Radioastronomia:

- Radiocomunicazione
- Radioastronomia
- Radioastronomia pratica

Introduzione

Alcuni articoli di radioastronomia sono apparsi nelle riviste (vedi Nuovo Orione giugno 2004/settembre 2005 e Astronomia dell’UAI marzo-aprile 2005), indice dell’interesse suscitato per questa branca dell’astronomia a livello amatoriale.
Inoltre, l’Unione Astrofili Italiani UAI ha organizzato, per l’anno 2006-07, il primo corso di didattica della Radioastronomia, responsabile l’ing.Salvo Pluchino (IARA, SdR R-A UAI), con la collaborazione dell’ing. Flavio Falcinelli, RadioAstroLab e dei dott.ri Simona Righini e Sergio Poppi, IRA-INAF.
La radioastronomia studia i corpi celesti, analizzando le caratteristiche delle radiazioni elettromagnetiche nella banda delle onde radio; per questo motivo i radioamatori facenti parte dell’associazione nazionale ARI, alla quale io appartengo con il nominativo IX1GTG, sono coinvolti in questa nuova ed affascinante esperienza, merito della parentela nella gran famiglia dell’onda elettromagnetica. L’attività radiantistica consiste nel costruire, installare apparecchiature radiotrasmittenti per comunicare, in bande di frequenze apposite, in tutto il mondo con altri radioamatori.
Lo scopo di questo articolo, complementare agli articoli precedentemente menzionati, è di approfondire alcune nozioni propedeutiche utili a far comprendere, anche a chi è digiuno di radiotecnica, le differenze e le analogie fra la radiocomunicazione, la radioastronomia ed il funzionamento dei relativi apparati.

 L’onda elettromagnetica

L’onda elettromagnetica è generata dal trasmettitore radio-televisivo nella radiocomunicazione e dalle radiosorgenti celesti nella radioastronomia, e si propaga nello spazio come un’onda sinusoidale.
La propagazione per onde si ha quando lo stato del mezzo che costituisce il supporto, sotto l’azione di una causa eccitatrice, subisce una variazione a carattere oscillatorio intorno alla sua posizione di equilibrio e la perturbazione si trasmette dal punto eccitato a punti man mano più lontani.
Nella figura è raffigurata la sinusoide relativa all’onda elettromagnetica dove la frequenza f  (Hertz) è il numero dei cicli completi al secondo, lambda è la lunghezza dell’onda ed A è l‘ampiezza del segnale. 
La formula che lega i due fattori è lambda = c/f  (c è la velocità della luce) e si nota che man mano aumenta la frequenza, la lunghezza dell’onda diminuisce, spaziando dai raggi gamma, inferiori al miliardesimo di millimetro, al visibile, ai raggi infrarossi, sino alle onde radio:

lunghe, medie, corte e microonde.

 

La radiocomunicazione

La pratica c’insegna che è possibile trasmettere, a brevi distanze, la nostra voce e  la musica mediante l’utilizzo del microfono e dell’altoparlante connessi all’amplificatore audio (l’energia acustica si propaga con la pressione e la depressione dell’aria).
La trasmissione di segnali e suoni a notevole distanza è fattibile unicamente utilizzando come supporto la radiazione dell’onda elettromagnetica, la quale s’irradia nello spazio in tutte le direzioni.
Per radiazione s’intende qualsiasi processo di trasporto di energia attraverso lo spazio. Il sistema utilizzato è modulare il segnale a radio frequenza, la portante (oltre i 100kHz), mediante un segnale audio, la modulante (20-20 kHz).

Modulare significa variare il parametro dell’ampiezza A, nel caso della modulazione di ampiezza, e della frequenza f, nel caso della modulazione di frequenza. Nella figura a) è raffigurata l’onda sinusoidale della portante (la sua frequenza, come sarà specificato in seguito, dipende dalla banda di trasmissione).
Nella figura b) è raffigurato il segnale audio, la modulante, nella figura c) il segnale modulato a radiofrequenza. La modulazione di ampiezza, a sinistra nella figura, è presente nella radiocomunicazione ad onde medie e nelle trasmissioni televisive terrestri e nella radioastronomia. La modulazione di frequenza, a destra della figura, è utilizzata nella normale radiocomunicazione e nella tv satellitare per la sua protezione ai disturbi.

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Il trasmettitore

Compito del trasmettitore è generare un’onda a radiofrequenza modulata secondo la figura c).
Nella figura è rappresentato lo schema a blocchi semplificato del trasmettitore con le relative forme d’onda, figura , utili per comprendere meglio l’intero processo, composto da: un circuito oscillatore, un amplificatore a radiofrequenza, un modulatore ed un’antenna radiante.
Lo stadio oscillatore (3) genera, mediante dei circuiti risonanti composti da una bobina L e da un condensatore C, un segnale con la frequenza specifica del trasmetitore. Una stazione televisiva o radiofonica è caratterizzata dalla sua frequenza di trasmissione (come un’etichetta che la distingue dalle altre) e l’utente per riceverla dovrà sintonizzare il ricevitore su di essa
Esempio: trasmettitore a modulazione di frequenza a 100 MHz (cento milioni di Hertz); trasmettitore televisivo a 600 MHz.
L’onda generata è amplificata dallo stadio finale, per ottenere la potenza utile di trasmissione necessaria per essere irradiata dall’antenna.
Segue lo stadio modulatore, dove il segnale audio modulante (4) è amplificato e mediante il trasformatore di modulazione T.M. varia la tensione di alimentazione continua +Va del trasmettitore (1), ottenendo il segnale modulato (2). Un fenomeno analogo si riscontra quando, per variare l’intensità luminosa di una lampadina, si usa variarne la tensione di alimentazione mediante un potenziometro.

Il ricevitore

Il principio di funzionamento del radioricevitore è identico sia per i radio apparati sia per la radio astronomia e sono di due tipi: l’amplificazione diretta e la supereterodina.
L’onda elettromagnetica irradiata dall’antenna trasmittente, se le dimensioni fisiche sono in rapporto alla lunghezza d’onda della portante e se sono immerse nel campo irradiato, induce nell’antenna ricevente un’energia. L’energia elettromagnetica, presente nello spazio circostante e generato dal trasmettitore, è convertita in un’energia elettrica, o forza elettromotrice. Un circuito semplice di ricezione è raffigurato nella figura , la radio galena, composta da un circuito sintonizzatore a radio frequenza, da un rivelatore e da una cuffia.
Precedentemente abbiamo visto che, nel caso del trasmettitore, variando i valori della bobina e del condensatore in un circuito risonante è possibile produrre un’oscillazione a radiofrequenza determinata.
In ricezione, variando il condensatore C1, si sintonizza il circuito accoppiato all’antenna nella frequenza del segnale ricevuto, escludendo tutti gli altri segnali . Ottenuto questo risultato, ai capi del circuito rivelatore si ha la massima ampiezza del segnale modulato. Il circuito rivelatore è composto  da un diodo polarizzato in modo da lasciar passare unicamente la parte positiva del segnale.
Quindi, grazie alla carica e scarica del condensatore che segue l’andamento delle creste, si ottiene un’onda  perfettamente identica alla modulante del trasmettitore. La radiofrequenza della portante, la parte fitta dell’onda, è eliminata dal circuito RC, resistenza e condensatore.
Il suo prodotto è denominato costante di tempo e deve avere delle caratteristiche ben precise. Le varie forme d’onda sono raffigurate nella figura, dove all’uscita del rivelatore, utilizzato nei radioricevitori, si ritrova il segnale audio trasmesso, concludendo il ciclo.
I primi radio ricevitori erano ad amplificazione diretta, una evoluzione della radio galena, consistente  nell’amplificare, mediante vari stadi di circuiti in risonanza, il segnale  ricevuto seguito dal rivelatore.
Il lato negativo di questo sistema è la necessita, ad ogni cambio di sintonia, di variare la risonanza dei vari circuiti accordati.
Il circuito a supereterodina, progettato per ovviare a questo inconveniente, è composto dai seguenti circuiti, vedi la figura:
il preseletore, il miscelatore, l’oscillatore locale, l’amplificatore della frequenza intermedia, il rivelatore, il controllo automatico del guadagno e lo stadio di bassa frequenza audio.
Lo stadio preseletore, accoppiato all’antenna, è sintonizzato nella frequenza da ricevere, mediante la risonanza del circuito variabile L e C, talvolta per aumentarne la sensibilità è amplificato. 
Lo scopo dello stadio miscelatore è di traslare la frequenza del segnale ricevuto ad un valore costante di frequenza intermedia fi, o media frequenza MF. Il risultato si ottiene facendo il battimento fra il segnale ricevuto fa e il segnale di un oscillatore locale fo. Nella tecnica radio, quando due segnali di frequenza diversa sono miscelati in un dispositivo non lineare, o parabolico, all’uscita è presente la loro somma o la  loro differenza. Nel nostro caso solo la componente fi=fo-fa è amplificata, per motivi tecnici
Immaginiamo di ricevere una stazione a 1200 kHz, la frequenza normalmente usata per la fi è 460 kHz quindi, la frequenza dell’oscillatore locale è 1660 kHz ossia 1200 kHz+460 kHz.

