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L’AUTO MUTUO AIUTO NEL PROGETTO “RIMANERE INSIEME”
DELL’ADVAR DI TREVISO
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intervento di Luigi Colusso
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L’origine di “Rimanere Insieme”
Questo progetto ha iniziato a prendere forma nel 1998, come conseguenza di una osservazione partecipata degli eventi luttuosi nella comunità locale, con la raccolta di dati ed altre informazioni sulle eventuali attività presenti nel territorio a proposito della elaborazione del lutto. Ne è seguita una prima progettazione scritta, funzione dell’esperienza specifica di lavoro in seno ai gruppi di pari per i problemi di salute.
Questo primo documento è stato offerto ai nodi della rete che sono parsi parte in causa nella questione (religiosi, ospedale, associazioni come AVO, Caritas, CeIS, consultori familiari, ecc.) compresa l’ADVAR. Per alcuni mesi i referenti di questi gruppi e due persone con un lutto da elaborare hanno lavorato sulla bozza fino a farne un progetto concluso. A questo punto, nell’ottobre del 1999 abbiamo iniziato la costituzione del gruppo, attraverso i colloqui offerti alle persone/famiglie che ne hanno fatto richiesta.
Il progetto prevede infatti le seguenti tappe:
- Costituzione del gruppo di lavoro dedicato alla realizzazione del progetto
- Colloqui con persone/famiglie in lutto, per la costituzione del gruppo di auto aiuto
- Costituzione del gruppo di auto mutuo aiuto
- Supervisione del gruppo di lavoro da parte di esterno competente
- Sedimentazione di una esperienza da utilizzare per l’apertura di un dialogo con la comunità locale
- Coinvolgimento nella sensibilizzazione/formazione sul tema di professionisti e volontari sensibili.
- Offerta di approfondimento a gruppi specifici di operatori della salute
- Predisposizione di un testo utile agli operatori della salute in generale e alle persone in lutto
Fin dall’inizio il progetto è stato accolto dall’ADVAR, e subito dopo ne è divenuto parte integrante, con un suo spazio di autonomia specifico.
Sebbene l’ADVAR si occupi di assistenza domiciliare per i malati oncologici terminali e le loro famiglie, il progetto accoglie senza distinzione, e gratuitamente come ogni altra attività dell’associazione, chiunque abbia avuto un lutto, senza discriminare secondo parentela, causa di morte, distanza di tempo dall’evento, credenze religiose o altro.
Organizzativamente è previsto ora come allora l’accesso al progetto tramite un colloquio per la conoscenza reciproca.
La notizia dell’esistenza di questo nodo della rete è stata affidata alla associazione, ricorrentemente ai mass media, e mano a mano diverse categorie professionali ne sono state rese partecipi, tanto da essere pubblicata per esempio sul bollettino dell’Ordine dei medici della provincia di Treviso.
L’arrivo della persona è quindi spontaneo, libero, a sua richiesta.

