Diario italiano
Il Rimino 197-199, anno XIV
Maggio-Luglio 2012. Speciale Giovanni Pascoli

Delitto Ruggero Pascoli, tutti sapevano tranne lo Stato. Non fu un omicidio politico, quello del padre di Zvanì, ma tale apparve.
["il Ponte", Rimini, n. 25, 01.07.2012]
Era un sabato, quel 10 agosto 1867 in cui Ruggero Pascoli fu ucciso sulla strada che lo riportava a casa da Cesena: "Sulla via Emilia, tra la villa Gualdo e la chiesa di S. Giovanni in Compito, all'altezza della località detta della Madonna del Pietrone, a circa due chilometri dal paese di Savignano", è assassinato "da un solo colpo di fucile alla testa fatto esplodere da due sicari appostati dietro una siepe di biancospino lungo la strada". Uno dei pochi testimoni del delitto è l'onorevole savignanese Gino Vendemini, combattente garibaldino e fervente repubblicano. La sua memoria scritta sul fatto ha un'annotazione particolare: l'assassino rimane "ignoto, almeno alle autorità". Ovvero, la gente conosceva il mandante del delitto.

La ricostruzione dei fatti sin qui sintetizzata, è in un pregevole volume del 2009, "Giovanni Pascoli. Una biografia critica", composto da Alice Cencetti che dedica la prima parte dell'opera al delitto del quale Ruggero Pascoli fu vittima, con una ricca documentazione in cui si presenta, come dice il titolo del capitolo, il volto oscuro della "Romagna solatìa". La vera causale del delitto, osserva l'autrice, è quella già individuata dai congiunti: "il desiderio di subentrare" nell'amministrazione della tenuta Torlonia, retta allora appunto dal babbo di Zvanì.
Le altre ipotesi investigative esposte, sono l'occasione per raccontare i risvolti segreti di una terra in cui le tensioni politiche furono molto forti prima e dopo l'Unità d'Italia. Come ben riassume questo punto: "La causa reale dell'omicidio di Ruggero Pascoli non fu politica. Tuttavia è innegabile che il piano dell'agguato nacque e maturò in ambienti politici o parapolitici, quali quello repubblicano, in Romagna in quegli anni una delle forze preponderanti, che accoglieva nelle sue file e si appoggiava per le sue azioni anche a piccoli delinquenti", senz'arte né parte ma pronti a compiere privati regolamenti di conti.
Lo scorso anno su queste colonne avemmo occasione di narrare, per i 150 anni dell'Unità d'Italia, la serie dei dodici delitti politici avvenuti a Rimini tra 1847 e 1864 (Ponte, 17 aprile), con altrettante vittime, citando poi (Ponte, 8 maggio) gli "antefatti criminali" di chi nel 1831 violò i cadaveri degli avversari politici, strappando persino gli occhi alle vittime.
La conferma della pista politica è in un documento scovato dal prof. Angelo Varni nell'Archivio di Stato di Forlì e pubblicato il 14 ottobre 1997 da Marco Marozzi su "Repubblica". È un rapporto "riservato" con cui il Prefetto il 16 agosto 1867 mandava a Roma le sue considerazioni. Varni disse: quel rapporto è "la fotografia di una Romagna dove ci si uccideva a tutto spiano, la tensione sociale era fortissima contro il nuovo ordine sabaudo e l'autorità regia sapeva reagire solo con la repressione. Così il prefetto di Forlì attribuì l'assassinio di Ruggero Pascoli a terroristi definiti mazziniani, ne fece arrestare un paio, usò il delitto per scatenare la caccia agli agitatori. Ma in realtà non mosse nessuna indagine. Tutto poi finì in niente, gli arrestati furono più tardi liberati senza clamori. Ma a tutti il meccanismo fece comodo. Alle società segrete perchè comunque dimostrarono la loro forza, al potere per colpire i dissidenti e compattare la gente impaurita".
Gli arrestati erano Raffaele Dellamotta e Michele Sacchini, entrambi di San Mauro ed agenti di casa Torlonia. Il Prefetto scrisse pure del "timore che hanno tutti i proprietari di grano di essere trucidati come lo sventurato Pascoli".
Cencetti sottolinea che le “sette” romagnole dell'800 richiamano le vicende dei briganti del Sud, con un particolare inquietante: gli “accoltellatori” avevano una solidarietà sincera e sentita della popolazione. Soltanto l'arrivo del solito delatore permise alla giustizia di smantellarli. Per il delitto Pascoli, conclude Cencetti, incompetenza o premeditata indolenza impedirono di fare luce.
Antonio Montanari

Alle pagine di Riministoria su Giovanni Pascoli.

