Diario italiano
Il Rimino 222, anno XVI
Giugno 2014

10 giugno 1940
Anniversari. Dieci giugno 1940. La signora Luisa aveva 31 anni. Era in viaggio di nozze a Roma, si era sposata la mattina prima. «Pranzammo in un ristorante, nella sala si vedevano facce stralunate, girava la voce che il duce avrebbe parlato verso le 18. Noi ci rattristammo molto: poi siamo andati ad ascoltare il discorso di Mussolini che ci ha annunciato l'entrata in guerra dell'Italia. Il silenzio e la tristezza dominavano l'atmosfera. Eravamo sconvolti, dopo tre giorni tornammo a casa. Si vedevano giovani soldati partire, alcuni di loro non ritornarono più a casa. Una sposina della mia età, che aveva fatto la cerimonia nella messa dopo la mia, perse subito il marito».
Le scene ufficiali del regime proclamavano invece entusiasmi traboccanti, davanti alla parola d'ordine della follia di guerra: "Vincere!".
Era un'estate che chiudeva una fase della storia italiana. Vacanze? «I borghesi benestanti» narra Marco Innocenti nel suo bel volume edito di recente da Mursia, "L'Italia nel 1940", avevano scelto «Rimini, palestra delle pose statuarie dei gerarchi e passerella delle dive autarchiche, oppure Riccione, di gran moda perché l'ha lanciata Mussolini, che arriva di sorpresa su un idrovolante bianco…».
Lasciamo passare dieci anni. A Rimini, nel 1950, si riapre e consacra il Tempio malatestiano, che le bombe avevano violato e colpito. Nasce una manifestazione, la Sagra musicale che ricalca un'analoga iniziativa umbra. La musica ha sempre espresso tutto dell'uomo. Milano per prima cosa ricostruì la Scala, Toscanini l'inaugurò dirigendo il coro del "Nabucco". Rimini disse la fiducia in se stessa tra le severe immagini sacre e le gioiose allegorie dei bassorilievi. Nell'enigma del Tempio, la Storia riverniciava il passato, per spingere a vivere una nuova vita.
Oggi, quegli anniversari sono memorie, foto e fogli ingialliti, volti che hanno profili diversi, abiti che dichiarano il tempo passato. Invitano ad una riflessione, proiettata nel futuro.
La Rimini risorta dalle macerie e dalle ceneri, non fu soltanto mare e folclore. Ma cultura suonava parola d'élite, faceva storcere la bocca a molti. Poi la città, fu soprattutto voglia di scrivere una pagina nuova. Furono commessi molti errori d'ortografia. Con il tranquillo senno di poi, si accusano i riminesi di non aver rispettato allora i resti antichi. E' vero. Forse a qualcuno l'antico passato, con il culto della romanità ed i miti imperiali ed imperialistici, fece odiare gli innocenti pezzi di vecchi monumenti. E la ruspa apparve come strumento di liberazione da quel passato. Non aveva insegnato Sigismondo che, se mancavano soldi o pietre per fare il nuovo, si poteva distruggere tranquillamente il vecchio? Dall'illustre Malatesta, comincia il modello culturale ed urbanistico della città?

[Tama 349, «Date», «il Ponte», 3 giugno 1990]

© by Antonio Montanari 2014

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Anno XVI, n. 222, Giugno 2014
2030, 10.06.2014
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