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L’USO DEI SIMBOLI: STRUMENTO CREATIVO DI GUARIGIONE

Intervento di Ornella Scaramuzzi

Oggi lavoriamo sui simboli con un questionario da compilare prima individualmente e poi da condividere.
I domanda: Cos’è un simbolo?
Una fotografia, un oggetto, una voce, un ricordo, una fisionomia che scolpisce la persona, una frase di chi è scomparso, un modo di chiamare o dire qualcosa, uno stato d’animo, un pensiero significativo nella gioia, un profumo. Queste sono alcune delle risposte durante un incontro di gruppo centrato su questo argomento.
Poi precisano: E’ qualcosa che immediatamente mi ricorda lui/lei e, con quel significato, vale solo per me, per gli altri è un oggetto indifferente.
Dunque il simbolo è qualcosa che richiama immediatamente la persona cara defunta e vale solo per chi ne parla con quel significato, per gli altri è un oggetto indifferente. Il simbolo diventa occasione per la memoria di riportarci vicino, nel presente, chi non c’è più, dando un sapore di concretezza parziale alla loro assenza. Abbiamo infatti un estremo bisogno di percepire con i sensi, di vedere, di toccare e ci manca soprattutto la loro corporeità.

Origine del termine
La parola simbolo deriva infatti dal latino symbolum e, più indietro, dal greco synballein = mettere insieme. Nell’antica Grecia c’era infatti l’uso di un segno di riconoscimento che era una moneta spezzata in due parti date a due persone. Se i due pezzi, accostati, combaciavano, attestavano il legame tra le due persone che possedevano ciascuna metà.
Il simbolo nel nostro caso può essere un elemento concreto o un’immagine psichica che rivela un contenuto latente o evoca un valore più ampio, un ricordo astratto più vasto di quello che in sé rappresenta. Quindi è la memoria che con i suoi significati psichici, valoriali ed affettivi fa assumere ad un oggetto una connotazione simbolica.

