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IL MURO DELL' APARTHEID
Qalqiliya, Ottobre 2002
a cura del Comitato di Solidarietà col Popolo Palestinese
http://www.lacaverna.it/palestina/index.htm - viva.palestina@libero.it
BACKGROUND
Il Muro dell'Apartheid è parte integrante della politica di occupazione
che Israele sta portando avanti da anni, ma si inserisce in un più
ampio contesto. Che cosa significa questo? Per noi significa che la popolazione
dei villaggi che saranno interessati da Muro sarà privata della terra,
dell'acqua, dei mezzi per vivere e sarà obbligata a lasciare le sue
case. Ciò rappresenterà concretamente l'espulsione di un popolo,
altrimenti nota come "transfer".
Contrariamente a quanto riportato dai giornali di tutto il mondo, il Muro
dell'Apartheid (detto anche "recinto" o "recinto di sicurezza"),
che Israele sta costruendo nel nord est della West Bank, non segnerà
il confine del '67, noto pure come "linea verde". Piuttosto, con
un' unilaterale offensiva, contro una delle terre più fertili della
Palestina, sarà un'ulteriore dimostrazione di annessione di terre
da parte d'Israele, di distruzione di campi coltivati e proprietà,
e di violazione dei diritti umani.
Nel nord della West Bank, il primo tratto del Muro sarà lungo approssimativamente
115 km e includerà recinzioni elettrificate, trincee, videocamere,
sensori e pattuglie di sicurezza, ad un costo di decine di milioni di dollari.
L'altezza del Muro sarà mediamente di 8 metri e, una volta completato,
si estenderà per almeno 350 km circondando l'intera West Bank. La
prima fase di realizzazione prevede la confisca di quasi il 2% della West
Bank e almeno 30 villaggi perderanno in parte o tutta la loro terra. In
un'area a 40 km a nord di Qalqiliya, approssimativamente 90 km2 andranno
perduti in conseguenza della costruzione di circa il 12% del Muro. Si prevede
che al completamento della prima fase verranno confiscati fra i 160 ed i
180 km2. Le aree residenziali di almeno 15 villaggi si troveranno ad est
del Muro, mentre una parte significativa delle loro terre coltivate sarà
o occupata dal Muro o al di là di questo.
Inoltre la città di Qalqiliya, che è il centro urbano dell'intera
area, sarà quasi completamente circondata dal Muro.
In base alla mappa 1, i seguenti 15 villaggi saranno intrappolati fra il
Muro e la Linea Verde, in aree militari chiuse: Khirbet Um Al Rihan, Barta'a
Al Sharqiya, Dhaher Al Malih, Khirbet Abdallah Al Younis, Khirbet Al Sheikh
Sa'eed, Khirbet Al Muntar Al Gharbiya, Nazlat 'Isa, Nazlat Abu Nar, Baqa
Al Sharqiya, Khirbet Jubara, 'Arab Al Ramadin Al Shamali, 'Izbat Jal'ud,
Al Dab'a, 'Arab Al Ramadin Al Janubi e 'Arab Abu Farda. Potrebbero eventualmente
venire intrappolati i villaggi di: Rummana, Ta'anak, Khirbet Al Tayba, Al
Sa'ida e Anin.
Nell'aprile del 2002 il governo israeliano decideva l'immediato inizio del
Muro nel nord della West Bank e nell'area di Gerusalemme. Solo pochi giorni
dopo, e prima di qualsiasi pubblicazione di mappe con il percorso del muro,
i militari israeliani confiscavano terre nel nord della West Bank e cominciavano
a sradicare alberi. Nei mesi seguenti l'inizio del Muro, il governo ed i
militari non hanno mai reso disponibili al pubblico i loro piani e solo
dopo insistenti richieste da parte delle organizzazioni palestinesi dei
diritti umani di presentare la mappa, venne resa disponibile quella della
prima fase. Secondo l'Organizzazione palestinese dei diritti umani LAW,
la mappa presentata dai militari all'Alta Corte israeliana a settembre differisce
da quella presentata in Ottobre, soprattutto nell'area di Qalqiliya, dove
si nota che altri 1.000 persone in più finiscono nell'area fra il
Muro ed Israele. Le varianti al tracciato sono state rese esecutive senza
alcuna comunicazione pubblica. In un suo rapporto del settembre 2002 B'tselem,
organizzazione israeliana per i diritti umani, afferma che la costruzione
del primo tratto del Muro non è basata sulla mappa ufficiale militare
israeliana. All'inizio di settembre, il governo israeliano ha pure approvato
l'inclusione nei confini del Muro della Tomba di Rachele, che è all'interno
della città di Betlemme, così come la confisca delle terre
e lo sradicamento degli alberi in quell'area.
Non si sottolinea mai abbastanza che, anche in considerazione del crescente
impoverimento dovuto alla chiusura dei Territori, le fertili terre confiscate
rappresentano l'unica possibile fonte di sostentamento per i palestinesi.
In questa prima fase di costruzione del Muro approssimativamente 30 sorgenti
rimarranno al di fuori dalle aree sotto amministrazione palestinese, restando
così separate dai villaggi che ne dipendono per l'approvvigionamento
idrico. Ciò provocherà un rafforzamento del controllo israeliano
sulle risorse palestinesi d'acqua. Un certo numero di villaggi perderà
insomma l'unica fonte d'acqua esistente.