Il colloquio
E’ ritenuto strumento utile sia alla persona sia al gruppo, in quanto contribuisce alla presa di coscienza della situazione nella sua complessità, e consente di valutare insieme le scelte più opportune. A volte sono risultati utili un certo numero di colloqui, al termine dei quali è stata compiuta una scelta consapevole, o si è potuto concordare che proprio grazie ai colloqui era stato dato l’impulso necessario all’avvio della elaborazione desiderata.
Per esperienza mi sento di definire i colloqui vissuti fino ad oggi come “massaggi dell’anima”, se non in ogni caso per certo molto di frequente. Immagino che si tratti di un vissuto proprio anche dei miei partners di parola.
A questo proposito torna utile lo slogan coniato dal “Centro della famiglia” di Treviso: “più dialogo in famiglia”. Perché l’esperienza quasi costante rimane quella della rarefazione di parole, atteggiamenti e gesti all’interno della comunità famigliare, perché si cerca di non ferire, per non ferirsi, perché semplicemente non c’è l’abitudine a comunicare in famiglia sugli oggetti profondi.
Per questo incoraggiamo la partecipazione al colloquio come al gruppo di tutti i componenti della famiglia, anche se poi come è ovvio si lavora con chi si presenta. Ma è importante impegnarsi con energia a svolgere un lavoro di tipo sistemico, anche e soprattutto quando una parte soltanto, magari un solo membro, di tutta la famiglia accetta di partecipare alle iniziative di Rimanere Insieme. Durante il colloquio, ed eventualmente durante il lavoro nel gruppo, il rischio di procedere con la rarefazione dei rapporti familiari significativi viene di norma esplicitato, per onestà e per responsabilizzare i diretti interessati.
Il gruppo è aperto, pertanto prevede l’ingresso libero di nuovi membri, mano a mano che si presentano, e l’uscita è altrettanto libera. Spesso l’uscita è graduale, caratterizzata da una frequenza che si dirada fino a concludersi. In questo modo si pensa di tutelare la necessità dei nuovi, senza logoranti attese della costituzione di un gruppo ex novo, e l’uscita graduale riduce il vissuto di lutto come perdita del legame con il gruppo. Constatiamo che al momento le persone che hanno concluso la frequenza hanno però mantenuto legami di solidarietà, di amicizia e di comunicazione con coloro che hanno conosciuto durante la frequenza, e questo sembra essere un fattore di facilitazione nel momento di riaffidarsi principalmente alla propria comunità locale per la prosecuzione del processo di elaborazione.
Il gruppo si riunisce con cadenza settimanale, salvo quando la giornata di incontro corrisponde a festività, come Natale, e simili.
La durata dell’incontro è preventivata per novanta minuti, in realtà spesso due ore bastano appena per tacitare l’impellente necessità di dialogo e scambio e condivisione emozionale che anima le persone.
Il gruppo siede in cerchio libero, senza un rituale specifico, formalizzato, e d’abitudine inizia in modo informale, con il saluto reciproco delle persone, lo scambio di novità, il facilitatore che stimola le persone a proposito, per esempio, dei contenuti della riunione precedente. Si lascia lo spazio alle persone per le emozioni, il racconto, la proposta di propri dubbi, preoccupazioni, sogni (per i quali non si propone l’interpretazione).
Molto spesso le preoccupazioni ed i racconti riguardano i vivi, in particolare i rapporti con i propri figli, che assumono un valore determinante, ancor più se mancano, o son loro proprio le persone di cui si piange la perdita.
A questo proposito sottolineiamo l’emersione della profonda sofferenza dei bambini e dei giovani, che spesso viene sottovalutata, perché si immagina che non provino emozioni profonde e durature, e/o perché di norma si negano al dialogo sulla morte e sul cordoglio. Dialogando con i membri del gruppo invece questa sofferenza si palesa a volte in modo anche drammatico. Sollecitiamo a questo proposito la riflessione di tutti, e tutto l’impegno possibile perché non vengano trascurate le persone più giovani.
Come per tutti i gruppi del genere, ci siamo posti la questione della presenza nel gruppo di una figura con compiti di “esperto”(?), comunque questa persona venga poi chiamata: operatore, facilitatore, esperto, referente, ecc.
Al momento la risposta è e rimane pragmatica, nel senso che la funzione principale del gruppo è il sostegno reciproco e l’accompagnamento nel processo che segue il lutto, in una relazione orizzontale. La presenza di qualcuno con un ruolo specifico non può prescindere dalla personale capacità di ogni membro del gruppo di relazionarsi emozionalmente e con profondità con tutti. L’apporto di qualcuno che sia in grado di offrire anche supporti tecnici e di gestione delle dinamiche di gruppo può allora contribuire come elemento di cornice, infrastrutturale, alla crescita del gruppo e dei suoi singoli componenti. In questo momento uno dei due impegnati come facilitatori del gruppo è impegnato ad elaborare il proprio cordoglio. Ma la presenza del gruppo di lavoro “misto” ha anche il significato positivo di legame tra la sottopopolazione di “coloro che soffrono per il proprio cordoglio” e la comunità locale nel suo complesso.
Nelle nostre intenzioni così si propone la ricongiunzione delle differenti mappe mentali, perché oggi la differenza di mappa tra coloro che sono impegnati ad elaborare un lutto e il resto della comunità locale è mostruosa, difficile da superare, ulteriore fonte di sofferenza. A questo scopo cerchiamo di stimolare le persone per la riconquista del proprio ruolo in comunità e stimoliamo l’impegno “universale” del ripensamento dell’attuale approccio alla morte, al lutto e al cordoglio, in quanto parte integrante della spiritualità antropologica dell’intera comunità umana.
La partecipazione delle persone al gruppo è finalizzata alla costruzione di uno stile di pensiero e di vita con un nuovo equilibrio, al cui interno dobbiamo prevedere di arrivare nel tempo ad un legame lasso o nullo con il progetto, con l’associazione, allo scopo di non provocare il perpetuarsi della centralità della sofferenza. Per questo motivo evitiamo di stimolare le persone ad assumere un ruolo impegnativo in seno al progetto o alla associazione, e in questo modo il coinvolgimento è spontaneo, nonché, dal nostro punto di vista, felicemente esiguo. Anche se di conseguenza le risorse a disposizione per lavorare sono sempre molto modeste.
Il rapporto orizzontale, tra pari, facilita la conquista di un rapporto efficace tra le persone, di nuovi legami significativi, che offrono un preciso contributo per la costruzione di un nuovo equilibrio, possibilmente non assestato su un livello inferiore, bensì ricco di legami forti, che hanno anche un significato di “bellezza”, nel senso che indirizzano le persone ad attribuire al mondo una maggiore bellezza.

