dei Bronzi da esporre in Sardegna.

Nel giornalismo, la riverenza è un gesto semplice e consuetudinario. A tal punto che è stata criticata anche dal buonista Veltroni, pur con un giro di parole illuminante. Anch'egli sulla "Stampa", ha detto che oggi come oggi c'è "un problema di racconto della politica italiana": "Gran parte dei politici e dei giornalisti si è formata in un tempo che non c'è più".

Da buon interprete della cultura mass-mediatica, Veltroni accenna a quell'eterna questione sui rapporti fra giornali e politica, spesso risolta appunto seguendo la linea che abbiamo definito della "riverenza".
Se faccio una proposta del governo-ombra, spiega Veltroni, mi dedicano tre righe. Se parlo delle "vicende interne" del Pd "o contro Berlusconi", mi danno nove colonne. Ovvio. Il tutto risponde al desiderio di compiacere il potente di turno.

Ecco, il "problema di racconto" della politica spiegato da Veltroni, ci ha fatto balenare pericolosamente agli occhi la citazione virgolettata da Rondolino sulle opere letterarie così "alte" da essere accettate impunemente "in qualche parnaso di stronzi".

E se questo parnaso fosse pure quello dei politici e di quanto girano loro attorno, sia che si trovino ad ammirare i Bronzi a Riace o passino il loro tempo altrove?


15/02/2009
Boicottiamo Bonolis


In breve "B.B.", "Boicottiamo Bonolis", il suo festival ed i suoi sponsor, solamente per dimostrare che il popolo bue non esiste, e che sappiamo non farci prendere in giro da chi porta a casa un milione di euro soltanto per presentare un festival canzonettaro. (Mentre mancano i soldi per la ricerca...)

E nessuno si è accorto della pubblicità occulta degli spot in cui il conduttore maximo appare con la solita spalla che lavora con lui nel reclamizzare una certa marca di caffè...?


13/02/2009
San Va Lentino


Segnatevi la data odierna, vigilia di San "Va Lentino". Per la prima volta il capo del governo italiano ha dimostrato di aver compreso la gravità della situazione economica. Dichiarandosi preoccupato per una crisi le cui dimensioni "non sono ancora del tutto definite".

Per arrivare a queste conclusioni, Berlusconi ha impiegato sei mesi.

In agosto aveva sentenziato che non ci sarebbe stata "recessione". La parola, scrivemmo qui, circolava invece già nei commenti economici dagli Usa all'Europa.
Il 24 ottobre l'Ocse lanciava l'allarme: la recessione sarà "più ampia a prolungata". Ma lui, non ci credeva.

Soltanto oggi, 13 febbraio, Berlusconi ha compreso che la rogna è grave, con una crisi globale che dipende "anche dai nostri comportamenti".
A novembre aveva invitato gli italiani a "tornare a spendere". Aveva segnalato che la crisi poteva rivelarsi "anche molto profonda". Ma aveva dato la colpa alle "profezie negative che si auto-alimentano", ed a quell'uccello del malaugurio della sinistra. Da cui era stato creato un "clima di sfiducia generale" attraverso giornali e tv, compresa quella pubblica.

Invece, questo lo aggiungiamo noi, le tv personali del premier illustravano le visite americane di comitive di connazionali che andavano a far spese convenienti a Nuova York. O mostravano cittadini felici che in patria affollavano gioiellerie e profumerie...

Con passo lento e mente ancora meno rapida, il cavaliere arriva soltanto dopo sei mesi ad avere un'idea meno confusa del solito del quadro economico mondiale. Il fatto non ci meraviglia. Ci rattrista, ma soltanto per noi "società civile" che ne paghiamo le conseguenze, che sia circondato da adulatori che non lo tirano sanamente per la giacchetta.
Ma questo è un fatto tipico nelle situazioni politiche in cui un leader assume toni altezzosi con un'arroganza intellettuale che sfocia soltanto nell'offesa agli avversari politici, da lui considerati nemici da estirpare.

