il paese dove vivo
 
FIVIZZANO, città Toscana, in provincia di Massa Carrara, sita fra i monti della LUNIGIANA sulla strada statale 63 del CERRETO, quella che conduce a Reggio Emilia
UN CANTIERE LUNGO UN SECOLO:
Centinaia di pagamenti per la costruzione
“DELLA MACCHINA DELLA FONTE”
ed
il contributo dato dal pittore fivizzanese
STEFANO LEMMI
alla costruzione della
FONTANA DI PIAZZA MEDICEA
a Fivizzano

(Archivio Storico di Massa- atti civili Comune di Fivizzano
Saldo della Fonte – busta n. 132)
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La fontana di Piazza Medicea già Piazza Maggiore e poi piazza Vittorio Emanuele è il monumento simbolo di Fivizzano, quello che più di ogni altro caratterizza la fiorentinità di questa cittadina lunigianese.
Già nel 1786 il Granduca di Toscana Pietro Leopoldo di Lorena, che quattro anni dopo diventerà imperatore a Vienna , viene a Fivizzano e lascia scritto nelle sue memorie sui paesi che via via visitava “nelle terre di Fivizzano e Pontremoli è grande il lusso, le idee di Nobiltà e l'inimicizia tra un paese e l'altro, come tra Albiano e Caprigliola, tra Fivizzano e Pontremoli” e subito dopo “La terra di Fivizzano è bella, ben situata, ben fabbricata e con una bella piazza ed una buona fontana in mezzo alla medesima: fa 2000 anime. Il vicariato gira 30 miglia ed ha 50 ville vicino a 12000 anime. Tutto Fivizzano fa una sola cura, con una buona chiesa vasta e ben tenuta, nella quale vi è molta vanità e lusso nelle funzioni sacre, con spendere in parati, cere etc.......”.

La fontana che oggi noi ammiriamo nelle sue forme perfette ed armoniose rappresenta la fusione nella bellezza dei due materiali naturali più tipici del nostro comune: la pietra arenaria ed il marmo.
Protetta da una bella cancellata in ferro con pomoli d'ottone, serve, oggi, più come palcoscenico fotografico e reclamo turistico che per l'uso a cui è stata costruita: il portare l'acqua a servizio dei cittadini.
Quando nell'ottobre del 2007 mi sono fatto portare nell'Archivio di Stato di Massa la Busta n. 132
designata genericamente come “ SALDI DELLA FONTE” sono rimasto stupito perché vi erano registrati i mandati di pagamento relativi alla Fontana Medicea, durante un lungo periodo durato oltre mezzo secolo, solo per la costruzione della fontana, senza contare i lavori della piazza.
Ma mi sono anche ricordato che avevo letto qualcosa relativamente alla stessa.
Infatti nel febbraio del 2003 Gianfranco Di Battistini e Caterina Rapetti avevano trattato l'argomento nel loro libro L'ARENARIA (Silva Editore di Parma) e in maniera più che esaustiva.
Inoltre il Prof. Eugenio Bononi già dal 1969 era uscito con uno studio sulla FONTANA pubblicato nel libro VOCI DI VAL DI MAGRA.
Anche lo studioso Micheli Dario ne aveva parlato in “La Città di Fivizzano, Blasoni e Governatori” in “Campanone” - Pontremoli 1940 a pag 87-90.

Traendole da ARENARIA vediamo di estrapolare ed evidenziare i dati più significativi prima di riportare la mia trascrizione di alcuni mandati.
-Nel 1582 la comunità fivizzanese (che ha gli stessi diritti dei cittadini fiorentini dal 1477 per volontà dello Statuto stipulato fra Firenze e Terra di Fivizzano) chiede al governo fiorentino la richiesta di portare l'acqua nel Borgo da Verrucola.
Finalmente nel 1639 prende avvio l'opera.
I primi finanziamenti provengono dalla Gabella degli stracci.
Il primo compenso viene dato all'Ingegnere Gio Batta Lorezio di Pignone in Val di Vara.
Il cantiere viene avviato nel 1640 e viene affidato all'ingegnere fiorentino Baccio del Bianco il disegno dell'acquedotto.
Nel 1646 viene il capomastro fiorentino Orazio Luca Toti a sovrintendere ai lavori; responsabile scarpellino è Lodovico Castelletti.
Il Dott. Terenzio Fantoni interviene presso il Granduca per caldeggiare finanziamenti e riottiene tutti i proventi degli stracci contestati cinque anni prima dal Capitano di Castiglione del Terziere.
Nel 1651 viene accordata per tre anni di destinare all'opera la rendita della dogana del sale-
Ed inoltre di imporre una tassa d'Estimo di 400 piastre sulla terra e sui CASTELLI.
Ma i Governatori dei Castelli non accettano tale gabella e si oppongono a pagare una opera che non li riguarda. (L'idiosincrasia fra Terra e Corte iniziata già un secolo prima al tempo della costruzione delle mura che cingono Fivizzano si rafforza con questa nuova opera e diventa diffidenza della “campagna” e quindi di chi abita nei villaggi e i cittadini Fivizzanesi, motivata anche dalla lontananza fra chi si sostentava di agricoltura e quindi di duro lavoro e chi invece viveva con il commercio, i servizi, le professioni. E forse questo è uno dei motivi per cui oggi non si afferma il commercio in Fivizzano, molta popolazione del Comune gravita infatti su altri centri, purché non sia Fivizzano.)
Nel 1653 si interessa all'opera l'ingegnere fiorentino Alfonso Parigi che si occupa più che altro della presa e delle canale in pietra. Parigi è un valente ingegnere del Granduca che ha lavorato agli acquedotti di Pitti e Forte Belvedere e costruito la “fontana dell'isola” in Giardino de' Boboli.
Viene destinato all'acquedotto l'introito derivante dalle multe che serviva prima alla riparazione delle mura.
Continuano i contrasti fra la TERRA i CASTELLI a motivo di nuove tasse imposte a Firenze dal Consiglio dei Nove.
Tanto che il Governatore di Fivizzano Lelio Buzzi scrivendo al FANTONI a Firenze gli dice” Piuttosto pagherei del mio che avermi ad inchinare ai Procuratori delle CASTELLA.”
Nell'anno 1656 la posa delle canale in pietra è arrivata nei pressi della strada che conduce al Convento di San Francesco cioè nei pressi dell'attuale cimitero sulla strada che conduce appunto all'Ospedale.
In tal punto appunto, sul pozzetto o BOTTINO, come allora era chiamato, viene apposta una targa marmorea commemorativa.
(E qui apro una piccola parentesi: andate a vedere come, oggi, commemoriamo quell'evento, vedete in quale maniera è curato quel reperto storico. Ha provato, il sottoscritto, a segnalarlo ad amministratori ed ufficiali pubblici, ma senza risultato.)
Per mancanza di fondi i lavori si fermano per 4 anni, solo nel 1660 essendo destinato alla FONTE il provento degli stracci il lavoro di canalizzazione riprende con i disegni dell'ingegnere carrarese Francesco Bergamini. Esaurita però la somma di 500 piastre i lavori nuovamente si fermano.
Il cantiere ripartirà solamente nel 1681 quando il GRANDUCA (sar: Sua Altezza Reale) concede un prestito alla comunità di 400 piastre.
Mandato dal Granduca viene nel mese di luglio da Firenze a Fivizzano l'ingegnere Antonio Ferri e vi rimane 11 giorni.
Si estraggono le pietre di arenaria dalle cave sopra San Francesco, lavorano numerose maestranze di Casola, Luscignano, Collegnago e l'incarico di assistere alla fabbrica viene assegnato ad un fivizzanese: il pittore Stefano Lemmi.
Viene a Fivizzano il fiorentino Gio Batta Soldeli, su proposta del governatore o maestro di campo Alfonso Bracciolini, con il compito di fondere i “cannoni” cioè i tubi di piombo che porteranno l'acqua dalle mura ove vi è stato costruito l'ultimo bottino fino alla Piazza.
Il 23/9/1681 un trasportatore di Pietrasanta Ambrogio Ambrosi conduce da Firenze il modello ligneo della “macchina della fonte” che andrà collocata in piazza. Non si sa chi è l'autore del disegno ma quasi certamente si tratta di Antonio Ferri al quale il Lemmi stesso invierà i disegni dello scoglio o grottesco che sorge all'interno della vasca, appunto per la sua approvazione.
Appena avuto il modello , l'incarico di scolpirla viene affidato allo scultore Jacopo Toschini di Carrara che ha così l'incarico di scolpire la vasca in arenaria, i delfini, le conchiglie ed ornamenti di marmo.
Intanto in località Sassina sopra Verrucola si lavora all'estrazione dei grossi massi che serviranno per il catino della vasca. Viene fatta una via di lizza e i massi vengono fatti scivolare su tronchi circolari di castagno.
Siamo nell'autunno del 1681 e per continuare il lavoro durante il periodo invernale vengono costruite due capanne; una in piazza ove si procede con lo sterro della buca al centro della piazza e una in Sassina ove si sbozzano i grandi massi.
Si lavora per tutta la primavera ed estate successiva a predisporre i pezzi della vasca, gli scalini, le pietre del grottesco e a fondere i tubi di piombo.
Il Lemmi va a Carrara ad invitare l'ingegnere Andrea Baratta a venire per assistere alla posa della macchina e del grottesco per il quale il pittore aveva fatto anche un modello a rilievo.
L'ingegnere viene e si ferma otto giorni. Intanto il fonditore Soldeli fonde le bocche di rame per l'acqua dei delfini e per lo zampillo.
Nella primavera successiva finalmente anche lo scultore Toschini viene saldato del suo credito per avere scolpito la vasca, il masso, la scalinata e gli ornamenti e due delfini. Sembra che per gli altri due delfini ci sia stata una diversa esecuzione; ad oggi resta insoluta la domanda: chi è la mano dello scultore?
Finalmente nella primavera del 1683 la fontana è in funzione e viene nominato il primo “fontanaio” in Pietro Jacopo Pandiani con l'incarico di far funzionale l'acquedotto, dare l'acqua secondo il bisogno, pulire le condotte, tenere sgombra l'opera di presa.
Viene inaugurata la fonte con solennità, viene stampato un componimento poetico prosopopea lirica del Cav. Gio' Battista Andriani “Marterrea, superbissima fonte eretta in Fivizzano sotto la direzione del Maestro di Campo Alfonso Maria Bracciolini, Governatore di esso”.
Vengo apposte due lapidi in marmo, una appunto sottolineante il contributo del Bracciolini e l'altro inneggiante alla munificenza del Granduca Cosimo III.
Non appare invece il nome di colui che più di ogni altro aveva sostenuto tale opera il Terenzio Fantoni. (Nota )
L'acqua dallo zampillo scendeva nella vasca e tracimando formava un velo ove sembrava che i delfini fossero sospesi nell'acqua stessa che poi si raccoglieva in una scanalatura lungo tutto il bordo della vasca ed andava a finire con conduttura sotterranea negli orti ad uso irriguo.
La fontana di ispirazione fiorentina è molto simile a quelle cinquecentesche di Villa Corsini e di Villa La Petraia a Firenze, o alla fontana di Piazza della Porta sita in Piazza della Rotonda a Roma.
Uno scoglio e un delfino sono presenti anche nella Fontana del Nettuno in giardino de' Boboli.
La fontana sorgeva in uno spiazzo fra le case con fondo ancora sterrato; sul lato orientale vi era una precedente fonte che poi viene eliminata ed il luogo è uso a fiere e mercati per cui viene fatto bando di non legare gli animali ai delfini, ma poi viene presa la decisione di proteggere la Fontana con una grossa cancellata in ferro con pomoli d'ottone lasciando libero passo alle persone che dovevano accedere con secchie e recipienti vari ai quattro zampilli dei delfini.
Viene altresì stabilito di lastricare la piazza con quasi quattromila braccia di piastroni.
I lavori vengono iniziati nell'autunno del 1685 e finanziati con i proventi delle multe che pagavano i soldati del capitanato e poi col provento della gabella del vino.
La pavimentazione termina nel 1702.
Quando viene in visita, nel 1786, a Fivizzano Pietro Leopoldo la trova “ ben fabbricata con una bella piazza e una buona fontana” . E ancora meglio la trova il Granduca Leopoldo II quando il 6 luglio 1848 “Considerando che la Terra di Fivizzano occupa nella provincia di Lunigiana un rango distinto per popolazione, decenza di fabbricato, possesso di utili stabilimenti...... ecc DECRETIAMO La Terra di Fivizzano elevata al rango di Città Nobile.”



Dopo questa premessa, ritorniamo alla nostra busta n. 132 dell'archivio di Fivizzano depositato presso l'Archivio Storico di Massa e designata “ Saldi della Fonte” e vediamo cosa possiamo evidenziare.
Il primo registro è un elenco di mandati che vanno dall'anno 1640 al 1683 ed è composto di n. 406 registrazioni.
Nell'anno 1640 abbiamo n. 6 registrazioni di mandati.
La seconda registrazione così riporta:
“Fatta polizza adi primo gennaio 1641 ad Andrea Picinini in Fivizzano di lira dua e soldi diciasette per parte per un libro per il Camarlingo da scrivere l'entrata et uscita de danari e spese di detta fontana.”
la terza registrazione è “per lire nove e soldi quattro per la rilegatura del libro per lo scrivano “
Il quinto mandato: “Fatto polizza adi 24 febbraio 1641 a Silvestro Lombardo in Fivizzano di lire sei per tante che sono per cinque opere à lavorare à detta fontana”
Dodicesimo mandato: “ Fatto polizza adi 20 agosto 1641 a Bacio del Biancho ingeniere di lire ventiotto per tanti che sono per sua reconutione per havere visitato e datto il disegno della fontana.”
Dal 1641 al 1646 ci sono tre pagine e cioè 18 mandati che riguardano pagamenti di rena, calcina, opere di maestri muratori, mattoni, legni e chiodi.
L'anno 1647 ha 6/7 pagine di registrazioni con n. 106 mandati.
Fra cui:
-Mandato 75 : “Fatto polizza Adì 20 luglio 1647 al caporale de' manovali Valisero di lire 55 e soldi quattro per tante che sono per opere 46 à lavorare alla Fontana.”
-Mandato n. 78: “Fatto polizza adi 20 luglio 1647 a Pellegrino di Domenico da Verrucola di lire undici e soldi dodici per tante che sono per condotta di pietre dalla cava e soldi quattro per tanti per Viaggio e sono viaggi 5.”
mandato n. 79: “ fatto polizza ad Angiolino di Bertone da Pognana di lire venti un soldo e quattro denari per portare 26 di rena a soldi quattro denari otto per tanti per staio “
mandato n. 122 : “fatto polizza il 13 agosto 1647 a maestro Orazio Toti capo maestro della fontana di piastre sedici per sua gita nel venire e ritornare di Fiorenza ...”
mandato n. 124: “ fatto polizza ADI 28 agosto 1647 a Giò Domenico Lombardo in Fivizzano di lire 37.4 per tante che sono per opere 31 di manovale a lavorare alla Fontana.”
Abbiamo poi l'anno 1648 con la registrazione di 5 mandati, fra cui:
mandato n. 137: “Fatto polizza a maestro Michele Pinelli in Fivizzano di lire trentuno e soldi sei per tanti che sono per fattura e conciatura di ferri per servizio della fontana come appare per suo conto in mano del Camarlingo della Fontana.”
mandato n. 138: “ Adi 10 giugno 1648 -fatto polizza a Paolo Fantoni di Fivizzano di lire quattordici che sono pertanti spesi dal Dott. Terenzio suo fratello in Firenze per scritture e copie di scritture per servizio di Fontana.”
L'anno 1649 è rappresentato con circa 3 pagine di pagamenti per lavori alle canale in pietra.
Esempio mandato n. 150 “ viene fatta polizza a Nicola Palaroni di Fivizzano di lire 23 per braccia diciasette e ¾ di canale.”
L'anno 1650 viene registrato con circa 30 pagine, coi mandati dal n. 157 al n. 270, e cioè sonio annotati 113 mandati.
mandato n. 164: “Adi 29 giugno 1650 – Angelo di Giò Antonio d' Agnino habitante a Pognana di lire quattro per tanti per havere trainato n. 10 pani di canale alla fonte.
Mandato n. 169: “ Anno detto, fatto polizza ad Andrea Betti capomastro della fonte di Sua Altezza per tante che sono per giorni diciasette di sua recognitione e andare e tornare A Fiorenza, traguardare e quant'altro lire centoquaranta...”
mandato n. 190: “Adi detto 1650, fatta polizza a Ludovico Castelletti di Fivizzano lire quarantadue per tante che sono per sua pietra per mettere sul secondo bottino per servizio che spetta.”
mandato n. 249: “Adi 21 Ottobre 1650, fatto polizza a Luca Toti capomastro della fonte di lire dugentoquattordici per tante che sono per resto di suo havere per haver lavorato alla detta fonte giorni centoquindici ... dalli 3 luglio passato a tutto 29 ottobre 1650 a ragione di lire quattro per tanti ... e vitto in camera....”
L'anno 1651 passa con n. 8 mandati registrati. Fra cui la seguente registrazione di Carlo Borni
(A cui rimando il mio lettore alla lettura del suo inventario fatto alla morte del fratello e da me trascritto la cui copia è in Biblioteca Pubblica di Fivizzano)
“Adi 13 Ottobre 1655, S ig. Stefano V.S. Potrà fare la polizza a Battista di Antonio di Giò Maria da Pognana di braccia 75 di Canale di bracci ventisette annotando di mettere in conto i danari , ed i sopranominato Battista ha ricevuto con i compagni. Firmato Carlo Borni:”
Nel 1653 lo scrivano Tommaso Rossi rinuncia all'ufficio di scrivano e subentra Stefano Bottignani che riprende le registrazioni dei mandati ripartendo dal n. 1 per arrivare al n. 84 nel 1659.
Nel 1655 con il mandato n. 31 “ fu fatta polizza al maestro Luca Toti di lire centoventi...”
-mandato n. 55: “fu fatta polizza ad Agostino D'Antonio da Collegnago di lire centoventotto per haver fatto il riscavvo del maschio e della femmina o sia imboccatura a n. 128 pezzi di canale destinate alla fabbrica di detta Fonte, lire 18 per haver fatto l'uscio di pietra a due (illegibile?) del Bottino che è sulla strada di San Francesco; e lire quindici per braccia cinquanta di piatroni fatti per servizio di detta fonte, à soldi sei il braccio, che in tutto sono lire centosessatuna.”
Nell'anno 1656 avvengono nove pagamenti.
Mandato n. 81: “ Adi 26 Novembre 1656, fu fatta polizza a maestro Ludovico Castelletti di Fivizzano di lire sessantatre, moneta di Fivizzano , per prezzo di staia n. 36 di calcina comprata dal medesimo Ludovico dal mese di ottobre 1655 per servizio di detta fabbrica di detta fonte a soldi 36 lo staio ....”
Sono registrati nell'anno:
-1659 n. 4 mandati
-1662 n 2 mandati
1664 n. 8 mandati
Nell'anno 1673 viene eletto Camarlingo (cioè cassiere) della fonte Giulio Rossi che registra:
nel 1674 n. 4 pagamenti
nel 1675 n.5 pagamenti
nel 1679 n. 11 pagamenti
nel 1680 n. 9 pagamenti
nel 1681 riprendono febbrilmente i lavori ed i pagamenti sono ben n.210, fra cui questo relativo al mandato n. 15 “ Adi 22 Luglio 1681, Polizza ad Antonio Ferri ingegniere fiorentino di piastre 42 soldi 13 4 denari sono per undici giornate che ha dato fra venire e ritornare a Fiorenza per servizio della Fonte à ragione di due piastre il giorno e per le canalature del andare e venire conforme à dato in nota, il tutto così accordato dal Sig: Senator Ricci come per lettera diretta a questo Sig Illustrissimo Governatore nostro e più una Piastra per recognitione, il tutto sono piastre quarantatre, lire una soldi tredici, denari quattro”.
Alla data del 21 giugno 1681 è annotato “ In occasione di 400 imprestate da S.A.R. Per tirare avanti la fonte dal campo di Massimo Andriani sindove li condusse l'anno 1664, sino in piazza per vederla terminata, se piace a Dio”
Poi ancora,
il mandato n. 39 -” Adi 25 Agosto 1681, polizza a Nicola Palaroni di Fivizzano di lire quattordici per tante che sono a conto delli piastroni che fa per coprire le canale della fonte”
Mandato n. 44 - “ Adi 30 Agosto 1681, polizza a Stefano Lemmi di Fivizzano di lire quattordici soldi tre denari quattro che sono per voluta di una Pilla da pietra che tiene pesi 17”
Mandato n. 59 : “Adi 3 settembre 1681, polizza a Giò Sarteschi di Fivizzano di lire ottanta per tante volute d'una Pilla di Pietra che tiene pesi ottanta che serve per il bottino ultimo a ragione di una lira per peso che tiene, sono pertanti lire 80”
mandato n. 62: “ Adi 3 settembre 1681, polizza a Giovanni Santi da Moncigoli di lire una soldi tredici per condotta di 6 pezzi di canale e una Pilla di pietra levata Lungo alle Muraglie e condotte dentro al prato del Sig: Botignani.”
mandato n. 81: “ Adi 14 Settembre 1681, a Giovanni di Agostino da Collegnago di lire cinque per tante per tre giornate da muratore date alla fonte.”
mandato n. 83: “ Adi 14 Settembre 1681, polizza al sig. Giovanni di Agostino da Collegnago di lire Dieci sono per voluta di un'uscio di pietra fatto a sue spese per mettere al bottino e più lire tre che sono per quei pezzi di pietra dati per dove il crescimento alla Pilla del bottino, dico in tutto lire tredici.”
Mandato n. 94: “ Adi 29 Settembre 1681, polizza al Maestro di Campo Alfonso Bracciolini sono di lire Centoquaranta per tanti che ha fatto pagare al Gio Batta Soldeli fiorentino Canaio in Fiorenza à conto del Viaggio e spese e di quanto che haverà di havere dovendo egli fare li canoni di piombo per la fonte.”
Mandato n. 95: “Adi 29 Settembre 1681, polizza a Stefano Lemmi di Fivizzano lire settanta per tante che sono per l'intiera soddisfazione di sua ricognicione in haver assistito alla fabbrica della fonte fin qui fatta e dovendo assistere per l'havenire a detta fabbrica fino alla totale perfezione di essa così d'ordine del Governatore di F.no”
Mandato n. 109: “Adi 29 settembre 1681, polizza a Giò di Mariano da Verzano detto il Grosso di lire quattordici sono per tanto danno datoli negli erbaggi che si sono guasti à far la fossa dalle canale nell'ortolano del Sig. Guerri.”
Mandato n. 109: “Adi 21 settembre 1681, polizza a Domenico di Valistro di lire due sono per tramuttata la Calcina della Sala detta de' Priori nella stanza dei frati.”
Mandato n. 110: “ Adi 23 Settembre 1681, polizza a Giovanni di Benedetto Stiatici di Pietrasanta di lire quattordici per tante sono per haver portato da Fiorenza a Fivizzano il Modello di legno della Macchina della Fonte che va in piazza, così d'ordine del Sig. Governatore.”
Mandato n. 114: “ Adi 23 Settembre 1681, polizza a Marieta Stochi di Fivizzano lire quarantasei soldi tredici denari quattro per tanto sono per una catasta di legname, per condotta da casa di essa a sala dei Priori, per carichi quattordici di faggine tutte per struggiere il piombo per fare li canoni di piombo”
Mandato n. 119: “ Adi 24 Settembre 1681, polizza al Acconcio Acconci di Fivizzano di lire tre per voluto di quattro Pale ò Badili di ferro con suoi manici dati a cavar terreno”
mandato n. 121: “ Adi 28 settembre 1681, polizza a Jacopo Pandiani di lire Diecie mezzo per tante sono giornate dieci e mezzo di manovale datte con due compagni à lire una il giorno per far cavar terra in piazza.”
Mandato n. 125: “ Adi primo ottobre 1681, polizza al Jacopo Toschini da Carrara di lire dugiento per tanti sono per caparra e parte di pagamento dell'accordo fatto di fare l'adornamento della Fonte di piazza conforme alla scritta alla fonte.”
Mandato n. 127: “Adi 28 Ottobre 1681, polizza al Jacopo Pellini falegname di lire venti per tante sono per fattura di una cassa di noce da gettare il canone di piombo e fatta di un'anima e contr'anima, per piegare li detti canoni con tre travicelli di pioppo per fare tre trespidi e fattura in tutto lire 20.”
Mandato n. 135: “ Adi 8 Ottobre 1681, polizza a Giò Antonio di Giò Batta d'Agnino di lire quattro e mezzo pertante sono di valuta di tanti sassi datti per servizio della Fonte.”
(Vedasi not n. 1)

