Diario italiano
Il Rimino 165, anno XI
Settembre 2009

16.09.2009
Niente di nuovo


Berlusconi "dixit", gli altri (Fini...) tacciano. Con l'acqua alla gola definisce "farabutto" chi non è d'accordo con lui. Troppo comodo

Dove sta la scandalo? Il presidente del Consiglio ieri ha recitato il solito copione fra cerimonie pubbliche e polemiche televisive, confondendo come sempre il fatto personale e le vicende politiche.

Ha detto che lui e Fini hanno due concezioni diverse del partito. "Non ci sono problemi da parte mia ma solo di Fini". Poteva parlare diversamente? No di certo.

La sua filosofia politica si basa sul principio d'autorità. "Ipse dixit". Quando Silvio ha parlato, gli altri debbono tacere.
Non è un reato, non è un errore logico, è un programma. Chi si accoda a lui, zitto e mosca. Il caposcuola di Arcore applica le regole della teologia di Santa Romana Chiesa, "Roma locuta est, causa finita est".

Per chi non era d'accordo con gli ecclesiatici, c'era come minimo un fuocherello sotto i piedi ed amen.
Ovviamente il fuocherello berlusconiano è mediatico. Ieri sera è stato così duro perché si sente con l'acqua alla gola, vede che la cannoniera di Feltri arreca più danni in casa propria che in quella dell'avversario di turno.

Ieri sera ha detto quello che pensa senza reticenze, senza vergogna e senza ostacoli: chi non la pensa come lui è "un farabutto". E purtroppo di farabutti, ha spiegato per non essere equivocato, ce ne sono tanti in politica, nella stampa ed alla tv.

Ha oltraggiato ogni regola di correttezza politica, ha violato ogni norma scritta e non scritta della democrazia costituzionale e parlamentare moderna.

In passato certi personaggi acuti ed intelligenti come Tabacci si sono arresi alla sua linea, poi hanno impiegato parecchio tempo ad accorgersi che erano stati ipnotizzati e ridotti in soggezione psicologica.

Non possiamo immaginare un Berlusconi che vada in tv a dire: "Però, questo Fini qualche ragione ce l'ha...". Di tutto questo non dobbiamo chiedere ragione al primo ministro, ma a chi lo ha sostenuto e lo sostiene ancora senza ragionare con un minimo di buon senso, comportandosi soltanto in base a non oscuri tornaconti.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

16.09.2009
Tremonti dubita


I politici? Non vedono nulla, le loro idee naufragano al primo impatto con la realtà. Parola del ministro Tremonti

Se Berlusconi è il teologo di Arcore che esige rispetto per la dottrina dogmatica annunciata, Tremonti dubita pericolosamente, con una sottile ironia capace di recare più danno al cavaliere del muso duro di Fini.

Ieri sul "CorSera" è apparsa una lunghissima intervista di Aldo Cazzullo al ministro dell'Economia. Che inizia con un'affermazione in cui si cita il mito platonico della caverna. Il Palazzo della politica è come quella caverna, dove non si vedono le azioni degli uomini, ma le ombre che essi vi proiettano sullo sfondo. Insomma i politici non capiscono un accidente di ciò che accade nel mondo. (Sinora aveva detto ciò soltanto degli economisti)

Per non essere considerato troppo ottimista, Tremonti ha poi detto che il prodotto del lavoro politico è come una nave che è perfetta fin che sta dentro la bottiglia, ma che affonda anche dentro una vasca da bagno.

"Ora basta" ha aggiunto parlando degli attacchi al cavaliere. Chiudendo con una proposta relativa a Fini: "Dentro il Pdl si può e si deve aprire una discussione, dove vince chi convince". Quindi niente porte in faccia al presidente della Camera, ma l'invito ad un tavolo del confronto. Tutto l'opposto di quanto sostiene il cavaliere.

Dunque. I politici non vedono nulla, e le loro idee naufragano al primo impatto la realtà. Chi ci salverà? Ovviamente lui, il buon Tremonti che però, cita oggi e cita domani, alla fine si confonde quando scende nel capo della Storia e rimanda ad uno slogan della rivoluzione americana... Ma l'argomento è troppo gustoso per liquidarlo in tre righe. Ne riparleremo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA


15.09.2009
Secondi Fini


Per la seconda volta Feltri fa vittime non soltanto in campo avverso. Dopo la sberla a Boffo, il gelo del Vaticano. Attacca Fini, e ci rimette ancora Berlusconi

Prima mossa di Vittorio Feltri, neo direttore de "il Giornale" di Paolo Berlusconi: attacco a Dino Boffo direttore di "Avvenire", considerato reo di lesa maestà nei confronti di Silvio Berlusconi, fratello del sullodato Paolo.