Nella figura, si nota che i condensatori variabili dei circuiti di risonanza del segnale in arrivo e dell’oscillatore locale, sono assiali.
In questo modo, variando contemporaneamente sia la sintonia del ricevitore fa, sia la frequenza dell’oscillatore locale fo, si ottiene  sempre lo stesso valore di fi, semplificando notevolmente la ricezione del segnale.   Lo stadio fi è costituito generalmente da due o tre stadi accoppiati e determina in gran parte la selettività, la sensibilità ed il guadagno del ricevitore. Nei radioricevitori è presente il circuito del controllo automatico di guadagno, c.a.g., il quale varia l’amplificazione secondo l’ampiezza del segnale ricevuto. I segnali provenienti dai trasmettitori, sia per la distanza, sia per la potenza utilizzata, non sono della stessa intensità quindi è necessario equilibrarli variando automaticamente il guadagno del ricevitore. Il circuito rivelatore, come nel caso descritto precedentemente riferito alla galena, separa dal segnale modulato, il segnale audio, il quale è amplificato dallo stadio finale di bassa frequenza.

 

La radioastronomia

L’evoluzione storica
Nel 1678, il matematico e fisico Christiaan Huygens ipotizzò che la luce fosse un fenomeno ondulatorio; dato la grande reputazione di Newton, strenuo difensore della teoria corpuscolare, questa teoria non fu presa in considerazione.
Nel 1831 Michael Faraday dimostrò la generazione di correnti elettriche per induzione, inoltre intuì, senza poterlo dimostrare, la relazione fra i fenomeni luminosi esistenti e i fenomeni elettrici e magnetici.
La pietra miliare dello studio delle onde elettromagnetiche e della propagazione delle onde, è stato l’equazione del fisico scozzese James Clerk Maxwell nel 1860.
Queste leggi, traducendo le idee di Faraday nel linguaggio matematico, hanno nell’elettromagnetismo la stessa importanza delle leggi di Newton nella meccanica classica, risolvendo tutti i problemi della elettricità e del magnetismo.
Il fisico tedesco Heinrich Hertz nel 1887-89 confermò sperimentalmente la deduzione analitica di Maxwell, producendo e rivelando per la prima volta un’onda hertz, inoltre dimostrò, che questa perturbazione si propaga nello spazio; infatti, fra le due estremità del cerchio del risonatore, ogni qualvolta scoccava l’arco nell’oscillatore, si notava nel buio delle leggere scintille.
Quando si pensava, di aver esaurito le conoscenze in merito alla teoria ondulatoria, Hertz scoprì l’effetto fotoelettrico.
Questo fenomeno nasce quando la luce colpisce un metallo, emettendo degli elettroni.
Un esempio tipico è il sensore ccd utilizzato nel campo televisivo e nelle macchine fotografiche digitali.
Molti esperimenti furono eseguiti da molti fisici e si scoprì che nell’effetto fotoelettrico il numero degli elettroni, emessi dal metallo colpito dalla luce, non dipendeva dalla intensità, ma dalla frequenza dell’onda elettromagnetica.
Questo risultato era incomprensibile, secondo la teoria conosciuta a quel tempo l’intensità della luce è l’energia che cade in ogni secondo nell’unità di area della superficie metallica.
Il mistero fu svelato da Einstein, il quale suppose che la luce fosse costituita da granuli o corpuscoli denominati quanti di energia o fotoni, la cui energia è proporzionale alla frequenza dell’onda, secondo la formula: e = h*f
dove e è l’energia del fotone, h è la costante di Planck e f la frequenza.
In altre parole la natura della luce, degli elettroni e delle particelle subatomiche è dualistica, e secondo del fenomeno interessato è valido il modello ondulatorio o il modello quantistico.
Lo scienziato italiano, Guglielmo Marconi, intuì per primo la grande potenzialità dell’onda elettromagnetica nell’utilizzo della comunicazione a distanza, all’inizio utilizzando il segnale morse, ossia trasmettendo unicamente punti e linee, in seguito con le trasmissioni radiofoniche.
Egli riuscì a trasmettere la lettera S in stile telegrafico attraverso l’Atlantico, tra Terranova e Poldhu in Cornovaglia.
La nascita della radioastronomia è legata allo sviluppo ed al funzionamento della radiocomunicazione; lo stesso Guglielmo Marconi, nel 1927, aveva riscontrato delle interferenze nelle trasmissioni radio in coincidenza con la comparsa di grandi macchie solari e intense aurore boreali.
I primi tentativi si ebbero nel 1901, da parte dell’astronomo dell’osservatorio di Parigi Charles Nordmann il quale, con mezzi tecnici sommari, pensava di captare le onde hertziane emesse dal Sole.
Il suo ragionamento era semplice: gli astri oltre che emettere radiazioni nella banda ottica, irradiavano segnali anche nelle onde radio.
Visto i risultati negativi, il 3 febbraio del 1902 all’Accademie des Sciences, comunicò il suo insuccesso concludendo che il Sole non emanava radiazioni radio elettriche.
Nel 1930 H. Mogel aveva notato delle evanescenze dei segnali radio, trasmesse nelle onde corte, per intervalli di mezza o un’ora inspiegabili.
Gordon Stagner della Radio Corporation di Manila, ascoltando dei sibili e dei fischi in determinate ore della giornata, si incuriosì, ma non ebbe la disponibilità dei mezzi atti alla ricerca.
I suoi dirigenti giudicarono il progetto non plausibile commercialmente.
Queste anomalie, finalmente, stimolarono sia in America, sia in Europa la ricerca, visto che queste interferenze nuocevano al buon funzionamento dei collegamenti intercontinentali radio telefonici appena inaugurati.
La Compagnia Bell Telephon Laboratories, nel 1929 per prima, incaricò l’ingegnere radiotecnico Karl Jansky di investigare sulla fonte e sulla provenienza di questi segnali.
Egli iniziò il suo lavoro costruendo un’antenna per la ricezione delle onde corte a 14,6 metri pari a 20,5 MHz, con dimensioni ragguardevoli visto la lunghezza d’onda interessata:
lunghezza circa 20 metri, larghezza 4 metri e altezza 5 metri.
La struttura, era installata sulle ruote di una vecchia Ford azionata da un motore, che permetteva la rotazione completa in venti minuti per esplorare le varie direzioni; data la sua caratteristica fu denominata la giostra.
Dopo un lungo periodo di osservazione e di raccolta dati, Jansky compilò una classifica dalla quale risultavano tre gruppi di rumori:
il primo imputabile ai temporali locali, il secondo ai temporali distanti ed il terzo un fischio persistente non qualificabile.
I risultati non lo accontentarono è seguitò a studiare il fenomeno, pur non avendo alcuna idea sulla sua origine.
La conclusione di un anno di accurate osservazioni, durante il giorno e la notte, fu la seguente: la maggior intensità del rumore proveniva da una emittente celeste, con una regolarità da poter essere prevista.
L’ipotesi di una stazione radiofonica o di un disturbo atmosferico fu subito scartata.
Egli, considerando il moto siderale lungo l’orizzonte da est ad ovest, nelle diverse ore della giornata e con il procedere delle stagioni, suppose che l’origine fosse al di fuori della Terra.
Il primo pensiero fu il Sole, ma non notando coincidenze con la sua presenza, concluse che l’origine era una posizione fissa nella volta celeste rispetto alle stelle, e precisamente nella costellazione del Sagittario.
Il ragionamento era semplice, l’unico mese dove la sorgente proveniente dal Sagittario ed il Sole sorgono e tramontano insieme è dicembre; a marzo il Sagittario ed il Sole sono, visti dalla Terra, a 90°, ossia quando la sorgente tramonta il Sole è a mezzogiorno, a giugno il sole e la sorgente sono diametralmente opposti.
Il risultato, reso pubblico nel 1932, non interessò il mondo scientifico anche se alcuni astronomi, come F.L.Whipple e J.L.Greenstein, ne percepirono l’importanza.
L’evento fu dimenticato e Jansky non sfruttò la sua scoperta, anzi si stancò della ricerca ed abbandonò le osservazioni nel momento più favorevole allo sviluppo della radioastronomia, ritornando al suo lavoro di tecnico dei disturbi e morì nel 1950 a soli 45 anni.
L’unico riconoscimento ottenuto fu la scelta, da parte dell’Unità Astronomica Internazionale nel 1973, del suo nome per definire l’unità di flusso proveniente dallo spazio e precisamente un jansky equivale a 10-26 Watt per m2 dell’area ricevente per hertz di banda di frequenza (10-26 W/m2 Hz).
Bisogna tenere presente che in quell’epoca i radio ingegneri erano a digiuno di astronomia e gli astronomi consideravano le apparecchiature ottiche più che adeguate allo studio dell’universo.
Il secondo pionere della radio astronomia fu Grote Reber, ingegnere e radio dilettante, il quale leggendo alcuni articoli di Jansky intuì la grande importanza delle nuove scoperte.
Egli si rese immediatamente conto che era necessario costruire apparecchiature adatte all’ascolto dei rumori cosmici.
Immaginando che l’origine delle radiosorgenti fossero termiche, pensò di captare segnali a frequenze alte (rammentiamo l’equazione di Planck dove l’energia è proporzionale alla frequenza).
L’esperienza, purtroppo, dimostrò il contrario e i successivi esperimenti a 33 cm e 9 cm fu negativa.
Non contento, con grande testardaggine, proseguì negli esperimenti e finalmente nell’ottobre del 1938 ebbe i primi risultati positivi.
L’apparecchiatura era costituita da un riflettore a parabola di 9 metri, collegata ad un ricevitore sintonizzato a 160 Mhz, 1,87 metri.
L’antenna era in grado di scandire il cielo variando la declinazione e sfruttando la rotazione della Terra.
Era nato il primo ricevitore moderno della radioastronomia.
La prima conclusione fu che, oltre le radiosorgenti di origine termica, ne esistevano delle altre di natura diversa.
Nel 1944 Reber fu in grado di compilare la prima mappa radio della nostra galassia, dove il massimo dell’intensità era localizzata nella costellazione del Sagittario, confermando le esperienze di Jansky.
Altro fattore interessante fu riscontrare che il ricevitore captava segnali, anche in zone del cielo apparentemente privo di stelle.
Altri scienziati, convinti dell’utilizzo della nuova scienza, iniziarono a dedicarsi alla radioastronomia rammentiamo:
-in Inghilterra nel 1942 durante la seconda guerra mondiale, James Hey e altri colleghi registrarono nel radar, per la prima volta, una emissione del Sole
- la prima registrazione termica della Luna risale al 1946, dai radioastronomi Dicke e Beringer, alla frequenza di 24 GHz
- sempre nel 1946 J.Hey scoprì la prima radiosorgente e dopo due anni G. Smith e R.Martin localizzarono a Cambridge, la più potente radiosorgente
- nel 1955 B.Burke e K.Franklin osservarono una radioemissione da Giove alla lunghezza d’onda di circa 13,5 metri
- in Australia nel 1950 Bolton e Westfold compilarono una radio mappa alla frequenza di 100 MHz
- l’emissione di Venere è stata captata per la prima volta nel 1958 da Mayer, Mc Cullough e Sloanaker alla lunghezza d’onda di 3 e 9 cm
- l’interferometro di Owens Valley captò la radiosorgente 3 C 48, la prima quasar
- nel 1963 Weinreb, ed i suoi collaboratori, osservarono per la prima volta il radicale OH in assorbimento
- sino al 1982 sono state osservate 57 molecole, delle quali 44 organiche, nelle nubi di gas interstellare

