Diario italiano
Il Rimino 193, anno XIV
Gennaio 2012

Tama 1066, 29.01.2012
Per essere liberi

S'intitola "Breviario" la nota rubrica che appare la domenica nel supplemento culturale del "Sole 24 Ore", firmata dal card. Gianfranco Ravasi. Il 15 gennaio scorso il tema era "la libertà": "L'educazione a essere liberi, non solo da un'imposizione sottile, com'è quella della deriva mediatica, ma anche per una scelta e un impegno personale, è un'opera severa e faticosa".

Di quest'opera severa e faticosa abbiamo un'illustrazione proprio a Rimini nel Tempio malatestiano, nella cappella detta delle sette arti liberali, ovvero le materie di studio per gli uomini liberi (ai servi toccavano le arti manuali): Grammatica, Dialettica, Retorica (il "Trivio"), Aritmetica, Geometria, Musica, Astronomia (il "Quadrivio"). Nella cappella le immagini sono però diciotto. Per questo motivo uno studioso come Corrado Ricci scrisse che in essa vi è "altro ancora", con un'incerta espressione simbolica delle figure.
Noi vi proponiamo una veloce lettura delle diciotto immagini suddivise nelle due colonne laterali ed in tre strisce per colonna, partendo dall'alto verso il basso per ogni striscia che indichiamo con lettera dell'alfabeto. Striscia A: la Natura ispira l'Educazione che opera attraverso la Filosofia. Strisce B e C, le materie di studio: Letteratura, Storia, Retorica (Arte del discorso), Metafisica (o Teologia), Fisica, Musica. Nelle due strisce successive (D, E), si mostra come conoscere la Natura attraverso le Scienze che sono: Geografia, Astronomia, Logica, Matematica, Mitologia e Botanica. L'ultima striscia (F) rivela lo scopo della cultura, ovvero educare ad una vita tra cittadini tutti uguali e quindi liberi: qui le tre immagini rappresentano la Concordia, la Città giusta, e la Scuola.
Il tema della Concordia ha una doppia lettura. Esso riguarda non soltanto la vita della città (opponendosi ai governi dei prìncipi come Sigismondo), ma pure l'Unione fra le due Chiese (proclamata il 6.7.1439 con un decreto destinato a breve durata). Per quella unione i Malatesti hanno svolto un grande ruolo in nome della Chiesa. Nella tavola della Concordia si raffigura un'unione matrimoniale: la donna potrebbe essere Cleofe Malatesti, scelta dal papa come sposa (1421) di Teodoro, figlio dell'imperatore di Costantinopoli, e poi finita uccisa.
Nella scelta delle immagini c'è la mano dello stesso architetto (ed ottimo scrittore) Leon Battista Alberti, seguace di un umanesimo civile che vuole una società nuova diversa dai principati. [Anno XXXI, n. 1066]

Fuori Tama 1066, 29.01.2012
La pedagogia di Sigismondo Malatesti

La fonte del Tama 1066 è nella nota 246 di un mio testo presente su Internet e pubblicato nel 2011, "L’Europa dei Malatesti".
Da quella nota riprendo un punto importante che, per motivi di spazio, non ho potuto inserire nella rubrica n. 1066.

In tutte le immagini è compendiato un programma pedagogico di impronta umanistica: per formare una società rinnovata dalla concordia, si parte dallo studio della natura. In tal modo è eclissata la teologia. Ecco la rivoluzione di Sigismondo e del suo circolo di intellettuali ed artisti, che tanto dispiacque a Pio II.
Il tema della città nuova si collega a quello della «città ideale» proposto dalla famosa opera della scuola di Piero della Francesca, dietro la quale ci sarebbe invece la mano del progettista del tempio riminese, Leon Battista Alberti, autore del "De Re Aedificatoria": cfr. G. Morolli, "La vittoria postuma: una città niente affatto 'ideale'", ne "L’Uomo del Rinascimento. Leon Battista Alberti e le arti a Firenze fra Ragione e Bellezza", Firenze 2006, pp. 393-399.

Nella nota 246 de "L'Europa dei Malatesti" scrivevo anche che la «concordia dei cittadini» d’ispirazione ciceroniana, è cit. in un proverbio latino: «Concordia civium murus urbium». Di qui il collegamento allegorico tra la stessa concordia e l’arte edificatoria.
Per la Mitologia aggiungevo il rimando a Macrobio che "In somnium Scipionis", la chiama «narratio fabulosa»: «haec ipsa veritas per quaedam composita et ficta proferetur», 2, 7.