Effetto dell'attacco, dimissioni di Boffo dal quotidiano della CEI. E soprattutto raffreddamento dei rapporti tra la Chiesa romana ed il capo del governo italiano.Due piccioni con una fava. Ma il secondo, il danno collaterale provocato in Oltretevere, non era né ricercato né desiderato.Feltri ha sbagliato mira? Forse Feltri è la prima vittima del caso Boffo.

A questo punto, Feltri per cercare di conquistare al foglio della famiglia Berlusconi qualche merito in campo ecclesiastico, decide di attaccare Fini, presidente della Camera, responsabile ai suoi occhi di critiche alla politica governativa. Ma soprattutto di essersi chiamato fuori dall'obbedienza al Vaticano per certi diktat che invece hanno visto l'obbedienza pronta cieca assoluta di Berlusconi.

E Feltri avvisa Fini, con la storiella di quei fascicoli in archivio su antiche storie a luci rosse...Pure questa volta il missile di Feltri ha un duplice effetto. Fini non si lascia facilmente intimorire. La macerie maggiori sono quelle che si raccolgono attorno allo stesso cavaliere. Insomma, per la seconda volta Feltri ha sbagliato la mira. Ha prosciugato l'acqua nel lago del suo presidente, anziché bruciare i bersagli contro i quali si è rivolto.

Feltri è stato utilizzato diabolicamente come strumento di tortura nei confronti proprio dell'uomo che lo ha voluto al "Giornale" per dare certe lezioni che miravano a rafforzare il consenso? Ma da chi?
Impossibile che Feltri, così attento alle cose del mondo, come dimostrano anche i suoi commenti sportivi del lunedì sera, abbia sbagliato da solo. Non sappiamo ipotizzare chi avesse, tra gli "amici" del cavaliere, interesse a creare siffatto caos attorno al "principale". Guastando i rapporti con il Vaticano e facendo chiamare a raccolta i cinquanta di Italo Bocchino pronti a tutto. Senza di loro il governo non ha la maggioranza e Berlusconi non va da nessuna parte.

Insomma il leader del Pdl è finito in un vicolo cieco, e tutto per merito di Feltri che è stato da lui riportato al "Giornale" con lo scopo raccogliere risultati opposti.
Ci sarà pure qualcuno che, in questo momento, ha dei "secondi Fini" nel tirare i fili di chi agisce sulla scena, e che mira a far cambiare il quadro politico, servendosi proprio dei "fedelissimi" del cavaliere. Casini totali, insomma, sono gli unici effetti verificabili ad occhio nudo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA


14.09.2009
Messi male


Poche ma confuse idee sul giornalismo. Dove? Nel mitico "Corrierone" di via Solferino

Lo sostiene Pietro Ostellino, "Siamo messi male" con l'informazione italiana. Ne è certo, anzi certissimo. Anche se la rubrica che ogni sabato offre sul "CorSera" s'intitola "Il dubbio". Sabato scorso 12 settembre ha scritto che ci sono due tipi di giornalismo. Uno "che dice troppo, e spesso a sproposito, e fa il suo mestiere". L'altro che "rischia l'impressione di dire troppo poco, e di non fare il suo".

Dunque, sillogisticamente, sbaglia chi "fa il suo mestiere". Molto bene.

Oggi, sempre sul "Corrierone", PG Battista va pure lui alla carica dei giornali che criticano il capo del governo, e li accusa di non essersi accorti di un fatto.
Berlusconi di recente ha suggerito ai giovani di leggere un libro sul Risorgimento, dicendo che aiuta a "correggere ciò che erroneamente è stato scritto sulla nostra storia". Nessuno di quei giornali ha parlato del fatto. Quel libro considera Risorgimento ed unità d'Italia due disgrazie. (Insomma come Bossi.)

Dato che acquisto il "CorSera" tutti i giorni, e non vi ho letto nessuna articolessa sul fatto, ho cercato anche nell'archivio Web di via Solferino. L'unica notizia emersa su quel volume è del 17 dicembre 1998. Caro PGB, come la mettiamo? Perché il "Corriere" non ne ha trattato ampiamente?

