LE CORBUSIER

 

 

 

Nell’Esposizione d’Arti Decorative di Torino del 1902, quella che segnò l’effimero trionfo dello stile liberty, tra gli splendidi oggetti disegnati da Mackintosh, da Horta era esposto e fu premiato un orologio da taschino, opera di un cesellatore svizzero di quindici anni, allievo di un maestro d’arte di La-Chaux-De-Fonds. Quell’abile cesellatore si chiamava Charles-Edouard Jeanneret, e più tardi avrebbe assunto, ricordandosi degli avi paterni, il nome d’arte di Le Corbusier.

“Il mio maestro -, scriverà l’architetto, - aveva detto: <<Solo la natura è ispiratrice, è vera, e può essere il supporto dell’opera umana. Ma non fate mai alla maniera dei paesaggisti, che della natura mostrano solo l’aspetto esteriore. Scrutate invece la causa, la forma, lo sviluppo vitale e fatene la sintesi, creando degli ornamenti>>[…]”. Per qualche anno il giovane apprendista aderisce entusiasta a quest’ideologia, tipica del fine secolo. Presto uno spirito di ribellione lo guida verso nuovi orizzonti, lo spinge ad allontanarsi dalla sua città natale per conoscere il mondo e tentare la strada del genio creatore.

Dal giugno del 1907 Le Corbusier compie un viaggio in Europa: Toscana, Firenze, Ravenna, Padova, Venezia, Trieste, Budapest e Vienna. Nella capitale austro-ungarica visita l’architetto Josef Hoffmann ed entra nel suo studio che abbandona dopo soli quattro giorni. Nell’inverno del 1908 assistendo ad una rappresentazione della Bohéme di Puccini decide di trasferirsi a Parigi, dove lavora a mezza giornata, fino alla primavera del 1909, nello studio di un altro grande innovatore: Auguste Perret, il pioniere del cemento armato, che gli insegna a diffidare del disegno e a credere nella forza della struttura e nelle virtualità estetiche dei nuovi materiali.

“La mia vita parigina -, scrive, - è una vita solitaria. Da otto mesi vivo solo, solo con questo spirito forte che si trova in un uomo solo, e con il quale io voglio continuamente convivere”. L’esperienza parigina non gli basta, lo convince anzi che, per formarsi e diventare, secondo le sue aspirazioni, un vero inventore, occorre continuamente studiare. Nel 1910 è a Berlino, dove s’impegna nello studio di Behrens, in cui più o meno contemporaneamente lavorano anche Gropius e Mies Van Der Rohe. La disciplina di Behrens però non gli piace, giudica il maestro un architetto di facciate e non gli perdona il carattere scontroso. A questo periodo risalgono lo studio delle case Dom-ino (un sistema di struttura-ossatura indipendente dalla pianta).

Nel maggio del 1911, bruciata l’esperienza berlinese, dopo un viaggio nell’Europa orientale, torna a La Chaux De Fonds dove insegna composizione decorativa e realizza dei progetti influenzati dall’esperienza tedesca (casa Fallet, casa Stotzer, casa Jacquemet, casa Jeanneret, casa Favre, cinema Scala, casa Schwob).

Nel 1917 Le Corbusier si trasferisce definitivamente a Parigi, Perret gli presenta il pittore Amédée Ozenfant, che lo spinge verso le arti visive. Contemporaneamente studia il problema delle case economiche in serie e fonda una fabbrica di mattoni ad Albertville. I sogni industriali finiscono con il fallimento della fabbrica, nel 1920. Proprio in quel periodo esce il primo numero della rivista “Esprit Nouveau” fondata nel 1919 con Paul Dermée e Ozenfant. Con Ozenfant crea il purismo, pubblicando, nel1918, il manifesto “Après le cubisme”.

Nel 1922 apre un atelier d’architettura in Rue de Sevres insieme al cugino Pierre Jeanneret. E’ finita la preistoria di Le Corbusier, inizia la fase più importante della sua formazione.

Nello stesso anno mostra, al Salon d’Automne, il suo progetto di una Città per Tre Milioni d’Abitanti, che sarà un caposaldo per i futuri studi urbanistici.