Antonio Montanari
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Paolo Rossi Monti.
Un ricordo per un grande Maestro
.

Il 14 gennaio 2012 ha chiuso la sua esistenza terrena il prof. Paolo Rossi Monti, che mi era stato docente di Storia della Filosofia al Magistero di Bologna. Discussi con lui la tesi di Laurea per il corso di Pedagogia, il 22 febbraio 1966.
Già in passato, in altri scritti apparsi sul web, ho ricordato l'importanza del suo insegnamento e della sua frequentazione.
Con gratitudine commossa, riproduco qui le vecchie annotazioni.

2002, in occasione della morte di Giovanni Maria Bertin.
Nel 1960 mi iscrissi al corso di Pedagogia della Facoltà di Magistero di Bologna. La Cattedra di Pedagogia era tenuta da Giovanni Maria Bertin che era anche Preside di Facoltà. Furono anni di grandi Maestri al Magistero. C'erano Ezio Raimondi per Letteratura italiana, Gina Fasoli per Storia Medievale e Moderna. Sarebbe poi arrivato in Storia della Filosofia, quando frequentavo il terzo anno, Paolo Rossi il quale avrebbe quasi subito abbandonato Bologna per Firenze. Estetica era affidata a Luciano Anceschi. Enzo Melandri tenne le lezioni del mio secondo corso (al quarto anno) di Filosofia teoretica, parlando di Logica. (Con Rossi 'presi' la tesi, sull'Irrazionalismo italiano nelle riviste del primo Novecento, avendo come controrelatore l'italianista Raimondi, il quale nel frattempo mi fece pubblicare un breve saggio nella rivista «il Mulino», dedicato al volume di Luigi Barzini junior, «Gli italiani».)
Bastano questi nomi per fotografare il clima intellettuale della nostra 'piccola' Facoltà, i cui allievi erano considerati di grado inferiore rispetto agli altri universitari perché usciti dall'Istituto Magistrale che era più breve di un anno dei due Licei (dai quali si riteneva sortisse la crema della cultura nazionale).

Dalle mie "memorie" intitolate Viva la squola.
Al Magistero bolognese.
Il mio docente di Pedagogia era stato Giovanni Maria Bertin. Furono anni di grandi maestri al Magistero. C'erano Ezio Raimondi per Letteratura italiana, Gina Fasoli per Storia medievale e moderna. Sarebbe poi arrivato in Storia della Filosofia, al mio terzo anno, Paolo Rossi il quale avrebbe quasi sùbito abbandonato Bologna per Firenze. Estetica era affidata a Luciano Anceschi, Sociologia ad Achille Ardigò (che aveva un assistente terribilmente dongiovanni). Enzo Melandri tenne le lezioni del mio secondo corso (al quarto anno) di Filosofia teoretica, trattando di Logica simbolica, subentrando ad un collega che la carità di patria cancella dal ricordo. Con Rossi presi la tesi, sull'Irrazionalismo italiano nelle riviste culturali del primo Novecento, avendo come contro-relatore Raimondi, il quale nel frattempo mi fece pubblicare un breve saggio nella rivista «il Mulino», dedicato ad un libro di Luigi Barzini junior, «Gli italiani». (Ne «Il Giorno» del 18 gennaio 1966 Alberto Arbasino raccontava della scuola di critica letteraria bolognese al Magistero guidata da Raimondi. Il quale degli allievi diceva: sono «attratti dal metodo 'scientifico' in quanto contrario sia alla pedanteria scolastica sia allo sfarfallamento sentimentale che perde di vista il testo».)
Bastano questi nomi per fotografare il clima intellettuale della nostra 'piccola' Facoltà, i cui allievi erano considerati di grado inferiore rispetto agli altri universitari perché usciti dall'Istituto magistrale che era più breve di un anno dei due Licei (dai quali si riteneva sortisse la crema della cultura nazionale). Noi delle Magistrali di Rimini provenivamo poi da una scuola comunale, in cui non sempre i docenti erano il meglio della piazza, se li confrontavamo con quelli dei due Licei cittadini. La nostra era una preparazione in genere modesta, tutta centrata su di un apprendistato intellettuale svolto con molta superficialità, anche per colpa dell'indisciplina delle classi. Alla quale doveva far fronte il preside Ermenegildo Prosperi, latinista autorevole (e temibile in certe interrogazioni impreviste, quando sostituiva insegnanti assenti).

