Diario italiano
Il Rimino 160, anno XI
Aprile 2009

26.04.2009
Siamo figli di Yalta


Parlare oggi del 25 aprile 1945 senza ricordare il contesto internazionale di allora, è un esercizio retorico da populismo sovietico.

Gli alleati tra l'ottobre 1944 (conferenza di Mosca) e l'appuntamento di Yalta (4 febbraio 1945), dividono l'Europa in sfere d'influenza. L'Italia è posta in quella "americana".

Ad Yalta s'incontrano Roosevelt, Stalin e Churchill, quattordici mesi dopo la conferenza di Teheran (28.11-2.12.1943). Qui si erano decisi lo sbarco nel nord della Francia e l'avanzata sul fronte italiano sino ad una linea Pisa-Rimini.

Dopo Yalta, l'Italia non poteva cambiare campo. Lo raccontano le storie pubbliche e segrete (vedi "Gladio").
Immaginare oggi altre ipotesi, significa ignorare colpevolmente la Storia politica e diplomatica del mondo.
Il 30 aprile 1945, mentre i russi entrano a Berlino, Hitler si uccide nel bunker sotterraneo dove era stata trasferita la sede del governo tedesco. La Germania chiede la resa. Nella notte fra l'8 ed il 9 maggio finisce la guerra europea. Il conflitto continua in Estremo Oriente, con il Giappone isolato ma ostinato.

Le discussioni del giorno dopo il discorso di Berlusconi ad Onna, sono centrate (per dirla parole di Eugenio Scalfari da "Repubblica"), sul passo in avanti compiuto con il riconoscimento della Resistenza, e sul passo indietro "verso il populisno autoritario".

Ma quel passo in avanti (con la consapevolezza che la nostra Costituzione è frutto della Resistenza), finisce per essere qualcosa di equivoco.
Berlusconi ha parlato delle minacce del totalitarismo sia di ieri sia di oggi, ignorando appunto il contesto internazionale (Yalta) che ha impedito a quel totalitarismo di affacciarsi sulla penisola. Non sono stati bravi gli italiani a restare democratici, sono stati i tre Grandi, in tempi duri e difficili, a metterci nella condizione di esserne immuni.

Questo dimenticare la Storia è tipico del populismo di ogni latitudine. E di chi in suo nome vuole "riscrivere" la Storia per offrircene un'interpretazione diversa da quella che deriva dai fatti. A proprio uso, consumo e (soprattutto) utile.
E' l'atteggiamento di chi agisce con un istinto "predone" che lo storico Sergio Luzzatto ha attribuito giustamente a Berlusconi per essersi impossessato del 25 aprile. Con la impudica sfrontatezza di chi ha persino proposto di cambiare il nome di "festa della Liberazione" in quella "della Libertà". Come recita il logoe del partito del premier. Come se quella "Libertà" non fosse nata come è nata nel 1945, ma derivasse da graziosa concessione dei politici attualmente al governo. Ci sarebbe da ridere, se non ci fosse da piangere.


25.04.2009
Il muro di Arcore


Come quello di Berlino, è caduto anche il muro di Arcore. Berlusconi lo aveva innalzato contro gli oppositori del governo e della sua linea politica. Li aveva definiti "coglioni", in campagna elettorale.

Adesso, alla sua prima uscita pubblica per un 25 aprile, ha cambiato registro.

Le rovine del muro di Arcore sono finite assieme a quelle di un paese dell'Abruzzo terremotato, Onna.
Dove è andato a commemorare l'eccidio del giugno 1944, dopo esser stato a fianco di Napolitano all'altare della Patria a Roma.

Da Onna il premier ha invocato una "democrazia pacificata" arrivando con un ritardo di molti decenni (facciamo sei?) a scoprire che la nostra Costituzione è espressione della Resistenza, è frutto del sacrificio di tante persone che avevano idee politiche diverse, ma erano state unite dalla volontà di liberare l'Italia dal nemico tedesco e dal suo alleato repubblichino.

Berlusconi è arrivato a parlare di "democrazia pacificata" perché lo hanno "convinto" sia Napolitano sia Ciampi con i loro pubblici interventi.
Il presidente della Repubblica Napolitano oggi ha rappresentato la memoria. Il capo del governo è stato invece costretto a riverniciare il proprio passato con un'operazione che, purtroppo, appare essere frutto soltanto di strategia elettorale.

Ha dovuto pronunciare la parola "partigiani". Ha citato il 18 aprile come vittoria della tradizione liberale e cristiana, candidandosi (lo aveva già fatto in passato) ad ideale erede di De Gasperi. Tra i resistenti ha ricordato pure socialisti e comunisti.

Ha paragonato i nazisti al terremoto, e viceversa, riferendosi al giugno 1944 di Onna ed al dramma di oggi.
Ad Onna la prima vittima fu una ragazza, Cristina Papola. Suo fratello, ultimo testimone della strage, è stato l'altro ieri l'ultima vittima del terremoto.
I tedeschi nel 1944 volevano rubare un cavallo, Cristina Papola si oppose, chiese aiuto. Dopo avvenne la rappresaglia.

