IL CASTELLO DI PESCHIERA BORROMEO
Tratto dal libro "Peschiera Borromeo - Storie Ambienti e Antichi Mattoni" di Sergio Leondi

Chi viene da fuori e non conosce Peschiera Borromeo, non può mancare di fare visita al castello.

Un bel viale alberato, staccandosi dalla vecchia Paullese, va a sbucare sul piazzale antistante l’ingresso, inaspettatamente, con piacevole sorpresa, ci si trova al cospetto del turrito edificio, immersi in uno scenario di rara suggestione, dove l’orologio sembra essersi fermato a tanti secoli fa.

La storica costruzione è infatti calata in un contesto di vecchio borgo medievale contadino, difficile da trovare altrove. L'ambiente diffonde aria di antica dignità, "non già rimembranze guerriere", annota giustamente il conte Gian Vico Borromeo, ultimo castellano.

Del castello colpisce innanzitutto l’alta torre centrale, alla quale fanno corona quattro torioni angolari, emergenti dall’acqua; quest’ultima conferisce un fascino particolare alla dimora dei Borromeo, caso quasi unico in Lombardia, il fossato non è all’asciutto. Nella "peschiera" pullulano pesci di varie specie e di tanto in tanto scivolano sull’acqua candidi cigni. Ancora oggi il castello ospita i Borromeo, che periodicamente concedono volentieri il permeso della visita al suo interno.

Come già sappiamo il castello è il risultato di diversi interventi dei quali il più impotrante è stato quello del 1432 quando una preesistente costruzione rurale, probabilmente una cascina, fu fortificata ed elavata a rango di castello. Prova di questo è il fatto che le fortificazioni (torri, fossato, ecc.) risultano strutturalmente staccate dal resto dell’edificio. Peschiera non fu mai sede di battaglie storiche e il castello perse anche le sue "sembianze bellicose" con l’occupazione degli Spagnoli che decisero di "decapitarne" le torri angolari per renderle basse e inoffensive come sono ora; originariamente dovevano essere alte come la torre centrale.
La famiglia Borromeo intanto cresceva in ricchezza e prestigio e nella seconda metà del 1500 raggiunse il suo apice con la nascita di San Carlo Borromeo. Egli abitò il castello di Longhignana e forse anche quello di Peschiera, del quale fu proprietario fino al 1567. Subentrò a lui il nipote Federigo (futuro cardinale di manzoniana memoria e fondatore della chiesa di Mirazzano) che apportò notevoli modifiche alla costruzione originaria, lavori proseguiti da suo fratello Renato, sposo di Ersilia Farnese.

Di questo importante matrimonio ci sono notevoli testimonianze pittoriche nelle stanze del castello. Altri matrimoni importanti furono quelli che imparentarono i Borromeo con due papi: Innocenzo XI e Urbano VIII. Il castello conobbe alterne vicende fino al 1870, quando venne addirittura venduto alla famiglia Besostri, per essere poi riacquistato dal conte Gian Carlo Borromeo nel 1926. Da allora iniziò un’opera di restauro, continuata dal figlio, attuale conte Gian Vico che ci restituisce il castello com’è ora.

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LE CASCINE DI PESCHIERA BORROMEO
Tratto dal libro "Peschiera Borromeo - Storie Ambienti e Antichi Mattoni" di Sergio Leondi

In Lombardia le prime cascine sono anteriori all’anno Mille; il nome proviene  dal termine latino volgare "capsia" da capsus, recinto o steccato per tenere riunito il bestiame, probabile inoltre la connessione con "caseus", cacio, il formaggio - grana padano- che costituiva il prodotto più rinomato della cascina lombarda.

La cascina è costitutita da un complesso di edifici rurali, disposti intorno ad una grande corte (di forma generalmente quadrata, con l’aia): abitazioni del proprietario o fittabile, dei salariati; stalle, fienili, magazzini, locali per la lavorazione del latte,(accanto al grana, c’era il burro, altra prelibatezza nostrana, ignoto ai primi Romani giunti nella pianura padana).

Nel nostro comune si contavano 33 cascine (ex cascine o cascinali), alcune isolate altre ormai assorbite nel tessuto urbano.

