Silvano Rebola
Astronomia nautica (in allestimento)

Le stelle

I corpi celesti che presentano interesse per l’astronomia nautica, oltre il Sole, sono le stelle, la Luna ed i quattro pianeti Venere, Marte, Giove e Saturno. Le stelle, viste dalla Terra, si proiettano sulla sfera celeste secondo dei gruppi che hanno mantenuto nel corso dei secoli la loro forma e che prendono il nome di costellazioni. Le costellazioni hanno nomi di animali, di oggetti e di figure allegoriche e fantastiche che per tradizione si conservano tali e quali ancora al giorno d’oggi e che, piaccia o no agli astronomi, legano l’astronomia alla astrologia ! Per individuare le varie stelle, alle principali fu dato un nome proprio: per la maggior parte il nome è di origine araba, altre hanno nome greco o latino. Vale anche l’uso di distinguere le stelle di ciascuna costellazione con lettere dell’alfabeto greco seguite dal nome della costellazione (in latino ed al genitivo). Le lettere vengono usate nell’ordine crescente di luminosità apparente.
Tra le stelle più importanti che ancora conservano un nome proprio vi sono le seguenti :
Achernar (a Eridani), dall'arabo Akhir-nahr cioè la foce del fiume
Albireo (b Cygni), dall'arabo al minkar cioè il becco
Alcione (h Tauri), nome di una delle ninfe simboleggiate nelle Pleiadi
Alcor (g Ursae Maioris), dall'arabo al khawwarah , cioè la debole
Aldebaran (a Tauri), dall' arabo al dabaran , cioè la seguente, poiché essa segue le Pleiadi
Algenib (a Persei), dall' arabo al gianib , cioè il fianco
Algol (b Persei), dall'arabo al ghul , cioè il demonio
Alpheratz (a Andromedae), dall' arabo surrat al faras cioè 1'ombelico del cavallo, presso cui
Andromeda tiene la testa, chiamata anche Sirah
Altair (a Aquilae), dall' arabo al nasr al tair cioè l'aquila volante
Antares (a Scorpii), dal greco Anti Arewx cioè il rivale di Marte
Arturo (a Bootis), dal greco Arct ourox cioè il guardiano dell'Orsa
Bellatrice (g Orionis), dal latino Bellatrix cioè la guerriera
Betelgeuse (a Orionis), dall' arabo Ibt al iauz e cioè la spalla del gigante Orione
Canopo (a Navis), dal greco Kanobox il pilota di Menelao
Capella (a Aurigae) dal latino Capella cioè la capra
Castore (a Geminorum), dal latino Castor uno dei due Dioscuri simboleggiati nei Gemelli
Deneb (a Cigni), dall' arabo danab al daggiagiah cioè la coda della gallina
Denebola (b Leonis), dall' arabo danab al asad cioè la coda del leone
Dubhe (a Ursae Maioris), dall'arabo dubb cioè l'orso
Fomalhaut (a Piscis Australis), dall'arabo fom al hut cioè la bocca del pesce
Gemma (a Coronae Borealis), dal latino Gemma , chiamata anche Alphecca
Kokab (b Ursae Minoris), dall'arabo Kaukab al shamali cioè la stella del nord
Merak (b Ursae Maioris), dall'arabo Marakk al dubb cioè i reni dell'orso
Mizar (z Ursae Maioris), dall' arabo Mizar cioè la cintura
Polluce (b Geminorum), dal latino Pollux l' altro dei Dioscuri
Procione (a Canis Minoris), dal greco Procuwn cioè il precursore del cane, poiché essa si
leva prima di Sirio, simboleggiante il cane
Regolo (a Leonis), dal latino Regulus cioè il piccolo re
Rigel (b Orionis), dall' arabo rigl al iuaza cioè la gamba del gigante Orione
Sheat (b Pegasi), dall' arabo said cioè il braccio
Sirio (a Canis Maioris) dal greco Seirioz cioè splendente, poiché è la stella più luminosa
del cielo
Spiga (a Virginis), dal latino Spica giacchè anticamente il So1e entrava nella Vergine al
maturare delle messi
Vega (a Lyrae), dall' arabo al nasr al waki e cioè l'uccello cadente, in opposizione all'Aquila
che per gli arabi rappresentava invece l'uccello volante