"Lanciò la prima pietra.
Era senza peccato?
Nessuno lo sapeva.
Era uno smemorato".
© RIPRODUZIONE RISERVATA


12.09.2009
Fini come Prodi


Fini, in rivolta contro Berlusconi, vive lo stesso problema di Prodi. L'Italia non ama il bipartitismo

Come finirà per Fini? Riuscirà un giorno il chierichetto della Chiesa arcoriana a celebrar messa? L'emancipazione di Fini dal padre-padrone Berlusconi non è un fatto soltanto personale. Pone gli stessi interrogativi suggeriti dalla defenestrazione di Prodi.

Prodi era l'Ulivo. Al quale ora fa un pensierino Bersani a caccia di voti per diventare segretario del Pd. Non per grata memoria ma per delineare un futuro programma.
Ulivo significa bipolarismo. Coalizzare partiti diversi fra loro sotto un'insegna comune, con un programma da attuare smussando le differenze fra le singole realtà.

Molti politici lungimiranti hanno preferito dare in pasto Prodi ai leoni del circo, piuttosto che perdere un posto per le poltrone televisive di Bruno Vespa.
E' finita che loro sono stati oscurati dall'oblio e che Prodi è stato sostituito da un Veltroni il quale, anziché unire di più, ha maggiormente diviso.

Risultato finale, la montagna ha partorito il topolino Franceschini. Che però ha saputo tirar fuori le unghie ed i denti, per dimostrare che il sangue trasfusogli da Zaccagnini non è l'acqua minerale che regola la digestione alle attrici degli spot.

Berlusconi ha percorso un itinerario parallelo. Il discorso del predellino di piazza San Babila ha proposto un sogno soltanto suo, destinato a diventare l'incubo degli altri.
Un partito concepito come azienda da gestire attraverso il potere di un uomo solo al comando, a cui tutti debbono obbedire. E le cui parole tutti debbono applicare nell'azione politica quotidiana.

La rivolta di Fini a questo punto non è soltanto un tentativo di emancipazione, è il segno di una crisi profonda che non riguarda più unicamente il suo partito, il futuro del governo e le sorti del cavaliere.
E' segno di una crisi che rispecchia anche quella del Pd, unito talora da qualche festa in giro per l'Italia ma estremamente diviso quando si arriva al dunque delle questioni serie e gravi.

Il Pd non può continuare raccontando che tenta la conciliazione fra Binetti e Marino, etc. Il Pd, e Bersani se ne è accorto, deve ritornare allo spirito delle origini prodiane, al progetto dell'Ulivo, al concetto che il Paese va governato da due coalizioni, non da due partiti. Perché oltretutto sulla giostra c'è pure Di Pietro, l'unico leader che non passerà tra le fila del cavaliere, ma neppure fra quelle del Pd.

E' fallito miseramente sia a destra sia a sinistra il tentativo di dare vita ad una terza Repubblica bipartitica.
Giuliano Ferrara, che è uno dei pochissimi (se non l'unico) dei berlusconiani ad aver capito le cose, ha scritto (lo scorso giugno) che non si può vivere in una continua vigilia da 25 luglio. Ovvero nell'attesa che il capo del governo sia defenestrato da qualche "gran consiglio" che non sappiamo identificare in nessun organo costituzionale attualmente esistente.

Siamo ancora nella prima ed unica Repubblica possibile, in base alle norme scritte. La seconda è stata ipotizzata dopo Tangentopoli come rinascita con una nuova situazione politica.
Ma quale nuova situazione è mai possibile immaginare o descrivere quando l'ago della bilancia diventa come in anni lontani (seppur in diverso contesto) qualche partito di centro che naviga a vista schierandosi localmente un po' a destra ed un po' a sinistra, come fa quello di Casini.

Anche Casini, sul quale la Chiesa aveva puntato tutte le sue scommesse, è travolto dal crollo del sistema bipartitico di cui non fa parte, ma a cui partecipa con la stessa grazia virginale di chi scommette circa il candidato per un matrimonio d'interesse.

E' una contraddizione in termini che la lotta fra due partiti giganti sia in mano alla formica centrista di Casini.
Oggi un conforto solenne gli è stato recato dal buon pastore margheritino Rutelli: "Si vedrà" ha risposto all'ipotesi di imbarcarsi in un'unica barca con Fini e Casini.
Riusciranno i nostri eroi (con una fusione a freddo fra laici e ecclesiastici) a trasformarlo nel dominus della situazione? Tutti al "centro"? Ma quant'è larga la porta d'ingresso?

