Nell’Esposizione d’Arti Decorative
di Torino del 1902, quella che segnò l’effimero trionfo dello stile liberty,
tra gli splendidi oggetti disegnati da Mackintosh, da Horta era esposto e fu premiato
un orologio da taschino, opera di un cesellatore svizzero di quindici anni,
allievo di un maestro d’arte di La-Chaux-De-Fonds. Quell’abile cesellatore si
chiamava Charles-Edouard Jeanneret, e più tardi avrebbe assunto,
ricordandosi degli avi paterni, il nome d’arte di Le Corbusier.
“Il mio maestro -, scriverà
l’architetto, - aveva detto: <<Solo la natura è ispiratrice, è vera, e
può essere il supporto dell’opera umana. Ma non fate mai alla maniera dei
paesaggisti, che della natura mostrano solo l’aspetto esteriore. Scrutate
invece la causa, la forma, lo sviluppo vitale e fatene la sintesi, creando
degli ornamenti>>[…]”. Per qualche anno il giovane apprendista aderisce
entusiasta a quest’ideologia, tipica del fine secolo. Presto uno spirito di
ribellione lo guida verso nuovi orizzonti, lo spinge ad allontanarsi dalla sua
città natale per conoscere il mondo e tentare la strada del genio creatore.
Dal giugno del 1907 Le Corbusier
compie un viaggio in Europa: Toscana, Firenze, Ravenna, Padova, Venezia, Trieste,
Budapest e Vienna. Nella capitale austro-ungarica visita l’architetto Josef
Hoffmann ed entra nel suo studio che abbandona dopo soli quattro giorni.
Nell’inverno del 1908 assistendo ad una rappresentazione della Bohéme di
Puccini decide di trasferirsi a Parigi, dove lavora a mezza giornata, fino alla
primavera del 1909, nello studio di un altro grande innovatore: Auguste Perret,
il pioniere del cemento armato, che gli insegna a diffidare del disegno e a
credere nella forza della struttura e nelle virtualità estetiche dei nuovi
materiali.
“La mia vita parigina -, scrive, -
è una vita solitaria. Da otto mesi vivo solo, solo con questo spirito forte che
si trova in un uomo solo, e con il quale io voglio continuamente convivere”.
L’esperienza parigina non gli basta, lo convince anzi che, per formarsi e
diventare, secondo le sue aspirazioni, un vero inventore, occorre continuamente
studiare. Nel 1910 è a Berlino, dove s’impegna nello studio di Behrens, in cui
più o meno contemporaneamente lavorano anche Gropius e Mies Van Der Rohe. La
disciplina di Behrens però non gli piace, giudica il maestro un architetto di
facciate e non gli perdona il carattere scontroso. A questo periodo risalgono
lo studio delle case Dom-ino (un
sistema di struttura-ossatura indipendente dalla pianta).
Nel maggio del 1911, bruciata
l’esperienza berlinese, dopo un viaggio nell’Europa orientale, torna a La Chaux De Fonds dove insegna composizione
decorativa e realizza dei progetti influenzati dall’esperienza tedesca (casa Fallet,
casa Stotzer, casa Jacquemet, casa Jeanneret, casa Favre,
cinema Scala, casa Schwob).
Nel 1917 Le Corbusier si
trasferisce definitivamente a Parigi, Perret gli presenta il pittore Amédée
Ozenfant, che lo spinge verso le arti visive. Contemporaneamente studia il
problema delle case economiche in serie e fonda una fabbrica di mattoni ad
Albertville. I sogni industriali finiscono con il fallimento della fabbrica,
nel 1920. Proprio in quel periodo esce il primo numero della rivista “Esprit
Nouveau” fondata nel 1919 con Paul Dermée e Ozenfant. Con Ozenfant crea il purismo,
pubblicando, nel1918, il manifesto “Après le cubisme”.
Nel 1922 apre un atelier
d’architettura in Rue de Sevres insieme al cugino Pierre Jeanneret. E’ finita
la preistoria di Le Corbusier, inizia la fase più importante della sua
formazione.
Nello stesso anno mostra, al Salon
d’Automne, il suo progetto di una Città per Tre
Milioni d’Abitanti, che sarà un caposaldo per i futuri studi
urbanistici.