Le tappe fondamentali
- la radio emissione dell’idrogeno alla lunghezza d’onda di 21 cm.
- gli astronomi olandesi, durante le seconda guerra mondiale non avendo la possibilità di utilizzare i propri strumenti, si dedicarono ai problemi teorici.
- Jan Oort, dell’osservatorio di Leida, immaginando che le onde radio potevano attraversare le nubi, stimolò il suo allievo, Hendrik van de Hulst, ad interessarsi a questi problemi.
Nel 1945, in un articolo, egli ipotizzò che in un atomo di idrogeno neutro il suo spin, movimento rotatorio attorno al nucleo, può invertirsi emettendo un’onda elettromagnetica a 21 cm.
La conferma si ebbe solo nel 1951 da H.Ewen e E.Purcell.
- la radiazione residua del Big Bang.
George Gamow, Ralph Alpher e Robert Herman, sostenitori della teoria del Big Bang, erano convinti che nell’interno dell’universo era presente una radiazione residua del Big Bang, circa 5 K.
Rammentiamo che 0 K, gradi Kelvin, è pari a -273° centigradi.
Robert Dicke, scienziato di Princeton, anch’esso ipotizzò lo stesso fenomeno ed iniziò, con i suoi collaboratori, a costruire l’apposita apparecchiatura.
- nello stesso periodo, 1964-65, i soliti ingegneri della Bell Telephone Laboratories Arno Penzias e Robert Wilson, lavorando con una antenna destinata alle comunicazioni satellitare, notarono che da ogni direzione proveniva una radiazione inspiegabile a circa 3 K .
Robert Dicke, interpellato, confermò che il segnale da loro scoperto era quello da lui cercato.
Questa scoperta confutò definitivamente la teoria stazionaria di Fred Hoyle, Hermann Bondi e Thomas Gold, la quale affermava che l’universo appariva sempre lo stesso senza inizio e senza fine.
- la scoperta delle quasar
Le quasar, radio sorgenti quasi stelle, devono il loro nome al loro aspetto ottico simile alle stelle e sino al 1963 ritenute tali.
Gli astronomi cambiarono opinione quando si accorsero della emissione intensissima di onde radio.
Molti anni di discussioni trascorsero e finalmente si comprese che le quasar non erano stelle, ma oggetti lontanissimi, miliardi di anni luce, e luminosissimi. Alcuni astronomi ipotizzano che le quasar siano il primo stadio dell’evoluzione delle galassie
- la scoperta delle pulsar
Questa scoperta, come la maggior parte delle scoperte in radioastronomia, avvenne per caso nel 1967.
A.Hewish e la sua allieva J. Bell, radioastronomi di Cambridge, durante le loro ricerche, si accorsero di una debole sorgente radio atipica.
La sua emissione non era costante, ma formata da impulsi regolari intervallati da periodi di circa un secondo.
L’impressione era di essere di fronte ad un faro che ad ogni rotazione investiva la Terra.
Gli astronomi, capirono che la pulsar (pulsanting radiosource) era una stella di neutroni rotante, di piccole dimensioni ma con una densità immensa.
F.Zwicky e W.Baade, nel lontano 1934, anticiparono questa fenomeno dopo la scoperta del neutrone da parte di J.Chadwick.
Il neutrone, come è noto, è una particella del nucleo privo di carica, che differenzia gli isotopi nucleari.
L’origine delle pulsar è dovuta al collasso di stelle meno dense, mentre per masse superiori si evolve in un buco nero.
Negli anni seguenti furono scoperte centinaia di pulsar ; una molto nota è quella al centro della Nebulosa del Granchio con un periodo di solo 1/30 di secondo.
- il premio Nobel
Nel 1974 Martin Ryle, radioastronomo britannico, ricevette il premio Nobel per la fisica per i contributi dati allo sviluppo della radioastronomia.
Egli, con la collaborazione di A.Hewish, introdusse la tecnica della sintesi di apertura.
Questa tecnica, denominata interferometro, consiste nel collegare elettronicamente vari radiotelescopi, aumentando la sensibilità e diminuendo l’angolo di apertura.