Mandato n. 137: “ Adì 8 Ottobre 1681, polizza a maestro Ambrogio Grandi muratore lire sedici soldi tredici per tante sono per giornate sei datte a murare per li fondamenti della fonte in piazza a giorgini dieci il giorno e più giornate cinque di Angiolino suo garzone a giorgini otto per giornata in tutto 13.16”
Mandato n. 138: “ Adi 8 Ottobre 1681, polizza a maestro Alessandro Turani di lire venti per tanti sono per giornate nove date dal primo Ottobre sino a tutto il presente giorno à lavorare a li canoni di piombo a Soldi 2 il giorno e più Soldi due per giornate tre datte dal suo figlio à detto lavoro a tanto il giorno che in tutto dico Soldi 20”
Mandato n. 139: “Adì 8 Ottobre 1681, polizza a maestro Nicolò Pallaroni di Fivizzano di Lire tre Soldi sei per tante sono per giornate due datte à scarpellinare n. 1 cordone di pietra et a sasso di pietra per serare la volta di Piazza per la Fonte. “
Mandato n. 142: “ Adi 8 Ottobre 1681, polizza a Andrea di Gassano manuale di lire sedici per tante sono per giornate sedici di manuale date con due compagni à far il manuale in Piazza per la Fonte. Una lira per giorno Dico Lire 16”
Mandato n. 144: “ Adì 13 ottobre 1681, polizza a Sig. Bracio Cechardi di Fivizzano di lire dicianove Soldi uno denari otto per tanti sono per valuta di dote di 73 ferro per far tagliole e 15 detti per far mole e cinque chiodi tutto per servizio della fabbrica della Fonte dico pertanto 19.1.8”
Mandato n. 146: “Adì 14 ottobre 1681, polizza al Sig. Pietro Securani nostro Procuratore (?) di Lire seicentoventitre Soldi sei Denari Otto sono per valuta di Staie 3612 di Piombo spedito di Livorno dal sig. Giò Teffi a Soldi 18 e mezzo il Mig. e Staie 200 di Stagno ....... tutto per servizio della Fonte”
Mandato n. 147: “Adì 14 Ottobre 1681, polizza a Pietro Securani nostro Procuratore di lire ventisette per tante sono per condotta di pesi 262 di piombo e stagno da Sarzana a Fivizzano a Tassa di Cratie due il peso Dico 27.”
Mandato n. 150: “Adì 14 Ottobre 1681, polizza a Giò Franco Batini di Fivizzano Lire tredici Soldi Sei Denari otto pertante sono per valuta parte di farina da far pasta per saldare le canale di Piombo olio e due Pignatte tutto per servicio della Fonte.”
Mandato n. 153: “Adì 25 Ottobre 1681, polizza a maestro Carlo Maloni di Fivizzano di Lire Due e Soldi Dieci Denari otto per fattura di dieci pezzi di ferro fatti per murare dentro il fornello da struggiere il Piombo per gettare le canale di Piombo e per un'altro quadro per reggiere il vaso da struggiere detto Piombo.”
Mandato n. 155: “Adì 19 Ottobre 1681, polizza a Giovanni da Collegnago di Lire quarantotto Soldi sei Denari otto per tante sono per opere datte con quattro compagni a cavare li pichiamenti per la fonte in Sassina a Cratie 20 il giorno.”
Mandato n. 166: “Adi 19 Ottobre 1681, polizza al Mchele Cecardi di Fivizzano di lire quattro per tanti sono per la Pigione di una camera con letto datta a Gio Batta Soldeli fiorentino che fa li canoni di piombo per quindici giorni cominciati il 22 settembre e finiti il 7 ottobre à ragione di Lire otto al mese.”
Mandato n. 167: “ Adi 25 Ottobre 1681, polizza al Sig. Stefano Lemmi di Fivizzano di Lire tre Soldi uno denari otto pertanti sono per valuta di un Penello grosso e tre piccoli mezo Guintenucarta Reale , Chiodi e un manico da pala.”
Mandato n. 168: “Adi 26 Ottobre 1681, polizza a Giovanni di Agostino da Collegnago di Liore setanta Soldi Sei Denari Otto per tanti sono per giornate trentanove datte con otto compagni alla Cava in Sassina a cavar pietre per la Fonte à venti cratie il giorno e più per giornate quattro a Cratie sedici che in tutto dico 70.6.8”
Mandato n. 173: “ Adì 31 Ottobre 1681, polizza al Sig: Giò Batta Soldeli fiorentino lire dugientocinquanta per tante sono a conto del suo havere per la fatica delli canoni di piombo della fonte. Dico 250”


L'anno 1682 passa con la registrazione di circa 200 pagamenti o mandati.
Mandato n. 195: “ Adi detto 1682, polizza a Antonio di Giò da Collegnago assieme a quattro compagni di lire undici Soldi sei Denari otto per tanti sono per valuta per opere sette date da loro à cave a cavar pietre per la fonte di piazza.”
Mandato 196 : “Adi detto 1698, polizza a Bartolomeo di Verzano di Lire quattro Soldi 6 denari otto per tanti sono per condotta di sei pezze di pietre condotte per la Fonte di Piazza con suoi compagni e manuale....”
Mandato n. 197: “Adì 25 Novembre 1682, polizza al Pietro Securani Nostro Procuratore Lire centoquaranta pertanti sono Piastre 20 fiorentine che devono servire a rimettere a Fiorenza al Sig. Ingegniero Ferri per sua recognitione del modello della Fonte di Piazza, et altre sue missioni ( ?)
......, così giudicato detto modello dall'Illustrissimo Sig: Senatore De Ricci .....(seguono due parole da me illegibili ) come sua lettera del di............”
(Vedasi nota n. 2)

Mandato n. 211: “Adì 28 Novembre 1682, polizza al sig. Pietro Securani Nostro Procuratore di Lire Centocinque per tanti sono per piastre quindici fiorentine per valuta delle Chiavi di Bronzo che devono servire per la Macchina della Fonte di Piazza fatte fabbricare in Fiorenza dal Sig. Ingegniero Ferri
Mandato n. 212: “Adì 30 Novembre 1682, polizza a Antonio di Giò da Collegnago con sei compagni di Lire cinquantotto Soldi sei denari otto per tanti sono per opere sette datte da loro in Sassina a condurre e alzare la Pietra per la Macchina della: :Fonte di Piazza, opere ventisette a venti Crabie il giorno e opere dieci a due Giuli in tutto dico L. 58.6.8”
Mandato n. 228: “Adì 10 Ottobre 1682, polizza a Nicolao Manfredi cappelaio di Fivizzano di Lire di lire Cinque per tanti sono per n. 10 feltri datti per stagnare e saldare le Canne di Piombo già distese nella fossa fuori delle Muraglie.”
Mandato n. 228: “Adi detto, polizza a Bartolomeo detto Verranino d' Intermonte con suoi compagni Lire quaranta Soldi 6 Denari 8 per tanti sono per le sottoscritte condotte di Pietra per la Macchina della Fonte di Piazza e Piastroni per coprire la Fonte fuori delle Muraglie cioè venti viagi di detti Piastroni condotti a Un Giulio a Viaggio; un pezzo di Grotesco grosso e due picioli levati sopra Verrucola, e più tre altri Groteschi levati in Sassina ...”
(Vedasi nota n. 3)
Mandato n. 237: “Adi 14 Ottobre 1682, polizza a Niccolao Palleroni di Fivizzano di lire trentatre Soldi sei Denari otto per tanti sono per sua mercede di cento Cocholetti ò siano Base fatte da sostenere le Canne di Piombo distese nella fossa fuori delle Muraglie a ragione di quattro Crabie l'una.”
Mandato n. 238: “Adì 14 Ottobre 1682, polizza a l Sig. Giò Battista Soldeli Fiorentino di Lire Ottantaquattro per tante sono Piastre dodici fiorentine a Conto di suo havere per la fattura delli Canoni di piombo per la Fonte.”
Mandato n. 239: “Adì detto, polizza a Lucchino Valazzana fabbro di Fivizzano di Lire nove soldi Diciasette Denari otto per tanti sono per accomodature di diversi ferri per la Fonte cioè due Cappe, una Mazza, cinquecento Gochie, due Mazzuoli e due Palletti alla Lice interamente dico L. 9.17.8”
Mandato n. 240: “Adì detto, polizza al Pier Angelo Maruzzi di Fivizzano di lire due per tanti dovutili per gita da lui fatta da Fivizzano a Caprigliola per provedere di Pozzolana a servizio della Fonte.”
Mandato n. 241: “Adì detto, polizza a Domenico di Giò detto Pellano habitante in Fivizzano di Lire nove Soldi tre Denari Quattro per tanti sono per opere otto date da Lui con due compagni a far la Capanna in Piazza, lavorare li pichiamenti della fonte sei opere, a 2 crabie, cinque carichi di paglia , pertiche da salici per detta Capanna in tutto sono L. 9.3.4”
Mandato n. 248: “ Adi detto, polizza al Sig. Giò Batta Soldeli fiorentino Lire duecentoquaranta per tanti che stati sono parte per pagamento del lavoro da lui fatto nel gettare, saldare et mettere in opera le Cane di Piombo fino a questo giorno per servizio della Fonte, e parte à conto del lavoro da farsi e finirsi, starsene a conti poi ritornare a terminare detta Fonte in Fivizzano ad ogni richiesta dell'Illustrissimo Sig. Governatore Bracciolini e de Sigg. Priori di detta Terra di Fivizzano et Operai di detta Fonte.”
Mandato n. 256: “Adì detto, polizza a Pietro Securani Nostro Procuratore di Lire dodici per tante sono per 1500 fasci di paglia di segale da servire per coprire la Capanna fatta in Piazza sia l'altra fatta in Sassina per poter lavorare la pietra in coperto a un Giulio il conto ed il resto per portarla.”
Mandato n. 263: “Adi detto, polizza a Gregorio Bianchi di Lire trentaquattro Soldi due per tanti sono per Condotta, Gabelle della Pozzolana comprata alla Spezia per servizio della Fonte portata da detto dalla Spezia a Fivizzano Dico 34.2.”
Mandato n. 279: “Adì 27 Febbraio 1682, polizza a Franco Picioli oste in Fivizzano di Lire venticinque Soldi sei Denari otto per tanti sono per la pigione che si deve per la camera a due letti da Esso dati per servizio del Maestro Jacopo Toschini da Carrara con li suoi Compagni che lavorano alla Macchina della Fonte di Fivizzano; cioè a lire dodici per li mesi trascorsi di gennaio e febbraio per la camera e il letto, e lire tredici per un'altro letto che si deve bonificare per quattro mesi cioè da Novembre in qua à ragione di due baele il giorno che in tutto sono 25.6.8”
Mandato n. 304: “Adì 4 detto, polizza a Pietro Jacopo Pandiani di Fivizzanodi Lire Dieci per tante sono per sua fattura per muro che si guastò fra il Sig. Cap.no Benedetti e il Sig. Bottignani con lire tre per staie 18 di rena in tutto dico L. 10”
Mandato n. 306: “Adi 12 detto, polizza a Filippo di Agostino da Spizzano di Lire cinquantasei Soldi tredici Denari 4 per tanti sono per condotta di somma cinquecentodieci sassi da murare per servicio della Macchina della Fonte di Piazza a ragione di due baele la stima.”
Mandato n. 309: “Adì 29 Maggio 1682, polizza al Sig. Jacopo Toschini scarpellino di Carrara di Lire Centosessanta per tanti sono a bon conto del Catino datogli e per far l'adornamento della Macchina della Fonte di Piazza Dico L. 160”
Mandato n. 310: “Adi 17 Giugno 1682, a Pietro Securani Nostro Procuratore Lire trenta per tanti sono per conto della valuta delle Chiavi di Bronzo fatte fabricare a Firenze per servizio della Fonte.”
Mandato n. 323: “Adì 27 giugno 1682. a Maestro Jacopo Toschini da Carara di Lire Cento per tante sono a bono conto del Catino dato di fare e l'adornato della Fonte di Piazza.”
Mandato n. 325: “ Adì 2 luglio 1682, fatta polizza a Stefano Lemmi di Fivizzano di lire ventiotto per sua mercede d'havere misurato l'Acqua de la Fonte per mandarla all'Ingegnere a Firenze.”
Mandato n. 372. “Adì 5 settembre 1682, polizza a Stefano Lemmi di Fivizzano di lire venti Soldi 6 Denari 8 per tanti sono per tanti che si devono per gli alimenti prestati da esso al Sig. Andrea Baratta ingegniere di Carara per giorni otto à ragione di quattro Giuli il giorno principiati il due del corrente...venuto Detto apposta per assistere a mettere in opera la fabbrica della Fonte di Piazza.”
Mandato n. 376: “Adì 6 detto, polizza a maestro Jacopo Toschini da Carara di Lire quarantasette per tanti sono lire 40 a conto del Cattino della Machina della Fonte di Piazza, Lire sette per opere tre datte da suo figlio a lavorare Cattini (?) in Piazza per servizio di detta Fonte.”
Mandato n. 377: “Adì 6 detto, polizza al Sig. Orazio Cechardi di Fivizzano Lire quattordici Soldi undici per tanti sono per n. 10 pezzi di tavole di pioppo fatte per servizio della Fonte a ragione di 10 Cratie al pezzo, e più Lire cinque per valuta di 22 ferro tondo che serve a tenere l'ultima Canna che imbula il Dado sotto la volta di Piazza a ragione di Soldi otto ...”
Mandato n. 378: “Adì 6 Settembre 1682, polizza a Sig. Pietro Securani Nostro Procuratore di Lire Cinquanta per tanti sono per pezzo a condotta di Millecinquecento Mattoni grossi per murare dentro alla vasca della Fonte di Piazza a ragione di cinque Giuli al conto dico L. 50.”
Mandato n. 379: “Adì 26 detto, polizza a Lorenzo Gentilini per tanti sono per opere cinque di manuale datte da Lui in aiuto dei Maestri che lavorano alla fabrica della Fonte.”
Mandato n. 379: “ Adì detto, fatta polizza al Maestro Andrea Palleroni di Lire Tredici Soldi 6 Denari 8 per tanti sono per opere otto datte da lui à mettere in opera le Pietre della Fonte di Piazza a venti Cratie il giorno.”
Mandato n. 389: “Adì Detto, polizza al Stefano Lemmi di Lire Ventidue Soldi 6 Denari 8 per Spese cibarie fatte da esso per otto giorni a quattro Giuli al giorno al Sig. Andrea Baratta di Carara stato assistere alla Fabbrica della Fonte.”
Mandato n. 390: “ Adì 25 Settembre 1682 , fatto polizza al Maestro Jacopo Toschini da Carara di Lire trecentosessantaquattro e soldi 9 per tanti sono per resto del proprio conto che deve havere per suo intiero pagamento del lavoro fatto della Macchina della Fonte di piazza per il quale ... d'ordine dei Sigg. Priori vorrà per suo intiero pagamento.”
Mandato n. 392: “Adì 29 Settembre 1682, polizza a Maestro Giò Batta Soldeli fiorentino di Lire ottantadue per tanti sono per resto e ultimo pagamento delle Piastre Trentacinque fiorentine ha lavorato per le giornate da lui datte in numero di ventiquattro di lavoro a una piastra il giorno e mezza piastra li giorni festivi e per datte in diversi tempi a lavorare le Canne per la Fonte Sud.: Lire 82 sono per l'ultimo pagamento tanto delle sopradette giornate o di altra spesa fatta da Lui in viaggi a cavalcatura da Fiorenza a Fivizzano e da qui a Fiorenza.”
Mandato n. 393: “ Adì 10 Ottobre 1682, polizza a Salvati Salvatori di Lire quindici per tante sono per sua mercede di haver riportato a Fiorenza li utensili e altri instrumenti serviti al Maestro Giò Batta Soldeli che ha lavorato la Canna di Piombo da rafonta.”
Mandato n. 396: “Adi 29 Ottobre 1682, polizza a Maestro Giò D'Agostino da Collegnago di lire trentotto Soldi 6 Denari otto per tanti sono per opere ventidue datte da lui e suo figlio a ragione di 20 Cratie l'una à murare e far lo stucho dentro la vasca della Fonte di Piazza.”

L'anno 1683 è presente con poche registrazioni che stanno tutte in una sola pagina.
L'opera della Macchina della Fontana è finita.
Nell'anno 1684 viene collacata sulla vasca del lato nord la targa marmorea dal Governatore Bracciolini.
Ma altri dati sono ricavabili dai sei o sette libri chiamati “Saldi della Fonte” o “Saldi di ragioni” con registrazioni via via successive che riguardano le entrate e le uscite, le spese per la costruzione della cancellata, le spese per la lastronatura della piazza, le spese correnti dei Fontanieri che si succedono.
Altri mandati sono registrati in ordine numerico ma senza data. Spesso si tratta di ripetizioni di spesa già elencate nel libro delle “Entrate e uscite dal 1640 al 1683”.
Mandato n. 317: “A maestro Giò Antonio Todeschi fabro Lire due per pigione della sua fucina per comodità di assestar li ferri li Maestri Carraresi.”
Mandato n. 325: “ Al Sig: Stefano Lemmi Lire venti per sua mercede di più operazioni di disegni fatti e mandati al Sig. Ferri a Fiorenza così accordatoli Lire 20”
Mandato n. 369: “ Al Sig. Stefano Lemmi Lire ventidue Soldi 6 Denari otto per spese fatte in andar a Carrara a pigliar il Baratta ingegniere per assistere a mettere in opera il Grottesco, e some per cartone.”
Mandato n. 355: “ Al Sig. Stefano Lemmi Lire sete ( 7) per aver fatto il Modello del Grottesco.”
Mandato n. 372: “ Al Sig. Stefano Lemmi Lire ventiuna Soldi 6 denari 8 per gli alimenti prestati per giorni otto al Sig. Andrea Baratti Ingegniere di Carara,”

Mandato n. 406: “ Al Maestro Jacopo Toschini da Carrara scarpellino lire ventinove per ogni resto di suo avere per fare la vasca, Masso, Scalinata e davanzale (?) della Fonte in Piazza.”
Questa registrazione è del 26 luglio 1683.

Questa mia modesta e frettolosa ricerca atta a dimostrare, quanto minimo a togliere dei dubbi sull'origine del Grottesco, la contemporaneità dello stesso con la costruzione vera e propria della vasca e dei delfini quindi a rimarcare, a noi fivizzanesi distratti, che il Grottesco è opera del pittore fivizzanese Stefano Lemmi che ha lasciato il segno del suo pennello e della sua arte in varie città.
Del pittore riporto, copiando da varie parti (anche su internet), note sulla sua vita.








Nota n. 1) Nota dello scrivente: credo trattasi di sassi di tufo serviti per fare la volta sottostante la vasca di piazza ove erano posizionati i meccanismi di alimentazione dell'acqua. Sassi di tufo reperiti nella omonima località posta di fronte al castello d'Agnino.

Nota n. 2) Secondo mio parere trattasi di una registrazione importante perché ci dice che il Modello è stato fatto dal Ferri e che è stato accolto e quindi “Giudicato” positivamente dal Senatore De Ricci. Credo di non sbagliare a dire che colui che fece il disegno della fontana e poi il modello era quell'Antonio Ferri ingegnere fiorentino addetto all'Ufficio dei Fiumi. Lo stesso che fece fare anche le chiavi di Bronzo come risulta dal mandato successivo

Nota n. 3) Questo è il materiale che ha sicuramente scelto il Pittore Stefano Lemmi per la parte centrale della vasca.

Nota n. 4) Su Terenzio Fantoni, Patrizio fiorentino:

“Originaria di Firenze e patrizia fiorentina è la famiglia dei Fantoni, la quale dette alla Repubblica tre priori: Antonio nel 1454, Bernardo nel 1474, Fantone nel 1519. Giovanni, figlio di quest'ultimo, andò in Lunigiana e prese stabile dimora a Fivizzano dove si amogliò nel 1534. Il 27 settembre 1613 mancò ai vivi Terenzio di Antonio Fantoni, lasciando incinta la moglie Bianca Dianora Zaniali di Spicciano, la quale il 22 di quello stesso mese partorì un figlio, che portò il nome del padre. Laureatosi in legge nello studio di Pisa, il giovane Terenzio, nel 1648, dal Granduca Ferdinando III fu chiamato a presiedere il Magistrato supremo, detto allora de'Buoni Huomini; nel ' 66 gli diede un seggio nel Consiglio dei Duecento, e poi venne eletto uno dei Nove Conservatori del Dominio Fiorentino......Amò con vivo affetto il suo nativo Fivizzano, dove nel '70 eresse una scuola per le ragazze povere; aprì senza ritegno la borsa quando sulla piazza pubblica a vantaggio degli abitanti fu eretta la bella fontana che prese il nome di Marterrea; difese le immunità e i privilegi del Comune, al quale fu largo sempre del consiglio e dell'opera sua........Afferma il Gerini che “ scrisse parimenti contro l'inumana tortura che degradava l'autorità de' giudizi e molte allegazioni e consigli che furono stampati a Pisa” ( da Giovanni Sforza- Contributo alla vita di Giovanni Fantoni)
Apprendiamo quindi che il Terenzio anticipò primo fra tutti, con l' opera “Discusus de Jiuramenti Reis non dando – Firenze 1679” le idee di rispetto dell'uomo anche se colpevole. In breve: affermava che non si dovesse costringere al giuramento l'accusato in un causa criminale e scriveva contro “l'inumana tortura”.
Fu quindi un precursore di quelle idee di giustizia e umanità che poi furono del Beccaria e che portarono all'abolizione della pena di morte nel 1786 sotto il governo di Pietro Leopoldo I di Lorena. E non sarà un caso fortuito se un pronipote di TERENZIO quel GIOVANNI in Arcadia Labindo ormai repubblicano e giacobino quando lasciò Reggio per recarsi Milano ove raccolse più di 3000 scudi per erigere un monumento proprio a quel CESARE Beccaria che, forse e senza forse, si era imbevuto delle idee innovative del suo avo Terenzio.
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Canzone dei Legionari scritta di pugno da Labindo
INVENTARIO DI CASA BORNI a FIVIZZANO
nell'anno 1655

° ricerca di Rino Barbieri °

“colligite fragmenta nec pereant”


Premetto che già nel 1746 il Conte Lodovico Antonio Fantoni chiedeva, al parente Giò Pietro Gargiolli residente nella frazione di San Terenzo, lumi sulla famiglia Borni, alla quale domanda
il Gargiolli così rispondeva:
“Il Sig. D. Pietro Rossi Agente di V.S. Illustrissima le rappresenterà colla viva voce il dispiacere, che ho avuto nel vedermi preclusa la strada di renderla servita delle richiestemi notizie e documenti della Famiglia Borni, mentre l'assicuro in parola d'onore, che per quanto abbia maneggiato le mie scritture, non ho mai rivenuto scrittura e notizia alcuna dell'Albero, Parentado, Diplomi e Prerogative di detta Casa Borni, cosicché dalla sola pubblica voce e dal conservar noi una Mitra Pastorale e codesti Signori nostri Parenti un Anello da Prelato, ho costantemente creduto d'aver avuta quella Casa qualche Prelati. E poiché non ho avuto in quest'occasione la grata sorte di rendere effettuato il Suo desiderio, mi auguro altre compiunture di poterla servire ed ubbidire col mezzo dei suoi stimatissimi comandamenti che mi saranno sempre il più grato testimonio, che posa darmi della sua amorevolezza, onde io presento i più distinti complimenti di mia consorte e di me alla riverita sua Dama ed alla V.S. Illustrissima, ossequiando e colla dovuta stima

San Terenzo, 21 Agosto 1746

Obbligatissimo
Gio Pietro Gargiolli”


Le notizie che abbiamo oggi, dovute a storici successivi come l' abate Gerini, sono appena un po' più corpose.
I Borni, è un'antica e nobile famiglia fivizzanese, spentasi da molti anni, che nel 1500 diede ben due Vescovi: Antonio e Carlo.
Ricordiamo che ancora nel 1646 Ortensio e Jacopo Borni possedevano una fonderia e ferriera in quel di Comano.
Antonio era figlio di Maria GRILLO di Genova e di Agostino BORNI . Dottissimo gireconsulto e di grande virtù fu molto apprezzato dal papa CLEMENTE VIII che nell'anno 1604 lo fece VESCOVO di Castro in Puglia ove si distinse per bontà ed insegnamenti. Ivi morì nel 1614.
Carlo Borni invece fu un valente legista ed un eccellente maestro di Teologia per cui si meritò stima presso la Corte Romana per cui il Pontefice Paolo V lo elesse VESCOVO di Corone in Morca e poi nel 1614 successe ad Antonio BORNI nel vescovato di CASTRO, ove cessò di vivere nel 1627.
Il Grande Cosimo III dei Medici in una corrispondenza amichevole con lui (lettera ritrovata in casa Gargiolli a Fivizzano) lo osannava per la sua bontà e gli ricordava come a favore della sua nomina fosse intervenuto il cardinale Bandino( della nobile famiglia Panciatichi di Firenze.)
(Questo sunto dal libro dell'abate Emanuele Gerini di Fivizzano – Memorie Storiche di Uomini illustri di Lunigiana)
Queste premesse per comprendere meglio in quale “casa” stiamo entrando a curiosare fra le loro
cose. La casa del presente inventario dovrebbe essere quella in luogo detto “Somma piazza”, praticamente la casa a fianco dell'attuale sede della Farmacia Comunale, ove sull'architrave del portone d'ingresso si staglia ancora lo stemma dei Borni.
Spieghiamo gli antefatti che portarono alla stesura dell'inventario.
Il 21 aprile 1650 Scipione Borni, del fu eccellentissimo medico e fisico Cesare, abitante in “ casa sopra S. Giovanni”, fece testamento ed istituì suo erede il fratello Carlo oltre che tutore delle sue figlie Cornelia e Agostina alle quali lasciò lire 2000 e corredo. Ordinò inoltre che con il fratello Carlo sia a comune la moglie Jacopa usufruttuaria dei suoi beni.
Il 4 maggio 1650 muore Scipione.
L'erede Carlo non prese a tutela e non fece fare inventario ma continuò la comunione, che con il testatore ebbe indivisa. “ Visti gli effetti a proprio arbitrio, vendé quel che gli piacque e oltraggiò la Jacopa sua cognata e le nipoti”
IL 31 agosto 1654 le figliole di Scipione interpellano e protestano presso Carlo per fare inventario.
Il 1° febbraio 1655, Carlo redige l'inventario delle proprietà indivise con il fratello.


