Diario italiano
Il Rimino 160, anno XI
Aprile 2009

10.04.2009
La Carta, non il Mercato


Per spiegarci che lo Stato non dimenticherà nessuno nel suo aiuto (sia che si tratti della crisi economica sia che si parli dei terremotati d'Abruzzo), Berlusconi richiama "l'economia sociale di mercato" del programma del suo partito.

Forse sarebbe il caso di riandare invece allo spirito solidaristico della nostra Costituzione repubblicana, con quanto si legge nel secondo comma dell'art. 3.
Laddove si assegna alla Repubblica il compito di "rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale" che possono limitare "di fatto" libertà ed eguaglianza dei cittadini.

Il nostro premier non ama molto citare la Costituzione. E se lo fa, se la accomoda ai propri processi mentali. Come è successo di recente quando ha ricordato l'art. 1, senza leggerlo tutto, ma soltanto nella prima parte, quella in cui si dice che "la sovranità appartiene al popolo". Ha così omesso il passo successivo, dove si legge che il popolo esercita tale sovranità "nelle forme e nei limiti della Costituzione".
La parola "limiti" gli provoca insopportabili allergie.

[Ricaviamo la notizia da un articolo di Andrea Manzella, "La Costituzione di Berlusconi", apparso il 7 aprile su "la Repubblica", pagina 33.]

10.04.2009
Coincidenze moderate


Se tre indizi fanno una prova, tre coincidenze equivalgono ad un piano strategico? Chissà. Meritano comunque un pensierino, e che le prendiamo in seria considerazione. In puro ordine alfabetico.

Casini, nel senso di Pier Ferdinando, sulla "Stampa" scrive oggi un manifesto del moderatismo piglia-tutto. Ovvero sia a destra sia a sinistra rispetto a quel centro in cui si colloca con assoluta coerenza. Ma non senza qualche pesante responsabilità, come da pubblico mea culpa contenuto nello stesso articolo.

Casini parla dei "diversi errori" compiuti dall'Udc operando nel sistema attuale del bipartitismo che ha portato al trionfo del populismo di Berlusconi. E che avrebbe potuto essere pure il populismo di un leader del Pd, se questo partito lo avesse potuto partorire, secondo l'interpretazione offerta da Luca Ricolfi sempre sulla "Stampa" il 6 aprile.

Ferruccio De Bortoli debutta al timore del "Corriere della Sera" con un altro manifesto del moderatismo: "Noi siamo dei moderati, sottolineo moderati".

Anche De Bortoli critica il populismo di Berlusconi, pure se non usa questo termine. Come direttore di un (grande) giornale prende la questione sotto l'aspetto tecnico, ma ovviamente senza rinvio esplicitamente politico.

Scrive infatti: "Molti confondono l'informazione con la comunicazione di parte o la considerano la prosecuzione della pubblicità con altri mezzi". Bella ed interessante questa frase che richiama direttamente, per rifiutarla, la concezione della vita politica che è tipicamente berlusconiana.
A questa concezione De Bortoli rimanda ancora in un altro punto: "Con i cantori a pagamento e gli spin doctors improvvisati non si va da nessuna parte".

Coincidenza numero tre, non di certo casuale se rimanda anch'essa al "Corriere della Sera" ed all'anticipazione di un libro di Enrico Letta. Intitolata: "Il Pd sembra il Pci, guardiamo ai moderati".

Enrico Letta dichiara che "questo bipolarismo è finito". E che anche il Pd passerà in archivio, "condannato alla sconfitta".
Letta riconosce i meriti di Prodi ma denuncia che nel centrosinistra, da tre lustri, si avverte "la vergogna di parlare ai moderati".

Da oggi quella vergogna è destinata a scomparire? Sembra di sì, al lettore ignaro di retroscena reali, e suggestionabile soltanto attraverso queste "coincidenze moderate".
Che non sono "moderate coincidenze", anzi molto forti. Il capo carismatico sarà Casini. Letta farà il traghettatore dal Pd verso il nuovo partito. Per maestro del cerimoniale dell'informazione, il ruolo più importante, si propone il "Corriere" di De Bortoli.