L’anno successivo pubblica “Verso
una Architettura”, il libro d’architettura più importante della prima
metà del secolo scorso, un esplosivo manifesto in cui sostiene che l’impegno
nel rinnovamento dell’architettura può sostituire la rivoluzione politica, può
realizzare la giustizia sociale. Nel libro tratta di tre dei cinque punti: i
pilotis, i tetti-giardino e la finestra a nastro. A questi tre elementi si
aggiungeranno qualche anno dopo la facciata libera e la pianta libera. Sono i
famosi “cinque punti di una nuova architettura” applicati con intenti
teorematici in una delle opere più importanti del razionalismo architettonico,
villa Savoye a Poissy del 1929.
I cinque punti espressi in Verso una Architettura:
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1.
I Pilotis. Risolvere
un problema in maniera scientifica significa innanzi tutto distinguere i suoi
elementi. In una costruzione si possono senza dubbio separare le parti
portanti e non. Al posto delle primitive fondamenta, sulle quali poggiavano
setti murari, il cemento armato permette di usare fondamenta puntiformi e al
posto dei muri pilastri. I pilotis sollevano la casa dal suolo, gli spazi
vengono sottratti all’umidità del terreno e hanno luce ed aria. La superficie
occupata dalla costruzione rimane al giardino che passa sotto alla casa, il
giardino è anche sopra la casa, sul tetto. 2.
I Tetti
Giardino. Il tetto piano
richiede in primo luogo un utilizzo logico ai fini abitativi: tetto-terrazza,
tetto-giardino. Il calcestruzzo richiede una protezione dagli sbalzi termici,
per assicurarne una maggior durata. Il tetto-terrazza soddisfa anche
quest’esigenza, adottando una misura particolare di protezione: sabbia
ricoperta di lastre spesse di cemento, a giunti sfalsati seminati con erba.
L’effetto ottenuto e quello di una massa termoregolatrice, radici e sabbia
lasciano filtrare l’acqua lentamente. I tetti-giardino diventano opulenti:
fiori, arbusti e alberi, prato. In generale per una città i tetti-giardino
significano il riscatto di tutte le superfici edificate. 3.
Il Plan Libre. I muri portanti, partendo dal sottosuolo, si
sovrappongono formando il pianterreno e gli altri piani, fino al tetto: la
pianta è schiava. Il sistema dei pilastri porta i solai, i tramezzi sono
posti a piacere secondo le necessità e nessun piano è vincolato all’altro.
Non esistono più pareti portanti ma solo membrane solide a piacere, ne
consegue l’assoluta libertà di configurazione della pianta, che consente una
grande economia di volume costruito e un rigoroso impiego di ogni centimetro
quadrato, che compensano i maggiori costi di una costruzione in calcestruzzo
armato. 4.
La Fenetre En Longeur. I pilastri formano, con i solai, vuoti rettangoli
in facciata, attraverso i quali luce ed aria entrano abbondantemente. La
finestra corre da un pilastro all’altro, e sarà quindi una finestra in
lunghezza. Gli spazi in tal modo sono illuminati uniformemente da parete a
parete. Il cemento armato rivoluziona la storia della finestra. La finestra
può correre da un bordo all’altro della facciata. Il calcestruzzo armato
offre per la prima volta con la finestra in lunghezza la possibilità di
massima illuminazione. 5.
La Facciata
Libera. Giacché si fanno
aggettare i piani rispetto i pilastri portanti l’intera facciata si sposta
all’infuori rispetto la struttura. Essa perde quindi la qualità portante, e
le finestre possono essere estese in lunghezza a piacere, senza diretta
relazione con la suddivisione interna. Così la facciata ottiene una
configurazione libera. |
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Nel 1921 ha contatti con Raoul La
Roche raccoglitore di opere cubiste per il quale realizzerà la casa La Roche - Jeanneret, nel 1923.
Nel 1925 un industriale di
Bordeaux offrì a Le Corbusier e Pierre Jeanneret la possibilità di volgere in
pratica le loro teorie. “Pessac deve
servirvi da laboratorio. Mi aspetto che formuliate chiaramente il problema
della pianta e che ne troviate la standardizzazione. Muri, solai e tetti devono
essere improntati alla massima solidità e funzionalità e venir montati secondo
il metodo tayloristico con delle macchine, di cui vi autorizzo l’uso”. Pessac è
costruita in cemento armato con il metodo della standardizzazione,
industrializzazione, taylorizzazione. La struttura è costituita da un’unica
trave in calcestruzzo armato lunga cinque metri. Pessac sorse in meno di un
anno.