Scipione era sposato con una Jacopa Maggiorani dalla quale erano nate le figlie Agostina e Cornelia. Quest'ultima il 22 ottobre 1652 sposa il Terenzio Fantoni, nobile fiorentino ma abitante a Fivizzano che diventerà Conte nel 1701.. Dalla loro unione nascerà il 8/04/1664 Jacopa (dec. 02/07/1701) che sposerà Genesio AGNINI, famoso gireconsulto del tempo e discendente di famiglia proveniente da Agnino.
E da quest'ultimi nacque Chiara AGNINI la cui memoria è tramandata dal marito Giuseppe BENEDETTI su una lapide marmorea posta nella Capella Benedetti (sul lato destro della prepositurale di Fivizzano). Ricordiamo qui come Il conte Terenzio Fantoni con la sposa Cornelia Borni metteranno al mondo ben undici figli di cui 4 già morti alla data del 16/12/1686. Alla data della sua morte nel 1798 i beni vengono divisi – in egual porzione- così come dice il suo testamento fra i suoi figlioli Antonio (che sposa in data 19/11/1690 Caterina Cecchinelli da Sarzana e farà proseguire la dinastia e poi in seconde nozze in data 10/2/1721 una certa Leonella Bianchi di Scipione n. 4/3/1704), abate Lodovico, abate Scipione Porfirio, Giò Batta ed arbitro della divisione è il cognato Dott. Ginesio Agnini ( nato questi il 10/10/1641, laureatosi in legge all'Università di Pisa nel 1663 e che poi esercitò l'ufficio di Capitano di Giustizia a Capestrano)
(Interessante testamento del Terenzio si trova in Archivio Storico di Massa alla filza n. 186)

Ma ritorniamo ai nostri. Per tutelare la sua quota parte, il tenente Carlo Borni, perfeziona l'inventario dei beni sotto il “ Veneralissimo Segno della Santa Croce” e lo registra nell'archivio Fiorentino.
Testimoni all'inventario avvocati dal Sig. Carlo Borni “herede” “In luogo delli sopradetti Jacopa Maggiorani, Cornelia e Agostina Borni, e dott Stefano Bottignani e di qualungue altro preteso interessato.” sono:
- Giò Buratti da Fivizzano
D. Agostino Rossi da Fivizzano
Tommaso Bianchi da Fivizzano
Andrea Sarteschi da Fivizzano
Rafaele di Jacopo Signani da Fivizzano i quali
“ Si danno il Segno di croce e giurano di avere compilato in buona fede e senza frode il presente inventario e d' essere consapevoli di alcuna malignità” e tutti giurano e firmano “in fede di mano propria”.
L'istanza alla “Iustizia” di Firenze, presentata già dal 25/08/1654 trova una definizione solo il 13/05/1672 , allorché viene stabilito di dividere i beni a metà fra le figliole di Scipione e le figliole del tenente Carlo, deceduto nell'anno 1670. ( Vedasi allegata sentenza.)
E' stato appunto dalla consultazione dell'Archivio Fantoni che si trova nell'Archivio di Stato di Massa che, casualmente, è saltato fuori il presente documento.
Mi sono limitato a copiarlo integralmente saltando solo il preambolo iniziale, scritto in latino, e scrivendo le parole con iniziali maiuscole o minuscole, con doppie o senza, come da documento originale. Può essere che qualche parola sia stata da me letta in maniera difforme, me ne scuso in anticipo.
Confesso che personalmente ho trovato interessante potere accedere nei bauli, nei cassetti, nelle cassapanche a rovistare e curiosare come si viveva a Fivizzano nel secolo XVII.
Spero che qualche lettore sia trasportato, come il sottoscritto, in una evasiva e divertente carrellata
di sensazioni visive, in questo viaggio direi quasi fotografico, fra le cose del passato.

L'autore della ricerca - Rino Barbieri





In studio:
Un armadio grande di legno di pioppo d' altezza due braccia e mezzo incirca, et di larghezza due braccia incirca
Un bacile o boccale d'argento con l'Arme di Mons. Antonio Borni
Quattro candelieri d'argento con sua imoccolatoia
Quattro sottocoppe d'argento
Tre saliere con sua pepaiola d'argento
Quattro tazze da bere d'argento
Un bicchiere d'argento sopra, indorato dentro.
Un quarolla d'argento
Una coltelliera con sei coltelli col manico d'argento
Una guaina calzata d'argento con suo coltello e forchetta d'argento
Trentadue cucchiai e ventisei forchette d'argento in più forme per usanza frutta.
Un'acqua benedetta d'argento
Un quadro d'altezza di braccio fiorentino con le cornice d'intorno d'argento, et Arme de Borni, in cima pure d'argento, et dipinto nel quadro l'andata che fece Nostro Signore al Limbo a liberare i tanti Padri. Pittura d'Andrea Boscoli.
Due quadretti piccoli con cornice a torno dove sono scolpite l'immagine della B.V.Maria in argento.
Un Agnus Dei piccolo con cornice d'ebano con fondi e fogliamo d'argento e palle piccole sopra indorate.
Un cucchiaio e sua forchetta d' argento rotti.
Un calamaio di noce grande, con più e diverse stanze intarsiato d'ebano e suo legno con l'Arme dei Borni e Grilli.
Un habito di velluto a usanza cioè Calzoni e Casacca.
Un vestito di Damasco nero è opera in seta cioè calzoni e casacca.
Un vestito e cioè Calzoni e Casacca di seta nero, a onde trinciato usato.
Un vestito cioè Casacca e Calzoni di panno argentino con bottoni d'oro usato.
Un vestito cioè Casacca e Calzoni di panno tanè, con bottoni d'oro usato.
Un ferraiolo nero di panno di Barcellona usato.
Un altro ferraiolo nero pure di panno di Barcellona usato bene.
Un ferraiolo di babi nero a onde usato.
Un ferraiolo di saia di Milano nero usato.
Un Giuppone di Pelle di Roma guarnito con suo gallone d'oro usato.
Un paro di Calze di Seta di colore di cenno chiaro usate.
Un altro paro di Calze di seta panonazze usate.
Un cappello nero usato
Un paio di Maniche di Velluto
Un paio di Calzoni di panno bigio usati
Un Casacotto di Velluto pieno nero usato bene, fatto d'una togha da Dottore, che era già del V. Scipione Borni Senior.
Una Cimasa di velluto nero guarnita di raso ricamato, che era de Magn.ma Cornelia loro Madre usata.
Una Cimasa con sua sottana, e busto damasco nero e rosino, guarnita d'oro.
Un lasso con suo Collarino da Levriero guarnito di cimici con sue fibbie d'ottone.
Una scatola piccola con diversi medicamenti.
Due piatti mezzi reali di Maiolica Costantinopoli
Due tazze grandi, e due piccole di porcellana
Un'altra tazza piccola di mezza porcellana
Un'altra tazza piccola di Maiolica di Costantinopoli
Un'altra scatola entrovi diverse Cere Sante
Una Cestina piccola di Vimine entrovi quattro sonagliere et da due dozzine incirca di palle da giocare.
Due para di guanti ordinari vecchi bene.
Una scatola grande entrovi, una pettinera da bambino di Zaffettà turchino, tanè et incarnato con sua Spesa... piccola e due pettini.
Un paio di Legaccie bianche di Cendalina bianca con pizzi d'oro intorno usate.
Un altro paro di legaccie nere con sua picci usate.
Due Cordoni da Cappello da Vescovi di seta verde usati.
Un paio di rose da scarpe di nasso nere usate.
Una berretta di velluto nero Sciarpata all'altica, usata bene.
Due braccia di Baracano argentino nuovo.
Un paio di Speroni sopra indorati usati
Un'altra cestina piccola contenente barbe e zazzere da Commedia, e suoi Zani da pantalone.
Una berretta di feltro da pantalone usata.
Un arte(?) o Arfeo(?) Col suo cascasso sopra indorato d'Amore.
Due Offizioli piccoli dalla Settimana Santa usati.
Un vestito cioè giuppone e calzoni di Damasco nero usato.
Un vestito di panno nero all'olandese con suo ferraiolo simili con bottoni d'argento usati.
Un altro vestito di panno bigio usato.
Un giuppone di raso rosso brinato d'oro usato.
Una tracolla ricamata d'oro.
Un Cappello di feltro nero usato con suo Cordone entro nei più pezzetti d'oro intorno intorno.
Un busto fine giuppone di Pelle di Roma usato guarnito con trina d'oro.
Un busto di broccato bianco usato.
Un paio di Legaccie di Cendalina cremisi con sue rose simili per le scarpe con pezzi d'oro usate.
Un paio di Calze di seta Cremisi usate.
Un paio di Calze di seta turchine usate.
Un Palandrano di Baracano francese usato con sue fibbie d'argento per pallacciare.
Un ferraiolo nero di panno fatto all'olandese usato – sopra armadio.
Una cestina piccola entrovi dodici pezzi d'ottone lavorato fra grandi e piccoli, che sono per l'armamento d'un paro d'Alari.
Un fiasco rotto per tenere olio di Sasso. (Petrolio?)
Due lanterne di vetro usate, una delle quali guasta.
Tre tazze d'Alabastro piccole usate.
Un bocchiero.
Un vaso da fiori di Maiolica di Costantinopoli. Sboccato.
Un vaso di noce, entrovi gli Scacchi.
Un buffetto di noce, sopravi:
Uno scrignetto grande di noce con dodici cassettine piene, in una delle quali entrovi due pietre aquiline e anelli altre.
Pezzi cinque di fibbie d'argento.
Sette paia di ....... (illegibile) d'argento oppure indorato per guarnire un colletto.
Una palla d'argento indorata da medico.
Un reliquario d'argento piccolo da bambino.
Una tabacchiera di Castagna d'Andria con sua bocca d'argento.
Un sigillo di Diaspro verde con l'Arme in argento dei Grilli e Borni.
Un altro sigillo di Cristallo di Montagna con l'Arme in argento dei Grilli e Borni.
Un altro sigillo d'osso intagliato con l'Arme de' Borni.
Un paio di cucchiai di legno lavorati.
Un'altra cassettina piena di Bottoni di Seta, diversi colori e usanze.
Altre diverse Cassettine con diverse chiavi.
Altre diverse Cassette con diversi colori e pennelli da dipingere.
Altro buffetto di noce come sopra, il suo tappeto d'Arezzo usato, sopravi:
-una forbice, un temperino
-un calamaio di bronzo in triangolo, con l'Arme del Cardinale Bandini, e Borni.
Un altro Calamaio di bronzo denotante il Cavallo di Campidoglio.
Uno scrignetto piccolo di legno, che serve per calamaio dipinto et indorato con sue stanze per uso di scrivere dentrovi.
Due cucchiai di Madreperle per le diverse scritture.
Due Cassettine piccole di legno di noce, entrovi li pesi da pesare le monete.
Un sigillo grande d'Ottone con l'Arme de' Borni.
Altro sigillo piccolo d'acciaio con Arme.
Un peso grande d'ottone.
Tre pezzi di Marmo bianco, e mischio, che servono per tenere le Scritture.
Uno Spinetto da sonare. Sine Manaccordo usato
Un Cassettino di Noce di lunghezza un braccio incirca pieno di più, e diverse scritture.
Un Sbavaglino di legno.
Una cantinetta con otto boccie di vetro usata.
Due cassette piccole di legno per sedere dipinte con quattro Arme de Borni, poi cassette entrovi in una più ferri vecchi, e rotti di diverse Arti e nell'altra due paia di stivali vecchi.
Un quadro dove è ritratto l'effigie di S. Francesco che dorme. Pittura d'Andrea Boscoli di lunghezza di braccio e mezzo, di larghezza di due braccia incirca con cornice ordinaria.
Un altro quadro grande dove è dipinto l'effigie di Monsignor Antonio Borni di lunghezza di due braccia e mezzo, di larghezza di braccia e mezzo incirca, con cornice ordinaria.
Un altro quadro piccolo di braccio incirca, senza cornice col ritratto di monsignore Carlo Borni.
Un altro quadro simile al suddetto col ritratto di Mons. Scipione Borni.
Un altro quadro simile al suddetto col ritratto di Mons. Sacrista Molari pure senza cornice.
Un altro quadro simile dipintovi una Pietà. Senza cornice.
Un altro quadretto piccolo dove è dipinto l'effigie del Cardinale Bandini. Senza cornice.
Un altro quadro di lunghezza un braccio incirca dove è dipinta l' Assunzione di Nostro Signore; in tela con cornice di canna d' India.
Un altro quadro simile dove, è dipinta l'effigie della Madonna Nostra Signora, San Giuseppe e altri santi con cornice nera e parte sopra indorata.
Un altro quadro simile dipintovi in rame l'effigie del Salvatore con sue cornice nere.
Un quadretto piccolo in carta pecora di lunghezza un palmo incirca dove sono l'effigie di Carlo Magno con cornice nere.
Due quadretti piccoli in carta uno con l'Arme de' Borni e l'altro di Monsignor Sacrista. ( notizia dello scrivente:trattasi dell'Agostiniano MOLARI . Vedasi in calce mia nota)
Dieci pezi di quadri in carta Miniati con cornice ordinaria dove sono dipinte diversi porti, Città e Paesi.
Un Cristo d'ottone grande con suo piede dove è il Monte Calvario sua Lucernina et acqua Benedetta.
Una Italia del Magini in carta Miniata grande, cinque immagini di Santi diversi in carta piccoli, e cinque angiolini.
Una tracolla di raso per pettinarsi ricamata di seta argentina.
Uno zaino di cuoio da due stanze uso borsa che si porta al perno della sella da cavallo.
Un parasole con sua fodera usato.
Un morso di ferro da mulo senza testa e redini.
Un paio di pastoie da cavallo.
Un paio di spezzoni di ferro ordinari.
Un fiaschettino di Noce d'India.
Una campana piccola d'ottone, vecchia rotta e guasta.
Una penattina e sua cassettina di ferro da inestare.
Uno scurello di ferro piccolo
due staffili.
Una Alambarda Vecchia
Cinque spade, due delle quali con la manica d'argento e l'altre con manica ordinaria.
Tre pugnali con sua manica d'argento due, e l'altro senza.
Una coltella piccola con sua manica d'argento.
Uno scudo di fico indorato e infine argentato.
Una manopola
Una scuretta
Un giacco
Un moschetto con sua forcina d'ottone, e fiascha di ferro.
Quattro archibugi a fucile.
Una Padrona di cuoio fatto a Sagri (?) guarnita d'argento.
Una fiasca di ferro traforata con suo velluto nero e bardato(?) di quoio.
Un'altra fiasca di cuoio ordinario.
Due altre fiaschette piccole d'osso.
Una lanterna grande di ferro.
Una scarsella simile saccoccia di quoio con suoi fiaschini da caccia.
Una scatola piccola entrovi delle palle di piombo, e pietre da archibuso.
Un porta Cappello di vacchetta di Fiandra.
Un cuscinetto piccolo da valigia.
Una scatola piccola entrovi cinque rasoi, due paia di forbici, due paia di ferri da basetta, un netta-orecchie d' argento, un pettine d'avorio con sua pietra da aguzzare, e pelle da Raffilare il Rasoio.
Una cassetta di latta entrovi più e diversi privilegi o Patenti da Dottori di Casa de Borni.
Altra cassetta fatta quasi ad uso di tromba, di latta entrovi pure dei privilegii e patenti simili.
Due paia di scarpe di camoscio.
Un paio di pianelle simili usate.
Una cassettina di legno, entrovi martello, tenaglia, trinelle e chiodi per uso di casa.
Una statua piccola di terra Città di Lucca.
Un dardo da bastone.
Tre ventagli, uno da pancha grande, e le altre due piccole di carta.

Nella prima stanza per andare in cantina
Tre pile, sine pietre da Olio grande di Sasso.
Due altre pile, sine pietre da olio piccole entrovi, in una di esse da sei o sette pesi d'Olio incirca.
Due Selle usate, una da huomo, e l'altra da donna.
Una biglia da cavallo usata.
Un bastro da cavallo usato.
Una lanterna grande di legno e bella dalla carne.

Nella cantina giù per la scala:
- Un botticino dall'aceto tenuta di tre barili incirca.
- Un altro botticino simile e di tenuta di un barile
Sette botte di tenuta da quaranta some di vino circa entrovi in due da quindici a sedici some di vino.
Una tina grande di rendita di diciasette some incirca.
Un paio di barili.
Tre barilette piccole da portare vino in campagna.
Una botte vecchia e paterna per tenervi dentro il campione.
Una Casaia grande di legno da tenervi il formaggio.
Due paioni ? di ferro
Una zappa stretta, una altra larga et una piccola.
Uno scurello
Una Scura
Una vanga
Un rastrello con denti di ferro.
Due bigoncie vecchie
Una bombola di lacero da tenere il vino in fresco.
Una scala di legno


Nella cucina


Sopra il uscio per entrare in cucina, una Madonna di Marmo.
In cucina, una madia da pane, una panara grande di legno di lunghezza tre braccia incirca e d'altezza uno, e mezzo incirca entrovi due stracci vecchi.
Un cassone d'albero grande di lunghezza di braccia due e mezzo incirca.
Sette copperchini da pignatte di rame usati.
Tre teglie di rame usate.
Nove candellieri d'ottone, ordinari et usati.
Un scaldavivande d'ottone usato
Due conche grande di rame usate.
Una secchia di rame usata.
Una Caldaia grande di rame di tenuta cinque secchie incirca, usata.
Due paioli di Rame usati ordinarii.
Un Lavezzo di bronzo di libbre tredici incirca. Usato.
Venticinque tondi di stagno da stagnola usati.
Tre piatti di stagno reali.
Cinque piatti di stagno mezzi reali.
Tre altri piatti di stagno più piccoli.
Una lucernina dal piede d'ottone, usata.
Una lucerna di ferro da Cucina dal manico.
Tre Lucerne d'ottone dal manico di Cucina.
Una Stadera di ferro grande.
Un'altra Stadera piccola di ferro.
Una Lemetta di ferro.
Un grattacacio di ferro.
Una Basela di legno.
Un Mortaio di marmo con suo Pestello di legno.
Un paio d' Alari sine Capifuochi di ferro.
Un paio di molle di ferro.
Una paletta di ferro.
Una catena di ferro.
Una Padella da castagne di ferro.
Una Padella da friggere di ferro.
Due paia di treppiedi di ferro per lo spiedo.
Due paia di treppiedi di ferro per li tegami.
Un Caldarino di Rame vecchio bene, e rotto.
Una forchetta piccola di ferro per la cucina.
Un soffietto di legno e pelle.
Una Seggiola di legno e paglia da cucina.
Una Paletta di legno.
Un Catino di legno per lavare i piatti.
Una banchetta piccola di legno da ragazzi.
Due Dheoni grandi di terra.
Un'altra padella grande di ferro da friggere.
Quattro staffe di legno attaccate alle mura per tenervi sopra piatti sopra delle quali sono già gli piatti di stagno sopra inventariati.
Un Armadietto piccolo di legno per tenere le forcine.
Una mestola di rame dalle Secchie.
Un buffetto di legno piccolo da Cucina.
Una brocca verde di terra.
Un Orzolo di terra per tenere olio piccolo.
Un Caldano di Rame per rassettare Collari.


Nella sala:

Apparati di quoi sopra indorati.
Dodici Sedie di Noce con sue sponde di Vacchetta sopra indorate con l' Arme de' Borni.
Sei Sgabelli simili sine Scrannini da Camera di Noce, con sue sponde sopra indorate. Di vacchetta con l'Arme de' Borni.
Tre buffetti di noce.
Un quadro grande di tela di Altezza un braccio incirca con Cornice di Noce, è dipinto una Madonna con suo bambino vestito all' egibiaca.
Un altro quadro grande in tela d'altezza di due braccia incirca con Cornice di Noce dove è dipinto l'Effigie di S. Girolamo.
Un altro quadro grande d'Altezza un braccio, e più, con Cornice dove è il ritratto di S: Francesco.
Un altro quadro simile col ritratto della Madonna di Mantova.
Un altro quadro simile col ritratto di Mons. Antonio Borni.
Un altro quadro simile col ritratto di Mons. Carlo Borni.
Un altro quadro simile col ritratto del V. Scipione Borni.

-Sotto il Camino tre ferri per il fuoco.
Un paio d'Alari di ferro con tre palle d' Ottone.
Due banchetti di noce che servono per aiutare ad affacciarsi alle finestre.

In fondo alle scale per andare sopra il muro:

Una Madonna di Reggio di stucco di lunghezza di braccio circa.

In capo alle scale:
- Un altro Santo in tela inquadrato piccolo

Nella Camera che resta a mani destra sopra la sala:
è apparata tutta di quoi indorati.
Un quadro in tela di braccio Senza Cornice dove è dipinto una Madonna.
Quattro pezzi di quadri diversi pure in tela di braccio incirca senza cornice dove sono dipinte più e diverse immagini. Vecchi bene.
Un Arme de' Borni grande dipinta in taffettà che semina per banderola da trombetta.
Un altro quadro di paesi piccolo in tela con sue cornice ordinarie , dove sono dipinti paesi.
Un altro quadro piccolo con sua cornice e sopra indorate dove è dipinta l'immagine della B.V.MARIA.
Un altro quadro piccolo con sue cornice sopra indorate dove è dipinto Nostro V. morto in braccio alla B.V.M.
Un altro quadretto simile con sue cornice sopra indorate dove è dipinto una Bestia.
Un Calamaio con suo cannone.
Una spera grande con cornice d' ebano.
Una pettiniera di beletta gialla e d'oro usata.
Una Lettiera con sue Colonne di Noce e sue tende, pagliazzo, due materazze, Capezzole di lana, un paio di guanciali di piuma da Resta con sue fodere di lino purè, e suo cortinaggio di lino bianco con lavori. Un paio di lenzuola di canepa usati, due coperte di Roma, una grande e l'altra più piccola usate, e col suo Prete di Legno.
Una Culla da Bambino con suo pesatura, archetto e suo copritoio di panno rosso svanito e vecchio.
Un Acqua benedetta di Piombo minata in mezzo della quale, è un S. Giovanni.
Un paio di Casse di noce di lunghezza tre braccia incirca entrovi diverse (illeggibile).
Sei fazzoletti di lino usati e vecchi.
Uno Scuffione di Lino lavorato e vecchio.
Due Zuccotti di renza, e due altri di lino usati e vecchi.
Due paia di fodere uno di renza et uno di lino con due trine usate e vecchie.
Un paio di fodere di Cambaia lavorate di bianco usate.
Sei paia di Scapini di Canepa usati bene.
Quattro paia di sottocalze di tela usate.
Dodici tovagliolini di Renza con sue frangie usati.
Due paia di sottocalzoni di Canepa usati bene, vecchi.
Un Macarmè usato.
Due tovaglie da capo per pettinarsi di Lino, rotte e usate bene.
Una tovaglia di Renza con maglie.
Una cestina piccola simile a paniere entrovi due paia di fodere stracciate e delli collari rotti che non servono più.
Un paio di fodere di belletta gialla cruda lavorate di Seta grossa verde e morella usate
Un paio di fodere di Renza lavorate di seta a fogliami con trine d'oro intorno, usate.
Un paio di fodere di Cambaia lavorate di seta nera pure con trine intorno, usate.
Un paio di fodere di Renza fine lavorate di seta turchina con sua maglia turchina e bianca, usate.
Una foderetta piccola da ragazzi di Cambia metà lavorata di seta gialla con sua trina d'oro intorno guasta e rotta.
Una tovaglia castano di lino lavorata di seta nera con frangia attorno di seta bianca e nera , il lanaro della quale resta in qualche parte logoro vecchia bene.
Una tovagliola stretta da Cappellinaio lavorata di seta rossa, usata.
Due altre tovagliole più piccole simili alla suddetta, usate.
Tre lenzuola di canepa uno dei quali rotto e guasto, e gli altri usati bene.
Sei camicie di lino e due di canepa delle quali due vecchie e rotte e l'altre usate bene.
Un cassettino di ginepro dipinto di nero e entrovi:
Gioie
Un reliquiario ricamato d'oro falso vecchio e guasto

Giù esso Sig. Carlo disse ritrovarsi appresso la sig.ra Lucrezia sua Consorte
un topaccio legato in Orso?(illeggibile), che formasi un gioiello dentro sine rosetta di nastro nero insieme con una medaglia d'oro recante l'impronta dell' Ill.mo Duca Ferdinando da una parte, e dall'altra parte molte Ape con suo motto “Maiestate tantus”, altra medaglia pure d'oro più piccola con l'impronta del Cardinal Stradella da una parte, e dall'altra una nave.