Passandole in rassegna si ricordano:

Cascine Borromeo e Magenes, vicino al castello di Peschiera; Titta, Fornace e Mirazzano negli stessi pressi; Deserta, Fiorano, Carolina e Longhignana a nord, come San Bovio1 e 2 (vicino alla chiesa) e Pestazza.

A Mezzate cascine La Fiorita, Bellaviti, Contonazzo, S.Maria del Bosco; cascina Parapini a Foramagno; cascina Prada a Canzo; Monasterolo nella località omonima; Villa Mauro e Casa Valsecchi a Zelo centro; Brusada all’estremo sud, lungo il Lambro; a Linate Castello Lorini, Bassini, Topicco, Boscana; a Bettola Biassano, Sargenti, Ca Matta, Castelletto, Casa Mauro; Giberta sul bordo meridionale della Nuova Paullese ; a Bellaria cascina Limonta.

Solo un terzo di queste cascine sono tuttora dedite all’agricoltura, due sono state tarsformate in scuola di equitazione e maneggio (Mirazzano e San Bovio), in un altro paio i proprietari hanno eliminato le stalle costruendo condomini;altrove le hanno mantenute mutandone la destinazione d’uso (depositi, magazzini); spesso invece le stalle restano del tutto inutilizzate. Ciò che resta, circa dieci cascine, sono totalmente dismesse sia nella parte residenziale che in quella produttiva; abbandonate alle ingiurie del tempo. Loro più probabile destino è quello, come nel caso della cascina Biassano, di essere rase al suolo per lasciare spazio a nuovi complessi residenziali.

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I FONTANILI DI PESCHIERA BORROMEO
Tratto dal libro "Peschiera Borromeo - Storie Ambienti e Antichi Mattoni" di Sergio Leondi

I fontanili sono corsi d’acqua artificiali, scavati dall’uomo nel nostro territorio, per volontà dei monaci Umiliati, cistercensi, benedettini, a partire dall’epoca medioevale per arrivare, ad opera dei loro successori laici, fino a tutto l’ottocento. A San Bovio è attiva un’associazione - Il Fontanile - che si prefigge di conservare e recuperare queste preziose testimonianze del passato, a partire dai fontanili Gambarone e Borsani, posti sul lato occidentale delle cosiddette piramidi a gradoni di San Felicino.

I fontanili possono essere naturali, quando le acque sorgono spontanee, ma in genere sono prodotti dall’uomo.

Si esegue uno scavo abbastanza ampio e poco profondo, solitamente di forma ovale (la testa del fontanile, l’alveo del futuro laghetto); si praticano quindi dei fori circolari sul fondo, infiggendovi in essi tini di rovere oppure tubi di ferro e cemento forati, lunghi quanto basta per andare ad attingere dalla falda freatica sottostante. Da noi una volta bastavano due-tre metri, adesso di più a causa dell’abbassamento dell’aves.

Dai tubi l’acqua fuoriesce come da tante piccole fontanelle(polle sorgive o bocche) e viene convogliata in un canale (asta del fontanile) che va a bagnare le campagne. Quest’acqua ha una temperatura pressoché costante 10-15 gradi centigradi in ogni stagione dell’anno e soprattutto non ghiaccia d’inverno. In tal modo si riusciva nelle marcite ad ottenere fin 7-9 tagli di erba (i prati tradizionali ne consentono 4 al massimo). Oggigiorno i fontanili vanno gradualmente soffocando e scomparendo.