Il trasmettitore:

la radiosorgente
Nella radiocomunicazione il segnale ha una frequenza ben precisa, data dal circuito oscillatorio, con una banda di frequenza definita dalla modulazione, facilmente distinguibile dai disturbi.
Un segnale deterministico completamente definito per tutta la durata, prevedibile nelle sue evoluzioni, con un andamento sinusoidale.
La radiosorgente, all’opposto, è un segnale casuale, emessa da varie radiazioni, con fasi e frequenze diverse, con una caratteristica aleatoria incoerente, dove non si può prevedere la forma d‘onda, vedi figura.
Questo segnale è della stessa natura del rumore termico prodotto da un resistore soggetto ad una temperatura (legge di Nyquist). La stessa caratteristica si riscontra nel rumore di fondo delle apparecchiature elettroniche, dovuto all’agitazione termica degli elettroni.
In realtà è il tipico effetto neve, che si nota nella ricezione televisiva dei segnali deboli, o negli impianti di ricezione poco sensibili.
Normalmente l’intensità delle radiosorgenti è esigua, mediamente 10-18 Watt ed inferiore al segnale disturbante pari a 10-12 W, quindi non è agevole separare i due segnali.
Questo è il motivo sostanziale che differenzia il progetto dei ricevitori per la radioastronomia.
Le origini dell’onda elettromagnetica in radioastronomia sono di due tipi:
- termica, con valori di flusso crescenti con la frequenza, secondo la formula di Planck
- non termica, con valori di flusso decrescenti con la temperatura

Termica
La radiazione termica emette un campo elettromagnetico proporzionale alla frequenza, approssimativamente come un corpo nero.
Il corpo nero è così definito perché assorbe completamente tutte le radiazioni incidenti, senza rifletterne nessuna. L’assorbimento di questa energia tende ad aumentare la temperatura interna.
La temperatura comporta all’agitazione delle particelle che costituiscono un corpo. Il corpo nero, naturalmente per mantenere l’equilibrio, emette tutta l’energia che riceve ed appare molto brillante, simile alle stelle.
L’irradiamento, alla temperatura pari allo zero assoluto -273°, è nullo; pochi gradi superiori interessa le onde radio, quindi i raggi infrarossi sino alla temperature di 800 K.
Oltre i 800 K, un metallo diventa incandescente passando da un colore rosso cupo, arancio sino al bianco.
Questo significa che man mano che la temperatura aumenta, proporzionalmente diminuisce la lunghezza d’onda dell’onda elettromagnetica emessa, o legge di Wien.
La luminosità totale, rappresentata dall’area sottesa dalle curve, e proporzionale alla quarta potenza della temperatura, secondo la legge di Stefan-Boltzmann.
Esempi di emissione termica sono:
il Sole, la Luna, il gas interstellare vicino alle stelle calde ed alcuni pianeti.

Non termica
L’emissione di sincrotrone: quando una carica elettrica è costretta ad una variazione di velocità, emette una radiazione elettromagnetica.
Alcuni fisici americani avevano notato che nell’acceleratore di particelle sincrotrone, gli elettroni accelerati ad altissima velocità, emettevano una intensa luce.
Gli elettroni, per essere accelerati, sono immersi in un campo magnetico che li costringono ad una traettoria a spirale, con un continuo cambiamento di direzione.
Questo fenomeno comporta ad una perdita di energia cinetica e come conseguenza una emissione di onde elettromagnetiche.
La frequenza di emissione varia ed è legata alla velocità dell’elettrone ed alla intensità del campo magnetico.
Gli astronomi sovietici Ginzburg e Shklovsky, analizzando lo spettro, ipotizzarono che l’emissione della Nebulosa del Granchio, sia di origine di sincrotrone.
La loro tesi suppone che gli elettroni ad alta energia necessari, siano forniti da una stellina immersa nella nebulosa, residuo della supernova, quindi una pulsar; l’origine del campo magnetico non è stato chiarito.
Emissione dovute al plasma:
a temperature elevate gli atomi si ionizzano perdendo gli elettroni esterni.
Il mezzo è denominato il plasma, o quarto stato, ed è costituito da ioni positivi ed elettroni negativi.
Gli ioni, in presenza di zone astronomiche ad alta temperatura, possono produrre sugli elettroni in avvicinamento una notevole accelerazione, facendo emettere onde elettromagnetiche .
Questo fenomeno è denominato bremsstrahlung, o radiazione di frenata.
Esempi di emissione non termica, la maggioranza dei casi, sono:
la radiazione del Sole perturbato, le radiogalassie ed il gas interstellare lontano dalle stelle calde
Le radiosorgenti si classificano in:
- radiazione continua diffusa, rappresentata dalle radio mappe del cielo, dove è rapportato l’andamento della brillanza secondo linee isofote
- radiazione proveniente da sorgenti localizzate a spettro continuo, termiche e non
- radiazione costituita da righe spettrali in emissione o ad assorbimento ben definite
L’esempio tipico di quest’ultima radiazione è l’emissione della riga 21 cm da parte dell’idrogeno.
L’elettrone ed il nucleo dell’idrogeno ruotano nello stesso senso, o spin paralleli, rimanendo in questa situazione anche per 11 milioni di anni.
Succede, casualmente, una inversione dello spin dell’elettrone, con il passaggio dell’atomo da un’alta energia ad una minore.
Questo fenomeno, trattandosi di due orbite vicinissime comporta alla emissione radio.
Il numero degli atomi dell’idrogeno presenti nello spazio è molto grande, quindi l’emissione precedentemente descritta è sempre osservabile.

Le apparecchiature

Nella figura è visibile lo schema a blocchi dell’apparecchiatura maggiormente utilizzata in radioastronomia così composta: dall’antenna a parabola, dal radioricevitore  a potenza totale o radiometro e  dal sistema di acquisizione ed elaborazione dati.
Altri ricevitori sono utilizzati per applicazioni particolari e precisamente:
-ricevitori a confronto, o di Dicke, dove la magggior stabilità si è ottenuta confrontando il segnale utile con un segnale di riferimento, mediante una commutazione rapida
-ricevitori a correlazione, o a rivelazione coerente,
-radiointerferometri, realizzati con due o più antenne distanziate,
-ricevitori per radiospettrometro, misurano le righe di emissione spettrale
Prima di descrivere il funzionamento del radiometro, introduciamo il concetto della temperatura equivalente di rumore d’antenna.
Nella radiocomunicazione il segnale elettromagnetico, presente nell’area della antenna, è convertito in una forza elettromagnetica di debole entità, misurabile in pochi microvolt. Nella radioastronomia, il segnale è un rumore con le componenti non correlate fra loro, con frequenze diverse e con valore medio nullo. Il suo valore, per comodità e per utilità, è indicato come la temperatura Ta equivalente del rumore. In altre parole si immagina di sostituire l’antenna con una resistenza,  riscaldata da una ipotetica temperatura Ta, tale che la potenza così prodotta sia uguale a quella rivelata dall’antenna.
La formula che lega i vari componenti è la legge di Nyquist   Na = KTa B
dove Na è la potenza media disponibile del rumore equivalente, K è la costante di Boltzmann, B è la banda passante, ossia le freguenze presenti nel segnale. . L’antenna, oltre al segnale utile, capta delle componenti indesiderate di varia natura  come i disturbi e i rumori:disturbi per interferenze dipendente dalla posizione dell’antenna; disturbi di origine atmosferica dovuti principalmente a scariche elettriche dei temporali; disturbi di origine artificiale prodotti dalle industrie, rumore proveniente dal terreno e dall’atmosfera, rumore dovuto alle perdite dell’antenna

 L’antenna: la parabola

Una antenna molto usata è la parabola e la sua caratteristica principale è di riflettere e focalizzare, grazie alla superficie parabolica del riflettore, l’energia captata in un punto, dove è situato l’illuminatore.
L’illuminatore, nome derivato dall’analoga funzione dei fari d’auto, secondo la frequenza utilizzata o il diagramma di radiazione voluto, può essere costituito dal dipolo, da una guida d’onda o da una antenna a tromba.
Normalmente sono usate due tipi di parabole.
Nel campo amatoriale la offset utilizzata nella ricezione TV satellitare, vedi figura a sinistra, dove si nota la posizione dell’illuminatore al di fuori del campo di ricezione. Nel campo professionale la Cassegrain, figura a destra, simile alla configurazione dei telescopi riflettori, dove l’illuminatore viene sistemato in un punto meccanico solido e facilmente accessibile.

L’amplificazione del segnale

Le apparecchiature attuali, grazie all’evoluzione tecnologica e l’utilizzo delle tecniche numeriche, o digitali, sono meno complesse, più stabili, più affidabili. Inoltre si ha la possibilità di costruire innumerevoli apparecchiature con caratteristiche identiche e con minor allineamenti e messa a punto, all’opposto  del circuito analogico.