In diverse Casse una scatola piccina entrovi:
Un Anello d'oro smaltato, con vari Zaffiro che era di Papa Gregorio XIII. Con la sua Arme.
Un altro Anello d'oro più piccolo entrovi una turchina sua gioia svanita.
Uno Scollazo da bambini di Cambraia ricamato d'oro e seta, usato.
Uno scuffioncino pure da Bambini di Cambraia ricamato d'oro e seta usato bene.
Un paro di Manichetti di Cambraia ricamati d'oro, e seta usati.
Tre scuffie da Donna di Velo bianco all'antica vecchie.

Nella stanza sine Camera Contigua alla suddetta che guarda nella Piazzetta

Un armadio di legno di Piella grande di lunghezza tre braccia incirca entrovi:
Tre paia di Cortine di filati verde e giallo usate.
Un paio di Cortine d'Ermesino con frangie verde svanite usate.
Una coperta di raso verde usata.
Una coperta di raso gialla imbottita usata
Una coperta d'ermellino verde e fine ornato usata bene.
Una coperta di taffettà rossa imbottita e vecchia bene.
Una coperta bianca di bambasina imbottita, vecchia.
Una coperta di Dobletto bianco da estate.
Un tappetto grande d' Arazzo di dieci colori.
Un Padiglione di filo ad opra vecchio bene.
Un carniero bianco di tela di canapa usato.
Due Cappelli neri vecchi.
Un Cappello di paglia fina piccolo da Parma.
Una Copertorio dalla culla dei bambini d' Ermisino giallo imbottito, usata.
Del raso rosso per fare due cuscini usato e amacchiato.
Uno scatolone grande entrovi esservi di fiori diversi da panchini..
Una lettiera di noce con sue colonne, Pagliaccio piume Capezzale Un paio di lenzuola grossi e riempiti di stoppa dove dorme la serva, uno dei quali di due teli, e mezzo, due coperte, una di arbaso e l'altra di tela. E tra il pagliaccio e la piuma, cinque guanciali di piuma uno senza fodera.
Un Borsone di quoio fatto a valigia nero, con sua nappi di filo. Una carta (o coperta?) grande vecchia di lunghezza un braccio e mezzo incirca entrovi.
Un paio di lenzuola di lino con pizzetti a torno piccoli usati.
Un paio di lenzuola di lino con frangia attorno, e lavori d'osso, usate.
Un Lenzuolo di seta d' Olanda vecchio.
Due o tre paia di lenzuola pure di lino vecchi.
Un altro paio di Lenzuola di lino con frangia alte due dita intorno, usati.
Un altro paio di Lenzuola di Lino con usi Lanorino alta un dito usati.
Un altro paio di lenzuola di lino con frangie usate.
Un paio di lenzuola riempiti di Stoppa per uso della Soma, usati.
Due altre para di Lenzuola pure usate.
Un altro lenzuolo con frangie basse à torno usato.
Due coperte bianche di Dobletto usate.
Uno serigatoio fatto a Renza con frangie allacciate usato.
Un paio di fodere di tela con maglia rotte, e vecchie.
Una altra cassa simile alla suddetta foderata tanto la prima come la seconda di pelle con fogliami di ferro entro delle quali sono quoiami sopra indorati per addobbare et apparare due stanze.
Un'altra cassa di legno di lunghezza due braccia e mezzo entrovi:
Una camiciola rossa vecchia et
Un paio di calzoni simili vecchi
Un Vestito, cioè Giuppone e Calzoni di saia di Milano di colore di cammello usato.
Un cinturino ricamato d'oro con fibbie d'argento.
Una scatola per tenere i colori.
Un paio di calzettoni di lana tanè scuro vecchi.
Un fagottino di pezza di velluto nero ad opera.
Una scatola quadra entrovi due paia di manichini.
Una Cappelliera Vecchia di legno foderata di quoio.
Due forzieri sine casse vuoti, che servono per tenervi dentro i panni brutti.
Un Guindolo di legno col suo piede di ferro
Una Cassetta da camera.


Nella stanza detta il granaio

Uno scrigno di castagno di tenuta di ventiquattro staia incirca la quale disse che vi era dentro da sette o otto staia di grano incirca.
Un altro scrigno simile dimezzato di tenuta trenta staia incirca.
Una cassa lunga quattro braccia incirca di pioppo tramezzata nella metà nella quale stanno più, e diverse lettere, e lettere di diversi personaggi, e l'altra metà è vuota.
Un Armadio di legno di lunghezza un braccio e mezzo incirca entrovi diciotto bicchieri di cristallo, due bombole di vetro, una boccia e due ampollini.
Un gradoio grande attaccato al muro.
Un altro gradoio piccolo per la bieda.
Una mina; un quarto; una quaretta; una grola di legno; un'altra paletta piccola.
Un Cappo piccolo di sena da olio.
Una paniera vecchia.
Un altro Armadio di piella di grandezza due braccia e mezzo incirca, entrovi:
Una tazza d'Alabastro e
Due o tre tazze di maiolica.
Due Canestri di legno da seminare, et
Un Corbare di Vimine ad uso di Canestro.
Un Liuto con la sua Cassa attaccato al muro.
Una Cassetta piccola di piella di lunghezza un braccio e mezzo incirca entrovi diverse lettere, e lettere di diversi personaggi.
Due altre cassette piccole di piella vecchie.
Una sedia da ragazzi di paglia.
Un Agnus Dei con Cornice di noce fatto intondo.
Una panieretta da Collari, et
Una scatoletta di legno di quattro piani.
Un baulo foderato di quoio nero, novo, e vecchio.
Una Gabbia da pernice di legno con sua mangiatoia.
Una cassa di piella vecchia e rotta.
Una Vasoia di legno da vagliare il grano, e biade.
Una forcina piccola di ferro con sua asta di legno rotta.
Una borsa di quoio vecchia.

Nella stanza à tetto sopra la camera:
Quattro Cassette di legno da Colombi.
Una scaletta di legno di quattro piri.


Nella casa nuova nella prima stanza:

Un panchino di noce in ottangolo usato.
Un altro panchino di noce che si snoda.
Un paio di banche da letto.
Una scala di tavole di pioppo.
Un panclare et una pancha per il pane.
Una cassa vecchia stretta, e lunga due braccia e mezzo incirca vuota.


Nella prima camera ivi contigua
Una lettiera di noce con sue colonne, e tavole.
Una cassetta da camera di legno.
Un Buffetto di Noce.
Una Cassa sine forzino lungo due braccia e mezzo, entrovi:
Quattro tovaglie da tavola, tre delle quali di filo fatte à renza, e l'altra Ordinaria di canepa , due di esse rappezzate, e l'altre usate bene.
Otto tovagliolini di Canepa con sua Cordiglioli usati.
Due altri tovagliolini orlati pure di canepa vecchi bene; quattro teli dal Pane.
Una cestina sine panieretta entrovi dodici zuccotti rotti, et inhabili più à servire.


Nell'altra camera ivi contigua:

Un panchino sine buffetto di Pino.
Una Cassa da campagna foderata di quoio rosso vecchia, di lunghezza di due braccia incirca; entrovi:
Otto guanciali da sedie di raso verde.
Un altro guanciale d'ermisino simile turchino e bianco aqua usato.
Quattro tappetti da buffetto d'Arazzo usati.
Un baulo foderato di cuoio nero usato di lunghezza due braccia incirca entrovi:
Un vestito di panno nero cioè giuppone, e calzoni usato, e vecchio bene.
Un altro habito, e vestito simile al suddetto nero di Saia di Ninnis vecchio bene.
Un buffetto di noce.
Un forziere lungo due braccia incirca vecchio bene, e noto.
Una scala di piri per andare sul tetto.
Quattro travetti di pero per fare una lettiera con sue sponde.



Nella Camera grande sopra la sala habitata dalle DD Ssre JACOPA et AGOSTINA BORNI:

Una Cassapanca ad uso di lettuccio di lunghezza tre braccia inc. e pidinta di vari colori entrovi:
Un padiglione di velo, e seta cruda listato di rosso usato.
Un paio di Cortine Bianche di lino con sue frangie, e lavorini stretti usate.
Una Coperta di Dobletto Bianco à opera, usata.
Una tovaglia di Renza à opera da tavola con sue frangie allacciate alle teste, usata
Un'altra tovaglia grande di lino fatta a Renza senza frangia usata.
Un'altra tovaglia di Canepa fatta à renza con frangia ordinaria usata.
Un'altra tovaglia di Lino fatta à renza da tavola senza frangia usata.
Un'altra tovaglia di Lino fatta à renza senza frangia usata e macchiata.
Un'altra tovaglia di lino fatta à renza senza frangie usata e rotta.
Un'altra tovaglia piccola da buffetto di lino fatta à renza senza frangia usata.
Un'altra tovaglia piccola da buffetto con frangie usata.
Un sciugatoio da mano di lino fatto à renza con frangie allacciate usato.
Sette altri asciugatoi di lino fatti à renza senza frangie usati.
Una tovaglia nuova grande di lino fatta à renza da tavola non usata di braccia cinque incirca.
Un pezzo di tovaglia da bancha di Canepa fatte à Renza di braccia diciotto in tutto.
Un pezzo di tela di Lino da fazzoletti di braccia tredici incirca.
Un pezzo di tela di Canepa per ghaluiotte(?)ad un filo di braccia quindici circa.
Tre pezzi di tornaletti con maglie grandi, e due con pizzi che servono per adobbamento di letto usati.
Una Mitria di damasco bianco da Vescovo usata.
Un beretto da fanciulli di teletta d'oro, e gialla.
E più disse esso Sig. Carlo, esseri ritrovati appresso la sopranominata Sig:ra Jacopa già moglie del V. Scipione Borni, et in suo potere gli infradetti mobili, gioie, e suppelettili Spettanti, et appartenenti alla detta eredità et in Loggia a detto V. Carlo lerede come sopra per metà e per l'altra metà Sue proprie, et ad esso condiretto.
Aspettarsi, et appartenersi cioè :
Una Collana d'oro grande di una lupa di Centopiastre.
Due Collanine d'oro di valuta d'otto doppie.
Un Gioiello d'oro grande con una pietra rossa, et una bianca e suoi Cupidi d'oro smaltati di bianco.
Una Navicella d'oro smaltata di diversi colori.
Un paio di gioie d'oro fatte a Canagnuchi (?) con molte perle.
Un paio di gioie d'oro fatte in triangolo con perle e granate.
Un paio di gioie d'oro smaltate con perle e granate.
Un altro paio di gioie di perle false fatte a Pero(? Con rosette d'oro smaltate di nero.
Un paio di Serpe d'oro per l' orecchie, e
Due paia d' orecchini d'oro.
Un anello d'oro con Diamante di valuta di sedici in diciotto piastre.
Un anello d'oro con un rubino.
Un anello d'oro con una treccina à Quore e nove rubini à torno.
Un anello d'oro con una treccina, e quattro smeraldi fatti à rosa.
Un anello d'oro con una granata.
Un Vezzo di Coralli grossi.
Un Vezzo di pasta mischiata Calzata d'oro.
Un Vezzo di perle fatto à poste con bottoni d'oro smaltati.
Un altro Vezzo di perle à poste con bottoni d'oro smaltati.
Un Vezzo di perle e granate fatto à poste con bottoni d'oro smaltati.
Una Collana grande di perle fatta à poste con bottoni d'oro smaltati.
Un Cinto d' argento sopra indorato con pietre rosse, e bianche di peso di una libbra incirca.
Uno Stuccio d'argento, traforato, e sotto ......... con l'arme del Cardinale Bandini.
Un Agnus Deo d'argento piccolo.
Un Calzo di Coralli da fanciulli Calzato d'argento, on molte e diverse monete antiche.
Tre o quattro cucchiai d'argento, et altre tante forchette simili e più.
Un paio di bottoni d'Argento Massiccio sopra indorati che servono per allacciare i grembiuli à Bambini.
Un Cassone grande di noce per tenere le vesti.
Una Cimassa di Damasco Nero con sua sottana, busto, e maniche trinata, con suo gollare fatto à spina.
Una Cimassa di Damasco rosso trinata d'oro.
Una Sottana d'ermisino giallo trinata di nero con suo busto di raso giallo trinato pure di nero.
Una Sottana di Casaluffi (?) turchino e bianco fatto à fiori con trina.
Una Sottana d'ermisino nero trinata.
Una Cimassa di Ciambellotto di lilla Nera con sua trina.
Una Cimassa di Cottone di Genova Nero.
Una Cimassa di panno mischio con trina.
Una Cimassa di filaticcio trinciata.
Un'altra Cimassa di cotone più usata.
Una Cimassa di panno Nero con mezze maniche per portare per la Casa.
Una Veste di Rovesso (?) rosino con busto, e maniche guarnite con pizzi.
Una Veste di Durante (?) fiorito con suo busto, e maniche di colore benettino scuro.
Una Cimassa di saia Tanè imperiale.
Una veste con suo busto, e maniche di Saia tanè imperiale.
Un Colletto di Fiandra per portare d'estate per la Casa.
Due busti di Raso uno Bianco e l'altro Paonazzo.
Più e diverse paia di maniche di Drappo.
Due braccia di broccato incarnato nuovo.
Una Mantellina di raso gialla trinata d'oro.
Un Copertoio di raso giallo trinato d'oro da due teste guarnito con pizzetto d'oro alto tre dita, e daltra due teste guarnito di pizzetto d'oro alto un dito.
Un taffettà con pizzi alti d'oro e neri con sua cristallini in cima.
Un taffettà grande grande senza picci da vedova.
Un taffettà con picci alti neri.
Quattro Camicie di Lino e due Camicie di Canepa.
Due Grembiali di Renza Cambaia, e da portare in Casa.
Un Arme de' Borni in taffettà, che semina e per bandiera una trombetta.
Un quadro in tela piccola con sua Cornice, dove, è dipinto l'effigie di S. Caterina.
Un ditale d'argento.
Un Cristo d'Alabastro con sua Croce Nera.
Un paio d' Angeli di Mezzo rilievo di terra di Lucca.
Un Quadro in carta dove, è dipinto l'effigie di S. Antonio da Padova. Miniato.
Un quadro grande con la sua Cornice con l'effigie di Nostro Signore quando compare ai Discepoli.
Due quadretti piccoli uno con l'effigie di S. Carlo, e l'altro della madonna.
Una Lettiera con sue Colonne di noce intagliata, che serve a padiglione, et à Cortine con sue panche e pomi incima.
Un Padiglione di filaticcio verde e giallo.
Un'altra lettiera di Noce con sue banche, e pomi incima.
Due sacconi da letto.
Due Materasse di lana.
Due piume.
Quattro coperte.
Più e diverse paia di Lenzuola.
Più e diverse tovaglie a pancha.
Più guanciali di piuma da letto.
Più e diversi tovagliolini da tavola.
Più e diverse tovaglie da sciugare le mani.
Una Cassetta di Venezia dipinta.
Un Cassone grande di pioppo.
Tre botti, di tenuta some dodici incirca.
Due Coppi da Olio grandi di terra.
Una pietra da Olio, che non è murata.
Un Pennato.
Più pentole, tegami e pignattini di terra.
Un ferro da arrizzare i Capelli.
Un Polverino d'ottone.
Spinate e pettini da conciare Canepa e Lino.
Prete da letto grande di Rame.
Due luccine ordinarie et
Una Lucernina d'ottone.
Un Mortaio grande di marmo con suo pestello di legno.
Una Padella di ferro da friggere.
Uno Specchio grande con collane di Cristallo di Venezia.
Una teglia di rame
Una Conca piccola di Rame
Una Secchia di Rame
Più e diversi piatti di stagno grandi, e piccoli. Una scatola di fiori di più sorte al naturale di montagna.
Due buffetti di Noce
Tre o quattro sgabelli di noce dalle sponde.
Una cassa grande d' Abete dove si teneva farina di castagne.
Un taffettà con picci alti quattro dita nero.
Uno scatolone grande, entrovi, tre o quattro Coralli con picci, e canutiglia d'argento.
Un paio di guanti ricamati d'oro.
Trina d'oro, et argento per guarnire una veste.
Un Paio d'Alari sine Capifuoco di ferro
Un trepiedi di noce da tenere la Catinella.
Una Catinella di Maiolica bianca grande et
Un Boccale simile.
Una portiera grande di quoio sopra indorata, e rotto.



Nello studio. Una leoncia grande, sine staffa di legno da tenere i libri sopravi gli infradetti libri di Medicina e filosofia e prima in foglio:
Segue l'elenco di centinaia di libri spesso con il titolo in latino, fra cui ho estrapolato i seguenti:
Manoscritto dello Statuto di Firenze con li Capitolati
Un libretto di diverse leggi fiorentine
L'Arte di conservare la Sanità
Dialetica di Aristotile
Catalogo di Medicina
Andrea Laurenti- Anatomia
Chisostoni Torcelli
Ludovici Vasari
De Historie Comentarii
Gio Camillo Maffei – Filosofia
Ornamenti delle Donne.
Secreti Medicina Politi e naturali
Aristotilis – volume septe
Claudio Galeni
Ricettario di Galeno
Aristotilis- volume octavo
Discorsi morali
Vita di tutti i Santi
Dialogo di S. Caterina da Siena
Seconda parte del Montecalvario
Concilium Tridentino
Summa Angelica
Le cose meravigliose della Città di Roma
Dottrina Cristiana
Scale del Bellamino
Indice del Nuovo e Vecchio Testamento
Vita degli uomini illustri del Plutarco
Comentarii di Cesare
Francesco Guicciardini
Ludovico Alberti
Vita di Plutarco
Il Decamerone di Gio' Bottaccio
Origine di Recanati
Storia del Cardinale Albernazzi
Il Cardinale Della Selva
Marco Aurelio
Filizziche di Demostene.
Delle cose del Giappone
Di Torquato Tasso
Di Francesco Sansovino
Calepini- duo
Lebicon Greco-Latino
Seneca Omia Opta
Marci Tullii Ciceronis
Metamorfosi D'Ovidio
Francesco Baccone
Virgilii – duo
Aldo Manuntio
Orazio Toscanella
Dictinario Volgare e Latino
Le Buccoliche di Virgilio
Significato dei colori
Alessandro Piccolomini
Plutarco
L' osservazione della lingua volgare
Bizzarie accademiche
Pietro Bembo
Storia di Ludovico Ariosto
Rime scelte di diversi autori
ed ancora
Sessanta o settanta Commedie e tragedie diverse
cinque mute di libri per cantare a musica.
Più e diversi libri manoscritti in materia di medicina.


Dopo i libri, fra i quali ne ho elencato alcuni , l'inventario prosegue con l'elenco di soccide di vacche, capre e asine e poi ancora con l'elenco dei censi fra i quali riporto, per puro affetto
campanilistico, quello a pag. 100 di detto inventario:

“ Un censo di scudi cinquanta moneta di Fivizzano creato da Pasquino Antonio dello Scaro che per essere pagati di frutti si ottenne di purgare di sentenza il possesso della terra censuata da ritenersi in luogo di pegno et hipotheca come di tutto apparisce dagli atti della Corte del Podestà d' Agnino e dalle Sentenze per lui date li 25 ottobre e 13 settembre 1650”

Prosegue ancora l'inventario con la visita ad una casetta (vuota) in FIVIZZANO e subito dopo a quella in MONCIGOLI:

“ Dopo trasferitosi esso V.Carlo e me infradetti nella casetta, che è nel Borgo di Fivizzano per fare inventario di quello in essa si trovasse, ed in essa entrati si trovarono:
Cinque pezzi di cornice vecchie che servirono già per addobare una sala.
Un paio di treppiedi di legno piccoli
Trasferitosi V.Carlo e me nella villa di Moncigoli e quivi ancora per inventariare e perfezionare l'inventario, e così giunti et entrati nella casa che serve per abitazione di detto V. Borni fu trovato in sala:

Una credenza di noce alta due braccia incirca con due cassette
Due sedie di noce all'entrata vecchie
Cinque altre seggiole di faggio all'antica vecchie e rotte
uno sgabello di noce con sua sponda
una lastriera di legno per tenere Arme , sopravi:
Una Picca
Due mezze picche
Altri pezzi di quadri in carta con cornice che sono vari paesi.
Un Arme de' Borni in tela sopra l'uscio della Camera.
Due rete di maglie per prendere Pernici con il suo camparello di ferro.
Un Arme di Mons. Sacrista, che resta sopra l'uscio che va in cantina.

Nella camera ivi contigua

Una lettiera di noce con sue colonne vecchie
Un Pagliaccio vecchio
Una Materassa vecchia
Un Capezzale vecchio
Una Coperta da letto d'Alabastro vecchia
Un'altra coperta di tela imbottita, rotta et un padiglione di lino con una lista stretta bianca e ruggine.
Un Buffetto di castagno vecchio sopravi:
Un Tappeto verde vecchio bene e rotto.
Due Sedie di noce all'antica vecchie.
Uno Sgabello senza sponde vecchio.
Uno specchio tondo con cornice, sopra indorata piccolo vecchio.
Un Quadretto piccolo dive è dipinto in taffettà S.Brigida con cornice sopra indorata.
Quattordici pezzi di quadretti in carta miniati senza cornice di varie sorte.
Due Targhe di cartone dipinte.
Una Pennata grande.
Un'altra Pennata piccola di ferro
Uno Scuscello dalla mano di ferro
Una Lemetta di ferro da inestare.
Una Morsa D'Anguille di ferro.
Una Carniera da Uccellatore di tela usata.
Una Spada vecchia.
Un bastone di Liccio calzato di ferro.
Un'altro bastone simile sanza calzatura et
Due altri bastoni di pero.
Una Segura di ferro.
Un Boccale di Maiolica da lavare le mani senza manico.
Una Pettiniera di quoio sopra indorato, e col suo spazzolino da testa.
Due Balestre, una grande, e l'altra piccola quasta.
Una Cassa di legno D'Abete lunga due braccia incirca nota.
Un'altra Cassa di piela lunga, due braccia e mezzo entrovi ne sua sacchi:
Due Ragne di refe di Canepa con sue Corde.
Nove Pezzi di rete da starne per uccellare con le Canterelle.
Un pezzo di Ramaggiolo da starne basso.
Un ragnetto piccolo da uccelletti prese di refe di lino.
Due Lanterne di Renza incerate.
Una forbice di ferro.
Una Cestina sine pancaretta di Vimene.
Tre gabbiette di legno da uccelli.
Un' altro tappeto verde stracciato.