II domanda: Conservi un simbolo dentro di te o intorno a te del tuo caro defunto (oggetti, usanze, atteggiamenti …)
III domanda: Qual è la storia di questo simbolo? Raccontala agli altri brevemente.
IV domanda: Che valore ha questo simbolo per te? Memoria (es. percezione più concreta del proprio caro), affetto (è una consolazione personale) o assume un significato di guida nell’agire quotidiano secondo l’orientamento del defunto?
V domanda: Quali sentimenti suscita in te la presenza di questo simbolo?
Consolazione, tristezza, nostalgia, fiducia, calore, presenza, contatto, intima appartenenza.
VI domanda: Se tu dovessi scegliere un simbolo per descrivere il rapporto avuto con il tuo caro defunto, quale sceglieresti?
Una partecipante dice del rapporto con la sorella: il mare che a lei piaceva tanto e dove siamo state tante volte insieme.
Un’altra descrive il rapporto con il figlio morto adulto: una rosa con le spine perché il rapporto fra noi era bello, pieno di complicità e di affinità caratteriale ma anche spigoloso.
Un’altra dice del figlio ucciso da un pirata della strada: eravamo come ferro e calamita, con polarità opposte che fanno scintille di contrasto ma si attraggono inevitabilmente.
VI domanda: Quale simbolo o metafora ti viene in mente per descrivere come ti senti oggi nello sperimentare il tuo lutto?
Una partecipante: mi sento come convalescente da una grave malattia, che un giorno migliora decisamente ma un altro giorno peggiora.
Un’altra: mi sento come fossi chiusa in una bolla e sospesa non so dove, per ora.
Un’altra: mi sento come un bambino che chiede.
Un uomo che ha perso due figli in varie età e la moglie: mi sento come un albero secco che fatica a trovare acqua per sopravvivere.
Altri: il cielo, un trifoglio, indicando così con la simbologia della natura una voglia di sperare per ricominciare.
Sono tutti spiragli dei personali stati d’animo che rappresentano un invito al dialogo per cercare vie costruttive per vivere ancora in positivo.
Il simbolo pur essendo una rappresentazione oggettiva è investito di soggettività e di valori simbolici personali. E’ un modo di concretizzare un significato, di raffigurare il senso che ha per noi un ricordo, un affetto, un legame.
Anche in chi vive un lutto anticipatorio spesso c’è il desiderio di lasciare alle persone care un segno simbolico della propria presenza. Ricordo un nonno ormai in fin di vita per un cancro del colon, che con uno sforzo fisico notevole ma con grande coraggio interiore, si recò a comprare tutine bellissime di varie misure successive per la sua nipotina appena nata che non avrebbe visto crescere. Quanto realismo sulla sua situazione e quanta delicatezza verso gli altri c’era in quella offerta simbolica di sé per essere ancora ricordato anche dopo la morte.
L’effetto è stato che lui viene infatti ancora ricordato per quel suo gesto a distanza di molti anni oltre la misura effettiva delle tutine, perché nel suo dono c’era un messaggio di profonda consapevolezza del suo stato e di amore per i suoi familiari. In quel gesto ha tramandato simbolicamente i suoi valori e la sua memoria, offrendo agli altri un significato costruttivo per il futuro.
Una mamma conserva un biglietto che la figlia le scrisse qualche tempo prima di morire per un incidente d’auto: “Mamma, vorrei essere come te!”. Naturalmente quel biglietto è diventato un simbolo che oggi la gratifica e la consola e la sprona a vivere in positivo anche in sua assenza, proprio perché allora era un modello per la figlia.
Inoltre ho potuto notare che gli oggetti simbolici aiutano perché non feriscono quanto l’immagine degli scomparsi. Per qualcuno del nostro gruppo infatti è molto doloroso a volte rivedere le foto oppure visualizzare dentro di sé i momenti vissuti con la persona morta, l’oggetto no, perché permette di concentrare l’attenzione su una forma diversa che tuttavia diventa inseparabile per il valore affettivo di cui è investita.
Il passo successivo è sapersi separare dai simboli.
Ho chiesto nel gruppo cosa accadrebbe se perdessero questi simboli cari. Mi hanno risposto che starebbero molto male per questa ulteriore separazione. Una mamma invece che li ha persi a causa di un furto in casa, ha già sperimentato il dispiacere del distacco ma ha così potuto riflettere che i valori le sono rimasti intatti.
Infatti si può anche pian piano rinunciare ai simboli, via via che si interiorizzano i significati e i sentimenti che ci legano ad essi: il passo ulteriore è dunque questo.
S. Francesco nella sua vita ce ne dà un esempio in quanto era arrivato alla nudità assoluta, eppure non era distaccato e apatico verso tutto ciò che lo circondava, anzi amava profondamente la natura ed ogni creatura con grande gioia.
In definitiva si può dire che un simbolo del defunto è un tentativo di ricordarlo concretamente: forse nasce dalla paura personale dell’oblio, vera morte dell’uomo vivente. La memoria è invece ancora luogo di relazione e per questo ne abbiamo bisogno.
Il simbolo dunque è rappresentazione oggettiva a sé e agli altri di un valore affettivo che in questo modo promettiamo di non dimenticare, fino a quando non maturerà in noi l’interiorizzazione totale del ricordo e dunque l’assimilazione dei doni-valori del defunto in noi stessi, che diventano radici per una nuova vita.


(1) Pediatra, Direttrice del Biennio di etica e umanizzazione dell’Associazione Raphael onlus a Bari e animatrice del Gruppo di mutuo aiuto per persone in lutto FUORI DAL BUIO. Autrice del libro Mi aiuti ad uscire dalla notte? (Ed. Camilliane 1999) e di un capitolo nel libro Sarà così lasciare la vita? (a cura di Livia Crozzoli Aite, Ed. Paoline 2001).
Sede dell’Associazione Raphael e del gruppo: via Papa Innocenzo XII, n° 42 70124 BARI - Tel. 3389155818 – email: eremin@tin.it






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