Dal volume di Antonio Bianchi sulla storia di Rimini, curato da me, la mia nota finale.
Nel concludere un lavoro di ricerca e di analisi, che ancora una volta (come dimostrano le parti sul collegamento tra il pensiero di Antonio Bianchi e le opere di Lodovico Antonio Muratori), mi ha ricondotto allo studio del Settecento, ho riaperto vecchi libri dei miei lontani giorni universitari, ripensando a chi me ne aveva ‘imposto’ la lettura. Il ricordo della prof. Gina Fasoli, docente al Magistero di Bologna negli anni Sessanta, si associa a quello di tante scoperte fatte allora, prima delle quali un amore verso la Storia, materia che la prof. Fasoli insegnava con alta passione e somma competenza, unite ad un vigore didattico che intimoriva e stimolava; e poi il fascino della cultura illuministica, che ebbi modo di approfondire anche con il prof. Paolo Rossi, docente di Storia della Filosofia, materia nella quale poi discussi la mia tesi di laurea. A tanti anni di distanza, desidero testimoniare qui gratitudine per gli insegnamenti da loro ricevuti, non tralasciando di citare i nomi di due altri illustri docenti del Magistero di quel tempo, Luciano Anceschi ed Ezio Raimondi (che mi chiamò a collaborare alla rivista Il Mulino): a loro debbo un'impronta rimasta indelebile come metodologia di lavoro sia nell'attività didattica sia nello studio. Riservo ovviamente a me stesso e alla mia pochezza quanto, nelle pagine precedenti, possa non aver soddisfatto il lettore.

Antonio Montanari
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Tama 1065, 22.01.2012
Farsi rispettare

Una vecchia frase dell'ex presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ("In Italia vogliamo una democrazia più trasparente"), è stata riproposta a commento della vicenda del sottosegretario ospitato in vacanza a sua insaputa. Un ministro del precedente governo s'era dichiarato ignaro di chi gli avesse pagato casa. L'italico detto "lei non sa chi sono io", ha una nuova, triste versione nel dichiarare: "Ma guardi che neppure io so quello che faccio". Se le parole fossero pronunciate da persona non altolocata o politicamente rilevante, comporterebbero per lei un trattamento sanitario obbligatorio per infermità mentale.

Alla vecchia frase di Ciampi, accompagniamo la citazione da un suo libro appena pubblicato, che è la lettera aperta "A un giovane italiano": "Desidero invitarti ad aguzzare lo sguardo, lo sguardo acuto dell'intelletto e del cuore...". L'editore lo ha lanciato con una pubblicità che riprende un passo del testo, "Non sacrificare la tua dignità".
Il Ciampi che scrive ai giovani di oggi raccoglie e racconta le storie di una generazione che ha ricostruito il mondo dalle macerie postbelliche: "Ho visto l'uomo con il suo insopprimibile bisogno di libertà, avere la meglio su dittatori e regimi ritenuti impossibili". Ed analizza con chiaro e severo sguardo la crisi economica contemporanea, da esperto qual egli è, e soprattutto da uomo onesto che non tace giudizi severi.
Come quando elenca i responsabili di aver trasformato il mondo della finanza in una "foresta dove appagare appetiti ferini, dove impera la legge non scritta del cinismo, del disprezzo di ogni valore che non sia quello del guadagno, del successo, del potere, obiettivi rincorsi in un crescendo delirante in cui si spezza qualsiasi ragionevole legame tra desiderio e appagamento".
L'economista Ciampi in queste pagine sorregge le opinioni del Ciampi che compone un trattato pedagogico e filosofico. Il cui pubblico dovrebbe essere anzitutto non quello dei giovani richiamati dal titolo, ma di tutti i più o meno vecchi che abbiano il senso dello Stato e della Storia, siano essi politici, economisti o "semplici cittadini" come si diceva un tempo. E tutti facciamoci rispettare.
Un'eco della frase citata all'inizio ("In Italia vogliamo una democrazia più trasparente"), si trova nel libro quando leggiamo che nelle nostre società (che sono un baluardo democratico del vivere civile), l'arte di governare è "sovente sfiorata da un velo di opacità". [Anno XXXI, n. 1065]



Nel 2006, intitolai "Grazie, presidente Ciampi" il Tama n. 943 dell'8 gennaio. Riproduco quel testo.

