Diario italiano
Il Rimino 206, anno XV
Marzo 2013 Speciale Rimini Moderna 7

Alle origini di Rimini moderna (7). Venezia concede privilegi per il commercio, tutte le cause civili o criminali debbono essere discusse in città, i ribelli e i fuorusciti sono perdonati
Mare, monti e agricoltura
["il Ponte", 10.03.2013]


Passata sotto il dominio veneto nel 1503, Rimini ottiene condizioni di favore per la sua vita economica nei patti (detti “Capitoli”) approvati dal Doge. Ce li ha tramandati integralmente Cesare Clementini.

Via i dazi
Sono tolti i dazi sul commercio dei grani, e sul metter nei magazzini grano, biade e vino. Il vino esportato a Venezia da cittadini, abitanti di Rimini e del contado, e dai proprietari stessi, paga il dazio secondo le regole della terre soggette alla Repubblica nella Dalmazia. Delle somme riscosse per condanne e pene, fanno a metà il Comune di Rimini e la Camera ducale veneta. Si riconoscono a Rimini questi privilegi, consuetudini ed immunità: libera navigazione da e per il nostro porto con qualsiasi tipo di mercanzia, senz'obbligo di andare a Venezia. Le esenzioni per il commercio, sia via terra sia via mare, previste soltanto per i periodi di fiera, sono estese a tutto l'anno. Il transito verso Bologna è libero con il consueto pagamento dei dazi, senza l'obbligo di condurre le merci a Venezia, “eccetto i minerali, e altre mercantanzie espressamente dal Senato proibite”. I riminesi possono richiedere dall'Istria tutto il legname di cui abbiano bisogno.

Giustizia sommaria
Un punto particolare dei “Capitoli” è quello che prevede l'affidamento degli Uffici in città e in tutti i luoghi ad essa sottomessi, soltanto “a Cittadini, e ad altre persone idonee” dei medesimi luoghi. Le ricompense agli incaricati non debbono aumentare. Tutte le spese per l'organizzazione della vita pubblica (ovvero le paghe a Rettori della città, giudici, custodi delle porte, e così via elencando), non debbono essere sostenute dalla Repubblica veneta ma dalla città di Rimini. Altrettanto interessante è il patto che impone di gravare su cittadini o contadini per le spese pubbliche soltanto in tempo di necessità o di sospetto di guerra. L'obbligo di alloggiare le truppe, dando loro paglia e legna, spetta soltanto agli uomini del Contado e non ai cittadini, “come è stato solito”.
I cittadini e gli abitanti di Rimini che siano proprietari di terre nel Contado, possono liberamente portare in città “tutte le frutta” che vi raccolgono senza pagare dazio, bolletta o colletta. Tutte le cause, civili o criminali che siano, debbono essere discusse in città per minore spesa dei sudditi. A cittadini ed abitanti è garantito un prezzo di favore per l'acquisto del sale. Chi nei fatti recenti di rivolte e saccheggiamento abbia subìto un danno, faccia conoscere la verità in modo che i Rettori possano procedere a “sommaria giustizia senza strepito di lite”. Per il dazio pagato da chi non è riminese, è prevista la misura della metà da versare alla comunità locale e dell'altra metà per la Camera ducale di Venezia.
Per cinque anni non sono ammesse denunce di forestieri a carico di riminesi, relative a fatti antecedenti al dominio veneziano. Infine al Comune di Rimini è concesso di tenere una casa a Venezia per ospitarvi i suoi cittadini, con privilegi ed immunità goduti dalle altre città suddite della repubblica.

Ribelli perdonati
Clementini ricorda poi che al Senato di Venezia piacque concedere, senza esserne stato richiesto, che “tutti i fuorusciti, e Ribelli potessero liberamente rimpatriare”, e che gli fossero restituiti i beni già confiscati. Era una misura di pacificazione, come suol dirsi, per chiudere una pagina scottante del passato. Ma il Provveditore di Rimini Domenico Malipiero volle proseguire con le condanne e le confische, per cui gli interessati (“particolarmente i Belmonti, e gli Adimari”) si rivolsero al Senato. Che così stabilì: le delibere già prese per confische, vendite ed alienazioni sono sospese e non vanno eseguite. Intanto a Roma il cavalier Carlo de Maschi, “Legista celeberrimo Riminese”, fatto senatore dal papa e “poco prima levato dalla devozione de' Malatesti”, cerca di convincerlo a recuperare Rimini alla Chiesa. Il che avviene il 26 maggio 1509, dopo la sconfitta di Venezia, il 14 maggio da parte della lega di Cambrai. (Nel 1503 dal 2 ottobre al 24 novembre Pandolfo IV è di nuovo signore di Rimini, ma sotto il governo veneziano.)