Nella foto, Ruggero Pascoli con i figli Giacomo, Luigi e Giovanni. (Fonte, web: Archivio Casa Pascoli, Castelvecchio di Barga.)


Pascoli, un successo sul web. Vita, poesia, linguaggio di Zvanì, e la storia della Romagna nelle pagine di vari studiosi.
["il Ponte", Rimini, n. 25, 01.07.2012]
Numero speciale de "il Mensile" (altriitaliani.net) sui 100 anni dalla morte di Pascoli. Giovanni Capecchi sottolinea: "A Bologna, quando dal 1906 succede a Carducci sulla cattedra di letteratura italiana, Pascoli sente quasi il dovere di sostituire il maestro anche nella funzione civile che ha avuto, soprattutto intorno alle celebrazioni del cinquantesimo anniversario della spedizione di Garibaldi in Sicilia e dell'unificazione nazionale". Nello stesso tempo, in alcuni versi, "parla della vanità del tutto, anche della storia".
Francesca Sensini tratta del classicismo in cui Pascoli trova la conferma di una visione della vita che smentisce i miti del Positivismo. Il dolore che ci attende deve però ispirare "un agire volto a contrastare il male e improntato ad un sentimento di fratellanza e di amore universali (Pascoli impiega il termine, di ascendenza cristiana, di agàpe, amore fraterno)".
Véronique Youinou interviene sul linguaggio, "dal fanciullino alla poesia del mistero": "Il poeta si distingue per la sua capacità ad ascoltare la voce di quel fanciullino nascosto e a dialogare con lui". Nei suoi versi trasmette la sensazione del mistero, che non tutti colgono, "ci vuole un lettore atto a capire una poesia così complessa nella sua apparente semplicità. Chi è quel lettore?". Pascoli ci risponde dedicando i "Nuovi poemetti" ai suoi scolari, insieme fanciulli ed eruditi.
Alice Cencetti tratta del "Delitto Pascoli tra storia e poesia": "Stando alla vox populi, il mandante dell'omicidio era stato Pietro Cacciaguerra, un ricco possidente di Savignano che bramava di prendere il posto di Ruggero Pascoli come amministratore del latifondo" dei Torlonia. Allora in Parlamento i problemi politico-sociali della Romagna erano paragonati alla "più tristemente nota questione meridionale". Si contavano a decine i morti ammazzati sulle nostre strade, "sintomo di un profondo disagio sociale ed economico". Che il governo interpretava "come frutto dell'indole corrotta e sanguinaria dei romagnoli", per giustificare interventi armati contro anarchici e socialisti. Il poeta deluso dalla giustizia, inventa il mito del Passator cortese, di cui si conoscevano violenza e crudeltà. Il brigante ribelle così diventa "il campione di una giustizia alternativa cui affidare la propria struggente ansia di riscatto là dove la giustizia ufficiale aveva meschinamente fallito".
Armando Lostaglio ricorda il soggiorno a Matera fra 1882 e 1884. Capecchi presenta quattro interventi su altrettante poesie, ed un'analisi delle "ombre del contemporaneo": con Pascoli finisce il realismo ed inizia il simbolismo.
Antonio Montanari