L’anno successivo pubblica “Verso una Architettura”, il libro d’architettura più importante della prima metà del secolo scorso, un esplosivo manifesto in cui sostiene che l’impegno nel rinnovamento dell’architettura può sostituire la rivoluzione politica, può realizzare la giustizia sociale. Nel libro tratta di tre dei cinque punti: i pilotis, i tetti-giardino e la finestra a nastro. A questi tre elementi si aggiungeranno qualche anno dopo la facciata libera e la pianta libera. Sono i famosi “cinque punti di una nuova architettura” applicati con intenti teorematici in una delle opere più importanti del razionalismo architettonico, villa Savoye a Poissy del 1929.

 

I cinque punti espressi in Verso una Architettura:

 

 

 

 

 

 

 

1.            I Pilotis. Risolvere un problema in maniera scientifica significa innanzi tutto distinguere i suoi elementi. In una costruzione si possono senza dubbio separare le parti portanti e non. Al posto delle primitive fondamenta, sulle quali poggiavano setti murari, il cemento armato permette di usare fondamenta puntiformi e al posto dei muri pilastri. I pilotis sollevano la casa dal suolo, gli spazi vengono sottratti all’umidità del terreno e hanno luce ed aria. La superficie occupata dalla costruzione rimane al giardino che passa sotto alla casa, il giardino è anche sopra la casa, sul tetto.

 

2.            I Tetti Giardino. Il tetto piano richiede in primo luogo un utilizzo logico ai fini abitativi: tetto-terrazza, tetto-giardino. Il calcestruzzo richiede una protezione dagli sbalzi termici, per assicurarne una maggior durata. Il tetto-terrazza soddisfa anche quest’esigenza, adottando una misura particolare di protezione: sabbia ricoperta di lastre spesse di cemento, a giunti sfalsati seminati con erba. L’effetto ottenuto e quello di una massa termoregolatrice, radici e sabbia lasciano filtrare l’acqua lentamente. I tetti-giardino diventano opulenti: fiori, arbusti e alberi, prato. In generale per una città i tetti-giardino significano il riscatto di tutte le superfici edificate.

 

3.            Il Plan Libre. I muri portanti, partendo dal sottosuolo, si sovrappongono formando il pianterreno e gli altri piani, fino al tetto: la pianta è schiava. Il sistema dei pilastri porta i solai, i tramezzi sono posti a piacere secondo le necessità e nessun piano è vincolato all’altro. Non esistono più pareti portanti ma solo membrane solide a piacere, ne consegue l’assoluta libertà di configurazione della pianta, che consente una grande economia di volume costruito e un rigoroso impiego di ogni centimetro quadrato, che compensano i maggiori costi di una costruzione in calcestruzzo armato.

 

4.            La Fenetre En Longeur. I pilastri formano, con i solai, vuoti rettangoli in facciata, attraverso i quali luce ed aria entrano abbondantemente. La finestra corre da un pilastro all’altro, e sarà quindi una finestra in lunghezza. Gli spazi in tal modo sono illuminati uniformemente da parete a parete. Il cemento armato rivoluziona la storia della finestra. La finestra può correre da un bordo all’altro della facciata. Il calcestruzzo armato offre per la prima volta con la finestra in lunghezza la possibilità di massima illuminazione.

 

5.            La Facciata Libera. Giacché si fanno aggettare i piani rispetto i pilastri portanti l’intera facciata si sposta all’infuori rispetto la struttura. Essa perde quindi la qualità portante, e le finestre possono essere estese in lunghezza a piacere, senza diretta relazione con la suddivisione interna. Così la facciata ottiene una configurazione libera.

 

 

 

 

 

 


Nel 1921 ha contatti con Raoul La Roche raccoglitore di opere cubiste per il quale realizzerà la casa La Roche - Jeanneret, nel 1923.

Nel 1925 un industriale di Bordeaux offrì a Le Corbusier e Pierre Jeanneret la possibilità di volgere in pratica le loro teorie. “Pessac deve servirvi da laboratorio. Mi aspetto che formuliate chiaramente il problema della pianta e che ne troviate la standardizzazione. Muri, solai e tetti devono essere improntati alla massima solidità e funzionalità e venir montati secondo il metodo tayloristico con delle macchine, di cui vi autorizzo l’uso”. Pessac è costruita in cemento armato con il metodo della standardizzazione, industrializzazione, taylorizzazione. La struttura è costituita da un’unica trave in calcestruzzo armato lunga cinque metri. Pessac sorse in meno di un anno.