La nostra geografia
Nei “Capitoli” veneziani, ci sono alcuni aspetti da considerare. Quando si dichiarano non ammissibili per cinque anni le denunce di forestieri a carico di riminesi, per fatti antecedenti al dominio veneziano, si è consapevoli che nei momenti più inquieti possono agire dei provocatori che manovrano la cosiddetta plebe. Come dimostra Francesco Guicciardini per anni successivi, c'è chi agisce localmente ma ha legami con le altre realtà italiane. Abbiamo incontrato Francesco Biancuto: a Rimini fa il capo dei ribelli sostenitori dei Malatesti, a Milano ed a Ferrara invece lavora come spia al servizio di Roma. Il perdono concesso a fuorusciti e ribelli è una conseguenza di questa decisione puramente politica, di calmare le acque.
Infine ci sono i provvedimenti economici che alleggeriscono i costi dei prodotti e favoriscono le esportazioni ed i commerci in entrata. Questo aspetto è legato alla condizione geografica di Rimini. Con il porto può guardare ad Oriente, tenendo d'occhio proprio Venezia i cui mercanti, come insegna Carlo M. Cipolla, già dal Duecento sviluppano tecniche d'affari superiori a quelle tradizionali di Bisanzio. La campagna riminese produce in quantità che variano secondo gli anni: ci sono i periodi di maltempo e di passaggio di truppe, spiega Carla Penuti, che rovinano campi e raccolti. Ne deriva quel flagello della fame che un canonico bolognese, Gian Battista Segni, nel 1602 definisce più crudele della peste. Le carestie, spiega Penuti, caricano le amministrazioni cittadine di spese e blocca il capitale privato per trovare cibo. Ne patisce anche il settore manifatturiero, lasciato senza investimenti.

La via dei monti
Oltre alle campagne ed al mare, ci sono infine pure le montagne. L'Appennino non ci separa dalla Toscana, ma ci unisce ad essa. Lo dimostrano la vicenda di Dante esule a Ravenna e quella delle origini dei Malatesti, per le quali esiste un preciso itinerario tra Romagna, Marche e Toscana.
Nel 1121 c'è un atto relativo ad Ugo detto “Malatesta” e ad un monastero della Toscana, San Lorenzo di Coltibuono. Nel 1129 lo stesso “Malatesta” si avvicina alla Romagna, figurando proprietario di un terreno sulla costa marchigiana a Casteldimezzo, fra Cattolica e Pesaro. Infine il 18 aprile 1131 il nome di Ugo appare in un atto relativo alla località riminese di San Lorenzo in Monte. Un “Istrumento del 1132” (sempre per San Lorenzo in Monte) reca fra i testimoni “un Ugo Malatesta”, come scrive L. Tonini. Nel 1184 una Berta degli Onesti di Ravenna è moglie di tal Malatesta, che lo storico ravennate Vincenzo Carrari battezza “Minore”.
Questo viaggio nel passato della nostra storia, ci offre l'occasione di due brevi annotazioni, giostrate su autorevoli opinioni di illustri studiosi. La prima è di un grande storico della Letteratura, Ezio Raimondi, che, a proposito del Rinascimento, ha spiegato la necessità di ridisegnare una sua “geografia nuova”, con il canone della “complessità irriducibile a tradizionali formule di comodo”. Trasferendoci in campo storico, piuttosto che seguire la catena dei fatti, dovremmo seguire il modello “di una maglia o rete” di Carlo Emilio Gadda, con fatti e figure che s'intersecano fra loro. Gadda sostiene poi che occorre avere coscienza di questa “complessità”, sulla quale torna Raimondi.
L'altra annotazione è di Cipolla: la storia economica per riuscire comprensibile deve essere anche storia sociale. Né la prima né la seconda tipologia di indagine sul passato, sono state sviluppate a Rimini, per cui i provvedimenti veneziani appaiono semplici elenchi che riguardano l'alta politica e non tutta la vita di un territorio.
(7. Continua)

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Antonio Montanari

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"il Ponte", settimanale, n. 10, 10.03.2013, Rimini




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