Ripetiamo quanto già osservato qui sopra. I fatti gli hanno dato torto, dimostrando che non basta considerarsi monarchi costituzionali per essere veri statisti.

Post scriptum. E' un perfetto ritratto dell'Italia berlusconiana quel Bonolis sanremese che si becca un milione di euro per presentare il festival. E che si giustifica dicendo: per quella roba lì lavoro un anno intero (magari senza ferie pagate...).


12/02/2009
Il bavaglio


Il potere politico sogna di poter gestire un'informazione finta, scrivevo qui due giorni fa.
Stamani la "Stampa" offre un'amara primizia: "Il centrodestra vara l'ammazza-notizie".
Ovvero siamo sulla buona strada per completare un disegno illiberale, imbavagliare l'informazione, da parte di un governo sedicente liberale. Anzi forse siamo addirittura al capolinea di una grave crisi istituzionale.

Non può rassicurare che a difendere il capo dello Stato, attaccato nei giorni scorsi da Berlusconi, arrivi il più convinto anti-sistema della coalizione di governo, il leghista Bossi.
Il quale recita il ruolo paternalistico di chi può permettersi di tirare le orecchie al presidente del Consiglio. Ma sempre con quella bonomia che nasconde l'ambiguo, sempiterno gioco delle parti di questa maggioranza. Dove Fini parla e straparla per illanguidire Veltroni, ma alla fine, chi comanda è solo e soltanto il cavaliere di Arcore.


Il quale, se pochi giorni fa aveva definito "una situazione che fa ridere" quella della lettera di Napolitano sul caso Englaro, oggi smentisce, come da copione: "Il presidente del Consiglio non ha alcun interesse a non aver rapporti cordiali con il presidente della Repubblica".

Ed a confermare il gioco delle parti di cui dicevo, ecco Bossi che dà ragione a Berlusconi: "La sinistra ha visto un tentativo di delegittimazione del presidente, ma non è vero. Berlusconi in quel momento ha solo sentito il dovere di salvare Eluana".

Berlusconi assicura: "Io non ho mai attaccato la legge fondamentale dello Stato, anzi semmai l'ho difesa". E precisa: anche la sinistra vuole cambiarla. Quando fa comodo, quella sinistra bolscevica con cui il cavaliere non vuol dialogare, è la foglia di fico per coprire certe sue "vergogne". Ditemi se tutto questo è normale.

Su questo sfondo triste, arriva la doccia fredda del Pd che alla Commissione Sanità del Senato ha sostituito (per motivi tecnici) il prof. Ignazio Marino favorevole al testamento biologico, con Dorina Bianchi che da teodem è contraria. Veltroni rassicura che non cambierà nulla. Ovviamente non sarà colpa sua se qualcosa (ovvero tutto) cambierà. Grazie al Vaticano ed ai teodem. Ecco un altro bavaglio che è imposto alla vita pubblica italiana.

Il potere politico sogna di poter gestire un'informazione finta. L'amico Putin ci è già arrivato. Vi ricorda nulla il nome di Anna Politkovskaja?


11/02/2009
Mignottismi


Un'adorabile vignetta di Giuseppe Novello (1897-1988), celebre firma della "Stampa" nel dopoguerra ed oltre, illustrava "il Conte Nuto mentre osserva la Forma".
Per noi antichi, la forma è il parmiggiano. E contenuto e forma erano due termini che forse non ricorrono più nelle scuole odierne, lontane mille miglia dalla enunciazione desanctisiana "tal contenuto, tal forma".

La vecchia enunciazione, che presiedeva a tutte le discussioni letterarie, andrebbe ripresa.
Ad esempio si potrebbe dire che il mignottismo di tante trasmissioni tv rispecchia l'andazzo morale della società. Tal mignotta trionfante nella vita, tal immagine di mignotta esuberante nelle trasmissioni di successo.

Si potrebbe osservare che, se la gente preferisce non ascoltare il racconto della cronaca, è perché è stata educata a guardare i fatti dal buco della serratura. Per coglierne elementi pruriginosi, non spunti per discutere seriamente di un tema.