Nello stesso anno propone un piano urbanistico per Parigi, il Plan Voisin, in cui si sarebbe abbattuto buona parte del cinquecentesco quartiere del Marais, lasciando in piedi solo qualche monumento come souvenir. Sulle macerie della vecchia Parigi sarebbero sorti diciotto grattacieli cruciformi alti una settantina di piani in mezzo a zone verdi attraversate da un sistema di strade a scacchiera.

E’ questo il periodo caratterizzato dalla formazione di un linguaggio personale in cui confluiscono le scoperte del cubismo e del purismo.

Dopo La Roche e Pessac, nel 1927 realizza, a Garches, la villa Stein. Questa casa che riunisce in sé confort, lusso ed estetica architettonica, rappresenta una tappa importante nell’opera di Le Corbusier. Tutta la casa è sorretta da uno schema di pilotis posti a intervalli di 5 di 2,5 metri (riuniti tutti insieme formerebbero una sezione in cemento armato di soli 110 x 80 cm2) che non vincolano in alcun modo la disposizione interna degli spazi.

Nel 1928 realizza una villa a Cartagine in cui vi era il problema di trovare un’adeguata protezione dal sole e di garantire una costante ventilazione. Il problema è stato risolto dotando la casa di un frangisole che getta ombra alle stanze e collegando i piani uno all’altro, così da ottenere una costante ventilazione.

Ma il vero capolavoro di Le Corbusier è villa Savoye a Poissy, del 1929. Come villa Stein, anche questa è una residenza di lusso, collocata in una radura circondata da boschi, a trenta chilometri da Parigi. Il piano d’abitazione col tetto-giardino è sorretto da pilotis. La composizione è coronata dal solarium sul tetto, i muri curvi proteggono dal vento ed arricchiscono tutta l’architettura.

E’ lo stesso Le Corbusier, nel 1929, a proporre una classificazione in quattro tipologie delle sue opere in relazione dello spazio, della struttura e dell’involucro.

Il primo tipo mostra come ogni elemento sorga accanto al suo vicino secondo una logica organica: ”Il dentro fa i suoi comodi e spinge il fuori a formare le sporgenze e i diversi profili”. Questo principio conduce a una composizione “piramidale”, che può divenire tormentata se non si fa molta attenzione, l’esempio è villa La Roche.

Il secondo tipo evidenzia invece la compressione dei diversi elementi all’interno di una rigida linea di inviluppo, assolutamente pura. Problema complesso, può rappresentare un piacere per lo spirito, un grosso dispendio di energia spirituale per superare gli ostacoli che ci si è imposti, l’esempio è villa Stein.

Il terzo tipo determina, per mezzo della struttura in vista, un inviluppo semplice, chiaro, trasparente come una rete; consente di sistemare, ad ogni piano in modo diverso, le dimensioni di ingombro dei singoli vani, liberamente giustapponendole in forma e quantità. Tipo interessante e particolarmente adatto a certi climi; composizione molto facile, e piena di possibilità alternative, l’esempio è la villa a Cartagine.

Il quarto tipo segue, per quanto riguarda il profilo esterno, la forma pura del secondo tipo, verso l’interno, invece, comporta gli stessi vantaggi, le qualità del primo e del terzo tipo. E’ questo un tipo puro, molto generoso, anch’esso pieno di risorse, l’esempio è villa Savoye.

Intanto nel 1927, partecipa al concorso per il Palazzo della Società delle Nazioni a Ginevra, in cui propone organismi separati per le varie attività: ordinaria-giornaliera, saltuaria, trimestrale, annuale. In una superficie ritenuta insufficiente da molti accademici Le Corbusier riesce a muoversi con grande libertà contenendo anche il preventivo. Fu l’atteggiamento dapprima incerto a poi negativo del presidente della giuria internazionale, Victor Horta, a condannare clamorosamente il progetto di Le Corbusier, a favore di alcuni accademici.

Tra il 1929 e il 1931 progetta a Mosca. Il Centrosoyus realizzato con struttura in cemento armato e riempimento dei muri in tufo rosso del Caucaso di 40 cm di spessore, l’unico a garantire un sufficiente isolamento con uno sbalzo termico dai -40 gradi esterni ai 18 interni. Partecipa al concorso ristretto per il Palazzo dei Soviet: il programma prevedeva un notevole complesso di sale, uffici, biblioteche, ristoranti, ed inoltre una sala di quindicimila posti per rappresentazioni di massa con un palcoscenico capace di contenere 1500 attori e una notevole quantità di materiali.