Pascoli, nasce a Rimini il poeta moderno
["il Ponte", Rimini, n. 22, 10.06.2012]
Già a Rimini nel 1872 il giovane Pascoli è un poeta moderno. Nella prima adolescenza e giovinezza compaiono "alcuni suoi temi tipici". Nel modo di scrivere i versi per le nozze dei principi Anna Maria Torlonia e Giulio Borghese, ci sono i segni di "un corretto discepolato petrarchesco-leopardiano". Ma soprattutto appaiono i primi bagliori della sua teoria sociale, "benché espressa in termini assai timidi e cauti". L'ispirazione civile è nella quarta strofa dove una donna ed il suo fanciulletto attendono il ritorno impossibile del capofamiglia che sta morendo nelle sabbie mobili della palude. Ma, ci permettiamo di aggiungere, c'è pure quel passo che ha venature rivoluzionarie: "si succia ognor al povero le vene / sotto l'onesto vel di comun bene".
Queste importanti annotazioni si leggono nel volume di Renato Barilli che, fedele alla pratica della critica letteraria che gli deriva dalla scuola di Luciano Anceschi, ha intitolato in modo originale il suo lavoro, soprattutto nella seconda parte: "Pascoli simbolista. Il poeta dell'avanguardia debole". Il debito della cultura italiana verso Anceschi per la sua interpretazione di Pascoli, è dichiarato in fondo al volume, in una nota che passa in rassegna tutto quanto è stato pubblicato sul poeta di San Mauro. Anceschi nel 1958 raccoglie precedenti studi che vogliono porre Giovanni Pascoli nelle file del Novecento, anzi nella fase di passaggio "verso" il Novecento, per dichiarare quello che non c'è più del secolo precedente e segnalare quello che Pascoli annuncia per il secolo in cui conclude la sua vita.
Sarebbe stato interessante per Rimini invitare Barilli a parlare del giovane ribelle che vi ha studiato da poeta. Nel recente pomeriggio del 14 aprile dedicato allo Zvanì riminese, su tre ore abbondanti di interventi soltanto venti minuti (da parte del sottoscritto) sono stati dedicati al soggiorno di Pascoli nella nostra città tra 1871 e 1872, limitati soprattutto alla vita scolastica per non ripetere cose già scritte in precedenza. Molte questioni restano da affrontare, ed il libro di Barilli ne è conferma. Non interessa a nessuno creare un pubblico evento locale, essendo il precedente di aprile partito da un progetto bolognese.
Tra gli altri esempi del Pascoli giovane poeta, o poeta giovane, c'è "La povera piccina" che Barilli esamina pure in chiave sociologica: "Siamo ancora a dovere ricordare l'alto grado di mortalità infantile in quegli anni, dato oggettivo, statisticamente accertabile, che assegna una concretezza documentaria alle molte bare di bambini e di adolescenti", che troviamo nei suoi versi.
Torniamo a quel sottotitolo sull'avanguardia debole, che è lo stesso Simbolismo, contrapposto alle avanguardie forti come il Futurismo che esaltava la "guerra, sola igiene del mondo". Il Simbolismo è contrastato da "audaci quanto sfortunate" pattuglie le quali avevano una mentalità tutta a favore del sistema di Natura, contrapposto a quello della imperante Tecnocrazia. La loro riabilitazione critica risale agli anni Sessanta del secolo scorso, quando quei "parenti poveri", quegli "avi di cui sino a qualche tempo prima ci si vergognava", furono tolti dalle soffitte in cui erano stati relegati. Dopo la metà degli stessi anni Sessanta, "con un epicentro attorno ai fenomeni ancora di incerta interpretazione del '68 e dintorni", al nostro Pascoli è affiancato il fratello D'Annunzio, se ho ben compreso il testo di Barilli, per una ragion politica che li considera poeti-vati da svalutare, dileggiare e liquidare.
Ma non è tutta colpa dei posteri se il nostro Zvanì nel 1911 applaude alla guerra di Libia, partendo (come scrive Barilli), da un'impostazione di sinistra ed approdando ad esaltare un'impresa colonialista.
Antonio Montanari