Se "questo bipolarismo è finito", non soltanto terminerà il regno di Silvio da Arcore, ma pure comincerà la processione di quanti da destra e da sinistra (si fa per dire, sinistra) dovranno essere salvati nell'onorata carriera parlamentare. Chi avrà il coraggio di negare un posto in lista alle prossime lezioni per il partito di Casini? E soprattutto ci sarà stato nel frattempo il coraggio di cambiare la legge elettorale?
Perché altrimenti tra qualche anno saremmo nelle stesse identiche condizioni di oggi. Qualcun altro, più centrista di Casini (impresa non improba), gli potrebbe rimproverare di essere il solito populista.


09.04.2009
Tre Italie


Ci culliamo spesso nell'illusione che l'Italia vera sia quella che i cortigiani di turno raccontano in maniera felpata alla gente.
Ma la gente oltre ad orecchie per sentire, ha anche un cervello per ragionare. Purtroppo spesso succede  che, per tanti motivi, non ne abbia voglia.

Suggeriva Machiavelli al principe di non toccare donne e portafogli dei sudditi. La gente si "sveglia" quando è coinvolta in situazioni insopportabili. Il terremoto è una di queste situazioni. Non basta dire alla gente, accolta nelle tende (senza altro conforto che quello di un soccorso immediato che non può diventare abitudine di vita), non basta dire che deve fingere di essere in vacanza al campeggio.

Esiste in queste situazioni drammatiche un punto di rottura fra i discorsi paternalistici e la consapevolezza che i cittadini poi esprimono mandando a quel paese tutti i politici. Perché la gente sa in mille modi, anche senza leggere i giornali, che i furfanti esistono, che le tangenti non sono l'etichetta di un dentifricio, che la corruzione per rapporti incestuosi tra pubblico e privati non è nuova sotto il sole d'Italia.

Dice un vecchio proverbio che l'ospite è come il pesce. Dopo tre giorni puzza. L'ospite importante forse dura qualche ora in più perché obbliga la gente ad assistere ai suoi funambolismi verbali.
La discrezione non è una virtù dei leader populisti. Anche a loro converrebbe non approfittare della cortesia delle vittime, costrette dalla loro infelicità a subire tutto. Anche i leader populisti alla fine stancano, perché, riducendo il discorso all'osso, rappresentano soltanto quel Potere che ha al suo passivo tanti demeriti e tante situazioni terribilmente tragiche. In cui s'invocano regole (vedasi Tremonti), ma si fa di tutto poi per non applicarle (ad esempio con i condoni). Dieci ministri in tre giorni a L'Aquila sono un'overdose micidiale.

E' un discorso triste perché alla fine, non per qualunquismo ma per un briciolo di rispetto delle cose accadute, la gente è costretta a mettere tutti nello stesso mazzo di profittatori delle altrui disgrazie. Come persone che hanno vissuto precedenti drammi hanno lucidamente narrato in questi giorni.

Ed allora all'Italia ufficiale ed all'Italia che soffre si affianca una terza Italia, quella che è stanca di tutto e di tutti, e non per colpa propria.
Non è qualunquismo, è disperazione. Non sappiamo se gli inviti del premier a prender una vacanza pasquale presso lontani parenti o a considerarsi campeggiatori sotto la tenda e non terremotati colpiti negli affetti e senza più nulla, siano uno strumento utile a procacciargli popolarità e voti elettorali. Per una specie di cinismo di riflesso davanti a tanto cinismo altrui, la cosa non ci interessa.

La nostra storia passata è stata piena di adunate oceaniche. In un giornale locale una visita del duce venne narrata con la solita cronaca esaltante, infarcita da un'aggiunta perfidamente lucida, laddove si accennava a "ripetute rotture di cordoni". Non è detto che la frase non conservi una stralunata, inquietante attualità.

Oggi, nella zona terremotata è andato il capo dello Stato. Non accompagnato dal capo del governo, chissà perché: ma possiamo immaginarlo. Napolitano non si è fatto intrappolare da quello sciacallaggio morale che convoglia dieci ministri in tre giorni. Ha rimproverato rudemente i fotografi che lo riprendevano, spiegando il senso della sua presenza: non una passerella ma una testimonianza. Queste le sue parole: "Poiché non sono venuto qui per farmi fotografare da voi, fatevi da parte: non rompete!".