Nel 1930 costruisce il Padiglione Svizzero presso la Cité Universitaire di Parigi, l’esecuzione delle opere avvenne in condizioni difficili (finanziarie e per la natura del terreno) e offrì l’occasione di realizzare un vero laboratorio dell’architettura moderna. Furono affrontati problemi, quali quello della costruzione a secco e quello dell’isolamento acustico.

Sempre del 1930, riprendendo i canoni della città per tre milioni di abitanti, è la stesura del progetto urbanistico Ville Radieuse su cui Le Corbusier fa un appunto: ”La città di domani, dove sarà ristabilito il rapporto uomo-natura!”. I criteri fondamentali dell’organizzazione della città sono sviluppati in antitesi alla concezione della città-giardino a sviluppo orizzontale: decongestionamento del centro, concentrazione degli abitanti in edifici alti isolati nel verde, zona industriale isolata dal centro direzionale e residenziale da ampie fasce di verde, potenziamento dei mezzi di trasporto. Le tipologie adottate per l’abitazione sono i grattacieli << à redan>> e blocchi ad alveoli con giardino interno. I criteri della Ville Radieuse verranno utilizzati nella stesura dei piani urbanistici per la città di Saint Diè e per le città di: Rio de Janeiro, Sao Paulo, Buenos Aires, Montevideo, visitate nel 1929 durante un lungo viaggio nell’America meridionale. Nel Plan Obus per Algeri, il segno più forte è dato da un’autostrada urbana sospesa su una struttura in cemento nella quale, con massima libertà stilistica, sono stati ricavati alloggi per 180 000 abitanti. Nel 1941 esce anonima la Carta di Atene che definì il concetto di zonizzazione, destinato ad avere grande influenza sulla legislazione urbanistica successiva di molti paesi tra i quali particolarmente l’Italia e la Francia.

Nella pausa di relativa inattività imposta dalla seconda guerra mondiale Le Corbusier elabora e perfeziona il Modulor. Una gamma di dimensioni armoniche alla scala umana, universalmente applicabile in architettura e in meccanica. La sera del loro incontro a Princeton, Albert Einstein scriveva a Le Corbusier a proposito del Modulor: ”Si tratta di un sistema bidimensionale che rende difficile il male e facile il bene “. Questa invenzione di Le Corbusier, una volta brevettata, fu resa di dominio pubblico nel 1947. Nel 1948 apparve la prima edizione di Le Modulor, che fu ben presto esaurita e dovette essere ristampata. E’ apparso anche un secondo volume, Modulor 2. Le Corbusier aveva concluso il primo volume con le parole: ”Solo l’utente ha la parola”. E, infatti, il Modulor, senza la minima propaganda, si è diffuso in tutto il mondo; viene utilizzato con entusiasmo, specie dai giovani. Corrisponde ad un’esigenza impellente, poiché non si possono risolvere i moderni problemi della standardizzazione, normalizzazione, industrializzazione senza una nuova scala dimensionale. Il Modulor ne ha proposta una.

Sulle Unités d’Habitation scrive: “un avvenimento di importanza rivoluzionaria: sole, spazio, verde. Se volete che la famiglia viva nell’intimità, nel silenzio, conforme alla natura… mettete assieme 2 000 persone, prendetele per mano e attraverso un’unica porta andate verso 4 ascensori, ciascuno della capienza di 20 persone… Potrete così godere di quiete e di un contatto immediato esterno-interno. Le case saranno alte 50 metri. Bimbi, giovani e adulti avranno a disposizione il parco intorno all’edificio. La città sarà immersa nel verde e sul tetto delle case troveremo gli asili per i piccoli”.