A guidare i nazisti, ha raccontato Roberto Pezzopane, 80 anni meno un mese, a Jenner Meletti di "Repubblica", "fu però un fascista italiano. Scappò dopo la Liberazione, non è mai più tornato".

Il premier ha pronunciato la formula di "democrazia pacificata". Ma non sa forse che la parola pacificazione ha radici lontane.

Il 2 agosto 1921, Mussolini cercò invano di eliminare dal suo partito le punte estremistiche ed eversive dello squadrismo agrario, e propose un patto di pacificazione col partito socialista e con i sindacati, che durò soltanto fino a novembre.

1943. A Ferrara il federale Igino Ghisellini "propone un accordo con i partiti antifascisti" e "concorda una tregua tra le parti".
La sua è una "posizione tollerante" che si scontra con la linea dura di Pavolini, Farinacci, Ricci e Mezzasoma.

A rimetterci è lo stesso Ghisellini: egli avrebbe voluto portare al congresso del pfr a Verona (14 novembre 1943) il suo progetto di pacificazione nazionale, di accordo con i partiti antifascisti e di tolleranza per i protagonisti del colpo di Stato del 25 luglio. Ma proprio quel 14 novembre Ghisellini è ucciso in modo misterioso.

Viaggia in auto. Il suo corpo, trapassato da sei colpi di rivoltella, è trovato senza stivali e senza portafogli nella cunetta della strada provinciale che porta al paesino dov'era sfollato.

L'assassinio è attribuito ai partigiani, anche se i carabinieri dimostrano che il federale è stato ucciso da qualcuno che viaggiava con lui.
In seguito si diffonde la voce che Ghisellini è stato ammazzato dai suoi. Lo stesso 14 novembre avviene la vendetta nella città di Ghisellini, a Ferrara, con i tredici martiri del Castello.


24.04.2009
I giorni dell'ira, 1943-1944


I giorni dell'ira sono quelli della guerra, tra settembre 1943 e settembre 1944. Ne parlo in un vecchio libro (che appunto s'intitola "I giorni dell'ira") che si può leggere integralmente da questa pagina. Se ne volete scaricare una copia in formato doc, andate a questo link.

"Bisogna avere il coraggio di confessare e di riconoscere le piaghe e le ferite dell’uomo malato, spogliarle dei cenci vergognosi con i quali si cerca di mascherarle. Se non si conosce il male, se non lo si riconosce, come si può guarirlo?"
Jean-Marie Lustiger, Cardinale di Parigi, 1989

"Mai forse come allora si toccò con mano quale barbarie potesse produrre il delirio della potenza."
Noberto Bobbio, 1997


23.04.2009
Ladro e servo?


Il satirico Vauro, ieri sera ospite della televisiva Lilli Gruber, ha ricevuto la patente di ladro e di servo da una onorevole sostenitrice del governo della "libertà".

Accuse ed offese sono state pronunciate dalla onorevole con il sorriso sulle labbra. Come dovevano averlo anche le "preziose" dame del Settecento francese ridicolizzate da Molière.
Ce n'era una, mademoiselle Madeleine de Scudéry passata alla storia come poetessa. Ovvero l'equivalente professionale all'odierna deputatessa. Nel senso che anch'ella giocava giovialmente con le parole strane o non consuete.

In quest'Italia del governo della "libertà", infatti un servo è merce molto rara, per cui dovrebbe essere non vilipeso ma tutelato come esemplare darwiniano di una specie in via d'estinzione.
Secondo la "fenomenologia dello spirito" di queste belle dame di spirito, anche la patente di ladro diventa un oggetto di rarità antiquaria, visto che certi reati sono stati cancellati per via politica (falso in bilancio, rammentate madama?).

Se poi, per sola ipotesi, la deputatessa fosse giunta alla conclusione che il satirico Vauro è servo e ladro semplicemente perché autocertificatosi "comunista", allora dovremmo regolare la nostra logica sino a considerare certi soggetti circolanti beatamente in Italia, come appartenenti alla stessa ideologia politica perché nei fatti risultato abituati a giorni alterni ad essere ladri per sé e servi verso gli altri.

La parte più preoccupante dell'intervento della deputatessa "preziosa" è stata quando ella ha sollecitato il satirico ad avere le palle per piacere a lei. E soprattutto per difendere la comune civiltà cristiana a cui entrambi, la gentile signora e lo spernacchiato satirico, appartengono.

Avendo noi personalmente sempre distinto, dall'età della ragione in poi, la rivoluzione introdotta dal Vangelo dai roghi dell'inquisizione romana in nome della superiore civiltà cristiana, ci piacerebbe che le signore (senza o con le palle) apprezzassero più il perdono per eventuali peccati che l'intimazione ai satirici a tirar fuori le palle contro le altre religioni.