L’approccio al paradigma del dono
Il paradigma del dono, che prevede il dono come libero e nello stesso tempo obbligato, l’obbligo di accettarlo e di ricambiarlo, è molto spesso utilizzato in modo inconsapevole in seno ai gruppi di pari. E’ utile porre in evidenza questa risorsa, per valorizzarla e rinforzare il valore centrale del rapporto paritario e non gerarchico all’interno del gruppo. Ognuno dona la propria storia, la propria sofferenza insieme con i dubbi, le speranze e i timori, i momenti di consolazione e quelli di tensione… Nessuno è costretto a farlo, e quindi è spontaneo, ma è anche un gesto obbligato perché è l’unica via per lavorare alla propria elaborazione del cordoglio e ricevere consolazione. Il dono della propria intimità è sempre accettato, e viene costantemente ricambiato dagli altri membri. Si creano in tal modo legami profondi, e anche gratificanti perché ci si sente in grado di elargire doni, nonostante il basso livello di autostima, e perché i doni ricevuti in gran copia dagli altri sono di certo molto consolatori.

La supervisione
Attività in questo momento in stallo, per problemi organizzativi della associazione (il supervisore è stato scelto anche in funzione della sua preesistente relazione di supervisore di altre attività dell’associazione). Questa carenza rappresenta una difficoltà, per le risorse e per i problemi del gruppo di lavoro, anche senza scomodare Nietzsche (chi lavora con i mostri deve fare attenzione a non divenire anche lui un mostro), e senza definire la morte e il lutto, e tanto meno le persone, mostri.

Le iniziative di sensibilizzazione e formazione
Dal 1999 ad oggi sono numerose le iniziative specifiche che hanno visto la partecipazione del nostro progetto, sia come propria iniziativa che come partecipazione a programmi altrui.
Seminari di sensibilizzazione/formazione per operatori della salute e volontari, in sette incontri, nell’anno 2000, tenutosi in sede.
Incontro con il gruppo Eventi di Roma.
Nel 2001 incontro pubblico a Treviso su questo argomento, molto affollato. Partecipazione ad una giornata di studio dedicata all’Alzheimer.
Nello stesso anno partecipazione all’incontro nazionale dei gruppi lutto tenuto a Mottinello.
Nel 2002 partecipazione all’incontro in sede nazionale a Roma. A Marghera (Venezia) partecipazione ad un corso sul tema, destinato al personale di case di riposo e simili. A Mestre (Venezia), partecipazione ad un corso per insegnanti “Le parole per dirlo”, centrato sui problemi della morte e del lutto e dei connessi aspetti della comunicazione nell’ambito scolastico. Con l’Ordine dei medici della provincia di Treviso una serata sul tema della elaborazione del lutto e dei gruppi di autoaiuto, poi pubblicata in sintesi sul bollettino dell’Ordine.
Ancora, una lezione su Rimanere Insieme nell’ambito del corso di formazione per i volontari ADVAR, quattro serate dedicate ai familiari della associazione per i malati di Alzheimer, e infine tre incontri di formazione per il personale ULSS del distretto di Mogliano Veneto (Treviso)
Durante il 2002 abbiamo iniziato un percorso di incontro e di riflessione, e di approfondimento di argomenti utili a coloro che si sentono coinvolti nel tema della elaborazione del cordoglio (quindi membri vecchi e nuovi dei gruppi, persone che hanno comunque avuto un contatto con il progetto con i colloqui, i membri dell’ADVAR a vario titolo, volontari e professionisti che hanno avuto contatti formativi con il progetto. Si tratta di incontri ogni due mesi circa, per i quali sono invitati persone in grado di offrire punti di vista originali, come i poeti, o rappresentanti di associazioni impegnate in attività interessanti per questo gruppo eterogeneo di partecipanti.
Questa iniziativa si presume possa svilupparsi quando, verso la fine dell’anno in corso, ci sarà la disponibilità della sede dell’hospice, dotata di una confortevole sala riunioni.
Nel 2003 corso di tre giornate in ospedale, a Treviso, destinato al personale ospedaliero, intitolato “La morte e il lutto”.

(1) L’ADVAR è una associazione attiva da molti anni nel territorio trevigiano, assiste gratuitamente i malati di tumore in fase terminale e le loro famiglie, forma volontari e professionisti, promuove la cultura sanitaria e generale nel territorio. Il recapito è 0422 432603, e mail advar@libero.it

(2) Medico e psicoterapeuta, ha attivato il Gruppo “Rimanere insieme” di Treviso





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