In cucina
Una tavola grande di noce vecchia.
Una sedia di noce all'antica.
Uno Sgabello di noce con le sponde.
Tre altri Sgabelli di legno senza sponde.
Due Seggiole di paglia vecchie.
Un Paiolo di rame di tenuta una secchia d'acqua incirca.
Una Conca di rame per tenere acqua, grande con sue mestole.
Una Teglia di rame piccola.
Un Lavezzo di Bronzo.
Un Paiolino piccino di Rame.
Un Catino di legno per lavare i piatti.
Due Palette di legno.
Una Cassetta da tenere il sale.
Una Mestola di legno.
Due Pignate di terra ordinarie.
Un Caratello d' aceto.
Un paio d' Alari di ferro.
Una paletta di ferro.
Una Catena di ferro.
Una Molla di ferro.
Due Trepiè di ferro vecchi, e rotti.
Un Scaldaletto di Rame vecchio.
Uno Spiedo da tordi di ferro.
Una Padella dalle castagne di ferro.
Un'altra Padella da friggere con sua Mestola di ferro.
Un Grattacacio di ferro.
Un Mortaio di Marmo con suo pestello di legno.
Un Catello da pestare Lardo di ferro.
Una Basela di legno
Un Pennato di ferro.
Due Cucchiai piccoli di legno.

Nell'Armadio fatto nel muro e nelle scaffe attaccate all'istesso muro entro e sopravi:
Due Saliere di Maiolica et
Un'altra Saliera d'Alabastro vecchio.
Un Tondo di Stagno.
Due Bicchieri di Cristallo e due di vetro ordinari.
Una Boccalina di vetro.
Due Piatti reali di Maiolica rotti..
Un altro di Maiolica mezzo reale.
Venti Tondi di Maiolica di Diverse sorte.
Una Tazzetta turchina di Maiolica.
Una Sottocoppa di Maiolica col piede rotto
Un Boccale di Maiolica bianco e verde.
Una Cassetta di legno entrovi Mastello, Tanaglia, Trinelli e diversi ferramenti vecchi.
Un mezzo Groppio di ferro.
Due Balestriere da Balestra di ferro.
Un Filio per affilare Trani (?) di lana di capra.
Una Mestola da Calcina di ferro.
Un Caldarino di Rame piccolo.
Due tagliole di ferro per sciappare legna.
Una lemetta grande.
Una Cassa di piella larga due braccia inc. e vecchie, entrovi:
Un Frigniolo di latta.
Un Orzolo di terra et
Una Teglia di terra.

Una madia da pane di pioppo nuova longa due braccia e mezzo inc.
Una Cassetta di piella vecchio diviso lungo tre braccia inc. che serve per tenere la semenza.
Una Tapparella di legno vecchia.
Un Armadio di legno piccino per tenere le lucerne entrovi:
Una Lucernina all'antica d'ottone et due lucerne di ferro.


Nella camera ivi contigua:

Una Lettiera bassa con sue colonne e panche.
Un Pagliaccio, una materassa.
Una coperta di tela gialla imbottita et un Padiglione riempito di Stoppa.
Una Cariola di legno sotto il letto.
Una Tanola grande di noce.
Una Chitariglia piccola guasta e rotta.
Un Buffetto di Noce vecchio bene sopravi:
Un Sbavaglino piccino.
Tre Seggiole di paglia vecchie.
Uno Sgabello di noce con la sponda.
Una Scopetta.
Quattro pezzi di quoio sopra indorati vecchi attaccati al muro.
Una Carniera di tela da tordi piccola.
Un Pancone da pane, et una pancha.
Due Immagini di Nostro Signore In Croce in carta rotti.
Otto pezzi di Quadretti diversi in carta piccoli, inminiati.
Un Bastone di liccio con una pennatella di ferro in cima.
Una mezza Spada vecchia.
Un Prete di legno da letto.
Una mina di legno.
Un Treppiede di noce per tenere la Catinella.
Un Baccalaio piccolo di legno.
Una Scala di dieci piri di legno.
Un Baule piccolo foderato di pelle entrovi:
Tre Bozzole di legno da Speziera.
Una Tovaglia di Canepa da Tende usata.
Un libro intitolato “ Gli Gritoloni del cav. Marino in decimo sesto”, “L'ora di ricreazione del Guicciardini in decimo sesto”, “Nuovo Rato di Prologhi del Bitontoni”, “La Sfinge Enigmi di Antonio”, “ Le Terze Rime di Dante”.
Un Calamaio d'osso.
Una Palla piccola da giocare al Trucco.
Due Guaine di quoio per tenere Coltelli.
Una Scatola piccola entrovi un fischio d'ottone et due Lilli da Tordi, et alcuni ami da pescare.
Un'altra scatola piccola entrovi due pietre d'acciarino, un Cavapalle et una raschiatoia.
Un'altra scatola simile vuota.
Una Cestina piccola di Vimine entrovi:
Due Tovaglie da Testa una di lino, e l'altra di canepa..
Due pettini rotti, et uno scopettino da testa.
Tre Cassetti piccoli di vari medicamenti.
Due fiaschette piccole di quoio, una dalla polvere et una da pallini.
Due Casse di piella lunghe un braccio e mezzo per ciascuna che servono per tenere semenze.
Una Cassa di piella lunga due braccia incirca vecchia dipinta, entrovi:
Due paia di lenzuola di canepa uno con le frangie, e l'altro senza usati e vecchi.
Due coperte di filo à Opra bianche usate.
Una Camicia di canepa vecchia.
Una Casacca di panno tanè con bottoni d'oro vecchia.
Un vestito verde di Saia imperiale vecchio.
Un Giuppone tanè di Saia di minis con bottoni d'oro vecchio.
Un paro di calze bambace usate.
Un tappeto di filo turchino e ruggine vecchio.
Un paio di Calzettoni di lana vecchi bene.
Un Berettino di bambasina.
Una scuffia di canepa vecchia.
Un berettino di velluto nero vecchio.
Tre ventarole di carta col manico di legno.
Un'altra cassa di piella lunga un braccio e mezzo incirca vuota per tenere semenza.

Nella stanza sopra la suddetta a tetto:

Due Panche di legno da letto vecchio.
Un telaio di legno per un armadio.
Nella Cantina prima stanza:

Cinque Tine grandi vecchie di rendita e tenuta in tutto di some sessanta incirca.Una botte vecchia di tenuta tre some incirca. Una Striglia vecchia.

Nella seconda stanza di Cantina:


Un botticello sopra due Treppiedi di legno di tenuta a due some incirca.
Una zappa da calcina di ferro
Una mazza di ferro.
Una pala di ferro.
Un Badile di ferro.
Una Pala di legno.
Una secchia di legno da calcina.
Un Buffetto di noce vecchio.
Una Cantinetta da due boccie.
Un'altra cantinetta entrovi cinque boccie di vetro et una tazza di cristallo.
Una Cassa di piella lunga un braccio e mezzo incirca entrovi:
Due fiaschi di vetro ordinari.
Un paio di cassette di legno per portare sassi.



Di qui trasferitosi nella Casa dove sta il mezzadro Liborio:

Una tina vecchia bene et inabile a servire.
Una Cassetta vecchia lunga un braccio e mezzo, rota.
Una pietra da olio di tenuta quattro pesi.
Una panca con sua piedi di legno.
Uno sgabello vecchio.
Due seggiole di paglia vecchie.
Appresso il Mezzadro: un paio di Bovi di pelo rosso e brinati, una Asina e quattordici pecore.
Segue l'elenco dei libri della “ Libreria legale”, di numero di circa 366, che non è il caso qui elencare.
Con i libri termina l'inventario.

Finis



Note:
Per comprendere meglio il contenuto di alcune parole rare o oggi non più in uso, rimando alle seguenti note, ricavate, in parte, dal dizionario TRECCANI:


BAMBAGIA: (vedi bambasina) cotone di scarto, cascame della filatura del cotone.

CAMBRAIA, TELA DI CAMBRAIA: è come dire tessuto di Cambrais, cittadina francese del Nord.

CORTINE: TENDE, tendaggio destinato ad isolare l'interno di una stanza o di una parte di essa dall'ambiente circostante. In passato parte interessante del letto a baldacchino ove separava il giaciglio dal resto della camera.

DOBLETTO: antico panno napoletano di lino e bambagia, tessuto secondo le tecniche francesi

ERMISINO: (dal nome della città persiana di Ormuz) Pregevole tessuto di seta leggero, per vestiti da donna originario di Ormuz antico centro commerciale tra il Golfo Persico ed il Golfo di Oman, oggi non esiste più.

FERRAIOLO: mantello con bavero, senza maniche (notizia fornitami dal Prof. Pietro Tedeschi che gentilmente mi ha edotto degli ultimi stemmi rimasti della famiglia Borni)

FIANDRE: regione dei Paesi Bassi che dal Medioevo è stata un grande centro di produzione tessile.

PIELLA: il termine non è stato trovato in nessun vocabolario da me consultato. Cosa vuol dire piella? Legno di Piella: di che legno si tratta? Chiedo ad un vecchio falegname, ma anche per lui il termine è sconosciuto.
Qualche giorno dopo la stesura della presente vado in Archivio a Massa con in testa questa parola “Piella”. Consulto per caso un registro di manoscritti e vedo che ci sono manoscritti di Pietro Carlo Vasoli che so essere un fivizzanese. Mi faccio portare il manoscritto al n. 110 di inventario. E' un quaderno di fine “700 , lo apro; alla prima pagina è scritto “Piante native dei terreni della Lunigiana”, giro alla seconda pagina e trovo la seguente nota:
“Abeto = Abezzo, Abies, Abeto = Piella del volgo di Fivizzano, e anche <crose> , perchè è un arbore simile al Abezzo, che fa i suoi rami di figure somiglianti a tante croci. Se ne vedevano tempo fa diversi nel Bosco dei Francescani ( bosco dell'attuale Ospedale), in oggi ve n'è uno solo. Si dice che anticamente ne fossero delle selve intiere in questi contorni. Il che si arguisce nel vedere i colmignoli, e travature delle case più antiche di questa terra e molte ne sono anche, tutte di ABEZZI.
Nell' orto delle Monache di Codiponte n'è una una accanto alla foresteria.”

ed ancora più avanti a pagina 26 di detto manoscritto il Vasoli scrive di suo pugno:
“Abeto = Abies, di questo albero non parlano né Discoride né Galeno. Nel Catalogo degli alberi: Jkeofrosto lo distingue in maschio e femmina, differenti fra di loro. Perchè il maschio ha la foglia più appuntita in cima e pungenti. Ne erano alcuni alberi nel Bosco dei Padri Francescani di Fivizzano che per aver le sue ramificazioni divise a forma di croce + lo chiamano i volgari come <crose>. Ora vi è un albero solo o due. Non solo, dal tronco di questo albero e anche dai suoi rami se ne cava quella ragia chiara e limpida che si chiama Resina Abiatina, ovvero Ragia di Arezzo e Visco d' Abeto. Plinio la chiama Stelina.
Si dice fra noi Piella - Abezzo.”

E' inutile dire che rimasi stupito della cosa accadutami. In un sol colpo avevo colmato una doverosa curiosità e fatto conoscenza di un altro grande letterato fivizzanese!|

E' quindi il caso di dilungarci un poco a conoscere questo personaggio.
VASOLI Pier Carlo (casata che diede molti uomini illustri) fu medico, naturista, scrittore, poeta e accademico degli Imperfetti. Visse intorno alla prima metà del “700.
L'Archivio di Stato di Massa al manoscritto n. 111 conserva un quaderno con la trascrizione a mano di un codice autografo posseduto dal sig. Agostino Battaglia di Fivizzano avente per titolo “Sonetti e poesie varie” di Pietro Carlo Vasoli e tra l'altro riporta un sonetto con questa prefazione “ In morte del dott Carlo Antonio giovane, figlio dilettissimo (sei sonetti). In nota al quarto sonetto si legge: l'anno 1719 all'età sua 19 è ferito e trafitto con un coltello da tasca da Achille di Mastro Lorenzo sotto l'ultima costa sinistra. Afferra la mano del robusto giovane feritore, leva il coltello lo mette in tasca poi lo castiga co' pugni e sentitolo lamentarsi cessa e viene a medicarsi la ferita non mortale. Poi si pranza. Maestro Lorenzo e il figlio dopo avere domandato pendono in ginocchione veduto che li trattò con somma amorevolezza predicarono per tutto la moderazione fortuna e carità del figliolo mio Dilettissimo. SS NATALE di GESU',
Sonetto fatto nel 1740”
Seguono poi le “ Memorie di alcuni Valenti Uomini di Fivizzano”, accompagna le stesse con componimenti poetici e chiamando tali opere “Esequie” e trascrivendo nella “Prefazione”:
“Ho tentato far qualche componimento in lode di alcuni Valenti Uomini di essa, non avendo più tempo, ne' ingegno da discorrere di tutti. Perchè se quanti ne ha nominati Ortensio Cavalcani (Auditor di Rota di Genova) nel suo catalogo annesso al libro DE BRACHIO REGIO e quanti ne sono ritratti e descritti nelle tavole di pittura di Borgnino altro Cavalcani (Canonico e Vicario Generale della cattedrale di Pavia) in sua casa altre e quelli che prima e dopo fioriranno avessi io voluto far soggetti di quanti rozzi miei versi né la debolezza di mio talento né il poco tempo che mi concede una professione sempre lontana dalli dimortamenti massimamente partici lo avrebbero permesso.”
Fra gli Uomini Valorosi di Fivizzano sempre il Vasoli Pier Carlo descrive i seguenti della famiglia BORNI.:
“- Scipione Borni: medico celebre. Vedasi catalogo di Ortensio Cavalcani degli Uomini Illustri di Fivizzano.
Tommaso Borni: giudice della città di Volterra e di altri insigni Tribunali di Toscana.Vedasi suoi diplomi et archivio di detta città,
altro Scipione Borni: auditor di Rota Civile di Bologna. Podestà e Capitano del Popolo di detta città.Vedasi sua lapide in capo di scala del Palazzo di rota ivi.”

In definitiva, ritornando alla parola oggetto di indagine, abbiamo appurato che il termine PIELLA sta a significare ABEZZO o ABETO BIANCO o ABIES ALBA, pianta che cresce nei luoghi ombrosi fino a 50-60 metri d'altezza, con un diametro a petto d'uomo che arriva mediamente a 80 centimetri, ma può arrivare anche a 3 metri..
La sua storia è legata alle alterne condizioni climatiche succedutesi su queste montagne dopo l'ultima glaciazione, che favorirono la formazione di boschi di abete bianco e in seguito di abete rosso, mentre il clima attuale, adatto al faggio, ha provocato la graduale regressione di queste conifere. Anche lo sfruttamento da parte dell'uomo del pregiato legname di abete ha accelerato il naturale declino di queste specie. E specie rara lo era già , ai primi del “700, se il nostro Vasoli sentiva il bisogno di elencare dove crescevano alcune piante nel territorio attorno a Fivizzano.


PIRI: termine in dialetto per indicare i PIOLI della scala.

PRETE: intelaiatura di legno mediante la quale si può tenere sospeso tra le lenzuola lo scaldino per riscaldare il letto.

RAMAGGIO: (dal francese Ramage) disegno di ramoscelli d'albero o fogliame su stoffa o carta da parati.

RENZA: tessuto di Renza, tovaglia di Renza è la traduzione in volgare del nome della città francese di “Reims”, centro cittadino della Francia settentrionale nel Dipartimento della Marna. Centro di grande e attiva industria tessile (tessuti di lana in prevalenza) e della fabbricazione dei famosi vini di Champagne. La borghesia di Reims dei secoli XI e XII si arricchi dell'industria dei drappi e costrui monumenti insigni come la cattedrale e varie chiese. Nel secolo XIX Reims si specializzò nella fabbricazione delle flanelle, dei Cachemires e delle lanerie di fantasia.

TAFETTA': leggero tessuto in origine realizzato con fibre di seta.

TANE':( Dal francese TANER= conciare) termine usato in passato per indicare uno speciale colore castagno fra il rosso ed il nero, simile a quello del cuoio.



TRINE: sinonimo di MERLETTI

SAIA: ( Dal francese SAIE e dal latino SAGUM= panno di lana) Nella tessitura, una delle armature fondamentali con i punti di legatura disposti in diagonale.

SOCCIDA: (Dal latino societas = società) Contratto diretto a costituire un'impresa agricola di natura associativa, nella quale si attua una collaborazione economica tra colui che dispone del bestiame e colui che deve allevarlo, al fine di allevare e sfruttare una certa quantità di bestiame ed esercitare le attività connesse, ripartendo spese e utili inerenti sia all'accrescimento del bestiame sia ai prodotti (latte, formaggio, lana ecc.) che ne derivano.


AGOSTINO MOLARI :

Agostiniano, della nobile famiglia Molari, entrò nel cenobio di Fivizzano (MS). Fu tre volte Vicario generale dell'ordine, poi sagrista della Cappella Apostolica e confessore di Gregorio XIII e di Clemente VIII. Fu Commendatore dell'Ospedale di Santo Spirito in Sassia in Roma, dove venne seppellito. Nato a Fivizzano nel 1527, morì nel 1595.
Forse fu per sua intercessione se, nel 1575, venne fatto Vescovo di Nepi il frate Fivizzanese, dell'ordine di S. Agostino, Alessio Stradella.
E' certamente per suo merito che fu donato alla chiesa di S. Giovanni annessa al convento degli Agostiniani il PIVIALE del Papa Nicolò V di origini sarzanesi, ma con mamma che era una Malaspina della Verrucola.
Il paramento papale, fu donato al Papa Nicolò V dalla città di Siena allorché santificò S. Bernardino.
Dopo il terremoto del 1920 la chiesa fu demolita ed allora gli amministratori del tempo , siamo nel 1937, lo vendono ai nobili fiorentini. Ora è conservato nel museo del Bargello.
Aggiungo ancora un mio personale pensiero; ritengo probabile che l'anello papale di Gregorio XIII, citato in questo inventario, sia stato donato ad un Borni (forse ad uno dei due Vescovi ) proprio da questo illustre concittadino.


Papa GREGORIO XIII : (1572-1585)


Il 13 maggio 1572 fu eletto Papa il Cardinale Ugo Boncompagni nato a Bologna il
1 gennaio 1502. Il suo passato laico non era quello di un santo; aveva avuto un figlio che aveva legittimato, ma poi presa la vita ecclesiastica mai si era allontanato da una condotta seria e ineccepibile da un punto di vista della morale cattolica. Fu severo verso il rispetto delle norme conciliari ed attuò un radicale centralismo per controllare vescovi, preti e diaconi. Possedette però un alto concetto di sovranità che lo fece tenere lontano da nepotismi. Predisposto alla laboriosità, sintetico e rapido nelle decisioni si circondò e favori i Gesuiti. Bandito il Giubileo del 1575 è a lui che si deve l'uso della muratura della Porta Santa. Favorì gli studi ecclesiastici e fondò il Collegio Romano cioè l' Università Gregoriana (che di lui porta il nome). Dagli studenti formatisi nei collegi romani Gregorio XIII si spettava la diffusione della riforma tridentina. Fondò anche l' Accademia Musicale di Santa Cecilia. Iniziò la costruzione per Quirinale con l'interessamento di vari architetti. Ma il Papa Gregorio XIII è ovunque ricordato per la riforma del “Calendario” invocato dal Concilio di Trento. Questa andava a modificare un errore di 11 minuti all'anno che il Calendario Giuliano, introdotto da Giulio Cesare nel 46 A.C., aveva provocato. Egli cancellò quindi 10 giorni dal calendario ed introdusse un anno bisestile di 366 giorni ogni 4 anni. La modifica fu accettata immediatamente da tutte le nazioni cattoliche; solo nel 1700 anche i Paesi protestanti si uniformarono al nuovo calendario, in vigore ancora oggi.
Gregorio XIII morì il 10/04/1585 all'età di 84 anni.
(Le notizie su Gregorio XIII le ho ricavate da “I Papi Storia e Segreti di Claudio Rendina” e dal sito www.Cronologia.it) .



ANDREA BOSCOLI – Pittore:



Allievo di Santi di Tito intorno al 1575, secondo Filippo Baldinucci “diventò molto pratico imitatore della maniera del maestro talmente che forse qualche opera di questo sarebbe stata cambiata con quelle di lui”.
Le sue prime opere note sono due disegni circolari di un Trionfo di Bacco e di un Sileno, datati 1582, rispettivamente a Weimar e agli Uffizi che, come ricorda il Baldinucci, “A Carlo Davanzati fece due disegni in tondo per intagliarsi in sottocoppa d'argento, ove figurò favole di Sileno e Bacco che furono stimati bellissimi.”
Negli anni ottanta compie un viaggio di studio a Roma, come testimoniano disegni a penna e acquerello di statue antiche e di fregi di Polidoro da Caravaggio, di un segno rapido e spigoloso. A questo decennio appartengono le tele, attribuite, de Il trionfo di Mardocheo del County Museum di Los Angeles e delle Nozze di Cana degli Uffizi, dove le figure richiamano Santi di Tito e il gusto dei particolari preziosi appartiene alla cerchia manierista dei pittori medicei.
Nel 1587 affresca nel chiostrino di San Pier Maggiore di Firenze un Martirio di San Bartolomeo con figure manieristiche dai colori trasparenti e ombre colorate.
Nel 1592-1593 affresca la Villa di Corliano ai Bagni di Pisa (San Giuliano Terme) su commissione della famiglia della Seta Gaetani Bocca. http://www.villacorliano.it/villa.php
Nel 1593 dipinge l'Annunciazione della chiesa del Carmine di Pisa e gli affreschi, parzialmente distrutti nel 1944, nella chiesa di San Matteo; durante questo soggiorno disegna nel Camposanto alcuni degli affreschi di Benozzo Gozzoli; altri suoi disegni ricavati da opere del Correggio, del Gambara, di Tiziano e del Muziano, testimoniano i suoi viaggi a Parma, a Genova, a Venezia e a Reggio Emilia. ( Forse nel suo viaggio verso Reggio Emilia può aver fatto tappa a Fivizzano e fermatosi qualche giorno può essere che abbia lasciato un segno del suo passaggio con il quadro di cui al presente inventario Borni. - nota dello scrivente R.B.)
Nel 1596 dipinge il Miracolo di San Nicola nella chiesa fiorentina di San Lorenzo alle Rose e la Visitazione in quella di Sant’Ambrogio, che richiama l'omonima pala del Pontormo a Carignano in versione però controriformista, nella compunta devozione dei personaggi.
Dal 1600 opera nelle Marche, dove ha la disavventura di essere accusato di spionaggio e imprigionato per poco tempo; nel monastero di San Luca di Fabriano produce i suoi capolavori, un'Annunciazione, una Madonna e santi, una Natività ora nella locale Pinacoteca e affresca la volta del Brefotrofio. Nella tradizione manieristica della regione derivante dallo Zuccari e dal Barocci porta una pittura composta e armoniosa nella ricchezza della luce e del colore.
Seguono la Circoncisione del Duomo di Fermo, gli affreschi, rovinati, nella chiesa di Santa Maria Piccinina, La Madonna e santi ora nella Pinacoteca di Macerata e la Crocefissione della parrocchiale di Carassi, dove si richiama al patetismo manieristico del Lillo.
Ritorna al Firenze nel 1606 e qui sarebbe morto nei primi mesi del 1607.
(Le presenti note sono riportate integralmente dal sito internet www.WIKIPEDIA.IT
alla omonima voce.)