Così come non è chiaro il progetto per la parte sud del Muro,
lo stesso è per la parte centrale, o di Gerusalemme. Si pensa che
la porzione del Muro vicino a Gerusalemme occuperà una grande parte
delle terre confiscate, includendo l'annessione di almeno 15 insediamenti.
Il Muro favorisce la "bantustanizzazione" della West Bank in centinaia
di piccole e dipendenti entità, che non possono autosostenersi e
che sono simili più che altro a piccole sconnesse prigioni all'aria
aperta, circondate dai checkpoint militari d'Israele e dagli insediamenti.
Il consenso all'interno d'Israele per il Muro è unanime, includendo
il Partito Laburista. Haim Ramon e Binyamin Ben Eliezer, entrambi del Partito
Laburista, sono alcuni dei più convinti sostenitori del Muro, definendolo
non solo una misura di sicurezza, ma una tattica che sarà parte di
un "piano di pace" che essi, se avessero la possibilità
di andare al potere, metterebbero in atto.
CONTESTO POLITICO
PALESTINA: IL MANDATO, 1948-1993
Durante il Mandato Britannico, che cominciò nel 1920, il confini
della Palestina furono definiti in modo da includere un'area di 27.000 km².
Nel 1947, le Nazioni Unite proposero un piano di spartizione per dividere
la Palestina fra uno stato Ebraico ed uno Arabo (Mappa 4), ma a causa dell'ingiustizia
del piano verso i Palestinesi, dovute al fatto che al Popolo Palestinese
sarebbe stato negato il diritto all'autodeterminazione e sarebbe stato controllato
da una popolazione coloniale e minoritaria, fu naturalmente rifiutato. Nel
1948, la popolazione coloniale e sionista/ebraica unilateralmente dichiarò
Israele uno stato indipendente che avrebbe finito per comprendere più
del 78% del mandato della Palestina, mentre Giordania ed Egitto avrebbero
amministrato le terre rimanenti - la West Bank e la Striscia di Gaza (Mappa
6).
Fu durante la costruzione dello Stato di Israele che circa 400 villaggi
palestinesi furono completamente sradicati, mentre altri villaggi e città
più grosse furono svuotate e rimpiazzate da abitanti ebrei, dando
vita quindi ad una popolazione di rifugiati che nel 2002 ha raggiunto la
cifra di 5.000.000, distribuiti fra la West Bank e la Striscia di Gaza,
all'interno di Israele, il Mondo Arabo ed il mondo intero (Mappa 5).
È nel 1967 che scoppia un'altra guerra con la quale Israele occupa
il rimanente 22% della Palestina storica, che include la West Bank e la
Striscia di Gaza, con un'area di 6.000 km2 .
Dal 1967, tutta la Palestina storica è nelle mani del progetto coloniale
ebraico, cominciato circa 100 anni fa.
Dall'Occupazione del 1967, Israele incominciò immediatamente un'intensa
campagna per colonizzare le terre Palestinesi non utilizzate e per segregare
le aree palestinesi edificate nella West Bank e nella Striscia di Gaza.
Ciò faceva parte di una visione a lungo termine per incorporare quanta
più terra palestinese possibile dentro Israele. Durante il periodo
dal 1967 al 1986, Israele implementò una serie di piani, come l'Alon
and Gush Emunim Plans (dai nomi del Ministro Laburista d'Israele del tempo
e del movimento dei coloni ultra-nazionalisti/fascisti fondato nel 1974),
con lo scopo di costruire colonie e di segregare la West Bank e la Striscia
di Gaza dall'Egitto e dalla Giordania, per cui venne annessa e confiscata
più del 50% della West Bank.
Durante lo stesso periodo, il Ministro dell'Agricoltura Ariel Sharon (attuale
Primo Ministro d'Israele), punta di lancia della filosofia coloniale denominata
"Combattendo il Terrorismo", si propone di sopprimere qualsiasi
modalità di resistenza Palestinese all'occupazione. Non sorprendentemente,
la strategia di Sharon di "combattere il terrorismo" andava di
pari passo con l'intensificarsi delle costruzioni coloniali da parte di
Israele lungo la Linea Verde per cancellare i confini fra la West Bank ed
Israele, aprendo la via all'annessione di tutta la Palestina storica.
Perciò, il piano di Sharon indicava anche che ci dovevano essere
corridoi di colonie e una rete di bypass roads distribuite attraverso tutta
la West Bank, collegando la Linea Verde con la Valle del Giordano, nella
parte est della West Bank. Le terre Palestinesi rimanenti, che non sarebbero
state annesse ed avrebbero creato un "problema" demografico, sarebbero
state unilateralmente sottoposte all'amministrazione d'Israele.
IL PROCESSO DI 'PACE' DI OSLO
Nel 1993 fu firmata da Israele e dall'Organizzazione per la Liberazione
della Palestina (OLP) la Dichiarazione dei Principi (DoP). Durante gli anni
'90, una serie di negoziati di pace e di accordi ad interim ebbero luogo
senza raggiungere un accordo finale per porre fine all'occupazione Israeliana
dei Territori Occupati Palestinesi. Al contrario, questo periodo fu segnato
dalla classificazione della West Bank in sei parti (Aree A, B, C, H1, H2
e riserve naturali) (Mappa 7), che crearono innumerevoli enclavi sconnesse,
circondate dagli insediamenti e dalle bypass roads. Infatti, prima della
sospensione dei negoziati, la più recente offerta fatta ai Palestinesi
da parte d'Israele fu il 18,2% dell'area A (enclave sotto il totale controllo
Palestinese) ed il 21,8% dell'area B (sotto il controllo civile Palestinese
ed il controllo della sicurezza Israeliano). Fin dal DoP, il gap fra i retorici
negoziati di pace e ciò che stava accadendo sul terreno fu enorme.