Le stelle usate nella navigazione hanno tutte un nome proprio. Le tavole che seguono elencano le stelle di cui vengono date le coordinate nelle Effemeridi Nautiche dell’Istituto Idrografico della Marina, in ordine di nome proprio, in ordine di nome astronomico ed in ordine di co-ascensione retta e declinazione. L’individuazione delle stelle, specie quando appena incominciano a comparire nel cielo del crepuscolo serale oppure quando al mattino il chiarore del giorno le fa impallidire rapidamente in modo che si possono vedere soltanto le più luminose, è veramente un’arte molto difficile che richiede esperienza e pratica continua. Il riconoscimento si effettua con l’aiuto di carte Le stelle usate nella navigazione hanno tutte un nome proprio. Le tavole che seguono elencano le stelle di cui vengono date le coordinate nelle Effemeridi Nautiche dell’Istituto Idrografico della Marina, in ordine di nome proprio, in ordine di nome astronomico ed in ordine di co-ascensione retta e declinazione. L’individuazione delle stelle, specie quando appena incominciano a comparire nel cielo del crepuscolo serale oppure quando al mattino il chiarore del giorno le fa impallidire rapidamente in modo che si possono vedere soltanto le più luminose, è veramente un’arte molto difficile che richiede esperienza e pratica continua. Il riconoscimento si effettua con l’aiuto di carte celesti e talvolta di allineamenti tracciati tra stelle già note. Nelle Effemeridi Nautiche compaiono due proiezioni azimutali equidistanti per l’emisfero Nord e quello Sud rispettivamente.
Uno dei tenti aiuti per il riconoscimento delle stelle è lo Star Finder and Identifier, uno strumento costruito e commercializzato un tempo dall’ US Naval Oceanographic Office con la sigla 2102-D ed è costituito da un disco di plastica bianca con la rappresentazione del cielo (Nord su un verso e Sud sull’altro). Su questo disco si monta concentricamente una maschera trasparente che limita la visione alla sola parte del cielo che si può osservare e che si fa ruotare in corrispondenza dell’ora di osservazione. Di tali mascherine trasparenti ve ne sono nove per le latitudini che vanno da 5° a 85° di 10° in 10°
Per il riconoscimento delle stelle viene anche usato il sistema di risalire dall’altezza misurata e dall’azimut apparente apprezzato in modo approssimativo, mediante il calcolo (inverso di quello solito) o mediante le tavole a soluzione diretta, alla declinazione dell’astro osservato. Mediante le tavole che seguono oppure con altre più dettagliate, si può risalire all’individuazione della stella osservata. Con l’uso delle calcolatrici tascabili od anche dei computer portatili, non conviene complicare le cose ed effettuare il calcolo prendendo i dati di declinazione delle due o tre stelle tra le quali esiste il dubbio della scelta, controllando poi se vengono valori “buoni” di altezza ed azimut.
Le coordinate equatoriali delle stelle (ascensione retta e declinazione) pur potendosi considerare quasi costanti agli effetti dell’astronomia nautica, subiscono in realtà delle piccole variazioni continue nella loro posizione nel cielo. Queste variazioni dipendono dai fenomeni di precessione e nutazione, dalla lenta variazione dell’obliquità dell’eclittica, dalla non istantanea propagazione della luce che produce il fenomeno chiamato aberrazione della luce , dalla differente distanza delle varie stelle dalla Terra. Quest’ultima provoca per le stelle più vicine dei sensibili movimenti di parallasse annua nel moto della Terra intorno al Sole. Infine le variazioni dipendono anche dai movimenti propri delle stelle.
Dei pianeti Venere, Marte, Giove e Saturno che nell’astronomia nautica si osservano come le stelle, vengono date nelle Effemeridi le posizioni ora per ora, come si fa con il Sole, dati i loro movimenti propri relativamente veloci.
Per quanto riguarda la Luna si deve osservare che i suoi movimenti sono più rapidi di quelli di tutti gli altri corpi celesti per cui è possibile che si possano ingenerare degli errori maggiori che osservando altri corpi. Esiste poi per la Luna il problema della correzione di parallasse , dovuto alla vicinanza della Luna alla Terra. La misura della sua altezza è alterata dal non trovarsi l’osservatore al centro della Terra e di tale alterazione opportunamente calcolata se ne deve tenere conto. Essa va sotto il nome di correzione dell’altezza osservata per la parallasse e ne tratteremo più avanti.
Un’altra difficoltà nelle osservazioni di Luna è l’esistenza del terminatore che non deve essere confuso durante l’osservazione con il bordo inferiore o quello superiore del corpo celeste.