Più vicino alla terza Italia, che ama parlare chiaro (e che erroneamente è battezzata come "antipolitica"), Napolitano ha detto che esistono "irresponsabilità diffuse". Provocando l'immediata reazione di Berlusconi: "Non credo che ci siano state delle situazioni" tali da far presumere responsabilità nella costruzione degli edifici.

Sullo sfondo di questa terza Italia stanno giochi e giochetti. "Abitati i due terzi delle aree a rischio", sottotitola il "Corriere della Sera" nel paginone "L'Italia delle case in zona rossa" di G.A. Stella. E' l'Italia di cui lo stesso Stella parla nel supplemento illustrato "Magazine" odierno, circa i "funamboli calabresi". Ovvero quei politici che "in equilibrio assai precario, camminano sul sottilissimo filo che fa da confine tra il centrodestra e il centrosinistra" e che sono "così bravi da riuscire ad appoggiare nello stesso tempo sia l'una che l'altra coalizione".
E' la stessa Italia che dovrebbe "bere" lo spot televisivo sulla Napoli ripulita, mentre io medesimo settimanale presenta un servizio di Agostino Gramigna da Napoli: "Ritorno della monnezza", "I problemi restano. Nascosti".

E' infine lo stesso Paese in cui il governo battuto ieri su ronde ed immigrati vede l'ira leghista e l'esultanza di "Repubblica". Perché, vi scrive Massimo Giannini, "intorno alla leadership attualmente minoritaria, ma radicalmente alternativa di Gianfranco Fini esiste un nocciolo duro, da destra costituzionale e nazionale, non riducibile alla categoria gregaria dell'intendenza" gollista che doveva sempre "seguire" gli ordini del capo.

E' ridotta molto male una democrazia quando, anziché fondarsi sulla dialettica maggioranza-opposizione, vuole sperare qualcosa di positivo dai dissidi interni alla maggioranza stessa.
Berlusconi è molto ben saldo nelle sue convinzioni e posizioni. Oggi risponde a Napolitano con una diagnosi da costruttore edile: "Personalmente ho potuto verificare che molti edifici rappresentano le tecnologie dell’epoca". Quindi non crede "che ci siano state delle situazioni" da far ipotizzare responsabilità nella costruzione degli edifici, anche se giustamente "i pm indagheranno".
Il "nocciolo duro" Fini incontrerà sempre l'osso duro Berlusconi, nato per non perdere e noto per vincere (spesso).


08.04.2009
BO 2014, 80 delusi


Dietro la sigla "BO 2014" si nasconde la rivoluzione ("prodiana"?) del capoluogo emiliano. "Una lista civica dei senza partito di sinistra delusi da Cofferati e dal Pd", scrive Luciano Nigro su "Repubblica" di oggi.

Il nome più illustre degli 80 della lista dei "delusi" è quel Filippo Andreatta che è stato da noi citato anche di recente per un suo intervento circa la crisi economica, nel post "Facciamo finta" del 14 gennaio scorso.

Quel giorno sul "Corriere della Sera", il prof. Andreatta osservava: la politica italiana sembra ignorare "quasi completamente l'incombente arrivo della crisi economica internazionale". Finora, spiegava, la recessione ha "solo sfiorato il nostro Paese, ma l'anno appena cominciato sarà invece con ogni probabilità uno dei peggiori del dopoguerra...". Andreatta contrapponeva "l'ostinato ottimismo del governo" alla "latitanza dell'opposizione".

Inevitabilmente viene da chiedersi quali riflessi avrà a livello nazionale la lista bolognese dei "delusi". Perché essa testimonia quel malessere spesso liquidato come inutile esibizione di malcontento, e non come seria espressione di un "ragionamento politico". Che forse avrà immediata ripercussione anche nelle "periferie" del partito di Franceschini.