L’amplificazione diretta

Il debole segnale captato dall’antenna è amplificato per essere elaborato, ed il sistema più semplice è il ricevitore ad amplificazione  diretta. Questo circuito consiste nell’amplificare il segnale ricevuto nella stessa frequenza di  ricezione, seguito dallo stadio rivelatore.
L’utilizzo in radioastronomia è alle frequenze non elevate; le  caratteristiche principali sono: la semplicità circuitale, la sensibilità, la stabilità e l’assenza del rumore prodotto dal miscelatore e dall’oscillatore locale

Il ricevitore  a supereterodina

Nel ricevitore a supereterodina, il segnale ricevuto è traslato in una frequenza più bassa, denominata frequenza intermedia o media frequenza, visto precedentemente nella radiocomunicazione.
In questo caso il ricevitore è composto dai seguenti circuiti:il preseletore a radio frequenza, il miscelatore, l’oscillatore locale e lo stadio amplificatore a media frequenza.

Il ricevitore total power SHF

Il radiometro, o total power, è l’apparecchiatura più usata in radioastronomia amatoriale, appositamente studiato per misurare  il rumore, il segnale proveniente dal cosmo.
Nella figura sono visibili i vari stadi componenti il ricevitore a supereterodina; il loro funzionamento sarà descritto dettagliatamente.
Iniziamo dall’antenna, nel punto focale è installata un’apparecchiatura, l’illuminatore, denominata LNAC, Low Noise Ampifier Converter, utilizzata nella ricezione televisiva satellitare. Al terminale dell’antenna è inserito un filtro passa banda f1 per eliminare ogni frequenza indesiderata, in special modo la banda immagine. Il filtro passa banda, simile ai filtri ottici, lascia passare unicamente una gamma di frequenze designate, nel nostro caso 10,7-11,8 GHz (la banda del satellitare).
L’amplificatore LNA, low noise amplifier, front-end, ha una cifra di rumore molto bassa, 0,8-1 dB, ed è installato immediatamente dopo il filtro, per ridurre al minimo l’attenuazione del segnale.
Ultima caratteristica da analizzare è l’ampia linearità del funzionamento, richiesto agli amplificatori in genere ed alla radio frequenza in particolare.
Il segnale utile è di bassa intensità, con la presenza di segnali interferenti molto ampi, che interessano la parte non lineare del sistema producendo delle distorsioni di terzo ordine, ossia la caratteristica di traqsferimento è proporzionale al cubo e la conseguenza è la generazione di fenomeni indesiderati, come la modulazione incrociata e la intermodulazione.
La modulazione incrociata si riscontra spesso nei centralini amplificatori d’antenna dei condomini, in presenza di segnali di forte intensità.
L’effetto risultante, denominato tergi cristallo, è la sovraposizione in negativo del segnale disturbante sul segnale utile, non in sincronismo quindi in movimento.
La intermodulazione comporta ad avere in uscita la combinazione delle frequenze dei segnali in ingresso, piuttosto delle loro armoniche.
Questi inconvenienti si posso eliminare adottando dei componenti atti a sostenere ampiezze di segnali molto ampi, a scapito del maggior consumo e del costo.
Proseguendo vediamo lo stadio convertitore composto dal miscelatore e dall’oscillatore locale.
L’ampiezza del segnale dell’oscillatore è molto ampia e nel caso dei radiospettrometri deve essere necessariamente molto precisa.
La frequenza intermedia fi risultante è fi=fa-fo, pari a 950-2050 MHz, dove fo, l’oscillatore locale, è 9750 MHz.
Prima di trasferire il segnale al connettore di uscita del tipo F, (utilizzato nelle apparecchiature televisive satellitare) è inserito il filtro f2 passa banda, Il suo guadagno varia, secondo le apparecchiature utilizzate, da 20 a 50 dB. La cifra di rumore è il rapporto fra il rapporto segnale/disturbo all’ingresso e quello all’uscita dell’apparato. Proseguendo vediamo lo stadio convertitore composto dal miscelatore e dall’oscillatore locale.
La frequenza intermedia fi risultante è fi=fa-fo, pari a 950-2050 MHz, dove fo, l’oscillatore locale, è 9750 MHz. Prima di trasferire il segnale al connettore di uscita del tipo F, (utilizzato nelle apparecchiature televisive satellitare) è inserito il filtro f2 passa banda, 950-2050 MHz.
Questo filtro definisce la larghezza di banda  della frequenza intermedia, pari a 1100 MHz. Nella radiocomunicazione, la larghezza di banda del ricevitore è ben definita, ed è identica allo spettro occupato dal segnale modulato a radiofrequenza. In radioastronomia, dove il segnale ricevuto è generato da sorgenti naturali con valori di frequenze molto estese, incrementare la larghezza di banda del ricevitore significa aumentare il livello di uscita del segnale utile. Nel segnale cosmico è presente anche il segnale di interferenza, quindi è necessario limitare, oltre un certo valore l’ampiezza di questa caratteristica. Il cavo da utilizzare per il collegamento all’apparecchiatura deve essere il più corto possibile e del tipo TV-SAT 75 ohm. L’apparechiatura RAL 10, della RadioAstroLab, è connessa al LNAC dal cavo di collegamento sopra descritto, attraverso al quale passa l’alimentazione a corrente continua necessaria per il funzionamento circuitale. L’ingresso, il connettore F, è collegato all’amplificatore a media frequenza fi a larga banda, con un guadagno di circa 50-60 dB, per un guadagno totale dell’intera apparecchiatura di 90-100 dB.
La caratteristica principale dell’amplificatore fi è il guadagno stabile al variare della temperatura, senza il controllo automatico del guadagno usato nei radioricevitori. Il guadagno adottato è molto elevato, ed una minima fluttuazione d’ampiezza, comporta ad una variazione del livello d’uscita inaccettabile. Il segnale a fi, adeguatamente amplificato, è applicato al circuito rivelatore, visto precedentemente. Nella radioastronomia, il segnale ricevuto è un rumore incoerente con un valore medio nullo; l’unico parametro misurabile è il quadrato della potenza del segnale.
Il risultato voluto si ottiene, applicando un basso livello nel tratto iniziale parabolico della curva  del rivelatore.
L’eventuale deriva termica nel fuzionamento, è compensata installando un secondo diodo analogo. L’uscita del rivelatore è collegata all’amplificatore-integratore, di post-rivelazione. Lo scopo di questo circuito è di amplificare il segnale rivelato, mediante un’amplificatore operazionale, con la possibilità di variare il guadagno DC. Il rumore di fondo dell’apparecchiatura, sommato al segnale utile, deve essere eliminato.
Il sistema usato è di utilizzare una tensione di riferimento Vref variabile, offset, tale da azzerare il livello di tensione in uscita, dovuto al segnale indesiderato. In altre parole si verifica l’ampiezza del segnale del radiometro senza il segnale utile, quindi variando la tensione di riferimento, si azzera la linea di base radiometrica. L’uscita dell’amplificatore operazionale è collegata al circuito integratore,    composto da un resistore e da un condensatore. La funzione dell’integratore è di sopprimere le piccole  variazioni di ampiezza non utili per la misura, figura.

Il condensatore C, quando è sottoposto ad una tensione ai suoi capi, impiega un certo tempo per raggiungere il valore del potenziale applicato.
Il tempo necessario dipende dalla costante di tempo RC, dove R è il valore del resistore del circuito. La scelta  della costante di tempo deve tener presente le seguenti considerazioni: un piccolo valore comporta ad una eccessiva fluttuazione del segnale, un grande valore livella eccessivamente la risposta, aumentando la sensibilità del sistema, ma perdendo le piccole variazioni utili alla misura. Se è consentito un paragone, è come usare la lima per levigare un materiale; poco, la linea non è liscia, troppo si modifica la forma voluta. Il segnale variabile in ampiezza, presente all’uscita dello stadio amplificatore-integratore, è convertito in digitale, il linguaggio usato dal computer.