CARDINAL BANDINI:

MADONNA DI REGGIO: il culto della Madonna di Reggio nasce appunto nella città emiliana dove in una località denominata la Ghiara ( sul muro di cinta dell'orto dei Padri Servi di Maria) era oggetto di devozione una immagine di Madonna adorante il figlio.
Dopo il primo miracolo di Marchino, un povero giovane di 17 anni, muto dalla nascita, che improvvisamente, per intercessione della Madonna, aveva riacquistato la parola, la devozione si spande nelle città vicine di Cremona, Bologna, Ferrara, Fano, Mantova e nel Fivizzanese.
Cosicché il 5 maggio 1596, anche a Fivizzano, avvenne un evento prodigioso.
La “Caugliana” (perchè nativa di Caugliano frazione di Fivizzano)di nome Margherita è a letto inferma da parecchio tempo. Chiede al suo compaesano Vaseschi, che andava a Reggio per affari, una immagine della Madonna della Ghiara. Questi, quando ritorna è sconsolato e dice a Margherita di essersene scordato di portare l'immagine. L'inferma si accascia sul letto disperata con gli occhi pieni di lacrime. Quando li riapre si accorge che per incanto appesa ad un chiodo della trave c'è una bella immagine della Madonna che adora il suo figlio con il motto “Quem genuit adoravit”. Margherita lancia un grido, scende dal letto con una nuova vitalità e grida “Sono guarita! Sono guarita!”. Il Vaseschi è testimonio del miracolo: l'inferma era 18 anni che non si muoveva dal prioprio letto. Si grida al miracolo, accorrono persone, nasce così, con più forza, nel fivizzanese la venerazione della Madonna della Ghiara.
Studi recenti hanno dimostrato che l'immagine a Fivizzano è una stampa xilografica, l'unica che è rimasta di un disegno di un certo pittore Camillo Branchini di Reggio Emilia che nel 1596 guarì prodigiosamente da un'ulcera ad una gamba dopo essersi raccomandato alla Madonna della Ghiara. Racconta, in una testimonianza notarile, che pieno di debiti ebbe una visione ove la Madonna gli indicava di formare una stampa con l'immagine appunto della Ghiara e che vendendone avrebbe risolto i suoi problemi di debiti. Il Branchini ebbe la visione il 15 aprile 1596 ed il quando il 29 aprile dello stesso anno avvenne a Reggio la sorprendente guarigione del cieco Marchino, ne vendette centinaia di copie.
Una copia soltanto si è salvata ed è quella di cui al miracolo di Margherita “La Caugliana” avvenuto a Fivizzano il 5 maggio 1596.
Così la stampa finì nella Chiesa prepositurale di Fivizzano dove nel 1733 la Comunità parrocchiale eresse un sontuoso altare in marmo.
Con decreto del 10/9/1945 del Vescovo Mons. Giovanni Sismondo la Chiesa di Fivizzano veniva elevata a Santuario Mariano.
Dal 11 agosto 1946, per decisione del Preposto Mons. Gentile la miracolosa immagine veniva collocata, dentro una nicchia argentata, sotto un tempietto di marmo sull'altare maggiore. ( Ricordiamo qui che le colonne rosa del tempietto sono state scavate a Mommio).
Numerose sono a Fivizzano e nel circondario le immagini marmoree o meno della Madonna della Ghiara detta comunemente Madonna di Reggio.
(Le presenti notizie le ho tratte da “La Miracolosa apparizione” del prof. Enzo Pandiani e da un articolo di giornale del Prof. Davoli di Reggio Emilia)


ARME dei BORNI: vedasi foto
Fontana Medicea  ( foto Gaudenti)
Lettere sparse del carteggio dei Conti Fantoni
di FIVIZZANO :

Labindo e la Società civile settecentesca.





(buste in Archivio Stato di Massa dal n. 248 al ......)


Prima di partire nella lettura di alcune lettere che sono conservate nell'Archivio Fantoni dell'Archivio di Stato di Massa, credo che sia necessaria una puntualizzazione
su alcuni personaggi che hanno fatto grande questa famiglia patrizia fiorentina, che già aveva dato alla Repubblica fiorentina ben tre Priori. Il figlio del Priore Fantone fu Antonio che venne in Lunigiana e arrivò a Fivizzano nel 1534. Da lui discese il Dr. Terenzio (nato nel 1613 morto nel 1687) e dal matrimonio di questi con Cornelia Borni nacquero: Giacoma (che andò sposa a Genesio Agnini), Lodovico che divenne diplomatico e consigliere di stato dei Duchi di Mantova, Giovan Battista laureatosi in legge a Pisa divenne Accademico Apatista, Scipione che fu prete, Eleonora ed infine il continuatore della dinastia; Antonio che nel 1690 sposa Caterina Cecchinelli da Sarzana. (ed in seconde nozze nel 1721 sposerà Leonetta Bianchi di Scipione) Dal primo matrimonio venne Terenzo (nato nel 1691 – morto nel 1754) che sposa la contessa pisana Lucrezia Felice Pandolfini e da cui nacquero il Conte Lodovico Antonio (n. 1716- morto nel 1794) e la sorella Maria Caterina (nata nel 1728) che sposerà il Cavalier Albizio Ranieri Lanfranchi di Pisa.
Il Conte Lodovico Antonio sposerà la Marchesa Anna De Silva di Livorno ed è proprio a partire dalle lettere a lui indirizzate che ho iniziato questa mia ricerca, proseguita poi anche fra le carte dei suoi rispettivi figli, vediamo di conoscerli meglio traendone i dati da mie precedenti ricerche.
Partiamo dal personaggio più famoso quel Giovanni in arte Labindo a cui bisognerebbe dedicare un libro intero per narrarne la sua vicenda artistica, umana, sociale e politica.
Mi limito però a riportare il contenuto del sito web WWW:Wikipedia.it che così riporta:
Giovanni Fantoni
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« Lode non vendo, non macchio l'anima
d'util menzogna, né la mia cetra
il grato suon riscuote
di adulatrici note »


Giovanni Fantoni (Fivizzano, 28 gennaio 1755 – Fivizzano, 1 novembre 1807) è stato un poeta italiano.
Terzo figlio maschio del conte Lodovico Antonio Fantoni e della marchesa Anna De Silva della Banditella, in ossequio alla legge del maggiorasco, per essere avviato alla vita ecclesiastica fu fatto educare nel monastero dei benedettini a Subiaco e dopo tre anni, nel Collegio Nazareno degli Scolopi a Roma, ma il suo carattere insofferente alla disciplina e il suo spirito anticlericale non erano compatibili con la vita monastica. Così, nel 1773 fu apprendista nella Segreteria di Stato di Firenze e l'anno seguente fu iscritto all'Accademia Reale di Torino, da dove uscì nel 1776 con il grado di sottotenente.
Nello stesso anno fu ammesso all'Accademia della Crusca e all'Arcadia, con il nome di Labindo Arsinoetico.
La sua giovinezza è stata descritta come scapigliata e ricca di avventure amorose, tanto che il padre stesso si rivolse al Granduca di Toscana, Leopoldo I, chiedendogli persino di rinchiudere il figlio nella fortezza di Portoferraio e un anonimo informatore indirizzò una relazione al governo genovese, durante una permanenza del Fantoni nella città ligure, sostenendo che «questo è assai giovine e di maniere seducenti, onde è idolamato dai giovani suoi contemporanei, e anche dalle dame le più forbite, con le quali usa carezze inusitate presso di noi e condannate dai virtuosi. Le sue massime sono perniciose, e contrarie alla buona morale. Queste quanto più si bevono facilmente, perché sono legate in versi leggiadri e lascivi, e quanto un soggetto mostra un genio e talenti straordinari per la poesia».
Nel 1800 partecipò alla difesa di Genova, assediata dagli Austriaci e dagli Inglesi. Nello stesso anno venne nominato professore di eloquenza a Pisa ma revocatogli presto l'insegnamento a causa delle sue opinioni giacobine, passò all'Accademia d'Arte di Carrara.
Si ritirò definitivamente a Fivizzano, dove morì di tifo il primo novembre 1807.
In una delle sue ultime lettere, il 30 maggio, aveva scritto: «Amo gli uomini [...] ne desidero il bene senza alcun fine; gli istruisco, senza scompiacerli con una rigidezza, da amico, e compatendoli, compiangendoli e soccorrendoli come posso, servendomi dell'esempio dei miei stessi difetti, per spogliarmi dei loro; non dandomi soprattutto aria alcuna di distinzione o di singolarità, cerco di meritare la loro confidenza. Ecco il mio segreto, ch'è sì poco conosciuto».
Opere [modifica]
Odi di Labindo, Massa, 1782
Scherzi di Labindo, Massa, 1784
Poesie varie e Prose di Labindo, Massa, 1785
Poesie Varie di Labindo, nuova edizione corretta e accresciuta, Livorno, 1792
Poesie, Genova, 1800
Poesie, edizione accresciuta di un terzo libro di Odi e di altre composizioni, Milano, 1809
Poesie, edizione completa a cura del nipote Agostino Fantoni e di Agostino Bartoli, Firenze, 1823
Poesie scelte, Torino, 1883
Le Odi, Torino, 1887
Poesie, Bari, 1913
La poesia del Fantoni [modifica]
«Il Fantoni, oltre all'ingegno vivace e l'animo alacre, e un'immaginazione di movimento lirico, aveva cultura varia e moderna. Di latino sapeva fino a comporre versi non da meno degli altri che si stampavano allora in Italia, ma scriveva francese alle signore, conosceva lo spagnuolo, e della letteratura tedesca pare avesse un'idea sua, più che del libro del Bertola in voga dopo l' '84. Era insomma un letterato alla moda, riproduceva in un italiano incipriato di gallicismo la galanteria delle prose francesi di società: deduceva nell'Arcadia nostra canora le cupaggini enfatiche dello Young, che pareano profondità di passione, e morbidezze di Gessner, che pareano naturalità di sentimento, un po' dietro le orme del Bertola, ma con versi più andanti e sonanti. Nelle Odi era oraziano [...] d'Orazio imitando sempre l'andamento e il fraseggiamento, il colorito e i metri. Odorava la rivoluzione; eppur tra una genuflessione e l'altra, abitudine di educazione, naturalissima nei contemporanei di Voltaire e di Diderot, a qualche sovrano, era già di massime e aspirazioni repubblicane».
Così il Carducci sul Fantoni, dal quale egli riprese, nei giovanili Levia Gravia e nei Giambi ed Epodi, tanto alcune forme metriche quanto i contenuti giacobini.
Fantoni unì il suo primario interesse per la ricerca poetica formale ai contenuti che, nell'irrequieto mondo letterario del secondo Settecento, successivamente si tramandavano o si imponevano, dalla tradizionale espressione arcadica all'idillio d'impronta gessneriana fino alle manifestazioni dei preromantici notturni younghiani.
Egli ha più interessi di eloquenza e di ricerca formale, come esprime nella prefazione all'edizione genovese delle sue poesie: «L'Autore mostrerà sinceramente al pubblico qual metodo ha tenuto in tentare questo genere di lirica, quali errori ha commessi, come ha procurato correggersene, quanto potrebbe ancora questo perfezionarsi, quali nuove strade restano da calcolarsi »ai lirici italiani onde rendere questo genere di poesia perfetto, degno di servire la pubblica istruzione e capace di formare il popolo».
Vi è dunque, nel Fantoni, la volontà di assumere le nuove poetiche per elaborarle in forme letterarie piuttosto che di farle intimamente proprie.
Bibliografia [modifica]
Giovanni Sforza, Contributo alla vita di Giovanni Fantoni, Genova, 1907
Angelo Ottolini, La varia fortuna di Giovanni Fantoni, "Rivista d'Italia", ottobre 1907
Giosuè Carducci, Opere, vol. XVIII, Bologna, 1935 - 1940
Enzio Malatesta, Vita irrequieta di Labindo, Roma, 1943
Lindo Boccamaiello, Giovanni Fantoni, Fivizzano, 1996
(Qui termina la pagina di Wikipedia dedicata a Labindo)
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VITA di Luigi FANTONI
Il conte Luigi nasce a Fivizzano il 19 marzo 1749, primogenito di 5 figli, dal Conte Lodovico Antonio Fantoni sposato con Donna Anna De Silva dei Marchesi della Banditella nativa di Livorno.
Battezzato il 25 marzo, ebbe per compare Giuseppe Malaspina marchese di Olivola e per comare Vittoria del marchese Giorgio Olivazzi di Alessandria, moglie di Cornelio Malaspina marchese di Licciana.
Il secondo figlio, dei coniugi Fantoni -De Silva, fu Odoardo nato il 21/04/1752 che studio' nel collegio Nazzareno di Roma e prometteva bene, ma dopo il ritorno a Fivizzano, abbandò gli studi e menando vita quieta e casalinga morì a Fivizzano il 20/12/1813.
Il terzogenito fu Francesco, (in quasi tutti i documenti chiamato “Checco”, Nato il 16/10/1753 morto il 1/4/1795) che divenne abate (capuccino?) .
Il quartogenito fu Giovanni che nacque il 15 ottobre 1753 ma che morì nelle fasce.
Il quintogenito, nato il 27 gennaio 1755, fu quel Giovanni, Nepumoceno, Saverio, Celso, Francesco, Gaetano che diventò poeta arcadico con il nome di Labindo sulla cui poesia arcadica, vita scapestrata e vicende politiche tanti libri sono stati scritti.
“Originaria di Firenze e patrizia fiorentina è la famiglia dei Fantoni, la quale dette alla Repubblica tre priori: Antonio nel 1454, Bernardo nel 1474, Fantone nel 1519. Giovanni, figlio di quest'ultimo, andò in Lunigiana e prese stabile dimora a Fivizzano dove si amogliò nel 1534. Il 27 settembre 1613 mancò ai vivi Terenzio di Antonio Fantoni, lasciando incinta la moglie Bianca Dianora Zaniali di Spicciano, la quale il 22 di quello stesso mese partorì un figlio, che portò il nome del padre. Laureatosi in legge nello studio di Pisa, il giovane Terenzio, nel 1648, dal Granduca Ferdinando III fu chiamato a presiedere il Magistrato supremo, detto allora de'Buoni Huomini; nel ' 66 gli diede un seggio nel Consiglio dei Duecento, e poi venne eletto uno dei Nove Conservatori del Dominio Fiorentino......Amò con vivo affetto il suo nativo Fivizzano, dove nel '70 eresse una scuola per le ragazze povere; aprì senza ritegno la borsa quando sulla piazza pubblica a vantaggio degli abitanti fu eretta la bella fontana che prese il nome di Marterrea; difese le immunità e i privilegi del Comune, al quale fu largo sempre del consiglio e dell'opera sua........Afferma il Gerini che “ scrisse parimenti contro l'inumana tortura che degradava l'autorità de' giudizi e molte allegazioni e consigli che furono stampati a Pisa” ( da Giovanni Sforza- Contributo alla vita di Giovanni Fantoni)
Apprendiamo quindi che il Terenzio anticipò primo fra tutti, con l' opera “Discusus de Jiuramenti Reis non dando – Firenze 1679” le idee di rispetto dell'uomo anche se colpevole. In breve: affermava che non si dovesse costringere al giuramento l'accusato in un causa criminale e scriveva contro “l'inumana tortura”.
Fu quindi un precursore di quelle idee di giustizia e umanità che poi furono del Beccaria e che portarono all'abolizione della pena di morte nel 1786 sotto il governo di Pietro Leopoldo I di Lorena.
La figura del Beccaria fu poi tanto cara ad un discendente di Terenzio quel Giovanni Fantoni-Labindo che durante l'esperienza giacobina e rivoluzionaria di Reggio Emilia essendo troppo estremista gli fu negato nel 1796 il diritto di Voto all'Assemblea Costituente della Repubblica Cispadana ed allora “ se ne andò a Milano dove, tanto per non restare con le mani in mano, lanciò nei circoli culturali e meneghini la proposta di erigere un monumento a Cesare Beccaria mediante la sottoscrizione di uno scudo a testa fino a raggiungere la somma necessaria, calcolata in tremila scudi.” (da Giovanni Fantoni – L'uomo del no di Lindo Boccamaiello)
Terenzio fu un insigne legista in grazia del Granduca Cosimo III ed è sicuramente tramite la sua intercessione se fu iniziata nel 1640 e poi portata a termine nel 1683 la costruzione della Fontana di Piazza Medicea, che da allora ha caratterizzato la fiorentinità della terra di Fivizzano. Ed è stato tramite le sue istanze se dopo 14 anni di segregazione nelle prigioni del Pascià di Rodi, riuscì a far liberare il fratello Giovanni, che era stato catturato dai Turchi nel mare di Napoli.
“Carico di onori e di gloria cessò di vivere nel 1687” (dal Gerini )

Tutta questa premessa, per far capire al nostro lettore, in quale contesto famigliare ricco di insegnamenti culturali fossero cresciuti Luigi, Francesco,Odoardo e Giovanni.
Luigi viene educato nel collegio Nazzareno ( come pure Odoardo e Giovanni) a Roma dove avvia gli studi in scienze e materie letterali. Compose, senza raggiungere la maestria del fratello Giovanni poesie in italiano; ma eccelse in quelle in latino ed in particolari occasioni ufficiali compose celebri iscrizioni in latino notevoli per l'eleganza della forma.
Luigi Fantoni ha, in definitiva, un interesse spassionato per gli studi classici e più ancora per l'agronomia che oltre a studiare mette in pratica nei suoi vasti possedimenti in Lunigiana e nel Pisano. Colleziona inoltre documenti che delineano la storia della Lunigiana. Memorie che usa in parte per scrivere le “Effemeridi di Aronte Lunense (suo pseudonimo) che è un compendio di storia di Lunigiana, ma parla anche di politica, commercio e agricoltura ed il tutto scritto in una forma di calendario lunare. (Per le illustrazione si avvale del dottore in medicina Michele Angeli di Mazzola). Il libro di 207 pagine viene stampato a Livorno nel 1779.
Oltre a varie poesie e odi che stampava in occasione di nozze nobiliari, nel 1790 da alle stampe un'ode in onore del Granduca di toscana Pietro Leopoldo che era stato eletto imperatore.
Le odi furono affisse alla porta Grande di Fivizzano dal 10 al 12 Dicembre 1790.
Si fa conoscere nell'ambiente politico fiorentino per il suo manoscritto “ Memoria economico finanziaria relativa al miglior modo di trasportare i Sali e tabacchi dal Litorale toscano nella Lunigiana Granducale, nonché al modo di regolarne l'azienda nella stessa provincia”.
L'8 maggio 1776 Luigi Fantoni fu eletto corrispondente membro della reale Accademia dei Georgofili in Firenze.
Si fa conoscere nell'ambiente culturale accademico per un suo manoscritto “Delle diverse specie d'olivi che si trovano ne Monti della fattoria d'Agnano, territorio pisano. Con osservazioni sopra le specie degli olivi ancora di Lucca, Pietrasanta, Montignoso, Massa, Sarzana, Lunigiana, e Riviere di Genova”, ad effetto di rilevare quali siano quelle specie che servono a produrre l'olio fino,e quali quelle che corrispondono alle specie degli antichi. E' un'opera unica, corredata con disegni delle piante e dei vari frutti.
Dal suo matrimonio con la fiorentina Maddalena Morelli Adimari ebbe 4 figli, il più famoso fu Agostino che raccolse e pubblicò il lavoro e le memorie dello zio Giovanni, l' accademico Labindo,
e fu un politico di rispetto per i suoi tempi se fu Maire a Fivizzano, Commissario per il Governo Toscano all'Isola D'Elba e poi Commissario a Pistoia.
Agostino (vedi nota n.1) scrisse su un foglio, da me ritrovato in Archivio Storico di Massa b. 228-231 , questa nota su lo zio Giovanni “ Ove era Labindo fuggiva la noia ed il suo arrivo nelle conversazioni era contrassegnato dal brio e dalla giovialità che animava tutti”.
Certamente il carattere di Labindo, uomo di mondo, era molto diverso da quello del padre di Agostino quel Luigi, fratello di Giovanni Labindo, che aveva sempre vissuto, a parte il periodo degli studi, in una cittadina chiusa di provincia e poi nella sua terra contadina di Noletta. Alla divisione dei beni operata con i fratelli aveva dichiarato che bisognava dividere tutto per tre: “seggiole con seggiole, letti con letti, quadri con quadri” A proposito di quadri, nella divisione abbiamo che: “ La Madonna di Raffaello con Quella del Carmine toccano a Odoardo”
“ L'ecce Homo Copia del Volterrano con due teste- tele scuola di Guido toccano a Giovanni”; in un inventario del 1829 il Palazzo Fantoni comprendeva oltre cento quadri.
Per cui Luigi ci appare, oggi, schivo, riflessivo, diffidente, pignolo e amareggiato della società civile.
Ritiratosi a vita privata nella sua villa di Noletta, si prodiga in lavori di abbellimento e studi di agraria.
Nel suo splendido isolamento, segue, accresce e migliora i suoi poderi di Agnino, Anticcione, Borri, Caugliano, Cecina, Gassano, Germagna, Moncigoli, Posara, Spicciano, Bottignana, Collecchia.
Luigi muore l'8 giugno 1808 e fu sepolto in Noletta nella cappella privata. (Il figlio Agostino lo ricorda con le parole che riporto in fotocopia atte a formare l'epigrafe su marmo fatta mettere nella cappella nell'anno 1848. )
Agostino ricorda il babbo come un grande studioso, un uomo integro ma amareggiato delle sue vicende civili di cui il suo manoscritto, da me ritrovato in Archivio storico di Massa alla busta n. 228, ne è l'esempio più chiaro.

Dal matrimonio fra il Conte Luigi e Maddalena Morelli di Firenze nacque Agostino il 14/08/1777
(deceduto il 14/02/1847)

Lo storico Giovanni Sforza parla di Agostino in questi termini:
“ Nel 1811 venne nominato Maire del paese nativo, che allora faceva parte dell'impero francese, e aggregato al dipartimento degli Appennini con capoluogo Chiavari. Quando la fortuna di Napoleone cominciò a pericolare e gli Austriaci scorrazzavano minacciosi per la Lunigiana, difese a viso aperto il Governo imperiale a Fivizzano. Rimase alla testa del Comune anche dopo che le Potenze alleate se ne furono impadronite il 24 marzo del '14. Seppe tutelare l'ordine contro la coalizione dei campagnoli; andò a Livorno a complimentare il Bentinck e a chiedergli restituisse a Fivizzano le franchigie delle quali lo avevano spogliato i Francesi; insieme col Cav. Giambattista Agostini Trombetti si recò a Firenze nel '15, oratore del paese suo presso il restaurato Granduca Ferdinando III. Per due volte, il 7 e il 10 maggio del '16, ebbe ospite nel proprio palazzo Francesco IV Duca di Modena; tornò ad avercelo nel giugno del '18, in compagnia di Vittorio Emanuele I, Re di Sardegna; e da tutti venne ammirata la maniera signorile con la quale seppe fare gli onori di Fivizzano e della sua Casa. Al pari del padre amò l'agronomia e le sue terre......”

“Nel 1802, Agostino Fantoni inventa e costruisce per la sorella Carolina diventata cieca nel fior degli anni “…una macchina scrivente che fu la prima a stampare come fa una moderna macchina per scrivere…” Questa ‘preziosa stamperia’ sarà in seguito perfezionata da Pellegrino Turri” (dal sito www.museodellastampa.it). Oggi tali lettere scritte tutte in caratteri a stampatello bene allineati in un inchiostro nero tipo carta carbone, sono visibili presso L'Archivio Storico di Reggio Emilia. Carolina si sposò con Domenico Ravani Pallai di Ribolla ed ebbe parecchi figli, mori in Reggio nel 1841. I suoi figli regalarono in segno di riconoscenza la macchina da scrivere a Giuseppe Turri figlio di Pellegrino già morto dal 1828; da allora fu persa, forse gettata via ritenendola cosa inutile.


“Agostino fece murare nel 1842 un'epigrafe sulla tomba paterna” (Nota di Giovanni Sforza in “Contributo alla vita di Giovanni Fantoni” - 1906)

Il Conte Agostino ebbe due mogli, Maria Anna Vallisneri Vicedomini di Reggio ( che morì di parto) e la Marchesa Teresa Spinola di Genova che poi morì a Pistoia nel 1862. Dalla seconda ebbe quattro figli:
fra cui Isabella che sposò Francesco Caimi di Pontremoli, ma “corse il rischio” di sposare il poeta Giuseppe Giusti.
fra cui Paolo (28/7/1812-23/5/1874) , Gonfaloniere di Fivizzano e Deputato al primo Parlamento d' Italia, che sposerà nel 1863 Clementina Cellesi di Pistoia.

Clementina Cellesi ha una sorella che sposa il NH Piccioli di Pistoia e questi Piccioli diventano eredi dei Fantoni di Noletta, mancando nella famiglia Fantoni gli eredi diretti.

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Vediamo di conoscere meglio, attraverso la loro corrispondenza, questi figli del Conte Lodovico Antonio perché la conoscenza del loro percorso formativo, oltre che un vivo spaccato su questa importante famiglia fivizzanese, ci porterà a capire meglio la vita sociale di fine settecento.
In alcuni casi ho evidenziato le parole in grassetto al solo fine di puntualizzarne l'importanza per la storia locale..


La lettera seguente è stata scritta al Conte Lodovico Antonio Fantoni in occasione della nascita del suo ultimo figlio, quel Giovanni, Nepumoceno, Saverio, Celso, Francesco, Gaetano che diventerà Poeta Arcadico con il nome di Labindo. E la lettera scritta da un'amante della Poesia quale era il napoletano Ferdinando Velluti che era stato Governatore in Fivizzano, non poteva non essere che bene-augurante, infatti
Giovanni- Labindo ebbe poi i seguenti riconoscimenti:


NELL OTTOBRE DEL 1773 FU ASCRITTO ALLA ACCADEMIA DEGLI APATISTI DI FIRENZE

NEL GENNAIO 1776 GIOVANNI FU ELETTO PASTORE ARCADE CON IL NOME DI LABINDO ARSINOETICO.