08.04.2009
Alcune curiosità


Curiosità teologica. E' prevista la scomunica per quanti con pensieri opere ed omissioni provocano le tragedie negli edifici che crollano pur essendo qualificati "antisismici", come un ospedale "nuovo"?

Curiosità politica n. 1. Ieri sera nella trasmissione di Floris, Bersani ha detto che il Paese necessita di iniezioni di civismo: per avere un futuro ci deve essere un rispetto ragionevole delle regole. Perché quelle parole sono state intese come un attacco al governo? Perché gli è stato risposto dagli esponenti di governo presenti che non avrebbero polemizzato? Bersani ha parlato di "civismo", non di "cinismo".

Curiosità politica n. 2. Perché sempre in quella trasmissione le autorità di governo presenti non hanno raccontato quello che oggi ha spiegato Gian Antonio Stella sul "Corriere della Sera"? E cioè che l'articolo 2 (vedi sotto) del cosiddetto "piano casa" è stato riscritto? E che è stato soppresso l'articolo 6, intitolato "Semplificazioni in materia antisismica"?

Documento. Ecco la parte del testo di G.A. Stella che interessa per quanto sopra scritto:

"Oggi Claudio Scajola detta alle agenzie che il piano casa «dovrà essere utile anche per le protezioni antisismiche» e il nuovo documento dato alle Regioni, ritoccato l’altro ieri in tutta fretta, ha un «articolo 2» nuovo nuovo. Dove si spiega, sotto il titolo «misure urgenti in materia antisismica» che «gli interventi di ampliamento nonché di demolizione e ricostruzione di immobili e gli interventi che comunque riguardino parti strutturali di edifici, non possono essere assentiti né realizzati e per i medesimi non può essere previsto né concesso alcun premio urbanistico sotto alcuna forma ed in particolare come aumento di cubatura, ove non sia documentalmente provato il rispetto della vigente normativa antisismica».
Evviva. Ci sono voluti i lutti di Onna e la distruzione dell’Aquila e quelle file di bare allineate, però, per cambiare il testo originale dato alle Regioni solo una settimana fa. Dove l’articolo 6, precipitosamente soppresso dopo il cataclisma abruzzese, era intitolato «Semplificazioni in materia antisismica». Meglio tardi che mai. Purché fra una settimana, un mese, un anno, non torni tutto come prima. C’è un Galiani che forse Berlusconi non conosce. Si chiamava Ferdinando e non Adriano, aveva una «elle» sola, vestiva l’abito da abate ed era un dotto economista. Disse: «Molte volte le calamità distruggono le nazioni senza risorgimento, ma talvolta sono principio di risorgimento e di riordinamento di esse. Tutto dipende da come si ristorano». Sarà il caso di ricordarlo".


07.04.2009
Orgoglio fuori posto


L'orgoglio espresso in frangenti dolorosi e tragici non è un sentimento nobile, ma soltanto il frutto di una paranoica considerazione della propria presunta superiorità. Crediamo di non dover aver bisogno di nessuno. Al limite di incorrere in quella scortesia che offende il donatore perché non vogliamo che nessuno ci dia una mano.

Berlusconi non poteva fare altrimenti. Ha invitato i Paesi esteri a "non inviare in Abruzzo i loro aiuti. Siamo in grado di rispondere da soli alle esigenze, siamo un popolo fiero e di benessere e li ringrazio ma bastiamo da soli".

Il soccorso internazionale in situazioni simili a quella del terremoto d'Abruzzo, è un fatto ricorrente. Non c'è motivo logico o politico nel rifiutarlo, al di là di questo orgoglio, frutto di una concezione nazionalistica e paternalistica del potere. Grazie alla quale il premier ha potuto invitare i cittadini "ad installarsi, se possibile, fuori provincia", da parenti o amici, sfruttando le festività pasquali.

Tutto ciò non soltanto rattrista, ma impensierisce perché cela la evidenza delle cose dietro il paravento del "vedrete di cosa saremo capaci". Per ora constatiamo quello che è successo.