L'acquisizione dei dati

La numerazione decimale, composta da 10 cifre come il numero delle dita delle mani, è il codice usato quotidianamente per la sua comodità nel conteggio. Il computer si basa sul codice binario, dove sono utilizzati unicamente due elementi o bit, binary digit, 0 e 1: essi esprimono due condizioni fondamentali: aperto-chiuso, livello basso-alto di tensione.
Queste situazioni sono tipiche dei circuiti elettronici, ed è il motivo dell’utilizzo della notazione binaria nel computer. I vari segnali e le informazioni, in forma analogica, per essere interpretati dal computer, sono convertiti nel linguaggio binario mediante il convertitore analogico-digitale, ADC. Le operazioni sono le seguenti: campionatura, quantizzazione e codifica binaria, vedi figura . La campionatura consiste nel rilevare le ampiezze del segnale analogico, mediante dei segnali ciclici ad una determinata frequenza. L’intervallo di tempo tra un campione ed il successivo è denominato periodo di campionatura. La frequenza di campionamento, per poter ricostruire successivamente il segnale, deve essere almeno doppia della massima frequenza del segnale da campionare.
Questa regola, o criterio di Nyquist, significa che se vogliamo codificare un segnale audio con la frequenza massima di 20 kHz (esempio i CD), la campionatura deve essere eseguita almeno a 40 kHz.
Il passaggio successivo è la quantizzazione, dove sono convertiti a valori discreti le variazioni continue di ampiezze, rilevate nella campionatura nelle varie fasi. Nel nostro esempio, dove la variazione di tensione è da 0 a 7,5 volt, si hanno le seguenti fasi: fase 1- 4,4 volt, fase 2- 5 volt, fase 3-7,5 volt. Ultima operazione è la digitalizzazione, dove ogni valore rilevato è abbinato in modo univoco ad un numero binario.
Per semplicità immaginiamo di avere   3 bit disponibili, pari a 23 = 8 combinazioni diverse: 000, 001, 010, 011, 100, 101, 110, 111.
Analizzando la figura , si ottiene:
-nella fase 1 il valore 4,4 volt è abbinato al codice 100
-nella fase 2 il valore 5 volt è abbinato al codice 111
-nella fase 3 il valore 7,5 è volt sono abbinato al codice 101
In questo modo si possono verificare degli errori, infatti, nella fase 1 tra 4 e 5 volt, sono abbinati allo stesso codice 100. Questa imprecisione, dovuta all’insufficiente numero di bit, è denominata errore di quantizzazione.
Le codifiche utilizzate nelle varie apparecchiature digitali, Digital Signal Processing, usano quantizzatori a 12, 14, 16 bit. In questo modo, si aumenta notevolmente il numero delle combinazioni, e come conseguenza la caratteristica di conversione tende ad essere rettilinea. L’uscita del radiometro, mediante la porta seriale RS 232, è connessa all’ingresso del computer gestito dal programma Radiometrica.
Questo software, dell’ing. Salvo Pluchino, è di processing dei segnali acquisiti dalle apparecchiature radioastronomiche.

Radioastronomia pratica


Postazione dell'autore IX1GTG:
telescopio Meade LX 200 250 mm
parabola per la ricezione radioastronomica con RAL 10
antenne rice-trasmittenti per l'attività radioamatoriale

Utilizzando la parabola satellitare televisiva e l’apparecchiatura total-power, o radiometro, RAL 10 (banda SHF) della ditta RadioAstroLab di Senigallia, si acquisiscono i radio segnali provenienti dal cosmo.
L’apparechiatura è destinata agli appassionati della radioastronomia amatoriale, per semplici osservazioni delle radiosorgenti più intense nella banda 10-12 GHz, come il Sole, la Luna.
L’orientamento della parabola è momentaneamente manuale; successivamente, dopo un ragionevole periodo di prove e di esperienze, sarà adottato il sistema motorizzato.
Si potranno sperimentare due soluzioni:
- installare una parabola 40x40 cm, utilizzata dai camperisti per la ricezione satellitare, nel telescopio Meade; in questo modo si orienta la parabola con il medesimo sistema utilizzato in astronomia ottica.
La sensibilità dell’apparecchiatura, dato la minima area efficace della parabola, non è molto alta.
- adattare meccanicamente la parabola alla montatura automatica Gran Polaris della Vixen, normalmente utilizzata con il rifrattore apocromatico Meade 102 mm.
Il segnale proveniente dalla radiosorgenti è molto basso ed è indispensabile adottare una parabola di almeno 2,50 metri, come è visibile nella postazione di Ferruccio Paglia, vedi figura sopra sinistra.
Le note della ditta costruttrice, relative all’installazione del radiometro, avvisano di controllare il cavo coassiale, proveniente dalla parabola, sia privo di corto-circuiti fra la calza esterna ed il conduttore interno del connettore F.
Rammentiamo che attraverso questo cavo si alimenta, con una tensione continua, il dispositivo LNAC.
Le due apparecchiature, sempre per lo stesso motivo, devono essere collegate fra loro, con il cavo della rete sconnesso.
Prima di iniziare l’acquisizione dei dati, è buona norma verificare il funzionamento dell’intero complesso senza l’utilizzo della parabola.

Coprendo o scoprendo con la mano l’illuminatore, si osserva nel display le variazioni dell’andamento della schermata.
In questo modo si ha la possibilità di controllare l’efficienza dei comandi Vref e DCGain.
La prima prova sul campo è osservare il transito del Sole, sia per la facilità dell’orientamento, sia per la grande intensità disponibile, figura sopra a destra.
La prossima operazione è la ripresa del transito della Luna, con una maggior difficoltà dovuta all’intensità minore, ed un orientamento più critico.
In questo caso è indispensabile installare, in serie al collegamento di uscita dell’illuminatore, un preamplificatore satellitare da 20 dB.
Oltre la banda sin’ora analizzata SHF, è possibile utilizzare altre bande di frequenze.
- Banda Very Low Frequenzy, VLF, (3 kHz-40 kHz) installando un’antenna, un ricevitore ad amplificazione diretta, gli stadi convertitore A/D e amplificatore operazionale e computer.
In questa banda è possibile rilevare le variazioni d’ampiezza dei segnali delle radiotrasmittenti, causate dai brillamenti solari, denominati SIDs, che interferiscono con gli alti strati della atmosfera terrestre.
A questo proposito segnalo l’articolo di Pluchino-Battaiola, vedi Astronomia dell’UAI, novembre-dicembre 2006.
- Banda High Frequency HF, (3-30MHz) l’apparecchiatura è simile alla precedente variando la frequenza di ricezione.
Come si può notare, è la banda utilizzata da Karl Jansky nel 1931, e si presta per l’osservazione radio di Giove e captare la radiazione galattica provenienta dalle radiosorgenti non termiche.
Un esempio sono i transiti al meridiano di Sagittario A, vedi figura a destra, osservati da Salvatore Pluchino utilizzando un ricevitore RAL-HF alla frequenza di 26 MHz, un’antenna Yagi 5 elementi ed un convertitore RAL A/D 12 bit.
Un interessante esperimento è ricevere l’emissione a 1420 MHz della riga spettrale dell’idrogeno, causata dal cambio di rotazione dello spin antiparallelo.

Il radioastronomo Ferruccio Paglia, utilizzando un’antenna ad elica, un preamplificatore a basso rumore, un radio ricevitore AOR 5000 (10 kHz-3 GHz), un analizzatore di spettro SDR4-14 ed un sw spectraVue, ha analizzato, nel dominio delle frequenze, questa emissione, vedi figura di sinistra.
Per maggiori informazioni, relative all’argomento specifico, invitiamo il lettore a leggere i vari articoli del’ing. Flavio Falcinelli (Astronomia UAI marzo-aprile 2005) e di Michele Migliardi (Nuovo Orione giugno 2004 e settembre 2005).


I° corso UAI di di Radio Astronomia
Nell’anno 2006-07, l’UAI, nella persona dell’ing. Salvo Pluchino, IRA-INAF, hanno organizzato presso il Centro visite Ceccarelli di Medicina Bologna, un corso di radioastronomia.
I relatori sono stati la dr.ssa Simona Righini ed il dott. Sergio Poppi, dell’stituto di Radio Astronomia IRA-INAF
Scopo del corso è l’utilizzo della parabola di 32 metri, per osservare gli spettri nelle frequenze 1,4-23 GHz, prodotti dai componenti del mezzo interstellare.
Esso è composto per il 75% di idrogeno, il 24% di elio e l’1% di polvere.
Oltre le transizioni elettroniche, vedi appendici, esistono delle transizioni molecolari vibrazionali e rotazionali, le quali provocano l’emissione nella banda SHF.
La forma d’onda rispecchia la gaussiana a campana, con una sovrapposizione di altre righe e disturbi.
Lo spettro della riga dell’idrogeno, vedi figura, è un esempio.
La molecola proposta per l’osservazione è quella dell’ammoniaca, NH3 con uno spettro a 23,694 GHz.
In altre parole si visualizza con una procedura professionale, descritta in modo amatoriale nell’esperimento di Ferruccio Paglia.