Infatti, dal 1993, il numero di coloni e di insediamenti (nuovi o ingranditi)
è più che raddoppiato, raggiungendo il loro massimo di incremento
ed espansione sotto i governi laburisti. Le politiche coloniali iniziate
nel 1967 hanno raggiunto alcuni dei più grandi obiettivi proprio
durante il processo di pace.
LA SECONDA INTIFADA
Il 28 settembre 2000, con il consenso del Primo Ministro del Partito Laburista
Ehud Barak ebbe luogo una visita pianificata e provocatoria del Generale
Ariel Sharon alla Moschea di Al Aqsa in Gerusalemme, accompagnato da migliaia
di soldati. Il giorno seguente, il venerdì, giorno sacro della settimana
per i mussulmani, migliaia di soldati ben armati ritornarono alla Moschea
e spararono ai fedeli uccidendo molti Palestinesi e ferendone a decine.
Fu allora che l'Intifada, o la Rivolta, scoppiò. Dopo il massacro
di Al Aqsa, i militari Israeliani si trovarono ad affrontare centinaia di
palestinesi disarmati o muniti solo di pietre sia nella West Bank, che nella
Striscia di Gaza, come pure all'interno di Israele.
Secondo l'Istituto per la Salute, lo Sviluppo, l'Informazione e la Politica,
il numero delle persone uccise nel primo anno d'Intifada mostra che il 99,4%
è stato colpito nella parte superiore del corpo (politica israeliana
dello sparare per uccidere), 30% erano bambini, mentre il 60% di tutti gli
uccisi non era coinvolto negli scontri, ma piuttosto stava svolgendo il
proprio lavoro quotidiano a casa, nelle strade, a scuola.
Negli ultimi due anni, i militari di Israele hanno invaso i Territori Palestinesi
ripetutamente, circondato città e villaggi con i checkpoint, imposto
coprifuochi di 24 ore, velocizzando la realizzazione del vecchio piano di
separazione unilaterale.
L'IMPATTO ECONOMICO
La situazione attuale dell'economia Palestinese è niente meno che
un disastro. Trentacinque anni di brutale Occupazione che ha imposto un
sistema di tassazione sulla popolazione occupata che ha sovvenzionato i
militari e le loro azioni, ha avuto come risultato poco o niente di pubblici
servizi, come sanità ed educazione, strade o ogni altro tipo d'infrastruttura.
Infatti, l'occupazione della West Bank e della Striscia di Gaza da parte
d'Israele impone e mantiene lavoro a basso costo per Israele.
Sebbene gli anni di Oslo hanno visto alcuni investimenti e un po' di crescita
che hanno beneficiato pochi, lo stato complessivo dell'economia non è
migliorato. I disoccupati sono aumentati soprattutto quando Israele ha iniziato
la sua politica di chiusura della West Bank e della Striscia di Gaza all'inizio
del "Processo di Pace" di Oslo, togliendo lavoro a decine di migliaia
di persone, impossibilitate a raggiungere il loro lavoro in Israele e vivendo
in territori frammentati che non hanno una reale economia. Per i Palestinesi
la mancanza di autonomia, come l'impossibilità di gestione dei confini,
si traduce in serie restrizioni nei movimenti delle persone e delle merci
e significa che i palestinesi devono continuare a dipendere dall'economia
israeliana.
La "Pace di Oslo" che sulla carta prometteva una maggiore autonomia,
è stato un periodo di dieci anni di grande sofferenza, mancanza di
speranza e povertà. Durante "Oslo", i palestinesi hanno
continuato a dipendere dagli aiuti esterni che sono aumentati negli ultimi
due anni. Gli ultimi due anni d'Intifada hanno visto un'accelerazione della
spaventosa tendenza già presente negli anni precedenti, mentre la
distruzione delle infrastrutture procedeva a livelli senza precedenti.
Raid aerei, cannoneggiamenti dai carri armati, bombardamenti, missili e
spari sulle case, sui posti di lavoro, sugli edifici pubblici e strutture
sanitarie hanno lasciato città e villaggi palestinesi con scenari
di completa demolizione. I danni sono stimati sulle centinaia di milioni
di dollari, senza contare il loro impatto sul livello di vita. Gli attacchi
militari hanno interessato gli acquedotti e i sistemi di comunicazione,
molti dei quali erano stati costruiti grazie alle donazioni della organizzazioni
internazionali durante i dieci anni precedenti e, adesso, sono parzialmente
o totalmente distrutti. Le organizzazioni palestinesi o internazionali hanno
affermato ripetutamente l'anno scorso che gli effetti sull'acqua e sulla
salute della distruzione delle infrastrutture stanno portando i Territori
Occupati sull'orlo di una crisi sanitaria.
La completa distruzione di centinaia di migliaia di dunums di coltivazioni,
includendo lo sradicamento negli ultimi due anni di quasi un milione di
alberi, molti dei quali stimati centenari e carichi di un profondo significato
storico e culturale, continua a interessare migliaia di persone che dipendono
dall'agricoltura per il lavoro e per il reddito.
Il Comitato Palestinese di Aiuto all'Agricoltura (PARC) stima che le perdite
totali subite a causa dello sradicamento di alberi durante l'Intifada ammontino
a 150.000.000 dollari, mentre le perdite d'interi settori dell'agricoltura,
fra il 29 settembre del 2000 e il 30 giugno 2002, siano superiori a 700.000.000
di dollari, come stimato dal Ministro Palestinese dell'Agricoltura.