Nello stesso anno propone un piano
urbanistico per Parigi, il Plan Voisin,
in cui si sarebbe abbattuto buona parte del cinquecentesco quartiere del
Marais, lasciando in piedi solo qualche monumento come souvenir. Sulle macerie
della vecchia Parigi sarebbero sorti diciotto grattacieli cruciformi alti una
settantina di piani in mezzo a zone verdi attraversate da un sistema di strade
a scacchiera.
E’ questo il periodo
caratterizzato dalla formazione di un linguaggio personale in cui confluiscono
le scoperte del cubismo e del purismo.
Dopo La Roche e Pessac, nel 1927
realizza, a Garches, la villa Stein.
Questa casa che riunisce in sé confort, lusso ed estetica architettonica,
rappresenta una tappa importante nell’opera di Le Corbusier. Tutta la casa è
sorretta da uno schema di pilotis posti a intervalli di 5 di 2,5 metri (riuniti
tutti insieme formerebbero una sezione in cemento armato di soli 110 x 80 cm2)
che non vincolano in alcun modo la disposizione interna degli spazi.
Nel 1928 realizza una villa a Cartagine in cui vi era il problema di trovare
un’adeguata protezione dal sole e di garantire una costante ventilazione. Il
problema è stato risolto dotando la casa di un frangisole che getta ombra alle
stanze e collegando i piani uno all’altro, così da ottenere una costante
ventilazione.
Ma il vero capolavoro di Le
Corbusier è villa Savoye a Poissy, del
1929. Come villa Stein, anche questa è una residenza di lusso, collocata in una
radura circondata da boschi, a trenta chilometri da Parigi. Il piano
d’abitazione col tetto-giardino è sorretto da pilotis. La composizione è
coronata dal solarium sul tetto, i muri curvi proteggono dal vento ed
arricchiscono tutta l’architettura.
E’ lo stesso Le Corbusier, nel
1929, a proporre una classificazione in quattro tipologie
delle sue opere in relazione dello spazio, della struttura e dell’involucro.
Il primo tipo mostra
come ogni elemento sorga accanto al suo vicino secondo una logica organica: ”Il
dentro fa i suoi comodi e spinge il fuori a formare le sporgenze e i diversi
profili”. Questo principio conduce a una composizione “piramidale”, che può
divenire tormentata se non si fa molta attenzione, l’esempio è villa La Roche.
Il secondo tipo evidenzia
invece la compressione dei diversi elementi all’interno di una rigida linea di
inviluppo, assolutamente pura. Problema complesso, può rappresentare un piacere
per lo spirito, un grosso dispendio di energia spirituale per superare gli
ostacoli che ci si è imposti, l’esempio è villa Stein.
Il terzo tipo
determina, per mezzo della struttura in vista, un inviluppo semplice, chiaro,
trasparente come una rete; consente di sistemare, ad ogni piano in modo diverso,
le dimensioni di ingombro dei singoli vani, liberamente giustapponendole in
forma e quantità. Tipo interessante e particolarmente adatto a certi climi;
composizione molto facile, e piena di possibilità alternative, l’esempio è la
villa a Cartagine.
Il quarto tipo segue,
per quanto riguarda il profilo esterno, la forma pura del secondo tipo, verso
l’interno, invece, comporta gli stessi vantaggi, le qualità del primo e del
terzo tipo. E’ questo un tipo puro, molto generoso, anch’esso pieno di risorse,
l’esempio è villa Savoye.
Intanto nel 1927, partecipa al
concorso per il Palazzo della Società delle
Nazioni a Ginevra, in cui propone organismi separati per le varie
attività: ordinaria-giornaliera, saltuaria, trimestrale, annuale. In una
superficie ritenuta insufficiente da molti accademici Le Corbusier riesce a
muoversi con grande libertà contenendo anche il preventivo. Fu l’atteggiamento
dapprima incerto a poi negativo del presidente della giuria internazionale,
Victor Horta, a condannare clamorosamente il progetto di Le Corbusier, a favore
di alcuni accademici.
Tra il 1929 e il 1931 progetta a
Mosca. Il Centrosoyus realizzato con
struttura in cemento armato e riempimento dei muri in tufo rosso del Caucaso di
40 cm di spessore, l’unico a garantire un sufficiente isolamento con uno sbalzo
termico dai -40 gradi esterni ai 18 interni. Partecipa al concorso ristretto
per il Palazzo dei Soviet: il
programma prevedeva un notevole complesso di sale, uffici, biblioteche,
ristoranti, ed inoltre una sala di quindicimila posti per rappresentazioni di
massa con un palcoscenico capace di contenere 1500 attori e una notevole
quantità di materiali.