PAGINA DEDICATA ALL’ESPERIMENTO DEL 14 APRILE 2007










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(dal libro "Il cielo di Papà Marcel" di Luciano Ravello)

La luce
"Papà Marcel, la protagonista delle osservazioni astronomiche è la luce, senza la quale l’astronomia non esisterebbe, giusto, ma che cos’è la luce, quale è la sua natura?"
"Bella domanda Piero, dirò di più, anche la radio e la televisione non esisterebbero senza le onde elettromagnetiche."
"Il vizio di confonderci le idee non lo perdi vero," disse ridendo Piero "non sappiamo che cos’è la luce e ci propini le onde elettromagnetiche."
"Al solito procediamo con ordine.
La natura della luce è l’onda elettromagnetica la quale comprende sia la radio, la televisione ed i raggi x.
Essa è simile, ad esempio, alle onde sulla superficie dell’acqua, generate da un sasso gettato in uno stagno.
La forma è sinusoidale, formata da una serie di creste e di avvallamenti come è visibile nella figura."
"La matematica è sempre presente," esclamò Piero "la sinusoide non è altro che lo sviluppo dell’equazione trigonometrica
y = A sen x,
se noi verifichiamo l’ampiezza del seno al variare dell’angolo x da 0° a 360° visualizzeremo questa forma d’onda."
"Bravo Piero, se vuoi la prossima serata ci spiegherai la matematica utile per l’astronomia, ora lasciami continuare il mio argomento.
Prima di descrivervi quale è la natura dell’onda elettromagnetica, analizziamo brevemente l’evoluzione delle varie tappe storiche.
Sino al secolo XVIII si riteneva che l’origine della luce fosse corpuscolare, composta da un flusso di corpuscoli emesso dalla sorgente che provoca, penetrando nell’occhio, la sensazione della visione. Il maggior sostenitore di questa teoria fu Isaac Newton che riuscì a spiegare i fenomeni della riflessione e della rifrazione.
Christian Huygens, sin dal 1678, elaborò che la luce fosse un fenomeno ondulatorio; dato la grande reputazione di Newton e l’osservata propagazione rettilinea della luce, questa teoria fu rifiutata.
Solo nel 1801 la teoria ondulatoria fu riportata in vita per merito dell’inglese Thomas Young (1773-1829) introducendo il concetto della interferenza come fenomeno ondulatorio.
Un altro scienziato contribuì notevolmente al progresso di questa teoria fu il francese Augustin Fresnel (1788-1827), il quale esperimentò sui fenomeni dell’interferenza e della diffrazione, ponendo su basi teoriche le ipotesi sperimentali della teoria ondulatoria.
In ultimo nel 1860 James Clerk Maxwell, con le sue famose equazioni, unificò matematicamente i fenomeni elettrici e magnetici osservati nell’onda elettromagnetica.
La conferma pratica di questa teoria si ebbe nel 1887 da un esperimento di Heinrich Hertz, il quale riuscì a generare e rivelare onde elettomagnetiche con l’ausilio di circuiti elettrici accordati, ossia bobina e condensatore.
Quando si pensava di aver esaurito le conoscenze in merito alla teoria ondulatoria, Hertz scoprì l’effetto fotoelettrico, il quale consiste nell’emettere elettroni quando una superficie metallica è colpita dalla luce.
Molti esperimenti furono eseguiti da molti fisici e si scoprì che il numero degli elettroni emessi non dipendeva dalla intensità della luce ma dalla sua frequenza.
Questo risultato era incomprensibile; secondo la teoria conosciuta a quel tempo, l’intensità della luce è l’energia che cade in ogni secondo sull’unità di area della superficie metallica.
Il mistero fu svelato da Einstein, il quale suppose che la luce fosse costituita da granuli o corpuscoli chiamati quanti di energia o fotoni la cui energia è proporzionale alla frequenza dell’onda, secondo la formula
E = hf
dove E è l’energia del fotone, h è la costante di Plank e f la frequenza.
I successivi lavori e studi diedero ragione all’ipotesi di Einstein, ed in fine ci si trovò di fronte ad una netta dualità di comportamento della luce, ondulatoria e corpuscolare."
"Papà Marcel," esclamò Piero "me ne dai atto che sono concetti un po’ ardui da comprendere, vedi se puoi essere più chiaro."
"Mi hai anticipato, vi ho descritto l’evoluzione storica delle scoperte ed ora, come vi avevo promesso, cercherò di spiegarvi con parole semplici i vari fenomeni fisici.
Ripeto non vi è alcuna differenza di natura fra le onde luminose e le onde elettromagnetiche.
L’unico elemento variabile è la frequenza o lunghezza d’onda.
Vedete nella figura la forma d’onda è sinusoidale e la frequenza f è il numero di cicli completi al secondo o in altre parole il numero delle creste che passano per un punto ogni secondo.
La lunghezza d’onda l lambda è la distanza spaziale fra due creste successive e la velocità della luce c, pari a 300.000 km al secondo, è uguale al prodotto dei parametri
f *l _ = c, quindi si ha _l = c/f
Vi faccio un esempio concreto per rendere più chiaro il concetto:
la frequenza di trasmissione di una stazione radio a modulazione di frequenza, poniamo sia 100 Mhz (100 milioni di cicli al secondo), la sua lunghezza d’onda è quindi
300x106 / 100x 106 = 3 metri
Probabilmente avrete notato, che le dimensioni delle antenne di ricezione variano secondo la frequenza di funzionamento e precisamente, grande per le stazioni radio a mf e piccole per le stazioni televisive in banda Uhf."
"Vero," affermò Piero, "mi ricordo quando ero piccino, in casa era installato un lungo filo per ricevere le onde medie, mi pare con frequenza attorno ai 1000 Khz."
"La generazione di un’onda elettromagnetica" proseguì Marcel "avviene in questo modo:
–se in un conduttore facciamo scorrere una corrente elettrica variabile nel tempo, si genera un campo magnetico, simile alla magnetoterapia, anch’esso variabile nel tempo
–a sua volta il campo magnetico genera un campo elettrico variabile nel tempo e così di seguito.
Prendiamo come esempio le onde inerenti alla trasmissione radio e televisiva.
L’apparato trasmittente genera una tensione variabile ad una specifica frequenza, che identifica il canale o la sintonia da eseguire, eccita l’antenna generando il fenomeno sopra descritto.
I due campi sono fra loro concatenati, l’esistenza dell’uno è legata all’esistenza dell’altro e giacciono su piani perpendicolari fra loro.
L’azione che vi ho descritto, non è altro che una perturbazione dei campi elettrici e magnetici che si propaga nello spazio, la direzione della propagazione è ortogonale alla direzione dei due campi.
L’azione é simile a quella di una corda tesa fatta vibrare.
Osservate l’estensione delle onde elettromagnetiche.
Partendo dalle frequenze più alte ci sono i raggi gamma di origine nucleare, quindi i raggi X, le radiazioni ultraviolette, il campo delle radiazioni visibili, le radiazioni infrarosse o calorifiche ed in ultimo le onde radio."
"Intuisco il fenomeno a livello delle onde radio," interruppe Piero "ma non comprendo come si forma l’onda elettromagnetica negli oggetti celesti, non penso che sia dovuto ad un trasmettitore come nell’esempio che ci hai spiegato."
"Ottima domanda, infatti, l’origine dell’onda elettromagnetica in questo caso è diversa.
Il discorso diventa arduo visto l’argomento da trattare, spero di essere chiaro e rigoroso nello stesso tempo.
Vi rammentate, quando vi ho spiegato l’atomo, dell’elettrone ruotante attorno al nucleo, bene, può accadere che a causa del riscaldamento o di un urto da parte di un fotone, esso abbia la sufficiente energia per saltare ad un orbita energetica superiore. Rammento che le orbite degli elettroni ruotanti sono ben definite, dette quantizzate, fissate da certe regole.
La posizione raggiunta dura milionesimi di secondo, quindi l’elettrone ritorna nell’orbita primitiva, liberando l’energia acquisita sotto forma di fotone con frequenza proporzionale alla differenza energetica delle due orbite, ossia una radiazione elettromagnetica lungo tutto lo spettro, dalle onde radio al visibile all’ultra violetto.
La stesso fenomeno succede quando si salta sopra ad un muretto, acquisendo energia potenziale, che restituiamo sotto forma di energia cinetica nell’impatto del nostro corpo quando ritorniamo nella posizione precedente.
Un’altra fonte di onde elettromagnetiche celesti è il fenomeno del sincrotrone di origine non termica; questo argomento immagino che riguarda la radioastronomia."