Il 25 luglio 1782 diventa accademico ordinario della ACCADEMIA FIVIZZANESE degli IMPERFETTI allora costituita con il ruolo di Segretario delle Arti e delle belle lettere, eletto con voti favorevoli 7 e contrari 4, mentre il Presidente Conte Luigi Fantoni veniva eletto con voti favorevoli 10 e contrari uno. Primo censore eletto fu Franco Sarteschi, secondo censore Avvocato Franco Tomei con n. 8 voti favorevoli e 3 contrari. Segretario delle Sciente Battista Agostini Trombetti con 9 voti favorevoli e due contrari. Veniva poi eletto l'economo con voti 9 favorevoli ed uno contrari il conte Odoardo Fantoni.
(Ho ragione di ritenere che il contrario ai Fantoni sia stato l'avvocato Franco Tomei, come pure che i tre voti contrari alla sua elezione a secondo censore siano proprio quelli dei tre fratelli Fantoni: c'erano fra di loro della ruggine, e il Tomei veniva chiamato da Luigi con l'appellativo di “Zuccherino”)

Il 17 marzo 1785 fu ascritto alla Reale accademia Fiorentina

il 21 giugno 1795 fu ascritto alla ACCADEMIA DEGLI UNANIMI sotto la presidenza di Erasio Leone
IL 12 GENNAIO ANNO VIII della rivoluzione francese (1797) diventava socio della ACCADEMIA DEGLI UNANIMI di Torino

Il 9 febbraio 1801 il Governo Toscano gli conferisce la Cattedra di Belle Lettere all'Università di Pisa per la morte avvenuta di Padre Antonioli.
Il 10 febbraio 1805 l' Accademia ARUNTICA DI CARRARA lo fa socio con il nome di “Lirico”
Nel Luglio del 1805 diventava socio della Accademia Eugeniana delle ARTI di Carrara
Il primo Aprile 1807 IL VESCOVO RICCI presidente dell' ACCADEMIA SOCIETA' COLOMBARIA FIORENTINA lo nominava socio Colombario con il nome di “ Il Rallegrato”

Ecco appunto il testo :

Allorchè sento moltiplicare Figli nella sempre degna Casa Fantoni, mi si dilata il cuore dall'allegrezza. Pregando Iddio che accresca alla medesima Contenti a Contenti, Come V S Ill.ma si è compiaciuta darmi riscontro nel Comp.mo Suo foglio degl' es. Corr.te di un Terzogenito dato alla luce dalla sempre degna et amabilissima Sig.ra Anna, alla quale prego il mio Sig. Conte nel pormi a di lei pledi presentarle col mio rispetto, il Sommo giubilo, che provo nel sentirla benemerita della Repubblica, con darle Cittadini eguali a Genitori. Io come Lei ho passato il Carnevale al caminetto con Metastasio alla mano, lasciando agli altri che si spossassero al ballo in Saba, come aveva fatto a Fivizzano i SSri Finanzieri, giacché i paesani scarseggiano a monete, e ad unione fra essi.
V. S. Ill.ma che sa stare nel mondo, non di più che desiderare, desidero bensì io, che si confermi, e mi comandi, unitamente con la mia Sig.ra Anna.
Riconfermandomi con piena stima, e rispetto.

Galluccio 23 Febbraio 1755


Divotissimo e Obbligatissimo
Ferdinando Vellutti

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Il Velluti continua in un'altra lettera: (busta n. 254 ASMs)
“All'amoroso invitto di V S Ill.ma e della mia Sig.ra Contessa D. Anna, sarei partito per le Poste a ricevere l'onore e il Contento di essere Suo ospite , non un semestre solo, ma dieci. Se non mi trovassi già presso il mio Sig. Conte con lo spirito e con l'ossequio, come son sempre stato, e vi sarò finché vivo. Che se ben questo Spirito è languido per gli anni, nulla di meno è sempre più robusto. Ben spesso accade, che i più lontani, ci son più d'appresso, che non quelli che sono nella stessa Camera, e questo per l'amore che rende ogni persona vicinissima. Fermo ciò che è incontrastabile. Mi cibo delle loro saporite vitelle, e gusto quei vini delicati del Famoso Riccieri che non invidiamo i Borgogna, ed i Champagne. Passeggio i viali di Noletta, e vado cogliendo or quà or là, seguendo la mia Sig.ra Contessa, le odorose violette. Il Sig. Corradino Benedetti è adorno di tanti pregi , e prerogative che ben potea passarsi del titolo di Conte col feudo, ignorando forse questa massima, che in tanto gli Uomini son Nobili, in quanto si spogliano della Terra, e si vestono della Ragione Intanto lor Signori si godranno le Commedie in Commedie, che in cotesto clima si rappresentano tutto l'anno, e Lei procuri nell'uscire fuori del Teatro , non prender freddo. Io non sono in questo grado, divertendomi a leggere quelle del Metastasio accanto ad un buon fuoco, o pure certe lettere critiche, et erudite uscite alla Stampa, non è gran tempo, che sferzano l'uso moderno.
Alle belle giornate passeggio fermandomi ora a vedere i Putatori, ora le Ragazze a zappare il grano: quelli cantano, queste rispondono, che mi fan passare un quarto d'ora senza pensiero. Quello, che più mi diletta ed istruisce si è il ricevere dal Sig. Marchese Abbate Niccolini le nuove del Mondo Grande, il sistema politico de' Gabinetti, sopra dei quali si fa le sue savie riflessioni, che vedo poi osservate come seguirà della Guerra tra Francia e l'Inghilterra: Guerra che sarà breve, e che finirà col porre più quà, ò più là i confini in America, secondo gli eventi delle Armi, e coll'elezione del Ré dei Romani già la Francia ha nominati due Marescialli Belinghe e Riscelieu! Il primo comanda le truppe dà Bacona a Doncherchen, a che i Genovesi lo battezzarono più cortigiano, che militare, doppo che fece distruggere il Castel di Sarzana.
Io per la Dio Grazia godo ottima salute , pigliando il tempo come viene, non avendo impicci, ne impacci.
Una piccola industri di maialetti mi ha fruttato un cinquanta per cento, avendoci più fortuna degli altri. Più fortunato sarei se meritassi il favore de' comandi di V. S. Ill.ma . Riconfermandomi con pienezza di stima e vera cordialità

Galluccio 21 Febbraio 1756

Devotissimo
Ferdinando Velluti

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Che averà detto V. S. Ill.ma da non veder risposta alla Gent.ma Sua da Novembre à me scritta in occasione del Santo Natale. Averà detto o che io ero passato tra i più, o che ero diventato un trascurato e disattento. Ma niente di ciò, poiché assalito sulla fine di detto mese da un fiero catarro, con febbre , e tosse fui comunicato per Viatico, quando il Misericordioso Iddio che mi vuol convertito, mi rese la sanità. Il dì 2 del corrente mi portai per la prima volta in Chiesa per ringraziarlo, e buon per me se questa dilazione di tempo giovi all'anima mia. Ringrazio pure il mio Reverendissimo Sig. Conte dell'amoroso ufficio, che ha voluto passare meco, e si assicuri che con egual fervore di spirito gl'ho pregato dal Divino Infante, la pienezza dei magnanimi suoi desideri, e qualche cosa anche di più, come pur anche alla mia Sig. Contessa D. Anna portando scolpite nell'animo la bella immagine si dell'uno che dell'altra. Mi ricordo di quei aurei tempi ne i quali avevo l'onore, e la bella sorte di farli la mia riverente Corte. Invidiando à Fivizzanesi d'averli presente, e con loro un Sig. ed una Signora di sì rara qualità. Io la suppongo nella sfera della sua quiete, e nel centro del riposo; sebbene non ne sono del tutto sicuro, poiché la virtù che riluce in Lei, trova sempre degli emuli, e de contrari per la loro malizia, e persuasione. Non così segue in quest'Alconbenio ? di terra, regnano festose nei cuori dei nostri Pastori, e Pastorelle, onde io meno vivo quieto, e tranquillo come una Pasqua.
Rinunziai per sempre al Gran Mondo Partenopeo, scorgendo in quelli abitanti, ozio, ignoranza, e poco amore anche trà Parenti. Quel Paese non fa per me, come non fa per me quel loro fumo Vesuviano.
L'Eu.me casa Ianucci gode perfetta salute, e riceve tutti gli onori, e gli applausi del Ceto Nobile paesano, che forestiero. L'ultima volta che fui a Napoli, mi riceverono con tutta la Bontà e gentilezza, e nel congedarmi da essi piansi per tenerezza.
In Napoli tutte le monache dello Spirito Santo uscirono con la croce dal monastero, e si portarono a Palazzo, ove affacciatosi il Re, e sentite le loro querele, che consistevano nel poco vitto, che li davano quei Governanti: S. Maestà promise che ci avrebbe dato provvedimento facendole riaccompagnare al proprio Monistero, con un numero de' soldati di guardia, ciò seguì la mattina da seguito del corrente mese. Vorrei scrivere qualche cosa di pugno alla mia Sig.ra Donna Anna, mà non ho la forza di farlo, per la mano tremante, come pure il restante delle membra. V. S. Ill.ma dica in mio nome, ch'io son ringiovanito nel leggere l'espressioni del di lei buon cuore, e che io non mi dimentico di tanti Pregi, del suo bell'animo. Altro non posso fare che porger suppliche al Signore per la congeneazione di chi si degna Sig.re , come pure di V S Illma da questa mia Tebaide, di dove spesso col pensiero vengo a ritrovarla in quel bel Salone, in ispirito; et ansioso de' loro venerati comandamenti, con pienezza di nuova stima e rispetto immutabilmente mi rassegno.

Galluccio 15 Febbraio 1761

Devotissimo e Obbligatissimo
Ferdinando Velluti

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Da Galluccio il vecchio e saggio Ferdinando Vellutti scrive ai coniugi Fantoni la seguente lettera:

Eccomi più col cuore che con la penna a riverire V S Illustrissima come pure l'amabilissima Sig.ra Contessa D. Anna partecipandole, come ancor sono fra i viventi, mercé la Divina Misericordia, che mi vuole emendato, ma per altro vicino al Sepolcro. Raggiro gli acciacchi di una vita, che oltrepassa gli anni ottanta. Godo peraltro e ( parola illeggibile) di sentire , che ben presto Ella incamminerà al Collegio di Parma due Sig. suoi Figli maggiori Luigi ed Odoardo , ove farà conoscere qual sia stata l'ottima educazione de Genitori: mettendo a profitto i loro talenti , per divenire un giorno esempi di Pietà e Giustizia per governar sé e gli altri. Quale disastro si vede praticare nella Nobiltà Napoletana, rete di cui contrade si passeggia l'ozio e l'ignoranza in luogo dello Studio e dell'applicazione ai doveri dello proprio Stato. Nel mio, mi ritrovo l'Uomo più contento del mondo, non ostante che mi ritrovi solo, perché i miei Parenti fuggono di stare nel Feudo, per deliciarsi nei Campi Flegrei , e pascersi de Fumi Vesuviani. Qui godo tutti i comodi di una vita privata, ben servito nella mia operosità dalla piccola Colonia Toscana, che si pone a i piedi di V S Ill.ma , e della Sig.ra Contessa,. Non invidio gli indorati Palagi del sabato, ed i loro treni di prima e seconda Carozza: Gran Cecità, Gran Cecità.
Sig. Conte Reverendissimo, eccomi nel centro della quiete, e del riposo, dove fra queste persone deliziose, mi giunge ogni settimana qualche notizia dal Mondo, che mi vengono comunicate da buoni amici di Napoli, e di Toscana.
Dovevo sapere quel che vi si fa per il bene dell'Uman Genere. Più di ogni altra cosa desidero che Ella si goda la bella Noletta, con la sua cara Sposa, cui prego umilmente il mio rispetto, con assicurarla, che divino servo, e fedelissimo amico, come tale (?) di V S Ill.ma, che porto scolpito nell'animo, con la gloria di essere imutabilmente
di V S Ill.ma

Galluccio 13 Giugno 1761
Obbl.mo Ferdinando Velluti




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Trascrivo qui sotto un'altra lettera di Vellutti, da lui inviata alla Contessa Anna De Silva consorte del Conte Lodovico Antonio Fantoni, ove parla di Fivizzano:

“ Gradisca V. S. Ill.ma i miei riverenti ringraziamenti per le molto gentili obbliganti finezze che si è degnata compartirmi, in quest'oggi unitamente con il di Lei Sig. Consorte, le quali mi hanno talmente attaccato a Noletta che io ho sentito della pena a separarmene. Ho trovato alla Porta di Sotto il ceto più fiorito di Fivizzano, che speculava sopra lo sparare che faceva l'Avulla, non mancandovi chi asseriva, che fusse La Spezia a motivo d'essere stato il Sig. Duca di Richelieu insignito del Bastone di Maresciallo di Francia.
Presento a V S Ill.ma certa poca caccia che ho fatto per istrada; e per fine con mille complimenti al Gent.mo Sig. Conte, con tutto l'ossequi mi rassegno

Fivizzano 21 Settembre 1747 (?)
Divotissimo e Obbligatissimo Servitore
Ferdinando Velluti

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Ill.mo Sig. Padrone Colendissimo.

V.S. Ill.ma non ha nessun motivo di ricordarsi del mio nulla, ma la sola sua Bontà è quella, che si è mossa ad impetrarmi dal Divino Infante nel suo nascere la pienezza d'ogni felicità. Son certo che io l'averò tutte tutte, perchè derivate dall'ottimo suo cuore, e da suoi preghi che sono esauditi dall'Altissimo. Io nel rendere a V S Ill.ma distinte le Grazie, le imploro nel nuovo anno dal Cielo, tutte quelle contentezze, che può mai bramare su questa Terra, che manca, e non meno quelle del Regno che sempre dura in ricompensa de' Giusti. Questa mia preghiera è continua per la sua salute, come ben anche per ogni adempimento dei Magnanimi suoi pensieri. Il mio è sempre rivolto nella considerazione delle sue rari qualità, e doti, divenuto l'esempio di Codesta Provincia, che io ammirai per molti anni, nel governarla , che feci malamente. Gli anni mi tengono sequestrato nella mia Cella accanto al Caminetto con la sola compagnia del catechismo Bottari, ch'é un'opera da leggersi da un cavaliere qual'é V S Illma di sola Pietà, e di rara virtù. Si goda cotesta quiete come io mi godo il riposo frà questi boschi, che non invidio il Corpo di Chiaia , ne la strada Toledo di Napoli, ove non regna che la bacianeria, l'odio e l'ingnoranza, mentre esigendo di molti suoi comandamenti e di conservarmi il prezioso capitale della sua Benevolenza, ad V S Ill.ma con pienezza di rispetto mi glorio d'esser
di V S Illma

Galluccio 30 xbre 1762

Div.mo Obbl. mo Servitore
Ferdianando Vellutti


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Il Gesuita MATTEO LUIGI CANONICI dal collegio della nobiltà di PARMA in data 17 giugno 1763 in una lettera indirizzata al Conte Padre fra le altre scriveva:

“In assenza del pregiatissimo rettore partito per Bagni di Lucca trasmetto qui acclusa a V.S. Ill.ma la lista delle spese occorse per i Sigg.ri Contini suoi figli, e delle anticipazioni del semestre, rallegromi di potere nel tempo stesso avanzare assai vantaggiose notizie intorno allo stato di salute di entrambi; se le potessi scrivere uguali anche riguardo allo studio sarei contentissimo; ma quanto è diligente e premuroso in tutto il Conte Luigi, tanto è lanquido e trascurato il Contino Odoardo,.....”

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RELIQUIA DI SAN LUIGI

lA BUSTA N. 241 Dell'Archivio Fantoni da me visionata in data 06/03/08
e che raccoglie le lettere ricevute dalla famiglia dal 1763 al 1790 è interessante perchè molte lettere riportano informazioni e giudizi sul comportamento a scuola e fuori del poeta Labindo.
Purtroppo le lettere sono molto sciupate, consunte e macchiate da umidità per cui non sono completamente leggibili.

La lettera scritta da Roma, datata 7 novembre 1763 è firmata dal devotissimo Michelangelo Ricci il quale informa il Conte Lodovico Antonio Fantoni, sul comportamento scolastico di Giovanni, il futuro Labindo.
E scrive: “ Giovannino fino ad ora si porta bene, ed ha un gran genio di studiare, vedremo con l'esperienza se le parole corrispondono ai fatti.......” e subito dopo il Curatore Ricci scrive:
“ Se poi capitasse a casa quel padrone di barca di Massa gli dica che venga da me ed io gli consegnerò la reliquia di SAN LUIGI da Lei tanto bramata......”
Seguono altre informazioni di funzioni religiose ed i convenevoli.

La lettera la trovo interessante in collegamento con la mia ricerca “Una scultura ritrovata e la sua relazione con la Croce D'Argento di Agnino” in quanto parlo di un furto di argenti subito nel 1799 dalla famiglia Fantoni nella loro cappella; orbene nella Chiesa di Agnino oltre alla Croce d'argento e alla reliquia d'argento del legno della croce che abbiamo dimostrato essere provenienti da detto furto, OGGI TROVIAMO PURE UNA “RELIQUIA di SAN LUIGI”.
E allora, non è facile supporre che anche questa sia proveniente dallo stesso furto ed abbia quindi accompagnato le altre due?
Tanto per dovere di storia.

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Questa invece è la prima lettera scritta da Giovanni, probabilmente dalla Villa di Crespina ove era dalla zia Caterina, sorella di Agostino che aveva sposato il conte Albizio Ranieri Lanfranchi di Pisa. Scriveva il futuro poeta con caratteri a stampatello e con calligrafia di bambino di cinque o sei anni.
P.S.: “Checco” è il fratello di Giovanni , quel “Francesco” nato il 16/10/1753 che si fece prete o abate e morì il 1/4/1795.

“ AMATI SIG.RI GENITORI, LA CAMPAGNA MI DIVERTE MOLTO PER AVERE UN PO' PIU' DI VACANZA NE MIEI PICCOLI STUDI, ONDE MI COMPATIRANNO SE NON GLI HO SCRITTO PRIMA; STO' BENE BENE, E MI SONO LEVATO IL PRIMO DENTINO, CONTRASSEGNO CHE NON SONO PIU' BIMBO, E LA ZIA MI FECE IL REGALO, GNENE VOLEVO MANDARE, MA LO HO PERSO, MI SALUTI CHECCO E SONO TUTTO TUTTO LORO, MA PARTE ANCHE DELLA CARA ZIA E DEL MIO CARO ZIO, CHE MOLTO MI CRESCE NELLA PORZIONE DEL PRANZO.

Aff.mo figlio
GIO' FANTONI”

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In un'altra lettera la zia di Giovanni, Caterina Fantoni, scriveva al fratello Conte Lodovico Antonio di Fivizzano:
“Amatissimo Fratello,
Pisa 18 luglio

Ho il contento di assicurarvi e accertarvi la perfetta salute del nostro Giannino, quale stà benissimo e si è rimesso a meraviglia della superata Rosolia come vene diedi il distinto ragguaglio per l'ordinario, adesso Vi do la certezza del suo ristabilimento per mezzo Antonio Procaccino avendo voluto approfittarmi di questa occasione acciò restiate in quiete che il raggazzo stà bene e stà levato tutto il giorno, presentemente dorme essendo l'ora a bon ora che sono le 7 ma ho detto al Procaccia che si trattenga e aspetti che si svegli perché vi possa dar ragguaglio della sua ottima cera. Vi mando n. 4 Cioccolata che vi manda il Montelatici e con abbracciarvi teneramente resto Vostra. Il Cavalier Albizio vi fa mille complimenti e dice che ha posto un affetto così grande a Giannino per le sue ottima qualità che non l'ama niente di meno che se fosse suo figlio onde bene corrispondere l' affetto alla premessa per esso che per ciò (illegibile) genuitissimo di ragazzo. Come cognato per vostra quiete e consolazione vi accerto il totale ristabilimento del vostro Giannino quale stà benissimo e stà levato tutto il giorno avendo superato la Rosolia con tutta felicità come ve ne porsi la notizia nello scorso. Onde vi metete quietissimo e fidatevi della mia indefessa premura e altresì della tenerezza che ho per il medesimo amandolo come mio figlio non meno mio marito di che mi incarica assicurarmi a ciò. Se non fosse l'ora troppo presto Giannino Vi scriverebbe ma dorme, essendo ore 7, Ho detto al Procaccia si trattenga perchè vorrei lo vedesse, ma dice che non puol molto, basta che siete quieto perché vi giuro che il ragazzo si è rimesso perfettamente e stà benissimo; ho tutto in ordine della commissione mi deste, ma siccome mi diceste consegnare tutto a Ciuffo onde aspetto il medesimo quale mi disse sarebbe stato qua domani. Addio come cognato, il Cavalier Albizo vi scriverà per Ciuffo mandandovi i salciciotti.
Vi dico come la rosolia è venuta a Federigo e così in pochi giorni ancor esso sarà fuori di questo interazzo.
(Seguono le seguenti parole scritte a stampatello dal piccolo Giovannino:)

IN QUESTO PUNTO MI SVEGLIO E SALUTO I MIEI CARI GENI
TORI E STO BENE BENE

Vostra sorella e cognata
Caterina Fantoni Lanfranchi”


















Dal Collegio di Subiaco, in data 28 marzo 1765, quindi all'età di 10 anni, Giovanni scriveva al padre in questi termini:

“ Ho ricevuta la sua stimatissima, nella quale leggo l'ottimo consiglio mi suggerisce, ed oggi appunto scrivo alla Sig..ra Madre, alla quale avrei scritto anche prima; ma per non distogliermi dallo studio, ho prolungato finora. La ringrazio trattando tutte le amorose espressioni mi fa nella lettera ; e col maggiore ossequioso rispetto le chiedo la S.ma benedizione, e mi protesto
di V.S.Illma
Div.mo Servitore e figlio obbedientissimo
Giovanni Fantoni”

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In questa successiva lettera scritta dal Collegio di Subiaco in data 12 giugno 1766 Giovanni appare già come un piccolo contestatore perché scrive:

“Carissimo padre, Ho scritto Li fratelli, come mi ha imposto; per le figure e per la reliquia, non occorrono più perché la prego cacciarmi di qui e mandarmi in qualche altro luogo. Mi saluti la Sigra Madre, E Checco e tutti di casa . Chiedendole la benedizione le bacio umilmente le mani.
Di Lei carissimo Sig:re

Devotissimo Obbligatissimo figlio
Giovanni Fantoni”

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Sempre dal Collegio di Santa Scolastica in Subiaco, Giovanni scriveva ancora al padre:
“ Carissimo Sig Padre, dal Padre Ricci ho inteso i suoi venerati sentimenti a norma dei quali mi regolerò per l'avvenire, per risarcire in qualche parte le mancanze commesse, e il dispiacere arrecatole nella passata estate. Sorpresentemente le dico con ingenuità che vivo contentissimo avendo la sorte di avere un maestro professore di Firenze, uomo qualificato , di ottimo garbo, e mi usa particolare bontà, per i miei progressi. Si quieti dunque di animo insieme con la signora Madre, che io ed il sig. AZZOLINO riverissimo chiedendole scusa del disturbo arrecatole, chiedendole la Santissima benedizione, mi dico con il maggior rispetto,

Di Lei carissimo Sig Padre

Subbiaco 25 ottobre 1766
Devotissimo obbligatissimo Figlio
Giovanni Fantoni”

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Questa lettera inviata dal Collegio di Subiaco nel 1766 ci mostra un Giovanni rispettoso e devoto del padre oltre che felice del suo stato (aveva allora solo 11 anni!); Egli scrive:

“Grandissime sono le obbligazioni che le devo alle quali non so come corrispondere, se non coll'augurarle di cuore tutti quei contenti, ch'Ella sa desiderare nella ricorrenza delle prossime S. Feste di Natale. Il nostro buon Dio la renda pienamente felice, e le compartisca ottima salute, e piena pace di animo, e di corpo. Le do poi parte che io presentemente vivo contentissimo, e mi porto bene alla meglio posso, sebbene non tocca a me dirlo, essendo assistito con vero paterno amore da un devotissimo P. Maestro, per nome molto reverendo P. D. Anselmo Alberoni professore di Badia. Si consoli dunque, e viva felice. Chiedendole la S.ma Benedizione umilmente mi dico


Subiaco S. Scolastica 18 Xbre 1766

Devotissimo e obbligatissimo Figlio
Giò Fantoni”
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Il 16 luglio 1768 Giovanni scrive a casa da Roma accompagnando la lettera con versi su un altro foglio (non ritrovato):
“Per maggior consolazione di V.S. Ill.ma, e della Sig.ra Madre scrivo questi quattro versi con la quale la faccio consapevole che io sono guarito dal mio grave incomodo, spero che non vi sarà altro attesoché mi sono già alquanto rimesso in forza, e mi sento molto bene. In questa mia grave malattia il Padre Ricci non mi ha mai abbandonato, e seguita ad assistermi con particolare premura, talmente io sto allegro, e contento. La prego dei miei più affettuosi ossequi alla Sig.ra Madre, e de miei saluti a tutti di casa, mentre resto con baciarle le mani e chiederle la S. Benedizione.