Le Effemeridi Astronomiche.

Le Effemeridi Astronomiche sono delle tavole calcolate con anticipo ed edite a cura di importanti Osservatori astronomici, che riportano essenzialmente gli elementi variabili degli astri, giorno per giorno, per tutto l’anno al quale si riferiscono.
Le più famose sono quelle francesi, “La Connaissance des Temps”, fondata da Jean Picard pubblicate ininterrottamente a partire dal 1679 e quelle inglesi, “The Nautical Almanac” , l’ “Astronomisches Jahrbuch” tedesco, il “The American Nautical Almanac” degli Stati Uniti.
Per quel che riguarda il Nautical Almanac la prima edizione risale al 1765 per l’anno 1767 sotto la direzione di Nevil Maskelyne, esattamente un secolo dopo l’istituzione del Royal Observatory at Greenwich. Maskeline che fu per lungo tempo direttore dell’osservatorio, era convinto che il sistema migliore per risolvere il problema della longitudine fosse quello detto delle distanze lunari , tant’è vero che fino al 1906 nelle edizioni del Nautical Almanac apparivano i dati per tale tipo di calcolo, non solo, ma in qualche modo osteggiò il progetto di Harrison del cronometro di precisione che permise poi di superare tutte le difficoltà.

Il Calendario.

