peutingeriana
La Tabula Peutingeriana
LA "TABULA PEUTINGERIANA" Sin dall'antichità l'uomo ebbe l'esigenza di servirsi di strumenti pratici che gli permettessero di seguire particolari elementi itinerari sul territorio. A tale scopo particolare impulso ebbero gli studi di carattere pratico e tra questi copio sa fu soprattutto la categoria degli itinerari, guide funzionali sia in forma espositiva (itineraria scripta), sia in forma grafica ( itineraria picta) contenenti elenchi di stazioni e relative distanze su determinati percorsi. Una simile esigenza dovette sentirsi in data molto antica, ma la documentazione che noi possediamo è piuttosto recente. Si distinguevano itinerari per uso privato di viaggiatori e commercianti e itinerari ufficiali degli Stati per uso amministrativo e militare. Per l'età romana abbiamo alcuni dati che ci informano sull'esistenza e sull'uso di quest'ultimi. Un passo della Vita Alexandri Severi illustra i programmi di viaggio imperiali con le stazioni di tappa e le date preventivate per l'arrivo; Vegezio accenna all'esistenza di due categorie di itinerari, elenchi di stazioni e carte (non tantum adnotata sed etiam picta) e parla in particolare di itinerari ad uso militare. Anche S. Ambrogio discorre ampiamente dei movimenti delle truppe per cui sono preventivate le stazioni di tappa, le distanze da percorrere nella giornata, i luoghi di riposo e vettovagliamento. Del resto qualcosa di simile doveva esistere anche prima. La celerità e la sicurezza di marcia delle truppe romane (ad esempio di Cesare) mostra una sicura conoscenza dei luoghi che difficilmente può risalire ad infonnazioni orali assunte volta per volta. Di tutto questo materiale non è però giunta alcuna documentazione diretta, se non il frammento di scudo di Dura Europos che è l' excerptum di un itinerarium pictum connesso con operazioni militari. Noi possediamo solo pochi itinerari antichi, alcuni dei quali sono in testi epigrafici. Il testo più completo è l'ltinerarium Antonini, detto anche ltinerarium Provinciarum, che contiene l'elenco di 14 percorsi principali. Su quest'opera esistono parecchi problemi, primo fra tutti quello cronologico. Di certo appare solo che l'itinerario è posteriore alle fondazioni traiane e adrianee e anteriore alla tetrarchia, essendo ignorata, per esempio, la Via Diocletiana di Palmyra. Soltanto per congettura (Kubitscheck), si pensa che l'Antoninus a cui è intitolato l'itinerario sia Caracalla. Probabilmente ha carattere di compilazione ad uso privato, anche per il disordine in cui è redatto (la descrizione comincia dall'ovest, com'era nell'uso nonnale della periegesi antica). Ci sono poi pervenuti un ltinerarium maritimum, che integra in certo modo l'Antonino, l' Itinerarium Burdigalense (databile già alla seconda metà del secolo IV), e altri più tardi. Gli itineraria picta avevano una funzione pratica ancora superiore. Noi possediamo oltre al frammento già citato di Dura Europos solo la cosiddetta Tabula Peutingeriana. E questo il più importante monumento cartografico dell'antichità. Di esso ci limitiamo soltanto a ricordare che fu scoperto alla fine del secolo XV dall'umanista viennese K. Celte: in una biblioteca di W onns e che da lui venne rimesso, nel 1507, nelle mani di Konrad Peutinger, un antiquario di Augusta dal quale deriva il suo nome. La carta è attualmente conservata presso la Biblioteca Nazionale di Vienna. Dipinta su pergamena, era divisa in 1: segmenti, il primo dei quali è andato perduto. Questi segmenti furono poi uniti e, fmo al 1863, gli undici fogli fonnarono un rotolo lungo quasi sette metri (per l'esattezza m 6,745) I alto appena 34 centimetri. Dopo tale data, onde evitare danni, i singoli segmenti sono stati separati. La Tabula Peutingeriana rappresenta l'ecumene con un aspetto quanto mai insolito, con un fortissimo sviluppo longitudinale, che lascia spazio assai ridotto ai valori della latitudine (rapporto circa 21: 1). I singoli oggetti geografici, perciò, vi appaiono stranamente disposti lungo un asse idealmente orizzontale e con gli effetti di collocazione più inattesi, come, per citare solo un esempio, quello offerto da Roma e Cartagine che si fronteggiano, separate da uno strettissimo nastro di mare, il Tirreno. E probabile che ciò sia stato detenninato da ragioni di carattere pratico, cioè per la maneggevolezza del volumen. Infatti l'autore, preoccupato soprattutto di segnare le strade rispettando i rapporti tra le varie distanze, ha considerato il resto come accessorio ed ha sviluppato solo la linea est-ovest ripiegando su d essa coste, corsi di fiumi, strade che seguivano altre direzioni. Tuttavia questa tecnica, che forse doveva rappresentare un tipo cartografico regolato da nonne coscienti, lasciava integr quegli elementi itinerari, riguardanti il cursus publicus dei Romani, che il documento si proponeva di rappresentare. Quanto alla sua datazione, la critica più recente è concorde nel ritenere che si tratti di una copia medioevale, dei secoli XII- XIII, di una carta originale dell'età romana imperiale. Ma l'incertezza su una datazione precisa, sia per l'originale sia per la copia, pennane tuttora. Non meno dibattuto è il problema dell'origine e dell'attribuzione. Il Miller ha attribuito la carta ad un cosmographus Castorius che sarebbe una fonte anche del Ravennate (anonimo autore di una Cosmographia del secolo VII) per l'accordo che si riscontra appunto tra il Ravennate e la Peutingeriana; il Kubitschek suppone invece che il Ravennate derivi direttamente