Se poi vogliamo accantonare i discorsi finti come quello della comune e superiore civiltà cristiana, e scendere nel concreto, possiamo aggiungere: la qualifica di "servo e ladro" attribuita ad un satirico per aver ironizzato sui progetti governativi di edilizia ampliata, è indice di una mentalità padronale. Grazie alla quale conta soltanto il pensiero di chi comanda e non è ammessa per nessuno alcuna deviazione da esso.

Il potere va sempre comunque e dovunque osannato. Chi dissente è soltanto servo e ladro. Peccato che Vauro sia soltanto un maschio. In caso di sesso femminile, avrebbe anche avuto la patente di "donna pubblica" o puttana. Ma sappiamo essere il satirico così indulgente, che immaginiamo egli possa benevolmente considerarsi colpito anche da tale etichetta, tanto per accontentare la signora. Che lo ha aggredito nella trasmissione della Lilli, impedendogli di parlare, appunto in nome dei princìpi del governo della "libertà".

E come diceva Pomponio Attico, "Libertà 'sto c...". Perché in fin dei conti, esso ('sto c...) è inseparabile dalle palle evocate ripetutamente dalla deputatessa, come già spiegava molti secoli fa Quintiliano in pagine ancora oggi studiate nel "Grande fratello".
Ma quando per tutta una trasmissione della Lilli la deputatessa invoca le palle per il satirico, a noi poveri spettatori spaventati non resta che la plebea espressione: "Ma che palle!".

"Preziose" definirono le madame settecentesche, ma "ridicole" aggiunsero pure. Non non possiamo permetterci il secondo aggettivo dato che viviamo sotto il governo della "libertà" che gradisce tutto tranne la libertà pensiero.


22.04.2009
Non dimenticare


"Non dimenticare", dev'essere il nostro impegno, ha detto Carlo Azeglio Ciampi al "Corriere della Sera" di oggi, riferendosi alla celebrazione del 25 aprile.
"Non dimenticare" significa ricordare che la lotta contro il nazifascismo fu lotta armata (non disputa da bar come succede oggi da parte del premier o di alcuni ministri del suo governo).
Lotta armata che vide scendere in campo, aggiunge Ciampi, cattolici, comunisti, socialisti, liberali, monarchici che "abbracciarono valori differenti" ma battendosi "per lo stesso obiettivo".

Questo il governo in carica deve comprendere, l'obiettivo fu unico, sconfiggere i nazisti ed i fascisti della "repubblichina". Obiettivo da raggiungere assieme ai nuovi alleati.
All'obiettivo unico che vide forze divergenti unirsi per realizzare la democrazia in Italia dopo la dittatura fascista, sacrificarono le loro vite giovani in armi con le stellette del Regno, giovani "banditi" delle singole formazioni partigiane e tanti, tanti soldati delle truppe alleate. I loro cimiteri di guerra sono lì per tutti noi, a testimonianza di un passato che non deve passare, perché dobbiamo ricordare il loro sacrificio.
I comandanti alleati sapevano che noi avevamo firmato l'armistizio l'8 settembre, ma non avevamo voluto pubblicarlo subito.
Da allora ad oggi le diplomazie internazionali ricordano quelle "titubanze" (per usare un eufemismo), ed il tradimento del sovrano compiuto con la fuga da Roma così come lo aveva compiuto dando il potere a Mussolini dopo la "marcia" del 1922.

All'unico obiettivo che ebbero forze politicamente divergenti, oggi si tenta di sostituire un "pensiero unico" ossessionato dalle parole del premier: non lasciare il 25 aprile alla sinistra.

Una sinistra che oggi non c'è, una sinistra che non è tutta l'opposizione, mentre molti uomini di sinistra del tempo che fu come i repubblicani, sono finiti tra le fila del cavaliere.

Le polemiche passano con il loro carico di ridicolo se sono condotte senza un minimo di logica nel rispetto della Storia.
Ascoltiamo ancora una volta un testimone del tempo come Ciampi. Che da capo dello Stato rifiutò di istituire "una nuova onorificenza per i combattenti di ambo le parti": "Il giudizio storico su Salò non può dimenticare che quell'avventura appoggiò la causa del nazismo".
Qui sta il problema, Fini lo ha compreso da tempo, come dice anche Ciampi. Berlusconi no. Perché si fa ossessionare dal fantasma di un comunismo che considera categoria politica sotto il cui manto vede ricoverati tutti quanti non la pensano come lui.
E' un pericoloso atteggiamento maniacale, pericoloso proprio sotto il profilo politico, perché non favorisce la discussione storiografica seria, ma soltanto il vuoto mentale. Mentre la democrazia richiede che i cittadini abbiano seria consapevolezza dei problemi che deve affrontare ogni giorno la società di cui fanno parte e che è il prodotto collettivo delle loro scelte individuali.


Anno XI, n. 160, Aprile 2009
Date created: 22.04.2009 - Last Update: 25.04.2009, 18:13/9.11.2011
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