I giornali di stamani abbondano di discussioni sulla scelta popolare che l'altra sera ha premiato il "Grande fratello" e sconfitto i programmi seri sul caso di Eluana.
L'esito della sfida rispecchia l'educazione impartita tutti questi anni al popolo. Come dice lo slogan della campagna abbonamenti Rai? "Buona la tv, buono anche tu". La Rai e Mediaset come nuovo Ministero della Cultura popolare. Non è un progetto. E' un risultato evidente, sotto gli occhi di tutti.

Le discussioni odierne, perché ha vinto la Marcuzzi a danno di Vespa e di Fede, sono molto oziose. Dato che cane non morde cane, le cronache dei quotidiani non raccontano di come sono stati impostati i vari servizi. In certi casi è bello tacere.
Coliandro

Post scriptum. Per l'ispettore Coliandro non diciamo soltanto se la sceneggiatura è fatta bene, se gli attori recitano con grazia. Per favore, raccontiamo il contenuto. Il telefilm di ieri sera trattava delle mele marce presenti nella Benemerita, e mica per roba di poco conto...


09/02/2009
Mentana e Mediaset


Nulla succede per caso. Ieri la notizia della scomparsa di Eluana Englaro è arrivata sui teleschermi verso le 20.30 (fonte Tg1 e Tg5). Immaginavo che la serata, nelle reti principali, sarebbe stata dedicata al fatto. Tenendo conto soprattutto del grave episodio degli scontri verbali avvenuti in Senato. La rete ammiraglia di Mediaset, Canale5, ha alzato bandiera bianca.
Il direttore editoriale di Mediaset, Enrico Mentana, per protesta ha presentato le dimissioni. Mediaset le ha accettate ed immediatamente sospeso il suo programma, Matrix.

Il Comitato di redazione del Tg5 ha protestato per quella bandiera bianca in una partita andata tutta a favore del "Porta a porta" speciale di Rai1.
Questo un passo del suo comunicato: "Sconcerta la decisione dell'azienda di accettare su due piedi le dimissioni di uno dei più autorevoli giornalisti italiani, patrimonio di Mediaset, fondatore del Tg5 e di Matrix, autore di successi che hanno dato lustro, credibilità e anima alla nostra televisione. La decisione poi di non mandare in onda Matrix neanche a mezzanotte come previsto, appare come una vera e propria ritorsione".

I giornalisti del Tg5 chiedono ai vertici aziendali un incontro urgente per chiarire "se l'informazione è ancora una delle priorità dell'azienda".
Il caso di Mentana non riguarda soltanto Mediaset. Avviene in un momento di grande confusione politica. Con il proprietario dell'azienda che è presidente del Consiglio, censore dell'operato del capo dello Stato, controllore dell'informazione pubblica (Rai). E mentre la Commissione di vigilanza Rai è appena uscita da un fase critica, quella di Villari cacciato e sostituito da Zavoli, e sta entrando in un periodo che sarà burrascoso e non facile con le famigerate "nomine" nei vari settori dell'azienda pubblica.

Sullo sfondo sta il pateracchio sanremese, dove Rai e Mediaset sembrano fondersi quasi a rappresentare idealmente lo stato comatoso dell'informazione pubblica.
C'è un'icona gentile ed eloquente per raffigurare l'andazzo di viale Mazzini, Lorena Bianchetti. Accusata o sospettata di aver fatto carriera grazie al Vaticano, lei (ovviamente) nega, e spiega che i suoi sponsor sono i camionisti.
Bella e brava Lorena, non ci prenda per cretini, facendoci credere che a scegliere lei per condurre la rubrica religiosa (per la quale scriveva pure i testi), siano stati i camionisti. Non ci risulta che abbiano, costoro, rapporti diplomatici ufficiali con la Santa Sede.

Fatevi, belle ragazze, tutte le carriere che volete, ma non tentate di dimostrare di aver scarsa fantasia nell'accreditare certe insostenibili leggende.