dall'archetipo della carta. Vi è raffigurato l'intero mondo conosciuto dagli antichi con i tre continenti Europa, Asia ed Africa, separati tra loro dai tradizionali confini del Mediterraneo, del Tanais (Don) e del Nilo, e circondati dal grande Oceano, che si sviluppa continuo ai margini della carta. Perduto il primo segmento, che doveva raffigurare le Colonne d'Ercole e, nell'Oceano, l'Irlanda (Hibemia) e la mitica isola di Thule, il discorso cartografico si svolge dai luoghi più orientali della Britannia e della Spagna fino all'India e addirittura alla Cina. Come ad occidente le Colonne d'Ercole segnavano la fine dell'ecumene, così nell'opposta parte estrema, due are, accompagnate dalla legenda Hic Alexander Responsum accepit. Usque quo Alexander (Qui Alessandro ricevette il responso: fin dove, o Alessandro?), più che richiamare il ricordo di un'impresa, vogliono indicare il limite ultimo della Terra. E' questa la prima immagine, giunta fino a noi attraverso il corso di tanti secoli, dei vasti territori della Persia e dell'India come li vedevano gli antichi, con le città dai nomi famosi e sconosciuti, con i grandi fiumi della storia e della leggenda, con i monti inaccessibili e gli sterminati deserti e i luoghi dove si incontrano gli elefanti, dove nascono gli scorpioni. Ed ai margini estremi del mondo il nome di Sera maior richiama la remota Cina e rievoca esotiche lontananze e spazi immensi lungo l'antichissima via della seta. "Ma pur così lontane, (Bosio 1983) queste terre rivelano, con le strade che le percorrono e i posti di tappa che ne scandiscono il cammino, la presenza di una vita organizzata e civile ed anche l'esistenza di rapporti e di incontri con le terre e i popoli dell'Occidente. Lungo questi itinerari il mondo romano ha saputo spingersi oltre i limiti dell'Impero, ha percorso e misurato le immense distanze, ha conosciuto luoghi ai confini del mondo e genti di usi e costumi diversi, ha costruito nell'estrema parte orientale dell'India un tempio ad Augusto. Ed ancora, possiamo ritrovare sulla Tabula le terre del settentrione europeo e asiatico e dell'Africa centrale, dove hanno sede i feroci Sarmati e i misteriosi Etiopi e dove le solitudines e la mancanza di vie di comunicazione e quindi di rapporti con il mondo civile danno vita a figure e popoli leggendari e fantastici. Una vera summa, come si è detto, di quello che gli uomini antichi conoscevano del loro mondo e di quanto essi erano riusciti a conquistare con la loro intelligente fatica e ad organizzare secondo un ordinato disegno". L'Italia si sviluppa per cinque segmenti, con una ricchezza di informazioni geografiche ben superiore ad ogni altro luogo, in modo da creare una evidente sproporzione di rapporti rispetto ai restanti territori. Come hanno già evidenziato i Levi (1967) ed ha giustamente sottolineato il Bosio, questa situazione anomala può trovare corrispondenza nella necessita espressa da un passo della Geografia di Tolomeo (VIII, 1,2-5), dove si afferma che se si vuole concentrare in una sola carta la rappresentazione di tutto il mondo abitato, è necessario limitare alcune parti, meno importanti e meno abitate, a favore di altre dove altrimenti addensandosi la popolazione si infittirebbero eccessivamente i nomi e le indicazioni: queste ultime, essendo meglio conosciute proprio per la loro importanza, devono venir riportate dal compilatore con dovizia di particolari, a danno dello spazio dedicato a quelle meno conosciute. L'Adriatico vi figura come una sottile striscia che si allunga in proporzioni notevoli (l'Italia nell'originale ha una lunghezza di m 2,10). Nelle particolarità notiamo la bella articolazione della penisola istriana che si propone distintamente individuata nelle linee generali (e ciò non sarà consueto neppure nelle carte del Cinquecento), l'assenza dell'apparato deltizio del Po che doveva cominciare a formarsi solo più tardi, nei secoli XV e XVI, la mancanza del promontorio garganico, forse perché non c'erano diramazioni stradali importanti che vi penetrassero: ma noi sappiamo da altre fonti (per esempio, da Strabone, VI-9) che si valutava a circa 300 stadi la sporgenza del Gargano, partendo da Siponto, e certo nelle carte normali il Gargano doveva figurare. Ma, come si è detto, lo scopo principale che la Tabula si propone è quello itinerario. Le strade sono tracciate in rosso, con dei segmenti uniti tra loro da brevi angoli o gomiti, vicino ai quali compaiono i nomi delle località toccate: ogni segmento indica, perciò, una frazione dell'intero percorso. Le distanze sono indicate in miglia, con numeri romani. I diversi percorsi stradali trovano lloro centro d'incontro e di diramazione nelle città principali: oltre a Roma, Costantinopoli ed Ahtiochia, Ravenna e le quattro città orientali di Tessalonica, Nicea, Nicomedia e Ahcyra. Numerosi sono i problemi che la Tabula solleva e che rimangono ancora insoluti. Non vi è dubbio che essendo essa la copia medioevale d Ìa trascrizione di un originale, il copista ha potuto leggere male e male trascrivere certi nomi del cartografo romano e così accrescere l'incertezza della lettura e della conseguente interpretazione. Malgrado tutti i suoi difetti, il disegno che questa carta offre sia assai più corretto di quanto lo siano quelli delle tavole annesse ai codici ed alle edizioni a stampa della Geografia di Tolomeo. Eccezionale perciò è il contributo che questa carta reca alla nostra conoscenza dell'antica geografia.
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