E leggiamo quello che Sara Rossi scrive su "Reuters Italia" di oggi pomeriggio: i danni all'ospedale dell'Aquila sono giudicati "inaccettabili" rispetto alle "moderne filosofie edilizie che prevedono che, dopo un sisma, la struttura non solo non crolli ma continui anche a funzionare". Sono parole di Gian Michele Calvi, membro della Commissione nazionale grandi rischi ed esperto di costruzioni in zone sismiche, che ha l'autorità necessaria per esprimere un giudizio tecnico fondato. Calvi è professore ordinario di costruzioni in zona sismica dell'università di Pavia e presidente della Fondazione Eucenter, che si occupa di formazione e ricerca per l'ingegneria sismica, a Pavia.


06.04.2009
Come previsto


Lo sappiamo tutti che il pericolo-sisma è una costante della storia italiana. Non sappiamo se un terremoto sia scientificamente prevedibile. La statistica ci orienta verso il sì, però la statistica non è "la" previsione, è una indicazione di tendenza.

Ma la statistica suggerisce pure di adottare particolari strumenti nell'edificare le case, eccetera. Purtroppo le antiche abitazioni non sono "rinforzate" per poter resistere ad un terremoto. Per cui, come previsto, succede sempre che ci sono morti e distruzioni.
Non "scientificamente prevedibili" come suggerisce il capo del governo. Per rispondere a chi giorni fa aveva sostenuto il contrario, come il fisico Giampaolo Giuliani, che per le sue affermazioni era stato persino denunciato per procurato allarme.

Nella mia terra, la Romagna, era famoso Raffaele Bendandi, "l' uomo che anticipava i terremoti", "nato il 17 ottobre del 1893, figlio di contadini poveri e perciò studente fino alla sesta elementare, e però dodicenne tanto geniale da costruirsi un suo telescopio", come scrisse sul "Corriere della Sera" Gelminello Alvi il 5 novembre 2004: "il percome delle sue previsioni lui non lo spiegava mai. Eppure gli pareva elementare: la cagione dei terremoti non sia da cercarsi sotto ma sopra la terra: nelle forze di attrazione dei pianeti e del sole".

Giuliani usa altri sistemi, su cui non siamo in grado di pronunciarci. Fatto sta che i terremoti spaventosi per l'Italia non sono imprevedibili. Per cui, come abbiamo già scritto sopra, "come previsto" registriamo altri morti e altre distruzioni. Sta alla politica provvedere al bene comune, non basta mettere a tacere uno studioso senza averne l'autorità scientifica, bisogna adesso provvedere a ricostruire e ad aiutare molte, molte famiglie.

Come? Dove trovare i soldi per quell'aiuto nel Paese dell'evasione fiscale? Bisogna andare al concreto immediatamente. Non fingere di non vedere. Buttando fumo negli occhi a chi cerca di guardare con attenzione alle cose. Per la nostra classe politica, tutta non soltanto quella di governo, si apre una nuova pagina, drammatica soprattutto perché non è nuova la situazione da affrontare. Riaffiorano vecchi ricordi e vecchie storie di gente lasciata nelle baracche a tanti anni di distanza dai sismi di cui fu testimone.

Altro che sogni di gloria con il ponte sullo stretto di Messina. "Sprechi e ritardi: l'Italia amara del dopo-terremoti" è un titolo del "Corriere della Sera" del 2 novembre 2002. In quell'articolo di Marco Galluzzo si legge all'inizio, a proposito del Belice: "«Lo sa che nei giorni scorsi, quando aspettavamo le baracche, è venuto uno con tanti fogli in mano. Speravamo che fosse finalmente il nostro turno per le baracche. Quello chiamava per nome e noi ci presentavamo. Ci dava un foglio e noi eravamo contenti. Ma poi ci siamo accorti della fregatura: era la cartella delle tasse». Era il 2 agosto del 1968, sei mesi dopo il disastro. Una burocrazia pubblica spietata mostrava un volto che sarebbe divenuto ordinario per migliaia di terremotati".


05.04.2009
Mercato delle idee


Alla fine, nei passaggi più difficili per la vita della società e degli uomini, bisogna ricominciare proprio dal principio. Non dai fatti, ma dalle idee che li partoriscono.