Pascoli in libreria
["il Ponte", Rimini, n. 18, 13.05.2012]
Scriveva Renato Serra che, per le cerimonie in morte di Giovanni Pascoli, "l'anima stanca e lieve del vecchio poeta doveva sentire qualche noia di quel grosso rumore". Invece la commemorazione a San Mauro nel 1913, da parte di Alfredo Panzini, parve al critico cesenate fra tutte la più bella e la più degna.
Tre anni prima Serra in una lezione aveva detto che Pascoli, con il vestito alla buona e quel caratteristico cappello romagnolo calcato sulla testa, "non ha proprio niente del poeta manierato e squisito a cui la civiltà moderna ci ha avvezzi".
Le pagine serriane tornano in mente leggendo le novità editoriali che celebrano i cento anni dalla morte di Zvanì. Pierluigi Sacchini (in "G. P.: l'ultimo viaggio", Luisè, Rimini) racconta proprio il corale omaggio al poeta appena scomparso, non tralasciando nulla, come le "aspre polemiche sulla religiosità e sull'anticlericalismo del poeta". Al funerale bolognese è presente pure "un giovane irrequieto socialista uscito dal carcere da neanche un mese", Benito Mussolini.
Nelle 300 pagine di grande formato di "G. P., vita, immagini, ritratti" (a cura di V. Cerretti e con testi di G. M. Gori, R. Boschetti e U. Sereni, Step, Parma), si ripercorrono sentieri nascosti e strade maestre della biografia di Zvanì, con l'intendimento di raccontarne la poesia attraverso la sua vita quotidiana. Ed al lettore si offre pure un ampio documentario dell'Italia che Pascoli percorse, nelle sue varie peregrinazioni. Intense le pagine di Gori sul giovane Pascoli a Rimini che con un nobile affanno cerca una visione della vita che non sia di accettazione dei soprusi, come testimoniano i versi composti per le nozze della contessa Anna Maria Torlonia con il principe Giulio Borghese: "si succia ognor al povero le vene / sotto l'onesto vel di comun bene". A quel periodo appartiene pure uno scritto satirico contro tal Nebulone, che sul Ponte (n. 14, 2004 ["Pascoli giovane, 2009"]) abbiamo identificato nel romanziere e giornalista Giuseppe Rovani (1818-1874).
Un volume completamente diverso è quello che hanno curato M. A. Bazzocchi e G. Bellavia, "G. P. I sogni del fanciullino" (BUP, Bologna), che riassume per un pubblico giovanile i temi principali dell'esperienza umana e dell'opera letteraria del Nostro. Come dimostra il capitolo iniziale dove lo si definisce "un giovane studente inetto" che conosce bene le lingue antiche, ammira il suo maestro Giosue Carducci (finalmente è scritto bene il nome, Giosue e non Giosuè!), ma perde tempo frequentando le riunioni segrete di ribelli anarchici ed internazionalisti: "Trascorrerà tanto tempo vagabondando, dal 1873 al 1882, prima di arrivare alla laurea".
Un ultimo volume, firmato dallo stesso Pascoli, è "Il fanciullino" (con preziose e dotte pagine introduttive di G. Agamben, Nottetempo, Roma), con il classico incipit: "È dentro di noi un fanciullino che non solo ha brividi [...] ma lagrime ancora e tripudi suoi". E quella nota finale del poeta: questi pensieri "più che una confessione [...] sono veri e propri moniti a me stesso".
Antonio Montanari


Pascoli studente di seconda liceo, Rimini 1871
Carte inedite sugli amici di scuola, tra cui c'è Pellegrino Bagli