L’occasione per realizzare un frammento della Ville Radieuse ideata quasi venti anni prima gli viene offerta dal ministro della ricostruzione, Claudius Petit, nel 1945. Ebbe la completa libertà di esprimere compiutamente le sue idee sull’abitazione moderna per le classi medie. La prima Unitè d’Habitation venne eretta in sette anni dal 1945 al 1952 a Marsiglia. Trecentotrentasette alloggi duplex, di ventitré tagli diversi (alloggi per persone singole, per due sposi, per famiglie con 2, 3, 4 o anche più figli); diciassette piani, nelle cavità dei possenti pilotis e nelle intercapedini del primo solaio inferiore furono installate condutture e impianti tecnici, poi il grandioso tetto-piazza-terrazza e la piscina; sette “strade interne” attrezzate con negozi a vari livelli. Parallelepipedo imponente che, rinnegando il gusto della superficie levigata, esalta il “beton brut”, il cemento roccioso colato in casseforme di legno grezzo, la materia scabra su cui è impressa la sigla del Modulor, i totem gaudiani sul cielo. Scrive al ministro Petit: “L’opera è là, sorta senza regolamenti, anzi contro disastrosi regolamenti. Fatta per gli uomini, a misura umana, nella robustezza delle tecniche moderne manifesta lo splendore del cemento armato. Le risorse sensazionali della nostra epoca sono messe a servizio dell’uomo”. Dopo Marsiglia realizza altre quattro unità a Nantes, Berlino, Briey-en-Forèt e Firminy-Vert. A Firminy Le Corbusier realizza prima di tutto la casa della gioventù e della cultura, poi l’unità , lo stadio sarà costruito postumo, inoltre progetta anche una chiesa.

L’unità di Marsiglia chiude il periodo più propriamente razionalista di Le Corbusier, anche se da qualche tempo ormai si avverte una accentuazione sempre maggiore dell’elemento plastico (le forme sul tetto-giardino di Marsiglia) e una marca brutalistica data dai materiali, soprattutto cemento a vista, esibiti nella loro essenza.

Gli ultimi quindici anni della creatività corbusieriana lo contestano, dandosi carico degli smarrimenti e delle crisi del secondo dopoguerra. Solo, tra i maestri del periodo, Le Corbusier ha il coraggio di registrare il crollo d’ogni speranza di riscattare il mondo con la ragione. I campi di sterminio nazisti, gli orrori bellici, le viltà civili e politiche, la prostrazione dei popoli sotto la dittatura, i crimini e le infamie non consentono più illusioni. Des Canons? Des Munitions? Merci ! Des Logis, s.v.p. (Cannoni ? Munizioni ? Grazie! Alloggi … per favore) così aveva intitolato un opuscolo nel 1938; ma le classi dirigenti si erano dedicate ad incrementare munizioni e cannoni. Le Corbusier rifiuta di bendarsi gli occhi, e dell’inconcepibile tragedia prende coscienza nell’urlo della Chapelle de Notre Dame du Haut a Ronchamp.

Siamo nel 1950 quando Le Corbusier liquida i cinque principi, gli immacolati volumi e le superfici terse, e tuona con rudezza medievaleggiante e furore tra barocco ed espressionista, realizzando la Chapelle de Notre Dame du Haut. La cappella è orientata secondo la tradizione con l’altare a levante. La navata principale (13 x 25 m) contiene 200 persone. Tre piccole cappelle, divise dalla principale, permettono lo svolgimento contemporaneo di più servizi liturgici. Queste tre cappelle hanno una particolare illuminazione naturale simile a quella di Villa Adriana presso Tivoli (che Le Corbusier aveva visitato nel 1910); le tre torri, in cui sono collocate le cappelle, terminano in alto con delle semicupole che mandano la luce in basso sugli altari. Contro i vecchi pilotis, un masso straripante e squarciato; contro la facciata indipendente e le finestre a nastro, muraglie da fortificazioni trafitte da strombi sghembi e flussi arcani di colore; contro le figure geometriche e stereometriche elementari, l’empito di fracassarle e sbranarle, dissacrazione di ogni a priori, compresi quelli corbusieriani del passato.

Ronchamp chiude la partita con l’illuminismo, con le idee universali assoldabili per qualsiasi finalità, anche per il razzismo hitleriano. Dopo Auschwitz, Dachau e Mauthausen; dopo le camere a gas e le fosse dei milioni di trucidati; Ronchamp comunica il delirio di tali contraddizioni in cui ogni suono diviene eco di se stesso, già memoria. La rottura di Ronchamp, si cala nell’informale, nell’arte della materia e del gesto, in un’architettura d’azione, non-progettata, autogeneratasi per forza spirituale.