C'è poi pure la Lega. Se passa dalle austere stanze vaticane all'ampolla popolar-mitologica con l'acqua del dio Po, così come era transitata (1998) attraverso le accuse di mafia a Berlusconi per poi abbracciarlo appassionatamente, resta una minaccia per la democrazia ben più grave di quella del suo rivale-amico cavaliere.

Forse soltanto nella prossima primavera (con le elezioni regionali) sarà dato modo di intravedere qualcosa di diverso (insperabile che in Italia ci sia qualcosa di "nuovo"), nella situazione politica a livello parlamentare o governativo (tenendo presenti le differenze fra i due aggettivi e le conseguenti implicazioni sul piano pratico...).

Se Bossi dichiara che Fini, criticando Berlusconi sulla giustizia ed altro, va verso il suicidio politico, inconsapevolmente esprime tutta la sua devozione al leader della coalizione, pur essendo Bossi stesso capo di un partito diverso e "parallelo" a quello del cavaliere.
Oggi Fini gli ha risposto con tono alto, da statista coi fiocchi: "E' un suicidio della ragione negare l'universalità dei diritti". Meditate gente, meditate. Non è più il balilla della scorsa primavera.

Altra anomalia del bipartitismo italiano: il raggruppamento che comanda è esso stesso un "polo bipartitico"... non un unico partito. Con il che si dimostra che, con poche e confuse idee, non si può governare un Paese il quale voglia presentarsi dignitosamente nel consesso dei popoli, come si diceva una volta.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

105.09.2009
Il teorema di Schifani


Il presidente del Senato rispolvera la vecchia storiella sui "teoremi" giudiziari della lotta contro la mafia

Quando il presidente del Senato dichiara che la questione mafiosa deve essere affrontata dalla Magistratura senza "inseguire disegni politici", dimentica molte cose.
Ci permettiamo rispettosamente di elencarne alcune.

I. Gli obblighi del suo ruolo istituzionale lo dovrebbero mettere in guardia dall'esternare certi pensieri, come questi.

II. Tangentopoli fu usata dal suo leader di riferimento ed attuale capo del governo, per occupare uno spazio politico lasciato vuoto dalle inchieste giudiziarie. Che spazzarono via la vecchia classe dirigente dei vecchi partiti. Emilio Fede e "compagni" fecero il tifo per "Mani pulite". Berlusconi voleva Di Pietro ministro.

III. E' molto fresca (10 settembre) la notizia del CSM che agisce a tutela di giudici denigrati ed accusati dal capo del governo.

IV. Ha scritto ("l'Unità", 9 settembre) un magistrato ora eurodeputato dell'IdV, Luigi de Magistris: "Sulla mia pelle ho visto realizzarsi melmosi intrecci istituzionali mai sentiti e forse nemmeno immaginati".
La conclusione della sua nota è questa: occorre che gli italiani possano conoscere "la verità" sulle stragi di Capaci e di via D'Amelio, e gli omicidi Falcone e Borsellino.
Una verità che potrebbe essere "terribile e inquietante, forse la verità che ci farà capire perché un ampio manipolo di golpisti con il grembiulino intende sovvertire le Istituzioni Repubblicane".


V. Fini il giorno dopo (10 settembre) ha detto a Gubbio, alla scuola quadri del Pdl: "A differenza di altri, io non mi diletto con grembiulini e compassi". (Silvio Berlusconi aveva la tessera della P2 numero 1816.)

VI. Schifani ha voluto rispondere al suo omologo Fini, presidente della Camera, che aveva detto: "Non dobbiamo dare il sospetto di non essere disponibili ad accertare la verità".
Fini si riferiva alle accuse di Berlusconi di "pura follia" indirizzate a quei giudici che cospirerebbero contro di lui, ricominciando "a guardare a fatti" mafiosi (stragi) del 1992, 1993 e 1994.