L'on. Sandro Bondi conosce bene per antica militanza comune quei colleghi diessini ai quali ha offerto un'intesa contro i «poteri forti». La risposta negativa della Quercia non chiuderà la strada a segrete passeggiate di esponenti governativi con colleghi dell'opposizione. L'aria che tira è quella che abbiamo ripetutamente descritto in passato. Il sistema proporzionale alla prossima consultazione politica favorirà la linea della necessità dell'uno contro tutti in perfetto stile «parenti serpenti». Non soltanto nella Casa di Arcore ma pure nel condominio dell'Ulivo. Per stare a galla tutti debbono essere disposti a tutto. Abbiamo scherzato dapprima ipotizzando Prodi al comando nei giorni pari e Berlusconi in quelli dispari. Ma quando l'on. Casini ha indossato la severità di giudizio sull'economia che di solito vediamo svettare sul sorriso beffardo di Prodi, ci siamo convinti che forse non avevamo sbagliato pensando ad un governo a targhe alterne fra maggioranza ed opposizione.
Il prof. Galli Della Loggia, il 31 dicembre 2005 nell'editoriale del «Corriere della Sera», ha scritto che la polemica contro i «poteri forti» rivela «pochezza intellettuale» e «primitivismo ideologico» in chi la porta avanti, come «certi luogotenenti di Berlusconi» ed anche l'on. D'Alema «quando perde la sua abituale lucidità». Di rincalzo un ex direttore dello stesso quotidiano, Piero Ostellino, lo stesso giorno nella pagina delle opinioni derideva i politici che appunto avventandosi adesso contro i «poteri forti» non fanno altro che confessare la loro impotenza di ieri nella gestione della cosa pubblica, ed accusava «gli studiosi» di non proporre domande scomode se non pure pericolose.
L'Italia di recente è stata sommersa da formule che nascondevano promesse non mantenute ed inconfessabili intenzioni. La «lotta ai poteri forti» è l'ultimo esempio di un'impotenza pratica nel governare. Ne hanno tratto vantaggio volgari furbettini romani e trafficoni più eleganti ma altrettanto spregiudicati del Nord.
Nei tribunali la formula (logorata da certi provvedimenti parlamentari) della «legge uguale per tutti», ha ceduto il passo a quella (costituzionale) della giustizia amministrata in nome del popolo. Che per il ministro Castelli è il vincitore elettorale. Soltanto Ciampi ha saputo usare la formula giusta ricordando il suo impegno per «esprimere il senso della dignità di cittadino di una libera democrazia». Grazie, presidente. [943]

Antonio Montanari
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Tama 1064, 15.01.2012
Un anno dopo