Secondo l’associazione ambientalista "Quercia Farnia" che ha sede presso il centro civico di San Bovio, sono otto i fontanili del nostro territorio degni di maggiore attenzione, ma tutti praticamente inattivi. Il primo è il Fontanile di Biassano, nella cui testa sono presenti gli antichi tubi di legno, a forma di botte. Secondo il Fontanile del Bosco, imboccando il sentiero che inizia da Biassano e si dirige verso il bosco del Carengione, dopo un breve tratto sono ancora riconoscibili i tubi di ferro forati della testa. Terzo il Fontanile Nuovo della Bettola; si trova a nord ovest rispetto al bosco del Carengione. Quarto Fontanile di Mirazzano, si trova all’interno di una proprietà privata (campo pratica golf). Quinto il Fontanile Testone, si trova vicino alla cascina Pestazza ed è purtroppo uno stagno maleodorante. Sesto il Fontanile Fughetta, si trova all’interno di una vasta area coltivata,presso la cascina e cava Fornace, la testa non è ormai più riconoscibile. Settimo il Fontanile Borsani, si trova a ridosso delle nuove costruzioni di San Felicino, la testa costituisce un ampio bacino quasi del tutto interrato e ricoperto di vegetazione palustre. Ottavo il Fontanile Gambarone, si trova all’interno di una proprietà privata, lasciato ormai in completo abbandono, si notano ancora i tubi calandra inattivi ed arruginiti. Quest’ultimo fontanile esisteva già, lo attesta una pergamena all’archivio di Stato, nel 1011, derivava il nome dalla presenza di gamberi di fiume.

Gli interventi proposti sono quelli di trasformare questi fontanili in piccoli parchi archeologici, ripristinando dove possibile la loro funzionalità o recuperando l’area naturalistica.

 

 

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I MULINI DI PESCHIERA BORROMEO

Oltre alle osterie (bettole), che furono i primi luoghi di ristoro per viandanti, e alle cascine, attorno ai quali si svilupparono i centri abitati e la vita sociale, nel nostro comune, caratterizzato da una intensa attività agricola, si diffusero numerosi mulini. Essi rappresentano un’altra tessera importante del grande e variegato mosaico della storia locale. I mulini, con i loro robusti ingranaggi, segnano un termine di svolta molto importante nella storia del progresso scientifico tecnologico. La loro presenza sta ad indicare un livello di conoscenze teoriche e pratiche, di abilità specialistiche e di capacità imprenditoriali, tutti elementi indispensabili per nuovi successivi sviluppi in campo industriale; sviluppi che come ben sappiamo hanno reso la nostra regione il capolugo dell’industria italiana.

L’acqua ha fatto la ricchezza della bassa; nell’agricoltura innanzitutto e nell’industria poi. Viaggia sempre nello stesso senso, dal monte al mare, a qualcuno brillò in testa la bella idea di sfruttare la sua energia per muovere le pesanti mole dei mulini fino a quel momento fatte girare da uomini o animali: nasceva così la ruota idraulica. Gloria quindi a Vitruvio, ingegnere e architetto veronese al servizio di Ottaviano Augusto, che verso il 25 a.C. concepisce o reinventa il moderno mulino. Questo complesso di ingranaggi rimarrà invariato per circa due millenni. Le ruote idrauliche, dal medioevo in avanti, azioneranno frantoi, pestelli, folle, gualchiere per carta e panni, magli e mantici dei fabbri, segherie per legname e pietre dure, filatoi e telai meccanici, e così via. I primi proprietari sono nobili ed enti religiosi i soli che possono sostenere gli elevati costi di installazione e manutenzione.

Gli impianti molitori si trovavano sulle "antiche vie del lavoro". Nell’area deIl’attuale comune di Peschiera Borromeo si contavano una ventina di mulini.; ven’erano 15 nel comune di Mediglia e 4 in quel di Pantigliate.

Linate era il luogo ideale per l’nsediamento di questi impianti grazie alla presenza del Lambro, ne raggiunse il numero di cinque, quasi tutti costruiti dai frati Umiliati. Molti erano situati negli altri centri abitati come Mezzate, Longhignana, S.Bovio, Zeloforamagno, Bettola, Peschiera e altri venivano costruiti anche presso le cascine così troviamo antichi mulini presso le cascine Topicco, Santa Maria del Bosco, Fiorano, Fornace, Biassano, Brusada. Nel castello di Peschiera tra gli affreschi che ricoprono le pareti delle sale visitabili le immagini di tre mulini occupano ampi spazi in tre sale diverse; l’epoca di realizzazione delle opere risale tra l’ultimo quarto del cinquecento e la fine del seicento.

Curiosità:   La storia dei mulini

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