Giovanna D'amore Pucci

 

L'equivoco

La prima cosa da cui si è colpiti, leggendo questi racconti di Giovanna D'Amore Pucci, è il carattere di assoluta novità dell'impianto narrativo che la scrittrice palermitana, nota fin qui per una sua vena di delicato lirismo non meno che per la sua appassionata presenza nella difficile vita civile della sua città, è riuscita a mettere in piedi con un entusiasmo ardente e comunque integrato e sorretto da una misura di sapiente rigore nel segno adulto dell'autocoscienza.

La narrativa dell'autrice non assomiglia infatti a nessuno dei modelli che, date le comuni radici, da Brancati a Sciascia, da Vittorini a Pizzuto, da Lampedusa a Consolo, avrebbero potuto condizionarla, trasformandola in una sorta di appendice subalterna in chiave di epigonismo.

La narrativa di Giovanna D'Amore Pucci assomiglia semmai alla sua stessa poesia, con in più uno scavo in profondità e un'allargata visione prospettica al cui interno si opera naturalmente il rovesciamento dall'ottica isolante dell'autobiografismo a quella invece comunicante della "terza persona" che contraddistingue la maggior parte dei racconti.

Sfidiamo qualsiasi attento lettore a non accorgersi che dietro i suoi personaggi l'autrice tiene sempre nel mirino unicamente se stessa, oggettivando ora un aspetto ora un altro della sua complessa natura: la tenerezza, il fervore, la vitalità, lo spirito d'indipendenza, la capacità infinita di dedizione (ma anche, alla fine, di ribellione), l'indomita fedeltà alla vita.

Una felicissima prova. Che, ne siamo convinti, va oltre le stagioni e le mode.

Vittorio Vettori

 

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