Abbiamo concluso le celebrazioni dei 150 anni dell'unità nazionale nel migliore dei modi possibili. Ci siamo trovati quasi tutti d'accordo sul fatto che sono tempi tempestosi, e che occorre stare tranquilli e seri per cercare qualcosa di positivo con cui costruire il futuro comune. L'epoca delle barzellette è finita. I numeri che abbiamo davanti non sono quelli del lotto con cui tentare la fortuna, ma amari rendiconti che obbligano a stringere la cinghia anche a chi ormai la cinghia l'ha persa per strada negli ultimi anni.
Per rimediare qualcosa alle pubbliche casse, si potrebbe cominciare con il ridurre le spese militari. Sottoscrivo in pieno quanto sostenuto dalla Papa Giovanni: l'acquisto di 131 esemplari di cacciabombardieri F35 a 200 milioni di euro l'uno, è un'operazione "iniqua, non opportuna e, in questo tempo di crisi, anche immorale".
La follia delle spese militari va denunciata senza paura, per testimoniare una scelta di campo che è politica, filosofica e religiosa. In un editoriale di Barbara Spinelli ("Repubblica", 4.1) si ricorda la "parresia" greca e poi cristiana come una necessità dei nostri tempi: "Ci vuole coraggio per firmare le proprie parole, parlando-vero. Chi lo possiede non ha la vita facile, deve esser cauto se non vuol ricadere nel parlar-falso".
Uno che ha parlato "vero" è Luigi Fadiga, garante nella nostra Regione per l'infanzia e l'adolescenza. Sulla pagina bolognese di "Repubblica" (5.1) ha commentato la situazione del Pratello, carcere minorile del capoluogo (i cui vertici sono stati azzerati da un'ispezione ministeriale), allargando il discorso ad una questione di principio: le carceri minorili "dovrebbero essere già chiuse, sostituite dalle misure che il nuovo processo penale minorile fin dal 1988 voleva introdurre", mentre occorre una nuova legge "che disegni un sistema apposito e appropriato di pene minorili". Luigi Fadiga si presenta come "vecchio magistrato, che proprio al Pratello, nell'attiguo Tribunale per i minorenni, ha iniziato la parte più intensa più lunga e più significativa della propria attività professionale".
Sulla stessa cronaca bolognese, il 3 gennaio campeggiavano questi titoli: "Pratello, ecco le denunce cadute nel vuoto. Le segnalazioni al Ministero di Procura, educatori e sindacati. Ma nessuno ha fatto nulla. [...] Le notti nella cella degli orrori. 'Violenti con i più deboli'. I detenuti raccontano: i 'bulli' ci bruciavano i piedi". [Anno XXXI, n. 1064]

Antonio Montanari
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Tama 1063, 08.01.2012
Educazione cinica

Scriveva nel 1784 Immanuele Kant: "Purché io sia in grado di pagare, non ho bisogno di pensare: altri si assumeranno per me questa noiosa occupazione". Il filosofo voleva spingere le persone ad avere il coraggio di servirsi della propria intelligenza: "La pigrizia e la viltà sono le cause per cui tanta parte degli uomini rimangono volentieri minorenni per tutta la vita e per cui riesce tanto facile agli altri erigersi a loro tutori". Pochi anni dopo (1789), la presa della Bastiglia realizzava l'auspicio di Kant, constatando che c'era bisogno di pensare perché non si era in grado di pagare.
Anche prima di Kant si sapeva che a pancia piena i sonni sono tranquilli, mentre lo stomaco vuoto non ha mai portato buoni consigli. Quando i deputati milanesi un secolo e mezzo prima rincararono il pane, respirarono i fornai "ma il popolo imbestialì". Parola di Alessandro Manzoni che sintetizza l'epoca con un celebre slogan: erano "tempi di fame e di ignoranza".

Un comico contemporaneo, Enrico Bertolino, riassume il triste panorama di una società in cui sembrano trionfare (o trionfano sul serio) furbi ed imbroglioni quali gli evasori fiscali, ricordandoci che prevale una materia più politica che scolastica: l'Educazione cinica al posto di quella civica ormai declassata (aggiungiamo noi) ad oggetto di antiquariato di bassa lega.
Pure nelle nostre terre l'Educazione cinica è ampiamente praticata. Piergiorgio Morosini, autore del libro "Attacco alla giustizia", ma soprattutto giudice delle indagini preliminari al Tribunale di Palermo, ha detto a Luca Fabbri di "Nuovo Quotidiano" (19.12): "In base alle ricerche Rimini è il secondo capoluogo dell'Emilia Romagna per operazioni bancarie sospette". Aggiungendo che i criminali organizzati sono stati "favoriti da insospettabili personaggi locali: uomini appartenenti al mondo delle banche, delle professioni, della politica".
Come tornare dall'Educazione cinica alla civica? Discutendo di scuola sulla "Stampa" (22.12) in risposta ad uno studente che denunciava la crisi del Liceo umanistico (ex Magistrali), il prof. Luca Ricolfi ha concluso amaramente che "nessuno può dire in pubblico la verità: quella facoltà è una buffonata, in quella scuola non s'impara niente, il tale docente non sa spiegare, il tale corso di laurea è un'insalata di materie sconnesse [...] un certo ospedale, un certo reparto, un certo chirurgo è pericoloso per la salute del paziente". [Anno XXXI, n. 1063]

Antonio Montanari
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Anno XIV, n. 193, Gennaio 2012
1563. Date created: 26.12.2011. - Last Update: 21.01.2012, 17:00/
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