["il Ponte", Rimini, n. 17, 06.05.2012]
Giovanni Pascoli ha 16 anni quando giunge a Rimini nel novembre 1871, quattro dopo l'uccisione del padre Ruggero, e tre dalla morte della sorella Margherita e della madre Caterina Vincenzi. Il fratello Luigi, 17 anni, se n'è appena andato il 19 ottobre per meningite. Con Giovanni, ci sono gli altri cinque: Giacomo (19 anni), Raffaele (14), Giuseppe (detto Alessandro, 12), Ida (8), e Mariù (6) futura biografa ufficiale del poeta.
"L'appartamento, già scelto da Giacomo ed arredato con lettini di ferro e di legno, e con mobili di casa nostra, era in uno stabile interno di via San Simone, e si componeva del pianterreno e del primo piano", narra Mariù: "La vita che si conduceva a Rimini... era di una economia che appena consentiva il puro necessario". In questa miseria maturano le scelte culturali e politiche di Pascoli. Favorite anche dal clima che trova nel Liceo Gambalunga, dove è iscritto alla seconda classe. Pochi mesi prima vi è accaduto un episodio che agita la città ed illustra le inquietudini del mondo giovanile riminese del tempo. Lo ricostruiamo con carte inedite dell'Archivio Storico Comunale.
Sabato 3 giugno due studenti entrano nelle grotte del palazzo, dopo averne forzata la porta. Li vede un "giovane di bottega" del bidello Clemente Vernocchi che chiama immediatamente le Guardie municipali le quali ispezionano le grotte ed i locali superiori, però "senza rinvenire alcuno".
Nel pomeriggio Vernocchi informa il direttore della scuola "come persone si fossero introdotte dalla parte ultima superiore del Palazzo Gambalunga in una delle latrine, che sporge in uno dei cortili, e che ivi facevano pressa e rumore alla porta per uscire". Il direttore si reca subito al Palazzo Gambalunga, dove ordina a Vernocchi di "portarsi ad aprire". Dalle scale scendono i due alunni del primo corso liceale Luigi Garzolini e Pellegrino Bagli.
Il direttore il giorno 5 invia un "rapporto" al sindaco di Rimini: "Feci loro il dovuto rimprovero, aggiungendo, che ne avrei data parte alla S. V. Illustrissima". Il "rapporto" segnala che "mette veramente raccapriccio il vedere l'immenso pericolo a cui si sono esposti" i due giovani per la loro sconsideratezza. Essi infatti sono "discesi dai soffitti del Gambalunga mercé una vecchia assicella appoggiata fra muro e muro sopra una leggerissima sporgenza di mattoni nella Latrina, che pende su di una profonda altezza".
Il sindaco decide la sospensione dei due allievi "fino a nuovo ordine" ed incarica la "Commissione degli Studj" d'esaminare il caso, "per le ulteriori misure che si crederà d'assumere". Il bidello Vernocchi accusa: "I suddetti due scolari sono soliti nell'uscire a far del chiasso". Il professor Carlo Tonini (che sarà anche insegnante di Pascoli per le Lettere greche e latine), dichiara che i due sono "poco studiosi, poco docili, poco educati", e che "se codesti due scolari se ne andassero, la scuola rimarrebbe più quieta". Il professor Luigi Tonini, docente di Storia e padre di Carlo, sottolinea: "Le ammonizioni fanno con loro poco frutto". Ribadisce che sono "poco educati" e che "quando non vi sono essi, la Scuola va meglio". Concorda pure il prof. di Matematica, Luigi Giacomini: i due "mancano spesso da scuola, e studiano poco".
Gli imputati confessano. Trovarono la cantina aperta, e vi furono rinchiusi dal bidello Vernocchi. Il 15 novembre Pellegrino Bagli invia una domanda di perdono al sindaco: "Che mai, io chiedo, che mai ho io fatto? Perché tanta severità per libero ed onesto cittadino; mentre vediamo il vile sicario girare per le pubbliche vie, e far parte dei pubblici e privati divertimenti. Ella dirà ch'io vado fuori d'argomento, ma con questo ho voluto mostrare che quegli il quale o per educazione o per tema non fa atti violenti, viene trattato da vile schiavo. Abbastanza ho detto". S'intravede già il Pellegrino Bagli (1854-1893) che sarà amico di Andrea Costa e socialista, svolgendo un'intensa attività politica.
Antonio Montanari
La casa in via San Simone ed una lapide bugiarda
I documenti presentati qui, saranno illustrati il 12 maggio alle 15,30, al Museo della Città dall’autore del pezzo, Antonio Montanari, nel corso di una giornata di studi organizzata da Oriana Maroni per la Biblioteca Civica Gambalunga, con altri interventi di Marco Veglia, Elisabetta Graziosi, Umberto Carpi e Dino Mengozzi. Ingresso libero pure per il concerto delle 18, con canti anarchici tra Ottocento e primo Novecento.
La via San Simone ricordata da Mariù Pascoli, oggi si chiama Alessandro Serpieri, maestro di Giovanni ad Urbino. La casa abitata dai Pascoli corrisponde all’odierno civico 17. Lì vicino sorge il palazzo Martinelli dove nel 1798 morì Aurelio Bertola.
Dal 1962 nella piazzetta “delle poveracce” una lapide bugiarda ricorda, sul muro dell’antica locanda “dell’Unione”, che lì “abitò studente” Giovanni Pascoli “negli anni 1871 e 1872”. In una di quelle stanze, la numero sei, il poeta invece passò una notte ed un giorno nel settembre 1877. Era in bolletta dura tanto che, non potendo saldare il conto (lire 41,50), lasciò in pegno all’albergatore Matteo Barbiani un po’ di “biancaria”: tre camicie, un paio di mutande ed un fazzoletto.
Per veder onorato il debito, Barbiani (1878) si rivolse inutilmente ad un fraterno e ricco amico di Pascoli, Domenico Francolini, mazziniano e poi anarchico. La “biancaria” del poeta fu regalata ad un povero attore di passaggio per Rimini.
Pascoli conosce Francolini proprio nel 1871-72, quando ha come compagno di classe Caio Renzetti, ex garzone di barbiere. Non avendo “modo alcuno di provvedersi di libri, e, quel che è peggio, dell'alimento necessario a chi tutto il giorno dee applicarsi allo studio”, Renzetti chiede al Comune un sussidio mensile. Francolini e Renzetti sono accomunati da un impegno sociale che dura per tutta la vita.
Chiara Zoli