La radioastronomia

Le lezioni di Luciano erano diventate per Mario e Piero una consuetudine, come quelle di Papà Marcel.
Quest’ultimo, malgrado la palese antipatia per le tecniche moderne, non ne perse una anzi, con il consueto entusiasmo giovanile, immaginava di utilizzarle. Mario, pensava fra sé Papà Marcel, quando avrà il nuovo telescopio interfacciato con il Pc, m’insegnerà ad adoperarlo ed anch’io progetterò dei Cd. Ragionava come avesse davanti a se tutta la vita.
"L’argomento di questa sera è, come vi avevo anticipato, la radioastronomia." interruppe i suoi pensieri, Luciano.
"Come vi avrà spiegato Papà Marcel, sapete che la luce è un’onda elettromagnetica della stessa natura delle onde radio, dei raggi x, dei raggi gamma, degl’infrarossi ecc.
Orbene gli oggetti celesti, come vi spiegherò in seguito, generano vari tipi d’onde elettromagnetiche, le quali, com’è visibile in quest’immagine non tutte arrivano sulla superficie terrestre, infatti, esistono delle finestre e precisamente:
– finestra ottica, da un micro metro a 1/10 di micro metro, la luce visibile dall’infrarosso all’ultravioletto
– la finestra radio, da 15 m a qualche mm
– la finestra dell’infrarosso circa 10 micro metri
Il gran vantaggio dell’onda radio, rispetto alle altre radiazioni, è la sua propagazione senza attenuazione lungo il suo percorso nell’Universo.
Iniziamo considerando l’evoluzione storica della radioastronomia tenendo presente che il suo sviluppo è legato alle radiocomunicazioni.
Nel 1931 la Direzione della Bell Telephon Company assegnò all’ing. Karl Jansky il compito di determinare la direzione dei disturbi a radio frequenza, generati dai temporali.
Questi interferivano le trasmissioni radiotelefoniche transoceaniche della stazione Holm del New Jersey verso l’Europa.
Naturalmente, conosciuta la provenienza dei disturbi, le antenne sarebbero state opportunamente schermate migliorando la qualità delle comunicazioni.
Il risultato della ricerca con un’antenna rotante a 20 Mhz fu che vi sono due tipi di segnali disturbanti:
– uno dipendente dai temporali,
– l’altro ripetitivo, con una regolarità non casuale, proveniente dalla volta stellata ed esterna al sistema solare.
Nel 1935 si dimostrò che l’esatta direzione di provenienza è il centro della galassia, ma la notizia pur così importante passò inosservata.
Un tecnico radio-amatore americano, Grote Reber, saputo la notizia, costruì un’antenna parabolica per una frequenza di ricezione di 300 Mhz, pensando di migliorare il sistema, considerando la formula di Planck
E = hxf, dove l’energia è direttamente proporzionale alla frequenza.
L’esito fù negativo, provò a 900 Mhz nulla e finalmente nel 1939, dopo numerosi tentativi, alla frequenza di funzionamento di 160 Mhz ottenne il gran risultato.
Le trasmissioni radio originate dal cielo erano una realtà e nel 1944 fu pronta la prima mappa celeste dove la massima radiazione proveniva dalle costellazioni del Sagittario, con minor intensità dal Cigno, dalla Cassiopea, dal Cane Maggiore, da Perseo.
Terminata la seconda guerra mondiale, le esperienze di Jansky e di Reber interessarono l’astronomia ufficiale e grazie alla sorprendente innovazione tecnica nel campo delle telecomunicazioni, si raggiunsero dei risultati veramente importanti.
Nel 1974 il radio-astronomo inglese Martin Ryle ricevette, per le sue scoperte, il Premio Nobel per la Fisica.
La radio-astronomia ebbe finalmente la consacrazione ufficiale."
"Luciano," interloquì Papà Marcel, "la storia della scienza è colma di questi esempi.
Uomini che dedicarono la loro vita ed le loro fortune per la conoscenza dei fenomeni fisici; mi affascina ogni volta ascoltare simili episodi, pensando alle infinite possibilità del genio umano."
"Hai ragione e merito di questi geni se il livello tecnologico odierno è così alto, ora ritorniamo al nostro argomento cercando di capire l’origine delle onde radio celesti.
Come si è visto precedentemente il fenomeno non solo è legato alla temperatura, ossia di natura termica come nel caso di Jansky, ma ad un’altra origine non termica.
La risposta s’intuì nel 1950, in seguito allo sviluppo degli acceleratori delle particelle dove una carica elettrica, come l’elettrone, è fatta entrare a gran velocità in un campo magnetico.
Come conseguenza, essa è deviata dal moto rettilineo e uniforme e costretta un cammino elicoidale, attorno alla direzione del campo.
Se la velocità raggiunge il 95% della velocità della luce, si genera una radiazione ad onda elettromagnetica dal violetto sino alle onde radio.
La prima macchina che manifestò questo fenomeno è il sincrotrone, per analogia anche l’origine della radiazione celeste fu chiamata con il medesimo nome.
Il fisico russo I.Shklowskii sviluppò il modello fisico generalmente adottato dove si presume che l’accelerazione degli elettroni, è dovuto all’esplosione di una supernova.
Nel 1944 van de Hulst scoprì che l’atomo di idrogeno può irradiare una radiazione elettromagnetica a frequenza di 1420 Mhz, pari ad una lunghezza di 21 cm.
Una scoperta molto importante, visto che l’emissione di una frequenza singola è soggetta all’effetto Doppler, quindi si puo’ verificare se l’oggetto si allontana, se la frequenza diminuisce, o si avvicina se la frequenza aumenta.
Negli anni 60 si ebbero due importanti scoperte:
– le pulsar, radio sorgenti pulsanti
– il residuo della radiazione cosmica a 2,7° Kelvin originato dal Big Bang, da parte degli ingegneri R.Wilson e A.Penzias.
Vediamo ora quali apparecchiature e strumentazione vengono utilizzate in radioastronomia."
"Secondo me, Luciano, se la radiazione elettromagnetica proveniente dal cielo è simile a quella radiofonica e televisiva, per riceverla è possibile utilizzare le stesse apparecchiature."
"Saggia risposta Piero, nella figura è disegnato lo schema a blocchi del sistema ricevente composto dal ricevitore a supereterodina (simile ad un apparecchio radio) e dall’antenna parabolica.
Questa antenna è usata per la sua maggior direttività e guadagno, utilizzata anche per la ricezione televisiva satellitare.
Lo stadio a Radio Frequenza serve ad amplificare il debole segnale ricevuto, il quale é convertito per mezzo dell’Oscillatore locale in una Frequenza Intermedia ben deteminata.
Faccio un esempio:
– immaginiamo di ricevere il segnale della la radiosorgente Cassiopea, a 677 Mhz, il quale è amplificato e convertito in un segnale a 50Mhz, la frequenza intermedia; questo risultato si ottiene facendo un battimento fra la frequenza entrante a 677 Mhz e la frequenza dell’oscillatore locale a 727 Mhz,
727-677=50 – ora immaginiamo di ricevere un segnale a 1420 Mhz, la radiazione dell’idrogeno, anch’esso è convertito nella stessa frequenza intermedia a 50 Mhz; in questo caso l’oscillatore locale ha una di 1250Mhz, 1250-1240=50
Naturalmente le due frequenze sopra menzionate, l’entrata e l’oscillatore loicale, sono variabili contemporaneamente per ottenere sempre la stessa frequenza intermedia.
Notate che la frequenza dello stadio della Media Frequenza è fisso e non variabile, con una semplificazione circuitale e con grande amplificazione.
In ultimo il segnale è Rivelato, ossia reso decifrabile, Amplificato e Registrato.
Tengo precisare che i segnali captati sono molto deboli e difficili da interpretare; infatti, non siamo in presenza di immagini o segnali in chiaro, ma di variazioni di tensione confondibili con il rumore elettronico delle apparecchiature o di interferenze.
Non è il caso dilungarci troppo sul principio del funzionamento dei vari apparati, penso che un’idea generale della radioastronomia l’avete ed è sufficiente."
"Luciano, un’ultima domanda, hai affermato che la radiazione celeste coinvolge tutta la banda di frequenza dell’onda elettromagnetica, quindi è possibile riceverle e rivelarle oltre quelle radio."
"Bravo, mi dimenticavo di dirvi che con specifici rivelatori posti sulla superficie terrestre o su razzi o satelliti, si ottengono gli stessi risultati specificati precedentemente, aumentando le conoscenze dell’universo astronomico."