Nel 1930 costruisce il Padiglione Svizzero presso la Cité
Universitaire di Parigi, l’esecuzione delle opere avvenne in condizioni
difficili (finanziarie e per la natura del terreno) e offrì l’occasione di
realizzare un vero laboratorio dell’architettura moderna. Furono affrontati
problemi, quali quello della costruzione a secco e quello dell’isolamento
acustico.
Sempre del 1930, riprendendo i
canoni della città per tre milioni di abitanti, è la stesura del progetto
urbanistico Ville Radieuse su cui Le
Corbusier fa un appunto: ”La città di domani, dove sarà ristabilito il rapporto
uomo-natura!”. I criteri fondamentali dell’organizzazione della città sono
sviluppati in antitesi alla concezione della città-giardino a sviluppo
orizzontale: decongestionamento del centro, concentrazione degli abitanti in
edifici alti isolati nel verde, zona industriale isolata dal centro direzionale
e residenziale da ampie fasce di verde, potenziamento dei mezzi di trasporto.
Le tipologie adottate per l’abitazione sono i grattacieli << à
redan>> e blocchi ad alveoli con giardino interno. I criteri della Ville
Radieuse verranno utilizzati nella stesura dei piani urbanistici per la città
di Saint Diè e per le città di: Rio de Janeiro, Sao Paulo, Buenos Aires,
Montevideo, visitate nel 1929 durante un lungo viaggio nell’America
meridionale. Nel Plan Obus per Algeri,
il segno più forte è dato da un’autostrada urbana sospesa su una struttura in
cemento nella quale, con massima libertà stilistica, sono stati ricavati
alloggi per 180 000 abitanti. Nel 1941 esce anonima la Carta di Atene
che definì il concetto di zonizzazione, destinato ad avere grande
influenza sulla legislazione urbanistica successiva di molti paesi tra i quali
particolarmente l’Italia e la Francia.
Nella pausa di relativa inattività
imposta dalla seconda guerra mondiale Le Corbusier elabora e perfeziona il Modulor. Una gamma di dimensioni armoniche alla
scala umana, universalmente applicabile in architettura e in meccanica. La sera
del loro incontro a Princeton, Albert Einstein scriveva a Le Corbusier a
proposito del Modulor: ”Si tratta di un sistema bidimensionale che rende
difficile il male e facile il bene “. Questa invenzione di Le Corbusier, una
volta brevettata, fu resa di dominio pubblico nel 1947. Nel 1948 apparve la
prima edizione di Le Modulor, che fu ben presto esaurita e dovette essere
ristampata. E’ apparso anche un secondo volume, Modulor 2. Le Corbusier aveva
concluso il primo volume con le parole: ”Solo l’utente ha la parola”. E,
infatti, il Modulor, senza la minima propaganda, si è diffuso in tutto il
mondo; viene utilizzato con entusiasmo, specie dai giovani. Corrisponde ad un’esigenza
impellente, poiché non si possono risolvere i moderni problemi della
standardizzazione, normalizzazione, industrializzazione senza una nuova scala
dimensionale. Il Modulor ne ha proposta una.
Sulle Unités
d’Habitation scrive: “un
avvenimento di importanza rivoluzionaria: sole, spazio, verde. Se volete che la
famiglia viva nell’intimità, nel silenzio, conforme alla natura… mettete
assieme 2 000 persone, prendetele per mano e attraverso un’unica porta andate
verso 4 ascensori, ciascuno della capienza di 20 persone… Potrete così godere
di quiete e di un contatto immediato esterno-interno. Le case saranno alte 50
metri. Bimbi, giovani e adulti avranno a disposizione il parco intorno
all’edificio. La città sarà immersa nel verde e sul tetto delle case troveremo
gli asili per i piccoli”.
L’occasione per realizzare un
frammento della Ville Radieuse ideata quasi venti anni prima gli viene offerta
dal ministro della ricostruzione, Claudius Petit, nel 1945. Ebbe la completa
libertà di esprimere compiutamente le sue idee sull’abitazione moderna per le
classi medie. La prima Unitè d’Habitation venne eretta in sette anni dal 1945
al 1952 a Marsiglia.