Alle pagine di Riministoria su Giovanni Pascoli.
Al testo integrale su Pellegrino Bagli.


Fanciullino bastonato.
In ricordo di Giovanni Pascoli.

["il Ponte", Rimini, n. 15, 22.04.2012]

In Toscana si preparavano alle cerimonie ufficiali per il centenario (6 aprile) della morte di Giovanni Pascoli, celebrato in pompa magna a Barga.
Nella Romagna solatìa dolce paese, di Zvanì si ricordavano a bocca storta alcune cose, per etichettarlo come il Vecchio Poeta, e lodare qualcun altro (appena) passato nel mondo dei più.
È successo, per essere precisi, con la scomparsa di Elio Pagliarani, di cui un altro collega poeta (ci si scusi l'iniziale minuscola), Sergio Zavoli, diceva che Pagliarani appunto aveva rifiutato ogni "poetica ridondante, sentimentale e fanciullina".
Poi nella nostra Rimini è arrivato l'assessore provinciale alla Cultura Carlo Bulletti, con un esemplare comunicato da tramandare ai posteri per l'incipit di rara presunzione: "Non tutti sanno che...". E l'assessore, pure lui, se la prendeva con le parole fanciulline, evocandole attraverso richiami precisi come il "linguaggio aulico" e lo "stucchevole lirismo".
Pascoli nel 1897 pubblica un saggio, "Il fanciullino", in cui spiega le sue idee sulla Poesia, mica si mette a cantare canzonette da asilo-nido.
Roberta Cavazzuti in un volume (2004) della collana dedicata alla storia della Letteratura italiana diretta da Ezio Raimondi per la Bruno Mondadori, riassume in maniera mirabile quelle idee.
La novità di Pascoli si può sintetizzare con questa frase della Cavazzuti: "Il poeta coincide con il fanciullo che è in ognuno di noi, non solo in qualche uomo superiore, privilegiato...".
Da non tralasciare un altro passaggio fondamentale: "la poetica pascoliana ripudia" sia la retorica di Carducci sia la dannunziana liturgia della parola.
Bastano queste due brevissime citazioni per comprendere che l'esperienza pascoliana (con tutti gli annessi e connessi storici), è qualcosa di più di un'etichetta di comodo con la quale porla nel dimenticatoio, per privilegiare i meriti di chi è venuto dopo.
Meriti che non mettiamo in discussione, a patto che non li si spedisca in ridicola concorrenza con quelli di chi ha vissuto altre e più lontane epoche.
Zvanì non è un Vecchio Poeta da rinchiudere in soffitta per cedere posto ad altre Glorie più recenti.
Nelle storie della Letteratura, c'è posto per tutti quanti sono scomparsi dal palcoscenico della vita.
Lasciate che a sbranarsi siano i contemporanei vegeti che ambiscono alla pretesa di esserne unici protagonisti. E che, con tutti i mezzi, cercano di realizzare un loro sogno da inutili superuomini.

Antonio Montanari
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Anno XIV, n. 197-199 speciale Pascoli, Maggio-Luglio 2012
1653. Date created: 09.05.2012. - Agg. 21.06.2012, 17:13./
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