La chiusura e l'assedio significano severa restrizione dei movimenti ed
impossibilità a raggiungere il proprio posto di lavoro, quindi maggiore
dipendenza dalla terra per poter sopravvivere.
Molte delle terre che saranno risparmiate dall'essere distrutte dai bulldozer
militari saranno comunque inaccessibili ai loro proprietari, poichè
si troveranno dal lato "sbagliato" del Muro. Molti villaggi saranno
separati dalla città più vicina, dove comprano e scambiano
merci, perché viene interrotta qualsiasi strada di comunicazione.
Aree fra il Muro e Israele rimarranno chiuse da entrambi i lati.
Qalqiliya stessa, che verrà circondata dal Muro ed avrà molte
delle sue terre confiscate, è uno dei maggiori produttori di frutta
e verdura per l'intera West Bank e una grande percentuale della sua popolazione
lavora nell'agricoltura. Secondo l'Ufficio Centrale Palestinese di Statistica,
prima dell'anno 2000, la percentuale dei disoccupati nel distretto di Qalqiliya
era del 16%. Secondo l'Unione dei Lavoratori di Qalqiliya, la percentuale
di disoccupati nel 2002 ha raggiunto il 70%. Le conseguenze per l'intero
distretto sono enormi.
Le ripercussioni sull'intera economia palestinese non dovrebbero essere
sottovalutate. Secondo l'agenda 2002 dell'Accademica Società Palestinese
per lo Studio degli Affari (PASSIA), fino al 2001 è stato stimato
che l'agricoltura contribuiva intorno al 7% al PIL palestinese, con un settore
predominato da piccole aziende ed a carattere familiare. Circa il 90% del
totale delle aree coltivate si trova nella West Bank. Prima di quest'anno,
che ha visto aumentare notevolmente incursioni, assedi e chiusure, circa
il 20% della forza lavoro palestinese era occupata nell'agricoltura ed il
75% era composto da donne.
Un esempio delle ripercussioni della prima fase del Muro sulle aree della
West Bank: il principale mercato di frutta e verdura, quello di Nablus (dove
tra l'altro il villaggio di Jayous vende i suoi prodotti), perderà
una parte importante dei suoi affari. Il mercato, gestito dalla municipalità
di Nablus, perderà le tasse per l'occupazione del suolo pubblico
che riceve dagli agricoltori che vendono al mercato per circa 750.000 Shequel,
più di 150.000 dollari.
Autisti di camion, scaricatori e altri lavoratori del mercato subiranno
perdite sostanziali.
Durante il periodo di Oslo, e sempre più oggi, le merci d'Israele
entrano e viaggiano nella West Bank liberamente, utilizzando le nuove strade
dei coloni proibite ai Palestinesi. Chiusure, coprifuoco, assedi ed una
realtà di Apartheid sul territorio hanno fatto sì che muovere
merci, anche solo da un villaggio ad un altro vicino, è estremamente
difficile. I Palestinesi devono sempre più spesso usare le strade
agricole, non asfaltate, sperando di non incontrare uno dei centinaia di
checkpoint militari mobili o uno dei grandi cumuli di detriti, macerie ed
immondizia posti dai militari per impedire il passo. Durante il periodo
di Oslo era noto che Israele bloccasse l'esportazione di frutta e verdura
prodotta lungo il confine fra la West Bank e la Giordania. I prodotti erano
trattenuti per giorni per ragioni di "sicurezza" e si deterioravano
prima di poter lasciare la West Bank. Oggi, agricoltori ed autisti sono
abitualmente bloccati da varie barriere militari anche a vari chilometri
dal loro punto di partenza. La stretta mortale è in corso.
L'IMPATTO SOCIALE
L'impatto sociale del Muro è, ovviamente, strettamente connesso
a quello politico, economico ed ambientale. Un rapido sguardo alle conseguenze
sociali del Muro rivela che per le comunità più direttamente
interessate, avverrà un serio peggioramento delle condizioni di
vita. Restrizioni alla libertà di movimento per la politica di
chiusura ed assedio imposte da Israele provocheranno un aumento della
disoccupazione e della povertà, la distruzione di proprietà,
l'aumento di feriti e di problemi di salute, oltre ad avere un pericoloso
impatto psicologico sui singoli individui, sulle famiglie e sulle comunità
palestinesi.
L'effetto di vivere sotto la costante minaccia della fame, in una vita
meglio descritta come una prigione all'aria aperta, non può essere
sottovalutato e non ci possono non essere conseguenze psicologiche per
il fatto di vivere continuamente sotto la sorveglianza di soldati ben
armati, che hanno carta bianca per uccidere i palestinesi. I legami sociali
fra la gente che vive nelle varie località vicino al Muro saranno
gravemente ostacolati. Membri di una stessa famiglia non potranno muoversi
neanche per andare a farsi visita e in molti casi le famiglie saranno
completamente separate dal Muro, con grandissime difficoltà se
non l'impossibilità di incontrarsi ancora.
Le profonde relazioni sociali fra Palestinesi da una parte e dall'altra
della Linea Verde, compresi i legami familiari, verranno divise ora pure
dal Muro.
Esiste la seria la minaccia che le abitudini di vita di questi villaggi
agricoli, fortemente integrati con la terra e le sue risorse, possano
perdere le loro peculiari caratteristiche. Inoltre, il continuo e violento
cambiamento cui è sottoposta la forza lavoro palestinese, povera
e dipendente, non fa che intensificarne la dipendenza da Israele.