Scelto il giorno medio della durata di 24 ore, resta il fatto che l’anno tropico è composto di 365,2422… giorni: poiché per gli usi civili occorre che l’anno abbia un numero intero di giorni, si è ricorso all’anno civile comune di 365 giorni e dell’anno civile bisestile di 366 giorni.
Sono bisestili tutti gli anni individuati da numeri divisibili per quattro, tranne gli anni secolari; tra questi sono bisestili soltanto quelli in cui il numero di secoli è divisibile per quattro.
Questa convenzione, che risale alla riforma gregoriana del 1582 è quasi perfetta, producendo una differenza di solo un giorno in circa 33 secoli, differenza che si considera trascurabile.
Il precedente calendario Giuliano considera gli anni bisestili nella misura di uno ogni quattro anni, per cui la durata dell’anno effettiva risultava di 365,25 giorni, ma che portava all’errore di 1 giorno ogni 128 anni. Chiamato Giuliano in onore di Giulio Cesare fu sostenuto dall’astronomo Sosigenes.
La differenza dalla durata reale riuscì a far cumulare, dal 46 avanti Cristo al 1582, epoca della riforma di papa Gregorio XIII, la differenza abbastanza rilevante di 10 giorni in più, che furono ricuperati passando dal giovedì 4 ottobre direttamente al venerdì 15 ottobre 1582. In Inghilterra il calendario Gregoriano fu introdotto solamente nel 1752, nel quale anno l’errore accumulato fu di 11 giorni. La causa del ritardo è dipesa dal fatto che troppa gente credeva che le loro vite sarebbero state accorciate di 12 giorni …. Ma ci furono Paesi che per una ragione o per l’altra, tardarono ancora di più ad introdurre il nuovo calendario. Ad esempio, la Turchia, che lo fece nel 1927. Anche la Russia lo adottò molto in ritardo, dopo la Rivoluzione d’Ottobre. Nel calendario Giuliano all’epoca romana i mesi erano contati in funzione della Luna, e l’inizio del mese coincideva con la Luna Nuova. Il giorno corrispondente al secondo quarto era chiamato idi del corrispondente mese. I principali giorni festivi del mondo cristiano sono ancora calcolati seguendo delle antiche regole, come il Ciclo Metonico, l’assegnazione del Numero d’Oro, l’ Epatta, ecc., ma collegati in definitiva ai cicli lunari.
Gli astronomi spesso usano per certe osservazioni (come per esempio osservazioni di stelle variabili) misurare il tempo in giorni e frazioni di giorno rispetto ad una epoca definita fondamentale. L’epoca scelta è 1° gennaio 4713 avanti Cristo ore 12, e per ogni singola data il numero di giorni trascorsi da quest’epoca definiscono la Data Giuliana (Julian Date = J.D.). Per esempio il 1° gennaio 2001 ore 00 corrisponde a J.D. = 2451910,5. Vi sono tavole ed anche software per computer che permettono di trovare la J.D. per ogni giorno dell’anno, ma, a parte il vantaggio di non avere mai date negative, la data giuliana è un numero effettivamente troppo lungo e la tendenza è di servirsi comunque di una data di partenza più vicina a noi per evitarlo. Dal 1984 si è convenuto che l’epoca standard per riferimento sia J2000.0 che corrisponde al 1° gennaio 2000 12h.


I Fusi Orari.

Il tempo medio UT è dunque usato per la misura del tempo. La durata del giorno medio è di 24 ore esatte e gli orologi possono allora essere regolati sul tempo medio. Però ogni luogo della Terra ha un suo proprio tempo medio, dipendente dalla sua longitudine e se ogni orologio fosse regolato sul tempo medio del luogo, si avrebbe il grave inconveniente che spostandosi da un luogo all’altro si dovrebbe anche spostare in avanti o all’indietro l’ora segnata dal proprio orologio.
Per eliminare tale inconveniente che complicherebbe enormemente la vita civile dei vari Paesi, i principali Stati hanno adottato un’ora legale basata sulla Convenzione dei fusi orari per cui la Terra è stata suddivisa in 24 fusi aventi ciascuno ampiezza di 15° di longitudine, in ciascuno dei quali nello stesso istante esiste la stessa ora. Tutti i punti compresi nello stesso fuso orario hanno l’ora media definita dall’ora media al meridiano centrale del fuso che si chiama ora del fuso ( tf ).
Si veda la figura 38.1 . I fusi sono indicati con le lettere A, B, C, …... M verso Est (fusi con segno - ) e con le lettere N, O, P ….. Y verso Ovest (fusi con segno + ). Il fuso indicato con la lettera A è quello adottato per l’Italia e si estende tra i 7°30’ E ed i 22°30’ E ed ha per meridiano centrale quello con longitudine +15° (15° E) . L’Italia ha adottato fina dal 1893 l’ora del fuso il cui meridiano centrale 15° Est passa per l’Etna.
Il numero -1 che appare in corrispondenza della lettera A sta ad indicare le ore che si devono sommare all’ora legale del fuso locale per avere quella del fuso di Greenwich .
Il fuso indicato con la lettera T e +7 , per esempio, si estende tra ( 7 . 15° - 7°30’) W e ( 7 . 15° + 7°30’) W cioè tra 97°30’ W e 112°30’ W. In questo fuso alle ore 14 corrispondono a Greenwich le ore 14 + 7 = 21 . Alle ore 20 locali corrispondono a Greenwich le ore 20 + 7 – 24 = 3 , ma del giorno dopo !
Tutti gli orologi di un fuso sono regolati quindi sul tempo medio del meridiano centrale del fuso e la differenza tra il tempo medio locale ed il tempo del fuso non supera mai i 30 minuti in più o in meno. Gli Stati che hanno adottato i fusi orari, aderendo alla Convenzione dei Fusi, hanno un’ora legale eguale all’ora del fuso nel quale è compreso tutto o almeno la maggior parte del loro territorio, adottando così la stessa ora anche per piccole parti di territorio non comprese nel fuso stesso. Alcuni Stati molto estesi hanno più di una ora legale. L’ex Unione Sovietica aveva ben 12 ore legali differenti. Gli Stati Uniti hanno 4 ore legali differenti. Alcuni Stati non adottano il sistema dei fusi orari ed un elenco delle ore legali, comprese quelle di questi Stati compare nelle Effemeridi Nautiche. Negli Stati dell’Unione Europea viene usata l’ora estiva legale tra l’ultima domenica di marzo ed il sabato prima dell’ultima domenica di ottobre. Si avanzano gli orologi di un’ora rispetto all’ora del fuso per prolungare alla sera il periodo di luce