Trecentotrentasette alloggi duplex, di ventitré tagli diversi (alloggi per
persone singole, per due sposi, per famiglie con 2, 3, 4 o anche più figli);
diciassette piani, nelle cavità dei possenti pilotis e nelle intercapedini del
primo solaio inferiore furono installate condutture e impianti tecnici, poi il
grandioso tetto-piazza-terrazza e la piscina; sette “strade interne” attrezzate
con negozi a vari livelli. Parallelepipedo imponente che, rinnegando il gusto
della superficie levigata, esalta il “beton brut”, il cemento roccioso colato
in casseforme di legno grezzo, la materia scabra su cui è impressa la sigla del
Modulor, i totem gaudiani sul cielo. Scrive al ministro Petit: “L’opera è là, sorta senza regolamenti, anzi contro
disastrosi regolamenti. Fatta per gli uomini, a misura umana, nella robustezza
delle tecniche moderne manifesta lo splendore del cemento armato. Le risorse
sensazionali della nostra epoca sono messe a servizio dell’uomo”. Dopo
Marsiglia realizza altre quattro unità a Nantes, Berlino, Briey-en-Forèt e Firminy-Vert. A Firminy Le Corbusier
realizza prima di tutto la casa della gioventù e della cultura, poi l’unità ,
lo stadio sarà costruito postumo, inoltre progetta anche una chiesa.
L’unità di Marsiglia chiude il
periodo più propriamente razionalista di Le Corbusier, anche se da qualche
tempo ormai si avverte una accentuazione sempre maggiore dell’elemento plastico
(le forme sul tetto-giardino di Marsiglia) e una marca brutalistica data dai
materiali, soprattutto cemento a vista, esibiti nella loro essenza.
Gli ultimi quindici anni della
creatività corbusieriana lo contestano, dandosi carico degli smarrimenti e
delle crisi del secondo dopoguerra. Solo, tra i maestri del periodo, Le
Corbusier ha il coraggio di registrare il crollo d’ogni speranza di riscattare
il mondo con la ragione. I campi di sterminio nazisti, gli orrori bellici, le
viltà civili e politiche, la prostrazione dei popoli sotto la dittatura, i
crimini e le infamie non consentono più illusioni. Des Canons? Des Munitions? Merci ! Des Logis, s.v.p. (Cannoni ? Munizioni ?
Grazie! Alloggi … per favore) così aveva intitolato un opuscolo nel 1938; ma le
classi dirigenti si erano dedicate ad incrementare munizioni e cannoni. Le
Corbusier rifiuta di bendarsi gli occhi, e dell’inconcepibile tragedia prende
coscienza nell’urlo della Chapelle de Notre Dame du Haut a Ronchamp.
Siamo nel 1950 quando Le Corbusier
liquida i cinque principi, gli immacolati volumi e le superfici terse, e tuona
con rudezza medievaleggiante e furore tra barocco ed espressionista,
realizzando la Chapelle de Notre Dame du Haut.
La cappella è orientata secondo la tradizione con l’altare a levante. La navata
principale (13 x 25 m) contiene 200 persone. Tre piccole cappelle, divise dalla
principale, permettono lo svolgimento contemporaneo di più servizi liturgici.
Queste tre cappelle hanno una particolare illuminazione naturale simile a
quella di Villa Adriana presso Tivoli (che Le Corbusier aveva visitato nel
1910); le tre torri, in cui sono collocate le cappelle, terminano in alto con
delle semicupole che mandano la luce in basso sugli altari. Contro i vecchi pilotis,
un masso straripante e squarciato; contro la facciata indipendente e le finestre
a nastro, muraglie da fortificazioni trafitte da strombi sghembi e flussi
arcani di colore; contro le figure geometriche e stereometriche elementari,
l’empito di fracassarle e sbranarle, dissacrazione di ogni a priori,
compresi quelli corbusieriani del passato.
Ronchamp chiude la partita con
l’illuminismo, con le idee universali assoldabili per qualsiasi finalità, anche
per il razzismo hitleriano. Dopo Auschwitz, Dachau e Mauthausen; dopo le camere
a gas e le fosse dei milioni di trucidati; Ronchamp comunica il delirio di tali
contraddizioni in cui ogni suono diviene eco di se stesso, già memoria. La
rottura di Ronchamp, si cala nell’informale, nell’arte della materia e del
gesto, in un’architettura d’azione, non-progettata, autogeneratasi per forza
spirituale.
Nel convento La Tourette presso Lione, realizzato nel 1957,
tornano la pianta quadrata e volumi prismatici, sebbene inserisca elementi
esotici e stravolti chiarori. I ritmi delle strutture, quelli delle partiture
degli infissi e quelli delle logge si equivalgono e si rapportano attraverso il
Modulor, annullando la possibilità di una percezione inequivocabile della
realtà strutturale. Il convento è organizzato secondo l’antico tipo della
certosa, con corte centrale caro a Le Corbusier sin dalla visita alla Certosa
della Val d’Ema, presso Firenze. Un lato è interamente occupato dalla chiesa,
un parallelepipedo assoluto e nudo.