Restrizioni alla libertà di movimento e scollegamento fra le varie
zone, includendo i villaggi con le città a loro più vicine,
ha dei gravi effetti sulla disponibilità di tutti i tipi di servizi
sanitari. Inoltre, ci si attende che aumentino vari tipi di problemi sanitari,
come la malnutrizione, specialmente fra i bambini.
I tagli ai rifornimenti d'acqua si suppone giocheranno un ruolo importante
nella diffusione di malattie e malnutrizione.
Anche il diritto all'istruzione, dalla scuola elementare all'università,
è direttamente minacciato. Le risorse educative disponibili per
i bambini saranno gravemente ostacolate a causa dell'assenza degli insegnanti
che non possono raggiungere le scuole e idem per gli studenti. Quindi
il sovraffollato sistema scolastico non potrà che peggiorare. Le
già gravi restrizioni che impediscono agli studenti di raggiungere
le loro sedi universitarie, peggioreranno ancora.
Il diritto al culto è un altro aspetto della vita dei Palestinesi
che sarà toccato. Gli assedi degli ultimi due anni, uniti alla
politica di chiusura dei dieci anni precedenti, hanno reso i luoghi di
culto inaccessibili a tutti i palestinesi, cristiani e mussulmani.
Il Muro renderà inaccessibili i luoghi sacri, come la moschea di
Al Aqsa, anche alla minoranza che negli anni passati vi poteva accedere.
L'IMPATTO SULLE RISORSE IDRICHE E SULL'AMBIENTE
Le risorse naturali della West Bank continuano a essere una fra le maggiori
vittime dell'occupazione. Il sistematico sradicamento di alberi, la distruzione
delle terre coltivate, la confisca e la distruzione dei mezzi di rifornimento
idrico è devastante. La costruzione del Muro intensifica questi
problemi nelle aree circostanti e crea distruzioni immediate e di lungo
periodo, nonchè il degrado dell'ambiente.
L'impatto sui mezzi di rifornimento idrico nelle aree intorno al Muro
è un serio problema. Nei villaggi intorno a Qalqiliya e Tulkarem
il Gruppo Idrologico Palestinese (PHG) ha elencato 30 pozzi che verranno
persi nella prima fase del Muro.
Questi 30 pozzi hanno una portata di 4 MCM/anno, sono collegati al Bacino
della falda ovest e sono state scavati prima del 1967. Quindi i Palestinesi
perderebbero circa il 18% del loro rifornimento dal Bacino della falda
ovest.
Le attività di costruzione danneggeranno l'idrologia causando cambiamenti
di qualità e di quantità nell'acqua, nella configurazione
dei corsi d'acqua e nel livello delle falde. Il flusso delle acque di
superficie sarà alterato e aumenteranno i fenomeni di erosione
e di sedimentazione. I tassi di evaporazione e traspirazione cambieranno
perché il livello delle falde diminuirà in prossimità
del Muro.
Lo sradicamento di decine di migliaia di alberi che la costruzione del
Muro impone è anche un problema ambientale, poiché gli alberi
giocano un ruolo importante nel preservare l'ambiente e nel mantenere
l'equilibrio ecologico dell'area.
Gli effetti ambientali della costruzione del Muro si ripercuoteranno anche
sulla flora e sulla fauna della regione.
IMPLICAZIONI LEGALI
Le leggi internazionali proibiscono l'annessione di terra, l'incorporamento
di terra nel territorio di uno stato, conquistando o acquisendo terre
con la forza.
Gli ordini militari di "impadronirsi" della terra posseduta
dai Palestinesi nella West Bank, fa parte della strategia globale di consolidamento
dell'Occupazione.
Israele può illegalmente annettersi, del tutto garantita, tanta
terra palestinese quanto può e portar via i mezzi di sostentamento
ai Palestinesi, per mezzo di coprifuoco, blocchi delle merci e confische
delle terre. La confisca delle terre per la costruzione del Muro può
essere considerata l'ennesima annessione illegale.
Le terre e le proprietà confiscate nei Territori Occupati per costruire
il Muro, possono essere considerate come interne ai confini di Israele.
Gli ordini militari e la costruzione del Muro violano i principi base
dei diritti umani internazionalmente riconosciuti e le leggi umanitarie.
Israele ha superato qualsiasi limite legittimo come potenza occupante,
esercitando un ruolo molto diverso da un'amministrazione temporanea, con
la confisca permanente di terre e l'annessione di proprietà all'interno
dei Territori Occupati.
Secondo la Quarta Convenzione di Ginevra, firmata da Israele, distruggere
o impadronirsi di proprietà nei Territori Occupati è proibito,
così come sono vietate le punizioni collettive. L'articolo 47 sottolinea
che la Potenza Occupante non deve fare dei cambiamenti di proprietà
nei territori occupati. È proibita la requisizione di terre pure
nell'Articolo 52 del Trattato di Hague del 1907, che fa parte del diritto
consuetudinario internazionale.
Se gli occupanti non possono fare cambiamenti nello status dei territori
occupati, che ci fa il Muro, che s'impossessa, distrugge e cambia in modo
permanente lo status dei Territori Occupati?