La misura del tempo.

La misura del tempo è basata sull’osservazione di un fenomeno periodico qualsiasi, come le oscillazioni piezoelettriche di un cristallo di quarzo o la frequenza emessa da un atomo o molecola posti in particolari condizioni di eccitazione. I fenomeni periodici offrono quindi il modo di misurare il tempo, e con lo sviluppo della tecnica la precisione di questi sistemi di misura del tempo sono diventati così precisi da permettere di rilevare le irregolarità dei movimenti degli astri.
Gli orologi a quarzo che sono diventati di uso così comune, sono nati negli anni 30 e già nel 1950 mantenevano l’ora con uno scarto di 0.001 secondi dopo varie settimane, cosa impensabile con gli orologi meccanici. Un po’ meno pratici gli orologi che sfruttano le oscillazioni di atomi o molecole, ma che mantengono il tempo con precisioni elevatissime.
Tuttavia lo scorrere del tempo è stato da sempre legato ai fenomeni astronomici e diverse unità di tempo sono correlate a periodi astronomici, come il periodo di rotazione della Terra, quello di rotazione della Luna intorno alla Terra, quello di rivoluzione della Terra intorno al Sole. Due giorni solari veri non saranno inoltre uguali tra loro a possono differire anche di 51 secondi uno dall’altro. Il giorno solare vero non si presta quindi bene alla misura del tempo.
Il tempo siderale sarebbe indicato per la sua regolarità come costante unità di tempo, ma per gli scopi usuali nella vita civile non sarebbe così pratico. Perciò si usa il tempo solare medio che è l’angolo orario di un sole fittizio chiamato Sole medio, perché il Sole vero non percorre uniformemente l’eclittica a causa della velocità variabile della Terra lungo la sua traiettoria ed anche a causa dell’inclinazione dell’eclittica. Il giorno solare medio è stato definito come media aritmetica di un gran numero di giorni solari veri contenuti in un certo numero di anni tropici interi.
Il tempo medio civile differisce dal tempo medio astronomico di 12 ore: infatti la data civile ha inizio alla mezzanotte mentre la data astronomica inizia al passaggio al meridiano superiore del Sole medio. Tuttavia fortunatamente non ci si deve preoccupare di questa particolarità in quanto le Effemeridi Nautiche esprimono in funzione del tempo medio civile e quindi della data civile, gli angoli orari di tutti gli astri, compreso il Sole vero. Il tempo medio civile è espresso in ore, minuti e secondi, mentre gli angoli orari sono espressi in gradi, minuti e frazioni decimali di minuto.
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Figura 28.1
La differenza di tempo tra tempo vero e tempo medio del Sole è chiamata equazione del tempo. La figura 28.1 mostra genericamente l’andamento nel corso di un anno dell’equazione del tempo.

Gli orologi.