Torniamo ad ieri sera. La bandiera bianca di Canale 5 dalle 21 in avanti mi ha richiamato alla mente quanto accaduto il 22 novembre 1963. Alle 19.58 "un lancio d’agenzia annuncia che il presidente degli Stati Uniti d’America John F. Kennedy è stato gravemente ferito mentre in auto attraversava Dallas (Texas), a fianco della moglie Jacqueline. Alle 20.34 giunge la notizia che Kennedy è deceduto. Il telegiornale della Rai, condotto dall’annunciatore Mario Raviart, in segno di lutto interrompe la trasmissione iniziata da pochi minuti. Parte il monoscopio e, come sottofondo per parecchi secondi, va in onda un valzer di Strauss". (Fonte, "il Rimino" e sito "Montanari".)

Il potere politico sogna di poter gestire un'informazione finta come quel cronista che appunto non lo è ma si presenta tale dove arriva una telecamera per intervistare un personaggio della vita governativa o parlamentare. Non fa male a nessuno. Così i politici vorrebbero che fossero cronisti e commentatori. Innocui. Ma questo non appartiene alla democrazia.


09/02/2009
Per Eluana


.. "ma valida / venne una man dal cielo, / e in più spirabil aere / pietosa il trasportò"

Ci piace pensare che anche per Eluana dal cielo una mano pietosa sia scesa a trasportarla "in più spirabil aere".


09/02/2009
La carica del 101


Il "programma 101", cioè il primo mini-computer del mondo, ed il primo grande calcolatore europeo Elea sono due esempi di una storia grande, nata e vissuta dalla Olivetti.
La scomparsa di Adriano Olivetti nel 1960 bloccò il sogno elettronico italiano, scrive oggi Mario Pirani su "Repubblica": "Si consumò allora la grande illusione del figlio Roberto (1928-1985), un genio misconosciuto dell'industria innovativa" che invano si batté a favore dell'elettronica.

È una vicenda nota. Pirani la ripropone come esempio simbolico della miopia dell'aristocrazia dell'imprenditoria nazionale e del nostro mondo bancario.
Da loro venne l'obbligo di chiudere la divisione elettronica, "buona tutt'al più per fare giocattoli".

Da qualche parte conservo altri ritagli su questa vicenda. Ne parlo sempre quando si discorre con qualcuno delle magnifiche sorti e progressive del Bel Paese.
Avremmo potuto avere un diverso destino economico, con altre teste alla guida del baraccone. Ne sono convinto. Siamo invece rimasti la periferia di un impero che ha cambiato volto in fretta, e ha per un certo periodo premiato i furbi.
Questi furbi hanno delocalizzato dal Nord-est italico nell'Est europeo. Poi hanno cominciato ad odiare quei cittadini dell'Est europeo che giungevano nel loro Nord-est.

Chi va a braccetto con i leghisti non ama né il progresso culturale né quello scientifico. Fa trionfare la beceraggine televisiva da grandi fratelli e piccole sorelle, per usare eufemismi. Il culmine è stato raggiunto in questi ultimi giorni. Con forme di mignottismo politico che poco di buono promettono per le sorti del nostro Paese.

Meditiamo, meditiamo gente sulla "carica del 101" buttato a mare, perché l'elettronica era "buona tutt'al più per fare giocattoli". Volete metterla a confronto con mafia e camorra, due marchi di qualità che resistono all'usura del tempo?
Noi oggi in Italia non ricordiamo gli eroi degli ambienti industriali come Roberto Olivetti (foto), ma abbiamo un presidente del Consiglio che ha decorato del titolo di eroe un carcerato che resistette al solletico dei giudici per farlo parlare male di lui.

Per la storia del "101", si legga on line il libro di Pier Giorgio Perotto, da questo questo link.


Anno XI, n. 158, Febbraio 2009
Date created: 09.02.2009 - Last Update: 17.02.2009, 18:35/9.11.2011
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