Un filosofo americano, Daniel Cloud, su "Il Sole 24 Ore" di oggi spiega che alla base della crisi economica odierna c'è "l'ideologia pseudoscientifica" di chi ha promesso qualcosa d'impossibile, ovvero ha mentito. C'è la tracotanza di chi si è legato "alla falsa sicurezza di una presunta scienza che non funziona". Una scienza in mano a dei "pazzi" che potevano dire in pubblico qualsiasi cosa "senza conseguenze".

Daniel Cloud ci invita insomma a riscoprire il valore (reale) delle idee. Spesso considerate astratte, e quindi da accantonare se non da disprezzare. Molti le ritengono un accessorio superfluo, se non pericoloso. Ma le gambe degli uomini sono le idee. Senza di esse le società restano immobili.

Anche Barbara Spinelli si occupa delle "menzogne dette per decenni sulle intrinseche virtù del mercato". E lo fa seguendo due itinerari.
Quello più legato alla situazione italiana, arriva ad una conclusione sconsolante ma realistica: se in tutti i governi d'Europa "in parte per pigrizia, in parte per vigliaccheria" prevale la linea di "curare il male con i mali che l'hanno scatenato", il nostro Paese "è più impreparato alla crisi di quanto il potere voglia far credere".
Per cui diamo le colpe agli altri Stati, rivolgendo l'invito all'Ocse di "star zitta" ed ai commissari europei di "lavorare piuttosto che far prediche ai governi". In questo modo, conclude Spinelli, "Berlusconi ammette il disastro" ma lo fa chiedendo "di non renderlo pubblico".

Il secondo itinerario di Spinelli, è quello appunto non dei fatti ma delle idee. Qui la scrittrice richiama un principio fondamentale per la democrazia. L'unico rimedio essenziale è la verità: "chi comincia a dirla già compie metà del cammino". Perché "la verità è un'etica e al tempo stesso un farmaco contro il pensare positivo o negativo", e questo farmaco è il kantiano "dibattito fra opinioni diverse reso pubblico, la rinuncia del potere alla segretezza dispotica".

La "segretezza" del nostro governo si alimenta di tre miti: la crisi è un fatto psicologico e non economico; la crisi è frutto di una disinformazione contro cui il premier (parole di ieri) è tentato di "intraprendere azioni dirette e dure"; infine, alla crisi sbandierata dall'opposizione ("il sistema comunista che vige ancora in Italia"), Berlusconi oppone un gradimento da sondaggio del 66,7% (pochi giorni fa era al 66,4...).

Di "Assalto alla democrazia" parla un titolo nella prima pagina del supplemento culturale "Domenica" del "Sole-24 Ore", in cui Remo Bodei riferisce di un altro filosofo americano, Sheldon Wolin a proposito di un suo libro dedicato alla deriva di questo regime non soltanto negli Usa ma pure in altre parti del mondo.
Secondo Wolin la commistione tra politica ed affari ha generato un "totalitarismo rovesciato". Contro il quale, aggiunge Bodei, si è iniziato a protestare in varie parti del mondo: non per far rinascere la lotta di classe, ma per condannare quella "politica che non ha voluto porre regole certe e controlli rigorosi ai mercati".

Sembra molto significativo che nello stesso giorno, tre autorevoli firme come Bodei, Cloud e Spinelli, ci suggeriscano una riflessione sulla crisi economica avendo come elemento comune la constatazione che l'idea di mercato deve cedere il passo al mercato delle idee, per rimediare ad una crisi globale, provocata da pochi e sofferta drammaticamente da molti.
E a chi non accetta questo mercato delle idee, resta (purtroppo per noi), la scelta della "segretezza dispotica" che sta all'opposto dell'idea moderna di democrazia, dal Settecento in avanti.
Al suo trittico di libertà. uguaglianza e democrazia Eugenio Scalfari ha dedicato oggi un passo del proprio editoriale di "Repubblica". Che contiene un'annotazione di stretta attualità per la vita politica italiana: "Fu il trittico della modernità, la cui realizzazione vide paradossalmente le Chiese alleate con i privilegi anziché con i movimenti riformatori". La storia sembra ripetersi in Italia con le benedizioni romane al partito di Berlusconi.


