Vittorio Emanuele II (1820-1878), primogenito di
Carlo Alberto di Savoia-Carignano
e di Maria Teresa d'Asburgo-Lorena. Allo scoppio della prima guerra d'indipendenza (1848) seguì l'esercito, al comando di una divisione di riserva. Alla battaglia di Goito (30 maggio) guidò personalmente all'assalto la brigata Guardia, rimanendo ferito. Dopo la battaglia di Novara e l'abdicazione di
Carlo Alberto
(23 marzo '49) si trovò di colpo sul trono di Sardegna, in un momento difficile per il Paese. Per l'impossibilità a continuare la guerra Vittorio Emanuele II dovette subito firmare l'armistizio di Vignale (24 marzo '49) con il maresciallo austriaco Radetzky.
L'esercito era stato duramente provato dalla sconfitta e non migliore era la situazione interna
del regno, scosso anche da una sommossa repubblicana a Genova (aprile '49). La maggior difficoltà politica era costituita dall'ostilità della Camera dei Deputati, a maggioranza democratica, a ratificare il trattato di pace con l'Austria. Vittorio Emanuele II, per superare l'opposizione della Camera, raggiunse l'estremo limite della correttezza costituzionale (in verità l'avrebbe fatto più volte durante il suo regno) emanando il "proclama di Moncalieri" (20 novembre '49) con il quale scioglieva la Camera ed indiceva nuove elezioni. L'appello reale conseguì il suo effetto ed il Piemonte, firmata la pace con l'Austria, poté dedicarsi alla soluzione dei grandi problemi interni, primo fra tutti il consolidamento del regime costituzionale.
Vittorio Emanuele II era propenso ad esercitare l'autorità regia fuori dai limiti dello Statuto ma diede prova di lealtà costituzionale promulgando le leggi Siccardi contro i privilegi del clero nonostante non le vedesse di buon occhio. A ciò, tuttavia, il monarca fu indotto anche dal fermo contegno del governo, presieduto da
Massimo D'Azeglio
.
Nel novembre 1852 al
D'Azeglio
successe
Camillo Benso conte di Cavour
. I rapporti di Vittorio Emanuele II con
Cavour
non furono sempre cordiali né facili, poiché il grande ministro, pur devoto alla monarchia, non esitava ad esporre al re i suoi punti di vista, non sempre concordi con quelli del sovrano, ma nelle sue linee questi seguì costantemente la politica del
Cavour
, nel desiderio di restaurare la fama del suo esercito, come nel caso dell'intervento in Crimea. Per aumentare il prestigio ed i domini della sua casa approvò l'Alleanza con Napoleone III, con il quale il re sabaudo condivideva un certo gusto per la politica segreta.
Gli anni più favorevoli al regno di Vittorio Emanuele furono quelli dal '59 al '61. Partito in guerra contro l'Austria nell'aprile del '59, meno di due anni dopo era acclamato re d'Italia da un Parlamento italiano. Certamente, alla rapida ascesa del monarca contribuì grandemente l'opera di
Cavour
e di
Giuseppe Garibaldi
che, con la spedizione dei Mille, donò a Vittorio Emanuele II il grande regno meridionale; ma si deve riconoscere che in quegli anni decisivi Vittorio Emanuele II fu risolutamente con la causa dell'unità nazionale.
La terza guerra di indipendenza (1866) portò alla corona il Veneto ma senza quella vittoria militare che il re desiderava. Eppoi, al compimento dell'unità italiana mancava ancora Roma. Quando nell'estate del '70 scoppiò la guerra franco-prussiana, Vittorio Emanuele II era più propenso di accorrere in aiuto a Napoleone, l'antico compagno d'armi e di intrighi di dieci anni prima, ma si piegò alla volontà dei suoi ministri che vollero cogliere l'occasione propizia per andare a Roma.
A Roma si recò anche il re, ma come si era trovato spaesato a Firenze, dove era stata portata la capitale in seguito alla Convenzione di Settembre (1864), così si trovò a disagio a Roma. Non soggiornò mai al Quirinale preferendo ritirarsi in una residenza più modesta, con la moglie morganatica Rosa Vercellana, poi contessa di Mirafiori.
Concluso il periodo eroico del Risorgimento, il re era in un certo senso un sopravvissuto, come tanti altri protagonisti dell'indipendenza e dell'unificazione. Nel 1876 vide allontanarsi dal governo per un voto contrario del Parlamento la Destra Storica dalla quale erano usciti i suoi ministri più abili ed i suoi più fidati consiglieri. Ossequiente alle indicazioni del Parlamento, chiamò al governo la Sinistra. Morì due anni dopo, il 9 gennaio 1878.