La Quarta Convenzione di Ginevra dichiara all'articolo 47 che le persone
protette all'interno di territori occupati non saranno private, in ogni
caso o in qualsivoglia maniera, dei benefici di detta Convenzione da qualunque
cambio, introdotto a causa dell'occupazione dei territori, nelle istituzioni
o governi di detti territori, nonché da ogni accordo concluso fra
le autorità occupate e occupanti, nonché da annessioni da
parte dell'occupante di tutti o parte dei territori occupati.
Inoltre, una così massiccia distruzione della proprietà
privata fatta solo per volere e non per vere necessità militari,
equivale a una grave violazione dell'articolo 147 della Quarta Convenzione
di Ginevra, chiamata crimine di guerra. L'illegale confisca o annessione
di territorio viola anche il principio generale della legge internazionale
sulla inammissibilità dell'acquisizione di territorio con la forza,
come riaffermato dalla Risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza delle
Nazioni Unite.
Sia la confisca e la distruzione di territori che la costruzione del Muro
violano i diritti del popolo Palestinese alla proprietà, al lavoro,
a un giusto standard di vita, e alla libertà di movimento, come
garantito dalle leggi internazionali.
Fonti israeliane dicono che il Muro è in costruzione per 'motivi
di sicurezza', tuttavia la distruzione e la confisca di territorio in
effetti punisce tutta la popolazione, in particolare quelli le cui case
e terre sono state distrutte o permanentemente confiscate. Il diritto
internazionale proibisce le punizioni collettive.
APARTHEID
La forma di apartheid che Israele indirizza contro i Palestinesi soddisfa
tutti gli elementi del crimine di apartheid come definito dalla Convenzione
Internazionale per la Punizione e soppressione del Crimine di Apartheid
(1976), che espressamente afferma che il crimine di apartheid "dovrebbe
comprendere politiche e pratiche di segregazione e discriminazione razziale
come praticate nel sud dell'Africa (art.2)".
Come affermato in una relazione sul Muro dall'associazione palestinese
dei diritti umani LAW: "La Convenzione sull'Apartheid dichiara che
"crimine di apartheid" è un reato contro l'umanità
punibile dagli Stati che firmano la Convenzione, o dal tribunale penale
internazionale che ha giurisdizione sugli Stati che lo riconoscono. Evidenzia
gli elementi che fanno parte del crimine di 'apartheid' e le responsabilità
perpetrando il crimine. L'Apartheid è stata definita legalmente
da numerosi trattati internazionali come crimine di guerra e crimine contro
l'umanità, con il più ampio significato e la più
ampia applicabilità possibili, inclusi: il Protocollo 1 della Convenzione
di Ginevra, lo Statuto della Corte Criminale Internazionale del 1998 e
la Convenzione Internazionale per la Soppressione e la Punizione del Crimine
di Apartheid del 1973".
"Questi trattati definiscono legalmente l'apartheid come un 'sistema
istituzionalizzato di segregazione e discriminazione razziale con lo scopo
di ottenere e mantenere la dominazione di un gruppo ... su altri ... ed
opprimerli sistematicamente. La Convenzione sull'Apartheid elenca esaustivamente
una serie di esempi di atti inumani progettati per stabilire e mantenere
la dominazione ed una sistemica oppressione.
Le azioni/politiche di Israele includono i seguenti elementi: negazione
del diritto delle persone alla vita e alla libertà, assassinio,
gravi danni fisici e mentali per violazione alla libertà ed alla
dignità o per tortura o per trattamenti degradanti o punizioni,
arresti arbitrari e carcerazioni illegali, imposizione deliberata di condizioni
di vita calcolate per causare la distruzione fisica totale o parziale
di un gruppo, misure legislative o d'altro tipo calcolate per prevenire
la partecipazione di un gruppo alla vita politica, economica, sociale
e culturale del paese e voluta creazione di condizioni che impediscano
il pieno sviluppo di un gruppo negando i diritti umani basilari e le libertà
(diritto al lavoro, alla libertà sindacale, all'istruzione, ad
uscire ed a rientrare nel proprio paese, alla nazionalità, alla
libera circolazione e residenza, alla libertà di opinione e di
espressione, alla libertà di riunione pacifica e di associazione).
Misure (incluse quelle legislative), progettate per dividere la popolazione
secondo linee razziali, attraverso: creazione di riserve separate e di
ghetti per i membri di un gruppo razziale, proibizione di matrimoni misti,
separazione di famiglie/comunità, esproprio di proprietà
terriere, sfruttamento del lavoro, persecuzione di persone e organizzazioni
privandoli dei diritti e delle libertà fondamentali perché
si oppongono all'apartheid".
La costruzione del Muro dell'Apartheid fa parte di queste misure.
LA VITA COL MURO DELL'APARTHEID:
ALCUNI ESEMPI
Il villaggio di Jayous
Considerando che ad oggi la preparazione e costruzione del Muro è
già cominciata nel nord vicino a Qalqiliya, molte delle dettagliate
informazioni che esistono provengono dal Distretto di Qalqiliya in generale
e dal villaggio di Jayous in particolare.