04.04.2009
Fini il Balilla


Promette di lanciare il sasso nello stagno. Per non destare sospetti dichiara di volere scacciare i luoghi comuni e costringere i maestri del pensiero della sinistra a "giocare in difesa". Come se adesso fossero all'attacco. Mah. Quando fa questi proclami (riportati da Ugo Magri sulla "Stampa" odierna), Fini veste la divisa d'ordinanza del Balilla di turno e della pietosa badante del governo.

E' vero che sulla fecondazione lui ed il presidente del Senato Schifani, si sono espressi in modo opposto. Fini aveva elogiato la sentenza della Suprema Corte perché difende la salute della donna. Schifani gli ha ricordato che a votare la legge c'era stata anche la Margherita di Rutelli. Come per rimproverarlo di essere più a sinistra dell'ex sindaco di Roma. Ma è un'operazione invero non troppo difficile, viste le recenti svolte a destra di Rutelli, circa il testamento biologico.
Ma i gesti di Fini sono pure schermaglie da avanspettacolo della politica. Tutti parlano, ed i fatti non si vedono. La crisi economica, ha spiegato Berlusconi è soprattutto psicologica.

In questo panorama in cui tristemente si nega l'evidenza delle cose, ogni giorno Fini cerca di ritagliarsi uno spazio più per apparire che per essere.
Quando dice che liberal-capitalismo e liberal-democrazia sono in crisi, richiama un vecchio ritornello della destra, non scrive uno spartito nuovo. Tanto è vero che alla fine concorda pienamente nelle diagnosi del cavaliere che dal secolo scorso promette una "rivoluzione liberale" di cui non conosce neppure il significato (partendo dall'originale di Gobetti).

Un altro protagonista della politica si agita in queste ore, quel Casini che gode degli appoggi vaticani e di molti ambienti cattolici. Come conferma la recente intervista di Andrea Riccardi a Vittorio Zincone su "Magazine" (19.3.2009).
A Riccardi è stato chiesto: "Lei crede nel progetto di terzo polo centrista e cattolico, a cui lavora Pierferdinando Casini?". In puro stile curiale Riccardi ha risposto: "Io non sono mai stato un fanatico del bipolarismo". Non ha scoperto nessuna carta, perché la carta Casini è già abbondantemente "scoperta" da tempo.

Casini ha detto una cosa che Fini dovrebbe imparare a memoria: "Un partito si forma assieme e non si crea per concessione divina di qualcuno".
Fini è convinto di poter lanciare impunemente i suoi sassi nello stagno, e promette "cose politicamente scorrette". Intanto ha coperto di elogi Berlusconi, come racconta Ugo Magri nel suo articolo. Dimenticando che il suo leader preferisce i ministri chiusi al cesso, come da conferenza stampa sul G20.


03.04.2009
La lezione di Obama


I nostri ministri, quando va bene, pronunciano la parola crisi con il tono distaccato di chi legge alla radio le temperature minime e massime.
In certi momenti addirittura una piega amara sottolinea un lieve disprezzo per le vittime di questa crisi. Che disturbano i manovratori perché piangono sul serio, quando perdono il posto di lavoro. Mica sono ricche come gli stessi ministri.
Giorno verrà in cui o il cavaliere o Tremonti guarderanno biechi le masse per rimproverarle, "Ben vi sta la crisi, siete stati tutti comunisti e lo siete ancora nel più profondo del vostro animo, è tutta colpa vostra".

L'insostenibile leggerezza dei nostri governanti ha avuto conferma nella conferenza stampa di ieri del tandem Berlusconi-Tremonti, una sceneggiata da teatrino infantile. Con il secondo che si tira fuori dalla discussione, sostenendo che hanno fatto tutti capi di Stato e di governo. E con il premier che ribatte gioiosamente: "I ministri, in compenso, stavano al cesso".

Il tono "basso" direbbero gli esperti di letteratura, s'addice alla nostra compagine di governo. Che non riesce a volare alto neppure nei momenti più drammatici. Che non comprenderà mai la lezione venuta da quell'Obama che era a Londra con loro.