Il cronometro marino (figura 44.1) è uno strumento nato per conservare l’ora media del primo meridiano a bordo di una nave e quindi è costruito in modo da risentire il meno possibile gli effetti del movimento della nave e delle variazioni di temperatura. Il primo cronometro marino di grande precisione rispetto agli orologi che si costruivano in quel tempo fu realizzato da John Harrison (1693 - 1776) un autodidatta dello Yorkshire che fu prima falegname, poi si appassionò alla orologeria in cui cominciò ad operare verso il 1728. Nel 1759 terminò la costruzione del suo quarto orologio, 132 millimetri di diametro e un chilo e trecento grammi di peso, una grande affidabilità ed una precisione sbalorditiva perchè dopo sei settimane di navigazione nel corso di un viaggio verso la Giamaica nel 1761 senza alcuna possibilità quindi di essere regolato, conservò il tempo con la precisione di ben 5 secondi, pari, a quella latitudine, ad un errore di longitudine di solo un minuto ed un quarto (poco più di in miglio). Questo gli valse nel 1764 la vincita di un forte premio messo in palio dal Parlamento inglese con il Longitude Act , da assegnarsi a chi avesse costruito un orologio capace di misurare la longitudine in mare con la precisione di 60, 40 oppure 20 miglia. Il valore del premio sarebbe stato crescente con la precisione ottenuta. John Harrison tuttavia ebbe i suoi problemi nel farsi assegnare il ben meritato premio, che gli fu comunque assegnato, ma solo parzialmente, con anni di ritardo. Artefice di questa brillante operazione il famoso Maskeline…. L’onore di avere reso pratici i cronometri marini spetta al francese Le Roy, allo svizzero Berthoud e agli inglesi Arnold e Earnshaw, i più famosi orologiai del mondo. Si deve anche ricordare che lo scienziato e matematico olandese Huyghens aveva contribuito ideando l’applicazione della spirale al bilanciere, idea che permise poi la costruzione dei successivi cronom
Ancora fino a pochi anni fa il cronometro marino era essenzialmente un orologio a bilanciere come quello di Harrison, costruito con grande precisione, sistemato talvolta con sospensione cardanica in cassetta con coperchio di vetro, regolato sul tempo medio (qualche orologio di uso astronomico viene regolato sul tempo siderale) e viene maneggiato il meno possibile, soltanto ogni due o più giorni per fornirgli la carica, restando per quanto possibile al riparo da urti, sollecitazioni termiche, umidità. In genere l’armadio dei cronometri ne conteneva tre o quattro e venivano effettuate delle medie sulle diverse letture, sempre allo scopo di aumentare la precisione nella conservazione del tempo. Durante le osservazioni veniva usata una “mostra”, od orologio di confronto, per non essere costretti a spostare i cronometri. L’andamento dei cronometri veniva controllato continuamente e veniva tenuto un brogliaccio chiamato taccuino dei cronometri.
Attualmente gli orologi a quarzo realizzano facilmente una precisione molto superiore a quella degli orologi meccanici e con un costo decisamente inferiore. La precisione di un buon orologio da polso a quarzo raggiunge facilmente i pochi secondi all’anno di erraticità ossia di non costanza della quantità di cui il cronometro avanza o ritarda, quantità che dopo un periodo di rilevazione, può essere ben conosciuta e quindi permettere previsioni. La variazione di questa quantità è quello che abbiamo genericamente definito come erraticità.
La quantità di cui il cronometro differisce dall’ora media del meridiano di Greenwich si chiama correzione assoluta (K)
Tm = Tc + K
In cui Tm e Tc sono il tempo medio di Greenwich ed il tempo segnato dal cronometro. Se il cronometro fosse perfetto la correzione assoluta sarebbe una quantità costante; in realtà si osserva che K è una quantità variabile e si può definire una variazione giornaliera della correzione assoluta (k) data da
k = K’ - K
in cui K’ e K sono le correzioni assolute in due giorni successivi.
La facilità di ricezione via radio dei segnali orari rende possibile la frequente determinazione della correzione assoluta di un orologio e quindi l’importanza del cronometro marino è venuta diminuendo via via nel tempo. Al giorno d’oggi un semplice orologio a quarzo da polso ad indicazione numerica (digitale) oppure tradizionale a lancette, è sufficiente per condurre una buona navigazione.
Si tenga conto che un errore nella determinazione dell’ora dell’ordine dei 4 secondi comporta un errore nel calcolo del punto che al massimo raggiunge 1 miglio nautico. Si considera perciò una buona determinazione dell’ora quella in cui è preciso il secondo. Ciò rende possibile la lettura dell’ora all’orologio da polso effettuata direttamente dall’osservatore, senza cioè l’ausilio di un assistente che legge l’ora mentre l’altro osserva con il sestante. Si dà lo stop quando si è nel momento della collimazione ed istantaneamente si osserva l’orologio, si può anche far passare approssimativamente un secondo e quindi si legge l’ora tenendone poi conto. In entrambi i casi si resta nell’approssimazione desiderata. Se l’orologio è ad indicazione numerica la lettura risulta più semplice. I display sono del tipo a cristalli liquidi, mentre i primi orologi a display numerico utilizzavano display a LED (light emitting diodes) che impallidivano alla luce del giorno al punto da non poterli più leggere, senza contare il consumo di energia molto maggiore che nei cristalli liquidi.

Sestante Il

Le altezza degli astri vengono misurate con uno strumento portatile chiamato sestante, strumento che data, nella sua forma moderna, dalla metà del 18° secolo e la cui invenzione si attribuisce a John Hadley. La sua caratteristica fondamentale è quella di effettuare la misurazione dell’altezza dell’astro in modo tale che l’osservatore vede contemporaneamente l’astro e la linea dell’orizzonte, svincolandosi così per la maggior parte dai movimenti propri della nave: questo risultato viene ottenuto per mezzo di specchi che riflettono opportunamente le immagini dei due oggetti da collimare.
Ridotto alla sua essenzialità (figura 43.1) il sestante si compone di una intelaiatura AB con una impugnatura e di una alidada C (arm in inglese) scorrevole lungo l’arco AB detto lembo. Questo arco, nei primi sestanti era ampio 60° (esistevano anche gli ottanti, con lembo di 45°), mentre i sestanti odierni hanno un lembo di 80° circa, che a voler essere pignoli, è più di un sesto di cerchio, che in definitiva dava il nome allo strumento. Il lembo è graduato da A verso B da ?5° a circa 130° e possiede una cremagliera nella parte inferiore che ingrana in una vite fatta ruotare dal tamburo graduato in primi di grado.