Il villaggio di Jayous si trova ad est di Qalqiliya ed ha circa 3.000
abitanti. Attualmente 8.600 dunums , cioè circa il 72% delle terre
di Jayous sono stati confiscati e finiranno oltre il Muro, separando l'area
abitata dalla sua terra. Dei 3.000 abitanti di Jayous, il 70% è
totalmente dipendente dall'agricoltura, mentre il rimanente 30 % lo è
solo parzialmente. Almeno 300 famiglie perderanno i loro unici mezzi di
sostentamento e cadranno sotto la soglia della povertà, nella denutrizione
e nella fame. Stime elaborate dal Centro d'Emergenza della Campagna contro
il Muro di Qalqiliya, suddivide i tipi di alberi e di terreni coltivati
confiscati tra: 3.000 dunums di ulivi, 2.000 dunums di grano, orzo ed
altri cereali, 1.200 dunums di agrumi, 1.500 di carruba, avocado, mandorle
ecc., 500 di ortaggi vari e 100 di serre. La perdita totale su un anno
dei prodotti sopra elencati è di 230.000 casse di agrumi, 200.000
di agrumi e di più di 70 tonnellate di olio d'oliva. L'effetto
sulla disoccupazione nel villaggio è tale che in un anno si perderanno
65.000 giorni lavorativi. In più, dei 7 pozzi confiscati e che
rimarranno dietro il Muro nell'area di Jayous, tre sono di proprietà
e d'uso solamente di Jayous, 2 sono usati congiuntamente col vicino villaggio
di Falamya e 2 insieme alla città di Qalqiliya.
Dal 31 ottobre 2002, 750 olivi saranno sradicati in Jayous. Si calcola
che il numero totale di piante sradicate a Jayous e nella vicina Falamya
sarà di circa 20.000.
L'area abitata (residenziale) di Jayous dista fino ad un massimo di 6
chilometri dalla Linea Verde e tutto questo terreno verrà confiscato.
Quei 6 chilometri inoltre sono uguali alla larghezza della Striscia di
Gaza, per cui hanno un significato speciale.
In prospettiva, le catastrofiche perdite di Jayous rappresentano solo
il 5% delle perdite che avverranno nella prima fase del Muro e rispetto
alla costruzione dell'intero Muro sono un po' meno del 2%.
La storia di Hafez Ahmad Khaled - Jayous
Hafez Ahmad Khaled (Abu Mohamed) di Jayous, ha 54 anni ed è sposato
con 4 figli, che hanno un'età compresa fra i 13 ed i 25 anni. La
sua storia è una delle più tragiche del villaggio di Jayous,
vicino a Qalqiliya.
Malato di poliomielite dall'età di tre anni, Abu Mohamed ha perso
l'uso della gamba destra. Da suo padre ha ereditato degli ulivi centenari
nella parte est del villaggio e due dunums di alberi d'agrumi nella parte
ovest che confinano con la Linea Verde e l'insediamento di Tzur Ygal,
creato nel 1991.
Abu Mohamed ha lasciato il suo villaggio nel 1980, 13 anni dopo l'Occupazione
Israeliana, per recarsi in Kuwait. Dopo 15 anni di Kuwait e dopo esser
stato espulso insieme ad altre migliaia di Palestinesi, con la perdita
di tutti i loro beni, a seguito della Guerra del Golfo, è ritornato
in Palestina nel 1995. Abu Mohamed è tornato dal Kuwait a mani
vuote, nelle stesse condizioni in cui era partito.
Abu Mohamed racconta, con orgoglio, che durante quei 15 anni in Kuwait,
tutti gli anni i suoi figli tornavano a casa, nel loro villaggio in Palestina.
Nel 1998, accadde a Abu Mohamed la cosa più bella della sua vita,
quando suo zio gli regalò 9,5 dunums (2 acri) di terra incolta
nei pressi del villaggio di Falamya. Allora decise di dedicarsi alla coltivazione
della terra e con i suoi figli lavorarono in quella terra un anno intero,
incominciando a costruire terrazze e preparando la terra per la semina.
Con un piccolo aiuto del PARC (Comitato Palestinese di aiuto all'Agricoltura),
ha acquistato semi di ulivi che lui e la sua famiglia hanno piantato,
mentre per poter irrigare hanno costruito una cisterna di 70 metri cubi,
con un aiuto economico da parte del Palestinian Hydrology Group (PHG).
Il 2002 doveva essere il primo dopo vari anni in cui gli alberi, piantati
da lui, avrebbero cominciato a produrre. E così sarebbe stato se
i militari israeliani non avessero confiscato prima della stagione del
raccolto, la maggior parte delle sue terre, per costruire il Muro proprio
lì.
Anche il suo pozzo è stato confiscato e i militari hanno già
sradicato una buona parte dei suoi alberi. Quelli che non sono stati sradicati
o lo saranno in un prossimo futuro o rimarranno oltre il Muro, dove non
potrà raggiungerli.
Sei mesi fa, nelle prime ore del giorno, i militari israeliani sono arrivati
per la prima volta sulle sue terre per marcare dove il Muro sarebbe stato
costruito.
Così ci fu uno scontro fra i contadini ed i militari e suo figlio
'Amr, di 19 anni, fu ferito da vari proiettili ad entrambe le gambe, che
gli hanno danneggiato il sistema nervoso degli arti in modo irreversibile.
Nei seguenti sei mesi fino ad oggi, è rimasto ricoverato nel centro
di riabilitazione di Ramallah. É chiaro che non potrà tornare
ad essere quello di prima e i dottori hanno avvisato la famiglia che 'Amr
probabilmente perderà completamente l'uso di una delle gambe.
La sola terra che rimane ad Abu Mohamed è quella dove ci sono gli
11 vecchi ulivi che gli aveva lasciato suo padre e che si trovano all'est
del villaggio. Tutte le altre terre sono già state distrutte o
stanno per essere confiscate per la costruzione del Muro.