Il sogno di costruire una città si
avvera quando è bruciato l’ottimismo della Ville Radieuse e degli studi
successivi.
Nel 1951 inizia lo studio di Chandigarh, nuova capitale del Punjab, il cui
tracciato era stato definito da alcuni alti funzionari indiani, su modello
inglese, in settori quadrilateri, divisi da strade di diverse categorie e
dimensioni.
Le Corbusier fu incaricato di
progettare il Campidoglio. Su un tracciato geometrico ideale, dispone gli
edifici del Segretariato, del Parlamento, del Palazzo di Giustizia e la
residenza del Governatore secondo leggi compositive complesse, scoperte
nell’Acropoli di Atene e nella Piazza dei Miracoli di Pisa; organizza tra gli
edifici una serie di percorsi pedonali, piazzali e fuochi prospettici.
Nell’edificio del Segretariato, il telaio è arretrato rispetto al
filo dell’involucro di vetro, e su ognuna delle due lunghe facciate principali
è addossato un secondo telaio per realizzare delle logge e i frangisole.
L’edificio del Parlamento è inteso come reinterpretazione
della figura del tempio. Lo spazio è indiviso usando i pilotis, che sostengono
una soletta dipinta di nero trasformando questo spazio in una foresta, in cui i
telai frangisole su tre lati, costituiscono le fronde. Sul lato dell’ingresso
invece propone un grande portico monumentale. La copertura della grande sala
circolare consiste in una iperboloide.
Il Palazzo
di Giustizia è costituito da un grande riparo monumentale, sotto il
quale si trovano gli ambienti protetti anch’essi da un involucro vetrato e da
il telaio di frangisole. Tra la copertura e il volume chiuso degli edifici è
interposto un vuoto. Di fronte all’edificio è stato realizzato un bacino
d’acqua artificiale.
La Residenza
del Governatore venne realizzata ma l’allora Governatore del Punjab
preferì abitare nel quartiere residenziale delle ville di Chandigarh. Perciò
gli spazi vennero utilizzati per altri scopi: Museo delle Scienze, sede di
istituti per la tecnica, l’economia, la sociologia e l’etica.
All’impegno fondamentale assunto
in India si accompagnarono altre importanti realizzazioni quali il manierista Padiglione Brasiliano nella città universitaria
di Parigi (1957), il Padiglione Philips
all’esposizione mondiale di Bruxelles costituito da una triplice vela che
incorporava quattrocento altoparlanti (1958), il Centro
d’Arti Visive dell’università di Havard (1961), la Maison de l’Homme a Zurigo (1963) oggi centro
Le Corbusier e il completamento di parte delle attrezzature comunitarie a
Firminy.
Nel 1964 progetta il nuovo Ospedale per Venezia, non realizzato. Le stanze
di degenza sono caratterizzate da una soluzione completamente nuova. Ogni
paziente ha una cella singola senza aperture sulle pareti, la luce penetra
negli ambienti attraverso aperture superiori, che regolano anche l’effetto del
sole.
Le Corbusier trascorre le sue
vacanze come sempre a Cap Martin: alle ore 11 del 27 agosto, 1965, durante un
bagno in mare, muore a causa di una crisi cardiaca.
La
Fondation Le Corbusier, nel 1968, inizia la sua attività ufficiale con sede a
Parigi nella Villa La Roche. “Negli ultimi anni della sua vita Le Corbusier
pensava al futuro della sua opera. Perciò sostenne il progetto di una
fondazione che portasse il suo nome, l’Association pour la Fondation Le
Corbusier, che alla fine egli riuscì a realizzare. Prima della sua morte Le
Corbusier si mise d’accordo con Raoul La Roche, suo amico personale, in modo
che la casa sullo Square du Docteur Blanche, da lui costruita nel 1923,
accogliesse la fondazione. La fondazione Le Corbusier ebbe la fortuna di poter
acquisire anche la casa Albert Jeanneret. Si è così conservata l’unità di
questo complesso” (estratto dallo scritto “Fondation Le Corbusier” dell’ottobre 1970 ).
Le
Corbusier ha disegnato anche dei mobili
ancora oggi prodotti dalla Cassina.