Nel convento La Tourette presso Lione, realizzato nel 1957, tornano la pianta quadrata e volumi prismatici, sebbene inserisca elementi esotici e stravolti chiarori. I ritmi delle strutture, quelli delle partiture degli infissi e quelli delle logge si equivalgono e si rapportano attraverso il Modulor, annullando la possibilità di una percezione inequivocabile della realtà strutturale. Il convento è organizzato secondo l’antico tipo della certosa, con corte centrale caro a Le Corbusier sin dalla visita alla Certosa della Val d’Ema, presso Firenze. Un lato è interamente occupato dalla chiesa, un parallelepipedo assoluto e nudo.

Il sogno di costruire una città si avvera quando è bruciato l’ottimismo della Ville Radieuse e degli studi successivi.

Nel 1951 inizia lo studio di Chandigarh, nuova capitale del Punjab, il cui tracciato era stato definito da alcuni alti funzionari indiani, su modello inglese, in settori quadrilateri, divisi da strade di diverse categorie e dimensioni.

Le Corbusier fu incaricato di progettare il Campidoglio. Su un tracciato geometrico ideale, dispone gli edifici del Segretariato, del Parlamento, del Palazzo di Giustizia e la residenza del Governatore secondo leggi compositive complesse, scoperte nell’Acropoli di Atene e nella Piazza dei Miracoli di Pisa; organizza tra gli edifici una serie di percorsi pedonali, piazzali e fuochi prospettici.

Nell’edificio del Segretariato, il telaio è arretrato rispetto al filo dell’involucro di vetro, e su ognuna delle due lunghe facciate principali è addossato un secondo telaio per realizzare delle logge e i frangisole.

L’edificio del Parlamento è inteso come reinterpretazione della figura del tempio. Lo spazio è indiviso usando i pilotis, che sostengono una soletta dipinta di nero trasformando questo spazio in una foresta, in cui i telai frangisole su tre lati, costituiscono le fronde. Sul lato dell’ingresso invece propone un grande portico monumentale. La copertura della grande sala circolare consiste in una iperboloide.

Il Palazzo di Giustizia è costituito da un grande riparo monumentale, sotto il quale si trovano gli ambienti protetti anch’essi da un involucro vetrato e da il telaio di frangisole. Tra la copertura e il volume chiuso degli edifici è interposto un vuoto. Di fronte all’edificio è stato realizzato un bacino d’acqua artificiale.

La Residenza del Governatore venne realizzata ma l’allora Governatore del Punjab preferì abitare nel quartiere residenziale delle ville di Chandigarh. Perciò gli spazi vennero utilizzati per altri scopi: Museo delle Scienze, sede di istituti per la tecnica, l’economia, la sociologia e l’etica.

All’impegno fondamentale assunto in India si accompagnarono altre importanti realizzazioni quali il manierista Padiglione Brasiliano nella città universitaria di Parigi (1957), il Padiglione Philips all’esposizione mondiale di Bruxelles costituito da una triplice vela che incorporava quattrocento altoparlanti (1958), il Centro d’Arti Visive dell’università di Havard (1961), la Maison de l’Homme a Zurigo (1963) oggi centro Le Corbusier e il completamento di parte delle attrezzature comunitarie a Firminy.

Nel 1964 progetta il nuovo Ospedale per Venezia, non realizzato. Le stanze di degenza sono caratterizzate da una soluzione completamente nuova. Ogni paziente ha una cella singola senza aperture sulle pareti, la luce penetra negli ambienti attraverso aperture superiori, che regolano anche l’effetto del sole.

Le Corbusier trascorre le sue vacanze come sempre a Cap Martin: alle ore 11 del 27 agosto, 1965, durante un bagno in mare, muore a causa di una crisi cardiaca.

La Fondation Le Corbusier, nel 1968, inizia la sua attività ufficiale con sede a Parigi nella Villa La Roche. “Negli ultimi anni della sua vita Le Corbusier pensava al futuro della sua opera. Perciò sostenne il progetto di una fondazione che portasse il suo nome, l’Association pour la Fondation Le Corbusier, che alla fine egli riuscì a realizzare. Prima della sua morte Le Corbusier si mise d’accordo con Raoul La Roche, suo amico personale, in modo che la casa sullo Square du Docteur Blanche, da lui costruita nel 1923, accogliesse la fondazione. La fondazione Le Corbusier ebbe la fortuna di poter acquisire anche la casa Albert Jeanneret. Si è così conservata l’unità di questo complesso” (estratto dallo scritto “Fondation Le Corbusier”  dell’ottobre 1970 ).

 

 

Le Corbusier ha disegnato anche dei mobili ancora oggi prodotti dalla Cassina.