Un Obama che ha detto, rivolto ad un cronista cinese: "Il nostro futuro è legato al vostro, questo è ciò che conta".
L'America, ha poi argomentato Obama, "è la più grande economia del pianeta, la prima potenza militare e ha una grande influenza sulle idee e la cultura, ma lo fa al meglio se è capace di ascoltare, se riconosce che il mondo è complicato e che c'è bisogno di collaborare con gli altri Paesi e se mostra un atteggiamento di umiltà".

Umiltà: sì, ditelo a quelli di casa nostra che si ritengono i migliori governanti del mondo.


02.04.2009
Il cavalier sgridato


C'è qualcosa di simbolico nella tiratina d'orecchie data da Elisabetta II al cavalier Berlusconi, con quel "Ma perché deve urlare?", dopo che questi aveva rumorosamente invocato mister Obama.

C'è il segreto di un governo che recita sempre sopra le righe, che racconta ai cronisti la balla che il G8 sardo sarà più decisivo del G20 londinese. Mentre i più informati scrivono le opinioni di Sarkozy e Merkel, per cui il G8 non conta più nulla, anche se il G20 è troppo affollato. Per cui alla fine trionferà il G2 di Usa e Cina...

C'è il gioco di prestigio del nostro capo di governo che racconta al collega giapponese di godere di un gradimento personale del 66,4 "in un momento di crisi come questo".

C'è in questa regina che chiede a Berlusconi "Ma perché deve urlare?", il segreto svelato di un'Italia che crede di aver ragione perché alza la voce con l'arroganza di chi ritiene di esser sempre dalla parte giusta; e con lo spirito tartufesco di chi ritiene di avere da compiere una missione in nome della Santa Fede.
Vedere al proposito le parole del cavaliere sul suo voler tradurre "nell'economia la dottrina della Chiesa cattolica".


01.04.2009
Simona ministra


Quando il ministro Sacconi definisce "mani pulite" un "colpo di stato mediatico-giudiziario, costruito inizialmente a tavolino", dimentica un particolare non secondario. A riscuoterne gli utili fu il cavaliere. Che non per nulla nel 1994 offre a Di Pietro e a Davigo il posto di ministri rispettivamente dell'Interno e della Giustizia. (Dal'intervista di Antonio Di Pietro ad Aldo Cazzullo, "Corriere della Sera", 23.11.2008: "Borrelli li convince a rifiutare".)

Quando il bravo Formigoni grezzamente accusa tutti quanti non sono d'accordo con lui e con il re di Arcore, di essere nella compagnia della sinistra che amava gulag, Pol Pot e muro di Berlino, offende la propria personale intelligenza. Perché è costretto dalle tristi circostanze del Pdl ad ignorare che non essere ciellini o berlusconiani non significa sposare le cause della violenza comunista.

Quando Matteo Renzi recita una battuta diretta al suo partito ("Il Pd nazionale dica pubblicamente che non bisogna fare le primarie e che deve candidarsi a sindaco Fracazzo da Velletri"), sintetizza un quadro che si presenta drammatico per le sorti del Paese.

Quando un raffinato intellettuale come Gianfranco Pasquino spiega che sarebbe "felicissimo" se il Pd perdesse il Comune di Bologna, non ci rallegra ma ci fa rattristare ancora di più. Non per le sue parole. Ma per le azioni altrui che lo hanno portato a quelle parole.

Quando succede tutto questo, se si comincia a pensare come la crisi politica è cominciata, con i politici che lucravano non le indulgenze ma le tangenti, e si scopre che torna alla ribalta il mariuolo craxiano di "mani pulite", allora non resta che condividere il pensiero di Gramellini, "Non c'è neppure ricambio per i trafficoni".

L'Italia è un Paese immobile dove cadono le braccia come cadono le vesti a Simona Ventura. Che oggi compie 44 anni. Auguri. E fin che c'è una sua copertina "nuda", c'è pure la speranza in un posto di ministra.


Anno XI, n. 160, Aprile 2009
Date created: 01.04.2009 - Last Update: 10.04.2009, 18:30/9.11.2011
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