La storia di Abdellatif Hamdan - Far'un
La situazione di Abdellatif Fares Ali Hamdan, di 53 anni e padre di 10
figli in età scolare, non è peggiore di quella dei suoi
vicini che, come lui, si sono svegliati un giorno per il rumore dei bulldozer
che stavano spianando le loro terre e sradicando i loro alberi.
Abdellatif possiede 80 dunums di terra agricola coltivata a timo, guava,
limoni ed ulivi.
Abdellatif dice: "Io vedo lavorare i bulldozer e penso che stiano
aprendo una piccola strada vicino al checkpoint Al-Taybeh, ma poi osservo
bene e vedo che stanno spianando terra coltivata a grano e stanno raggiungendo
la mia terra. Cominciano ad entrare ed a sradicare sul mio terreno. Non
volevo credere ai miei occhi mentre li vedevo arrivare per più
di 20 metri dentro le mie terre".
Abdellatif aggiunge: "Non potevo starmene in casa a guardare dalla
finestra come i bulldozer stavano distruggendo un albero dopo l'altro.
Non riuscivo a fermarmi mentre correvo verso i soldati, che stavano andando
verso un albero molto bello, vecchio come il mio primogenito. Immaginavo
che l'avrebbero risparmiato se avessi spiegato loro quanto mi era caro
quell'albero. Naturalmente la mia storia li lasciò indifferenti
ed in due minuti l'albero giacque a terra".
Abdellatif continua: "Dopo aver spianato il terreno, scavarono una
trincea profonda 3 metri lungo la strada che avevano aperto sulla mia
terra, così nessuno può passare. Chiesi ai soldati perché
stavano facendo tutto questo ed essi spiegarono che stavano eseguendo
gli ordini, della Corte Suprema d'Israele, di spianare questa terra ed
altre migliaia di dunums per costruire il cosiddetto muro difensivo".
Abdellatif è uno dei contadini del villaggio Far'un, vicino a Tulkarem,
e dipende completamente dall'agricoltura per la sua sopravvivenza. Oggi,
non solo una buona parte della sua terra è stata distrutta, ma
egli non può neppure raggiungere la parte che gli resta dei suoi
terreni perché stanno in una zona dichiarata militare.
LA TOMBA DI RACHELE - BETLEMME
La Tomba di Rachele è considerata uno dei siti monumentali della
città di Betlemme e fa parte del suo patrimonio storico. Inoltre,
la popolazione di Betlemme, così come turisti da tutto il mondo,
visita tradizionalmente la Tomba.
Negli ultimi due anni, le forze d'occupazione israeliane hanno impedito
a cristiani e mussulmani di visitare la Tomba, vietando ai palestinesi
residenti il diritto al culto, ai mussulmani il diritto di seppellire
la loro gente nel vicino cimitero e limitando l'accesso ai gruppi ebraici
per poi annettere la Tomba in un secondo tempo alla città di Gerusalemme.
Nel 1996, il Ministro israeliano della Religione ha ristrutturato il sito
aggiungendo un nuovo edificio sul lato est della Tomba. La nuova Tomba
di Rachele consiste nella precedente struttura abitata e nel nuovo edificio
rinforzato con due torri militari di guardia.
Insomma, oggi il sito religioso è diventato un campo militare israeliano
che viene usato come postazione di fuoco, come è successo contro
i palestinesi che dimostravano durante l'Intifada di Al Aqsa.
Dall'inizio dell'Intifada di Al Aqsa nel settembre del 2000, per ostacolare
qualsiasi spostamento dei palestinesi vicino all'entrata della Tomba,
le forze d'Occupazione israeliane hanno chiuso la grande strada che collega
Betlemme con Gerusalemme ed hanno occupato molte costruzioni residenziali
tutto attorno alla Tomba e le hanno trasformate in postazioni militari.
L'11 settembre 2002, il gabinetto di sicurezza d'Israele ha approvato
una mozione per annettersi la Tomba di Rachele includendola nella Fascia
di Separazione. Secondo le prime informazioni dei media israeliani, il
municipio di Gerusalemme e le forze occupanti israeliane stanno asfaltando
una nuova strada che permetterà a tutti i cittadini israeliani
il libero accesso alla Tomba.
Il percorso di questa nuova strada non è mai stato reso noto ufficialmente.
La strada collegherebbe la Tomba di Rachele con la "Strada 60"
e sarà lunga un chilometro, con un muro di 10 metri, il Muro dell'Apartheid,
a proteggerla da entrambi i lati (secondo i giornali d'Israele). Il percorso
esatto della strada non è ancora chiaro, ma le basi del Muro sono
già state segnate ed filo spinato è stato posto davanti
alle trincee.
Da dodici a quindici edifici residenziali palestinesi vicino alla nuova
strada sono sotto minaccia di evacuazione o demolizione, oltre alle proprietà
della Chiesa Armena ed a un cimitero islamico.
Pure una piccola zona industriale che comprende circa 10 officine di riparazioni
di veicoli e una fabbrica di mobili, è sotto la minaccia di demolizione.
La strada passa essenzialmente attraverso terreni agricoli con alberi
d'ulivo: circa 400 ulivi stanno per essere sradicati e le terre ad entrambi
i lati della strada saranno confiscate e spianate per ragioni di "sicurezza".
La Tomba di Rachele ha sempre fatto parte della città di Betlemme
ed è un luogo di pellegrinaggio per le tre religioni monoteistiche.
Oggi la Tomba sta diventando un quartiere militare aperto solo agli ebrei.
Come pianificato dal governo d'Israele, sta per essere annessa a Gerusalemme.
Campaign Website: www.stopthewall.org
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