VII. Il Ministro della Giustizia Alfano ha dichiarato: "Se vi saranno elementi per riaprire i processi sulle stragi, i magistrati lo faranno con zelo e coscienza e siamo convinti che nessuno abbia intenzione di inseguire disegni politici, ma solo un disegno di verità".
Insomma Alfano smentisce Schifani, si dissocia da Berlusconi e Bossi (ovvero da tutto il governo...) ed appoggia Fini. Non sembra un fatto di poco conto.
© RIPRODUZIONE RISERVATA


10.09.2009
Incendi curiali


Dietro il "fuoco amico" di Feltri contro Boffo, ci sono fiamme ecclesiastiche pericolose per la laicita' dello Stato italiano

L'estate è solitamente segnata dagli incendi dolosi che distruggono patrimoni naturali preziosi. L'estate del 2009 va in archivio anche per fiamme metaforiche non meno gravi.
Sono quelle provocate dal "fuoco amico" riversato su Dino Boffo già direttore del foglio cattolico "Avvenire".
Un fuoco nato assieme ad un altro fatto altrettanto serio, l'autocombustione del mondo curiale.

Le carte avvelenate contro Boffo provengono da armadi ecclesiatici.
Ormai è certo, non si tratta soltanto di un'ipotesi come avevamo formulato all'inizio della vicenda, parlando appunto di "fuoco amico" .

Il "colpo di pistola" sparato attraverso l'organo ufficiale della Chiesa di Arcore in cui officia Vittorio Feltri come nunzio (poco) apostolico del cavalier Berlusconi, è finito sopra un terreno pieno di liquidi infiammabili.

L'incendio è politico, non si tratta soltanto di questioni religiose.
Esso cova nascostamente, non lo si vede perché la valle in cui si trama e traffica con le latte di benzina, è nascosta alla vista del popolo.

Ma le fiamme prima o poi si alzeranno, le loro lingue saranno verso l'alto, al contrario delle fiammelle che sono fatte scendere dal Cielo a rappresentare metaforicamente lo Spirito che converte.
Sono fiamme avvelenate, altamente inquinanti.

La Chiesa sta andando a fuoco per questa autocombustione in cui, come in certe zone del Bel Paese, le guardie addette allo spegnimento sono proprio loro che appiccano le fiamme per aver salvo il posto di lavoro.

Contro Boffo è stato utilizzato il vecchio sistema della diffamazione tramite terze persone cointeressate per altri motivi.
Feltri non è un teologo né aspira a guidare il giornale della CEI.
Diceva fra Paolo Sarpi: "Agnosco stilum Sanctae Romanae Ecclesiae". Lo "stilum" non è soltanto il modo espressivo scritto di una burocrazia e dei suoi atti di governo, ma è pure il pugnale da infilare nelle spalle della vittima da eliminare.

Incendi di queste proporzioni sono pericolosi non tanto per l'ambito ecclesiastico in cui si preparano (con due belle parole, poi si mette tutto a tacere), quanto per lo Stato contro il quale vengono irresponsabilmente lanciate le fiamme.
Uno Stato che se non ha il coraggio di azionare gli idranti, può perdere il senso della sua dignità ed autonomia.

Come quando un premier garantisce che tutto filerà liscio tra le due sponde del Tevere perché il governo garantirà quanto chiede il papa dall'alto della sua infallibilità per certe questioni cosiddette etiche che tutti ben conosciamo.

Ieri su "Repubblica" Stefano Rodotà ha scritto un fondo, "Se l'Illuminismo diventa 'bieco'", in cui elenca i guasti prodotti alla democrazia italiana dalla gestione di Berlusconi: concentrazione personale del potere, affossamento della separazione dei poteri, distruzione dei controlli, infeudamento della comunicazione, disunione del Paese. Per poi domandarsi: "come è potuto accadere?". Eh già, "come è potuto accadere?".

Fermiamoci all'ambito ecclesiastico con un'altra notizia fornita nel forum de "l'Unità" da Paolo Macoratti": 41 preti sono inquisiti dall'ex Sant'Uffizio per la loro posizione manifestata relativamente al caso di Eluana Englaro.
© RIPRODUZIONE RISERVATA


I post precedenti.
Diario italiano, indice.


Anno XI, n. 165, Settembre 2009
Date created: 10.09.2009 - Last Update: 15.09.2009, 18:28/
All'indice delle notizie- Mail- Info: 0541.740173
"Riministoria" e' un sito amatoriale, non un prodotto editoriale. Tutto il materiale in esso contenuto, compreso "il Rimino", e' da intendersi quale "copia pro manuscripto". Quindi esso non rientra nella legge 7.3.2001, n. 62, "Nuove norme sull'editoria e sui prodotti editoriali e modifiche alla legge 5 agosto 1981, n. 416", pubblicata nella Gazzetta Ufficialen. 67 del 21 marzo 2001.
Riministoria-il Rimino-antonio montanari nozzoli