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Figura 43.1

Un apposito pressore permette di sganciare la vite del tamburo dalla cremagliera e compiere i movimenti ampi e veloci di messa a punto iniziale della alidada.
Il nome alidada deriva dall’arabo al idada che sta per regolo mobile imperniato nel centro.
Alcuni sestanti invece del tamburo portano il verniero o nonio che, sia pure con qualche difficoltà di lettura in più, permette l’apprezzamento delle frazioni di grado. L’alidada porta solidale uno specchio girevole con essa, lo specchio grande D (index?glass), mentre l’intelaiatura porta solidale uno specchio argentato per metà e per l’altra metà trasparente (la linea di separazione tra parte argentata e parte trasparente è verticale, perpendicolare al piano dell’intelaiatura), chiamato specchio piccolo G (horizon?glass).
Sull’intelaiatura è pure fissato un cannocchiale (generalmente galileiano, cioè a visione diritta) F e due serie di vetri colorati che servono ad attenuare, se necessario, lo splendore eccessivo dei raggi luminosi che colpiscono gli specchi.

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Figura 43.2

Nella figura 43.2 è illustrato lo schema ottico del percorso dei raggi di luce nel sestante. Valgono le seguenti due relazioni
(180° ? 2 ?) + 2? + ? = 180°
(180° ? ?) + ? + ? = 180°
perché la somma dei tre angoli di un triangolo piano vale 180°. La prima relazione si applica al triangolo SsO , mentre la seconda al triangolo SQs . Semplificando si ottiene:
2 ? = 2? + ? e ? = ? + ?
Si noti che la direzione dello specchio s è parallela a quella della linea di 0° , ciò che spiega gli angoli uguali tra loro segnati con la lettera ? . Eliminando ? e ? dal sistema delle due equazioni si ha ? = 2? , che esprime il principio ottico del sestante secondo il quale, poiché il raggio di luce subisce due riflessioni nel medesimo piano, l’angolo effettivo che si forma sul lembo è la metà dell’altezza che si legge. Cioè il lembo è graduato in modo da tenere conto del raddoppiamento dovuto alla doppia riflessione. Questa è la ragione per cui il sestante che ha un lembo di soli 70° permette di misurare angoli fino a 140°.
Il sestante deve essere tenuto per l’impugnatura e si deve porre molta cura che gli specchi non vengano toccati dalle dita e non vengano bagnati da spruzzi di acqua di mare, per quanto ciò sia possibile. L’alidada deve essere spostata con delicatezza e si deve evitare di “grattare” (il principiante alla scuola guida …) con la vite del tamburo sulla cremagliera. Lo strumento non deve prendere colpi e deve essere tenuto il più possibile pulito, per cui deve essere tolto dalla sua cassetta soltanto per il momento della osservazione e poi subito riposto per evitare facili danni, dopo asciugato con tela e pelle di daino. Le verifiche da effettuare sul sestante sono le seguenti:
Perpendicolarità dello specchio grande con il piano del lembo.
Perpendicolarità dello specchio piccolo con il piano del lembo
Correzione dell’errore d’indice
Per effettuare la correzione dell’errore nei tre casi, si ricorre alle apposite viti che spostano lievemente i due specchi.
Prima di tutti si verifica il punto (1). Si mette l’alidada a circa 40° poi si tiene il sestante con il piano del lembo orizzontale all’altezza dell’occhio e si traguarda nello specchio grande la parte riflessa del lembo. Essa deve apparire in continuazione della parte del lembo vista direttamente. Se ciò avviene vuol dire che lo specchio grande è perpendicolare al piano del lembo, se ciò non avviene occorre avvitare o svitate l’apposita vite rettificatrice che agisce sul supporto dello specchio grande, in modo da inclinare lo specchio nel verso giusto.
La verifica del punto (2) va fatta dopo avere verificato e registrato lo specchio grande. Se lo specchio piccolo è perpendicolare al piano del lembo, osservando uno stesso oggetto lontano si cerca di far collimare le due immagini, quella diretta e quella riflessa. Se la collimazione avviene, vuol dire che i due specchi sono paralleli e quindi anche lo specchio piccolo è perpendicolare al piano del lembo. Se la collimazione non è invece possibile lo specchio piccolo deve essere reso perpendicolare regolando la vite rettificatrice dello specchio piccolo Questa vite lo fa ruotare intorno ad un asse parallelo al piano del lembo.
Come oggetto lontano si può scegliere una stella oppure un oggetto verticale che si profili bene nel cielo (faro, torre, campanile)z, ma che sia lontano almeno un paio di miglia per evitare errori.
Per verificare il punto (3) occorre controllare che dopo collimazione di un oggetto lontano, l’indicazione del sestante risulti zero. Se ciò non avviene occorre agire sulla vite rettificatrice del parallelismo dello specchio piccolo (con alidada a zero). Essa fa ruotare lievemente lo specchio piccolo intorno ad un asse perpendicolare al piano del lembo, correggendo la collimazione in modo che le due immagini diretta e riflessa si sovrappongano. Si può arrivare ad annullare l’errore d’indice, spesso però occorre ripetere tutta la prassi di verifica e correzione partendo dall’inizio.
La regolazione per l’annullamento dell’errore d’indice non riesce a volte perfetto e rimane un errore residuo di cui si deve tener conto ogni volta che si effettua una misura di altezza. Anzi, è buona prassi verificare ogni volta, all’inizio di una serie di misure, quanto vale l’errore d’indice e quindi la quantità da aggiungere o togliere alla altezza misurata per avere l’altezza apparente, quantità chiamata correzione d’indice (definita con la lettera ?).
La correzione d’indice va considerata con il proprio segno algebrico, in modo che la si debba sempre solo sommare all’altezza misurata. Per determinare la correzione d’indice con una stella o un oggetto lontano, si procede alla collimazione come precedentemente detto. Per determinarla invece servendosi del Sole, si procede così. Si inseriscono i filtri in misura sufficiente per attenuare lo splendore eccessivo dei raggi solari, sia sullo specchio piccolo che su quello grande. Si traguarda il Sole con il sestante tenuto nel piano verticale, ed agendo sulla vite di spostamento dell’alidada si portano le due immagini diretta e riflessa a tangenziarsi in modo che l’immagine diretta sia una volta sopra ed una volta sotto quella riflessa. La semidifferenza tra le due letture corrispondenti è la correzione d’indice. Per il segno occorre tenere in conto da che parte si trovava la lettura maggiore.
Le imperfezioni costruttive dei sestanti danno luogo ad un errore strumentale. Si hanno errori nella graduazione, errori di prismatismo dovuti ad imperfezioni nella lavorazione delle superfici ottiche degli specchi, errori di eccentricità dovuti a imperfezioni nella lavorazione meccanica, ecc. Spesso con lo strumento viene fornita una tabella che fornisce, in funzione dell’altezza misurata, la relativa correzione strumentale (c).
Esistono dei sestanti costruiti in materiale plastico, economici e di precisione solo leggermente inferiore a quella dei sestanti classici in metallo (ottone o bronzo o talvolta lega di alluminio). Il loro uso è comodo nel caso di piccole imbarcazioni perché la loro leggerezza si presta meglio alle osservazioni in presenza dei movimenti disordinati che sono presenti.

Metodi antichi per trovare la longitudine.

Il grande problema dei navigatori del passato era la determinazione della longitudine. Mentre come abbiamo visto esistevano vari modi per determinare con sufficiente approssimazione la latitudine, basati essenzialmente nel misurare l’altezza di un astro nel momento del suo passaggio al meridiano, per conoscere la longitudine era necessario sapere l’ora dell’osservazione. Nell’antichità non esisteva la possibilità di tale conoscenza, quindi si navigava per latitudine . Le difficoltà connesse con la possibilità di misurare in qualche modo la longitudine furono anche complicate dal fatto che ogni nazione desiderava considerare come primo un proprio meridiano. Il meridiano di Greenwich è stato definito come meridiano primo soltanto nella Conferenza Internazionale dei Meridiani dell’ottobre 1884. Ricordo che nel periodo che va fino alla seconda guerra mondiale (1945) in Italia si producevano carte in cui la longitudine era riferita al meridiano di Roma !
Se si è in grado di conoscere istante per istante l’ora del meridiano di Greenwich (il tempo UT), prendendo nota dell’ora del passaggio al meridiano è facile determinare la longitudine vedendo qual’è la differenza tra l’ora indicata sulle effemeridi e l’ora in cui si è osservato il passaggio al meridiano dell’astro per ricavare la longitudine cercata. Ma fino a quando non ci furono orologi in grado di indicare l’ora esatta anche dopo mesi di navigazione, la determinazione della longitudine fu un problema enorme per le Marine di tutte le nazioni . Le settimane in più di navigazione, trascorse per andare avanti ed indietro sulle rotte Est-Ovest cercando il porto di approdo, crearono grossi problemi sanitari a bordo a causa dello scorbuto. E giunse la nebbiosa notte del 22 ottobre del 1707, quando per un errato calcolo della longitudine quattro navi della flotta inglese naufragarono nelle isole Scilly, con la perdita di duemila uomini. Questa tragedia risvegliò la coscienza del Parlamento inglese sulla necessità di scoprire un metodo preciso ed affidabile per la determinazione della longitudine. Nel 1714 fu promulgata una legge, il Longitude Act, che assegnava un premio di 20.000 sterline a chi avesse risolto il problema di calcolare la longitudine in modo sicuro ed utilizzabile nella pratica, con un margine di errore inferiore alle trenta miglia. L’ammontare del premio, equivalente a circa venti miliardi di lire odierni, dà un’idea di quanto fosse sentito il problema.
Fin dal XVII secolo, e particolarmente in Inghilterra, l’astronomia era stata interpretata come una scienza che potesse fornire degli immediati vantaggi pratici ai naviganti, a cominciare dalla soluzione del problema della longitudine, e portò all’inaugurazione dell’osservatorio di Greenwich nel 1676 : l’equivalente istituzione francese ha ancora oggi il nome di Bureau Des Longitudes.
I mezzi antichi per conoscere la longitudine non erano adatti all’uso di bordo per cui era molto sentita la necessità di avere anche un sistema che fosse pratico ed adatto all’utilizzazione durante la navigazione.
Il primo di questi metodi antichi, suggerito addirittura da Ipparco, consisteva nell’osservazione di eclissi di Luna. Una delle segnalazioni di cui si ha notizia dai Transactions della Royal Society di Londra che descrivono il metodo con cui fu misurata la longitudine di Mosca nel 1688. L’osservazione di una eclisse di Luna a Lipsia avvenne alle ore 20.54 e a Mosca alle 22.40. Ciò significava che Mosca si trovava 1h46m cioè 26°30’ ad Est di Lipsia. Una precedente eclisse dava Lipsia a 49m cioè 12°15’ ad Est di Londra, per cui si concludeva che la longitudine di Mosca era 38°46’ Est di Londra.
Un secondo metodo fu quello dell’osservazione delle occultazioni e delle eclissi dei satelliti galileiani (medicei) di Giove, facilmente visibili anche con mezzi modesti, per esempio, un binocolo. Non era tuttavia un sistema pratico su una nave, dato che i suoi movimenti rendevano le osservazioni impossibili o comunque molto difficoltose, anche se furono fatti dei tentativi inventando dei sistemi di piattaforme stabili. Un altro metodo ancora fu l’osservazione di occultazioni di stelle con la Luna, efficace in quanto fenomeno molto frequente, ma complicato dai complessi calcoli necessari che lo rendevano impraticabile per la navigazione. La migliore conoscenza dei movimenti lunari che via via si presentava, permise anche di proporre dei metodi (1771 circa) per ottenere la longitudine dall’angolo orario della Luna ottenuto da una misura di altezza.
Con l’aumento delle conoscenze sul complesso movimento della Luna e quindi sulla precisione delle predizioni delle eclissi divenne possibile stimare con notevole precisione la longitudine dei luoghi terrestri. Per esempio, nel 1766 una osservazione di Cook all’estremità sud-ovest del capo di Newfoundland (il nome inglese dell’isola di Terranova) dava una longitudine di 57°36’30” e questa misura differiva dal valore attuale di soli 22” in meno.
Il problema della longitudine fu però risolto solo con l’invenzione di un cronometro che poteva conservare l’ora del primo meridiano per lungo tempo e con la precisione necessaria. La diffusione estensiva del cronometro marino avvenne dopo il secondo viaggio di Cook, in cui si provarono i primi cronometri costruiti e si potè dire che il problema della longitudine era così risolto nella maniera più semplice e razionale, problema che frattanto era diventato impellente per lo sviluppo della navigazione commerciale. Tuttavia ciò avvenne in mezzo a grandissime difficoltà, specialmente per il fatto che si era cercata una soluzione astronomica del problema, molto caldeggiata da Nevil Maskeline, che si risolveva nella costruzione di tabelle sufficientemente precise per l’utilizzazione del metodo delle distanze lunari per la determinazione dell’ora e quindi della longitudine. La soluzione astronomica avrebbe messo in luce gli scienziati che appartenevano al mondo colto e dominante, mentre una soluzione “meccanica” non era vista di buon occhio perché affidata a quel mondo degli artigiani lontano da quello ristretto e conservatore dell’aristocrazia inglese. Ma la precisione necessaria utilizzando il metodo delle distanze lunari non fu mai raggiunta ed solo il cronometro marino fu quello che permise la completa soluzione del problema sovvertendo le aspirazioni non nascoste espresse specialmente da Maskeline. Con grande sofferenza ed elaborati calcoli anche il più abile navigante non avrebbe trovato la propria posizione con precisione migliore delle 20 miglia !
Comunque l’avvento del Nautical Almanac facilitò il metodo delle distanze lunari e l’invenzione del sestante nel 1730 rese possibile le osservazioni con considerevole precisione. Nel suo primo viaggio nel Pacifico (1768-1771) James Cook non aveva ancora il cronometro e determinò la sua longitudine con il metodo delle distanze lunari. Negli anni 1769-1770 rilevò e costruì delle carte della Nuova Zelanda con grande precisione, con osservazioni fatte da lui e dall’astronomo Charles Green, da bordo della nave, con sestanti Halley. Per i nostri standard questi strumenti erano piuttosto primitivi, ciò nonostante le latitudini trovate erano molto precise e le longitudini erano affette da errori dell’ordine di 25’, corrispondenti a circa 18 miglia. Tuttavia la lunghezza e la difficoltà dei calcoli matematici fecero sì che molti rinunciarono all’utilizzazione del metodo e ritornarono al sistema di andare avanti ed indietro da Est verso Ovest e viceversa . Il Bowditch del 1802 introdusse con tavole precalcolate delle semplificazioni nei calcoli e l’uso del metodo si estese un poco, tanto che, anche con un cronometro a bordo, le osservazioni di distanze lunari continuarono per un certo tempo anche per il costo dei cronometri che a quel tempo doveva essere