Obbligatissimo Devotissimo figlio
Giovanni Fantoni

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Sempre da Roma in data 12 giugno 1769 Giovanni scrive a casa:
“ Il possesso non è più per il dì 4, com'ella me scrisse, ma bensì sarà nel mese di Novembre per essere più comodo per i Forastieri. Il Marchese Carlo Malaspina è partito mercoledì notte insieme con suo cugino. Io stò di ottima salute come anche Odoardo , che le bacia le mani. La prego de' miei ossequi alla Sig.ra Madre, e di un abbraccio a Checchino. Il P. Rettore, il P, Ricci la riveriscono distintamente insieme con i Sigg.ri Abati Federici e Vallerini, ed io baciandole le mani e chiedendole la S. Benedizione da vero figlio resto

Ubbidientissimo e affettuosissimo figlio
Giovanni Fantoni

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Labindo a 16 anni scrive così da Roma:
“Con sommo mio dispiacere a cagione della rigidezza del tempo, delle nevi cadute non ho ancora ricevuto sue lettere, ma spero tuttavia di averle tosta, che saranno cessati li geli. In questo Carnevale tanto io quanto Odoardo recitiamo da uomini, egli nella tragedia dell'orfano della Cina, io nel Mitridate, delle quali, tosto che sarà tempo, le manderemo lo scenario. Grazie al cielo stò bene come anche Odoardo che le bacia ossequiosamente le mani. La prego dei miei ossequi alla Sig. Madre, e dei miei rispetti ad Antonio Acconci. Il Padre Rettore, il Padre Ricci, ed i Sigg: Abbati Federici, e Vallerini la riveriscono distintamente, mentre resto baciandole le mani e chiedendo la Santissima Benedizione.
Roma 12 gennaio 1771

Obb:mo Affettuosissimo Figlio
Giovanni Fantoni

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A febbraio dello stesso anno Giovanni scrive a casa la seguente lettera:
“Sono cinque giorni, che sono libero dalla febbre, e dalla Risipola, con tutto ciò non mi sono ancora alzato da letto, per maggior sicurezza. La mia convalescenza va assai bene, ed ogni giorno più vado acquistando la forza a segno tale, che spero nel Signore di rimettermi in breve nel mio primiero stato. Il Padre Ricci la riverisce distintamente, e non gli scrive perchè Ella riceverà lettera dal Padre Rettore. Odoardo stà bene, ed io pregandola dei miei rispetti alla Sig.ra Madre, resto baciandole le mani, e chiedendole la S.B.
Roma 2 febbraio 1771


Ubbid.mo Aff.mo Figlio
Giovanni Fantoni

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A Giugno dello stesso anno Giovanni scrive:
“Di rimanchevole non v'é nulla altro in Roma, se non che Lunedì scorso Sua Santità tenne Concistoro, ed avendo già in petto due cardinali due altri se ne pose, i quali che siano, chi è d'un parere, e chi d'un altro. Io grazie al cielo sto bene, come anche Odoardo; che le bacia ossequiosamente le mani. La prego dei miei ossequi alla Sig.ra Madre e de' i miei più distinti rispetti a tutti , che si ricordano di un suo buon servitore. E principalmente al sig. Antonio Acconci . Il Pre Rettore, il Pre Ricci la riveriscano distintamente ; il che ancora fanno i Sig. Abbati Federici e Vallenni, mentre resto baciandole le mani e chiedendole la S. B.

Roma 20 Giugno 1771

Ubb.mo e Affet.mo figlio
Giovanni Fantoni

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Nella busta n 260 ho trovato lettere con cui abbiamo la certezza che il Conte Padre cercò di avviare Giovannino alla carriera ecclesiastica, e nel contempo anche la dimostrazione di come il medesimo non fosse portato alla vita religiosa. Infatti,
in data 17 maggio 1774 viene inviata da Firenze al fratello maggiore Luigi la seguente lettera:

“Non ho tralasciato di continuare le più pressanti ammonizioni presso il conte Giovanni che finalmente col Visitatore si è indotto a fare l'elezione del suo stato con maturità, e giudizio, per lo chi si è preso l'espediente di fargli passare otto giorni alla Canonica dei Roccettini a Fiesole, ove colla scorta del Sig. canonico Don Giovanni Silva loro cugino egli potrà fare le sue riflessioni sopra i discorsi ed ammonizioni del Sig. Visitatore e mie. Io gli ho messo in veduta che l'elezione del proprio stato è il punto più interessante dell'Uomo, e che senza il Divino Spirito facilmente ognuno può sbagliare, che però initium sapietiae timor Domini, onde si è fissato di andare domattina a Fiesole, ove l'accompagnerò io medesimo, e si comunicherà al Sig.Don Giovanni il motivo della gita, affinché lo diriga con qualche esercizio spirituale, specialmente nella ricorrenza della prossime festività della Venere dello Spirito Santo, acciò l'illumini a fare una buona elezione prima per l'anima e poi per il corpo. Che se con ciò si potesse ottenere di farlo Canonico Roccettino, come il D. Giovanni, creda che secondo me potrebbe essere la consolazione di tutti lor Sig.ri e specialmente della di Lei Sig.ra Madre , che mi fa pietà nel sentire l'afflizione, che ella prova per la poco buona condotta del figlio.
In tale stato di cose è bene di sospendere di dare avviso al Sig. Padre di tutti questi fatti, ed anche il Sig. Visit.re credo che pensi di aspettare la Risoluzione, che farà il Sig. Contino dopo questi esercizi, ed allora procurerà di avvisare con delicatezza il Sig. Padre di quello che penserà detto Sig. Contino.
E pregandola dei miei più rispettosi complimenti alla di Lei Sig.ra Madre col più riverente ossequio ho l'onore di confermarmi di V. S. Ill.ma

Firenze 17 Maggio 1774
Devmo obbmo
Luigi Paffetti

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Alla fine dello stesse mese di maggio le cose erano più chiare se lo stesso Paffetti scrive al Conte Luigi la seguente:
“ Per una lettera scrittami iermattina dal Sig. Don Giovanni Silva, il Visitatore Gillè credé bene di mandarmi ieri a riprendere il Sig. Conte Giovanni , il quale mi pare che non abbia fatto il minimo profitto nella sua dimora alla Badia di Fiesole , ma che anzi non abbia neppure pensato seriamente all'elezione dello stato che doveva fare, e per il qual fine si pensò di mandarlo a detta Badia. Il Sig. Visitatore ha pensato di scrivere gli andamenti del Sig. Conte al di Lei Sig. Padre , onde, se ella lo crede bene, potrà mostrargli ancora le mie lettere, acciò veda, che è qualche tempo che si pensa alla maniera di ridurre il Sig. Contino, in cui con sommo mio rincrescimento non vedo alcuna stabilità di vocazione.
Non mi diffondo a renderla intesa della condotta che il sig. Contino ha tenuto alla Badia, giacchè mi disse Don Giovanni che avrebbe scritto ogni cosa lui stesso alla Sigra
Madre . Ove sono abile a servire sì Lei che i suoi Genitori, mi spenda pure con piena libertà, assicurandola che mi troverà sempre disposto ai suoi cenni, e pregandola dei miei più distinti ossequi ai di Lei Sig.ri Genitori, con tutto il rispetto passo all'onore di confermarmi
di V S Ill.ma
Firenze 31 Maggio 1774
Dev.mo Obbl,mo serv. Ed Amico
Luigi Paffetti

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A 24 anni Labindo scrive al padre una lettera con la quale chiede l'intercessione al pagamento del suoi debiti (Molte altre avranno in seguito la stessa tematica)


“Ricevetti per mezzo del sig. Antonio Acconci i suoi ordini e furono subitamente eseguiti. Lo stato dei miei debiti da lei richiesti è tale , quale si è Ella specificato desiderando, ad eccezione della partita di Genova dove resta le lire 48 da lei benignamente pagate, all'Adamo si è aggiunta altra somma che in tutto ammonta a Piastre 133.2.6. Ho stimato a proposito giacché sulla mia parte si fa questo scorporo di aggiungervi ancora questa partita per togliermi in ogni caso da qualunque disturbo, quindi essendo obbligato a prolungare il pagamento al restante dei creditori di Genova, qui in un foglio specificati; Non vorrei che qualcuno si risentisse. Ricevo lettere dal marchese Grillo Cattaneo in cui mi consiglia a prolungare l'edizione della nota raccolta, non avendo ancora il necessario numero d'associati, onde ho formato di profittare di questa occasione, il che spero che lei troverà conveniente, qualora poi la detta raccolta mi dasse il profitto desiderato, sono sempre pronto a rimetterle quel tanto che si è aumentato per la nota partita, e tutto il resto, poiché ella è padrone di tutto quello che ho, soltanto mi dispiace che confina col nulla. Sarei inoltre a pregarla, non essendo la somma rotonda, e potendo, mi sembra senza difficoltà arrivare a scudi mille, di volermi graziare di scudi 15 che potrò rimettere quando si rimetteranno l'altre partite per togliere di pegno un oriolo ed altre poche cose, che anderei a perdere inutilmente e qualche scudo alla Signora madre per farmi un poco di biancheria di cui mi trovo bisogno. Desidero che le sue gambe la lascino in riposo, ma le raccomando il moto e l'allegria. Il primo è l'azione della vita e la seconda il confortativo. .... (seguono i convenevoli)

Fivizzano 19 settembre 1779

Aff.mo figlio
Giovanni Fantoni
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Il Conte Lodovico Antonio era un uomo profondamente religioso e lo dimostra questo foglio con il quale i Frati Servi di Maria dell'Eremo di san Giorgio, località sopra il paese di Aiola su un costone di roccia delle Apuane che guardano verso la Lunigiana, gli riservavano una stanza ove a sue spese il Conte poteva ritirarsi in contemplazione.
“AVE MARIA S. Eremo di San Giorgio 24 Novembre 1753

Si fa piena, ed indubitata fede da me infradetto Scriba del Capitolo, che nel libro capitolante segnato C. A116 si trova registrato l'infradetto partito del sopradescritto.
Adì 7 settembre 1753
Avendo il suddetto R. Padre Vicerettore radunato il Capitolo conventuale colle solite formalità, dopo le solite preci, espose che l'Illustrissimo Sig. Conte Lodovico Antonio Fantoni di Fivizzano bramoso di verità ogni anno al nostro Santo Eremo, per godere la solitudine, ed attendere agli Esercizi Spirituali, gli avea fatto la richiesta che gli fosse permesso dagli R.R.P.P. Vocali di far terminare perfettamente l'ultima stanza del Convento, con farvi fare a sue spese una Finestra grande a levante, la volea, con due catene e chiavi di ferro, ed un camino, farla mattonare, e di poi mobiliare con tutto il bisognevole, per servirsene in quel tempo, che si potrebbe starsene colla Famiglia Religiosa, a denota delle nostre Costituzioni, pagando ancora la sua dozzina a disposizione della dimora, e considerando i Padri che ciò rindondano in Beneficio, ed aumento dell'Eremo, tanto per lo spirituale che per lo temporale, risolsero di concedere a questo Signor Benemerito della nostra Religione, ed assicurare quella Stanza , per suo servizio e dimora in ogni caso, che gli piaccia venire a passare alcuni giorni con noi, colla riflessione che così detta libera l'Infermeria, e la Foresteria, che in sua venuta sempre starebbe occupata, e mandatone il Partito, restò vinto con tutti li voti favorevoli in numero di cinque, e nessuno contro. In fede di che si sono qui sottoscritti tutti li Padri vocali: Io Fra Agostino vicerettore approvo, Io fra Bonagiunta approvo, Io Fra Giovacchino approvo, Io Fra Filippo approvo, Così è Fra Paolo suddetto Scriba del Capitolo mano propria ed essendo quanto la verità hò munita la punza col Sigillo del mio ufficio In Fede.”

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Busta 282 lettera di Lodovico Antonio al figlio Odoardo Fantoni.

E' uno sfogo di un Padre al figlio per i tanti debiti fatti dal fratello Giovanni che allora aveva 24 anni. Lodovico vorrebbe forse vedere Giovanni sposato in casa Benedetti (?), suo ricco dirimpettaio, ma sa bene che è un sogno.

Carissimo Figlio
Siena 17 Gennaio 1779

Ho molto gradito la vostra del 10 corrente con le buone nuove di casa che mi avete dato, e se queste della vendemmia di Noletta non hanno corrisposto al nostro desiderio, stante il danno della grandine, e nebbia, ci vuol pazienza, sentendo poi con piacere, che mediante la vostra attenta assistenza si è fatto il Morone, il Brusco, e la Treggiara, e che si sarebbe fatto nella scorsa settimana un poco di Aleatico, e del Moscatello.
Avete fato bene a non far vendere la Botte del Brusco dell'anno passato, acciò non manchi il vino alla tavola, tornando presto Luigi e Cognata, che seguiteranno, almeno l presente, a vivere in comune, e col medesimo sistema, e Voi seguitate a far le mie Veci, e provedere ogni anno la famiglia con giusta regola, tenendo fermo quel prudente assioma economico = Chi non si misura, non dura, non dura= e si fa ridere i nemici.
Attendete nel medesimo tempo à riscuotere le scadenze dei debitori, e al principio di Novembre avrete ancora due Poste buone, il Mommi e il Mazzoni, l'uno di Soldi 50 e l'altro di Soldi 17 e più li capponi. Ripassate inoltre il libro Debitori e Creditori per salvare prima con buona maniera, chi non ha finito di pagare nel suo rispettivo tempo.
Sono imminenti tue spese solite e gravi, la vettura dei vini, e i Temporali per li mezzadri.
Torna bene, anzi è necessario di spendere assai meno del solito, non essendovi Checco, né so ora costì con Giuseppe, e qui non mi mancano spese, ma combatterò, farò il possibile per farvi rimettere da Firenze le lire 264.8 di Genova, ossia Barboni 508.16 che levai costì dalla cassa per pagare il debito di Giovanni con Giacomo Adamo suo servitore venuto di Genova.
Oltre questo, dopo che mi trovo qua, mi sono venuti fuori altri suoi debiti , e mi sono stati raccontati i pessimi elogi, che di lui si fanno in Genova, in Sarzana, in Lunigiana, in Firenze e fino in Siena passando per uno Scroccatore, senza carattere di Galantuomo, che sapendo d'esser figlio di famiglia, ha operato e promesso quel, che non poteva per coscienza e per onore, facendosi grande con la robba degli altri.
Potete immaginarvi, quanto tutto ciò m'abbia afflitto, mentre, come si accorda tutto ciò, con quel che Giovanni mi scrisse da Genova, e costì mi disse che <non avrei sofferti altri debiti, né disturbi per lui>? Egli non mi ha fatta la confessione giusta, e poi non merita d'esser rimesso nella mia grazia. Oltre di ciò, la retta giustizia, se richiede che i suoi debiti vadino addosso alla mia parte, non vuole già, che questa piaga si faccia ove sappia le mie Entrate, e che me vivente, il noto scorporo me la faccia patire con le prove Diminuzione delle Entrate, quando egli non la patirà, se non dopo la mia morte. L'onore che egli mi doveva fare, come mio figlio, era di comparire Galantuomo con il suo assegnamento, e non di fare il grande con gli Scrocchi, e la roba degli altri, a cui non dovrei pagare, neppure un soldo, e mi sono obbligato per liberarlo dalle Prigioni.
Caro Odoardo vi fò questo paterno sfogo in mezzo ai presenti travagli dei nostri interessi di casa. Comunicate questi miei, più che giusti sentimenti, al Disgraziato Giovanni, acciò rifletta, e veda i suoi spropositi , e pensi ora e più che mai seriamente, à casi suoi che sono in pessima situazione.
Ciò nonostante, io gli desidero , l'unica risposta, che egli potrebbe avere d'entrare in casa B. Ma quando egli vede, che ciò possa riuscirgli, come a 4 quinti, io già ne dubito totalmente. Che vuol fare? Che vuol fare?
Dopo tutti gli impieghi civili, e militari, che fin ora ha avuti, e tutti gli sono andati a rotta di collo: che vuole aspettare di peggio? Che più lusingarsi come ha fatto fin'ora con le sue Poetiche Idee, e Chimere?
Checco buono, e semplice, ma farà bene di qua, e di là con quiete, e onore.Dicono i Signori Padri, che si fa quel che si vuole, = Si non est vocatus, faciat X et vocetur=
Il Collegio Tolomei ed il Sig. Tedeschi sono ancora in Villa, e al ritorno non li posso fare li vostri saluti. Di cuore v'abbraccio e benedico Vostro Aff.mo Padre

Lodovico Antonio Fantoni



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La Busta n. 282 contiene le lettere del Padre a Odoardo rimasto in casa a Fivizzano.
Il Conte Ludovico Antonio è' un uomo dotato certamente di buon senso, di premura, ma affezionato più alla “roba” e alla “Casa” che non ai sentimenti dei figli.

Carissimo Figlio

Siena 27 Febbraio 1780

Dovete sapere ch'io non tengo punto carteggio con Luigi, e almeno ora non voglio tenercelo, ma Voi non avete intesa la mia lettera. Io non vi hò dato, che parlate a Luigi a nome Vostro, ma che li mostriate il capitolo della mia lettera, acciò da se medesimo veda, sappia, e tocchi con mano, che questa posta non viene da Voi, ma che son io (intendete?) son io che vi do ordine di fargliela perché non si prolunghi di più il dare esenzione al Piano, proposto dal Sig. Auditore Agnini (come sa Luigi) e che è necessario per la quiete, e Vantaggio Comune, e po' non mi fate più altre difficoltà, ò scuse per eseguire quel che io vi ordino. E non sapete il proverbio, che dice = L'Ambasciatore non porta pena= Chi non vede che Luigi non può lamentarsi di Voi , che non fate altro che ubbidire, come dovete, all'ordine, che vi ha dato Vostro Padre? Dunque il capitolo che di nuovo Vi scrivo nel fine di questa lettera, fateglielo vedere , e leggere, e ditemi il risultato.
A Voi poi vi aggiungo che questo piano creduto necessario à tutti, quanto più lo è a noi , che avendo sulle nostre spalle anche la famiglia di Luigi, egli risparmia tutto il suo, e noi consumiamo tutto il nostro (come già provate) e non basta per questo Piano . Si devono dividere in due parti tutti codesti poderi, ed entrate; la maggiore per noi (che siamo più) e la minore per Luigi e sua famiglia (che sono meno) e per tale divisione e proporzione , vi potrà dare lumi e ajuti occorrenti il Sig. Antonio Acconci, che sommamente mi riverirete, e per le rendite dei poderi il Verdi pratichissimo di Campagna.
Siccome sanno in Firenze, che il detto Agostino Acconci si è sempre servito del Stefanchi, così senza precedente avviso non potevano sapere, che si serve ora di altro Canale, che neppure sanno chi sia.
Vi ricordo mandare per primo riscontro le solite 12 mortadelle à Montelatici di Pisa, e l'altre 12 a Monache di Firenze T. Pulcheria.
Secondoché mi ha scritto il Sig. Auditore Agnini , Luigi vi deve partecipare il piano di divisione, che deve farsi tra noi, di tutti codesti Poderi, ed entrate, credendosi necessario per la comune quiete, e vantaggio, che ambedue le parti riconoschino, ed abbiano i loro liberi assegnamenti. E' ben vero, che si potrà continuare a convivere alla medesima Tavola, massime la mattina, perché le spese Vittuali d'ogni cosa si paghino al Verdi, ò altro nostro spenditore, dà Voi per la massima parte, e da Luigi per la sua, à proporzione delle Persone di ciascheduna parte. Questo del metodo, e modo tornerà meglio per tutti, e si spenderà meno tutti, secondo il celebre detto = Concordia res crescunt et Discordia dilabuntur= e Luigi non penserà a mettersi nella spesa, et imbarazzo di fare una nuova Cucina, nella Camera di Giò Santi, e di perdere questa Pigione. Comunicate tutto ciò a Luigi per mia commissione, ed ordine, e ditemi il risultato.
Vi hò da fare a tutti gli altri i premurosi saluti del degnissimo Fra Zuadri Rettore del Collegio Tolomei, che nonostante l'esser occupatissimo ebbe Domenica scorsa la bontà di tornare à favorirmi, e si trattenne molto da me, e lo pregai di sentire Checco , ed animarlo a superare quelle perplessità, che ancora mostra, dicendo che <spera di vestirsi a Firenze> , ma non dice d'avere per anche la sua volontà determinata, e risoluta, com'è necessario, che faccia conoscere, e così li dissero anche i PP di Monte Oliveto Maggiore che furono ultimamente qui a favorirci. Il detto Padre Rettore mi ha promesso di sentirlo meglio , e più a lungo, e di farlo esaminare da altro soggetto, prima che a Maggio io lo conduca à Firenze. Intanto il ragazzo stà attento alla scuola, e fa profitto, ed io hò tutta la maggior premura, come potete credere d'arrivare à stabilirlo per suo vantaggio, e alla Casa.
Datemi nuove degli affari di Giovanni, in che grado sono presentemente, e quali risposte egli abbia avute da M. Thedun e dal marchese Spinola per i rispettivi suoi Creditori d' Alessandria, e di Genova.
Per gl'interessi di casa mi riporto a quanto vi hò scritto.
Ho gradito le nuove del Bimbo, che stà bene , e prosperoso, ma le gran nevi e tempi umidi di quest'anno, mi fanno temere molto delle nostre Scale, che in tali tempi son bagnate, come l'olio, e senza una somma avvertenza si può sdrucciolare, e pericolare. Ritornate i miei distinti complimenti alla Sig.ra Madre, e Sig.ra Cognata, e salutandovi affettuosamente à nome ancora di Checco, ed il simile a Vostri Fratelli Di cuore vi benedico
Vostro Aff.mo Padre


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Busta 282
Car.mo Figlio

Siena 26 Marzo 1780

Per la quiete, vantaggio, e decoro della nostra famiglia, (come da tutti non ardentemente si desidera) non si ha da dividere la Tavola, e Cucina, cioè il convivere, ma gli assegnamenti , con li quali noi per la parte nostra, e Luigi per la parte sua si deve contribuire à convivere, secondo il numero delle Persone di ciascheduna parte. Il Piano di cui vi hò mandato la copia (ritenendo presso di me l'originale) mi fù proposto dal Sig. Auditore Agnini à nome di Luigi da cui fù disteso, e postillato, onde, come gli può arrivare nuovo? Nuovo sarebbe l' affitto, che ora Egli penserebbe e che non è fattibile per nessun verso.
Dunque riepilogando il suddetto Piano, a noi tocca:
Caugliano li tre Poderi, Posara, Gassano, Agnino li due Poderi, Collecchia, Cecina, Borri, Spicciano, a cui io aggiungo Anticcione, sì perché non deve esser diviso dagli altri due del Borri, e Spicciano a cui stà in mezzo (e sarebbe un seminario di liti anche trà i Mezzadri) sì perché non può toccare a Luigi, la cui porzione, come dite, ricrescerebbe troppo. E di più le altre Entrate come in detti Piano.
A' Luigi tocca:
La Villa e tenuta di Noletta, e Germagna, Moncigoli li due Poderi, e Fazzano.
E tutto deve amichevolmente considerarsi à tavolino su i Libri dove sono registrate le Grasce, Contanti e tutte quante Codeste Entrate à proporzione delle Persone di ciascheduna Parte, e siccome noi siamo più, a noi deve toccare di più. Che è quanto conferirete con luigi e mi comunicherete il risultato, sperando che tutto si accomoderà facilmente.
Hò sentito con sommo piacere che il Sig. Auditore Agnini abbia fatto à Luigi e a tutti noi la grazia d'esser compare alla nuova Prole, che è per dare alla luce la Sig.ra Contessa Maddalena e che Voi farete le veci di detto Sig. Auditore e torna bene che abbiate dato alla Sig.ra Madre il grechino per la figlia di Quaretta, e ciò che mi dite riguardo ad altre elemosine. Del resto, vedo benissimo, che noi siamo più di Luigi e sua famiglia, ma non vedo, che ora s'abbia a spendere per la sola nostra quota, la somma , che mi segnate, mentre per la sua Luigi contribuirà al Vitto, Uffiziatura, Scuola ed altre spese necessarie. Voi per riferire, dovete sempre fare, come hò fatto sempre io, Fate cassa Comune col vostro assegnamento, levate quel che potete per Voi, e anche per Giovanni, dopo aver fatto bene i conti di quel denaro che avete e tirerete per le spese necessarie dei seguenti mesi. Troncate le superflue. La Famiglia ci è cresciuta , e ci sono cresciute le spese, e ora scema l'Entrate per i debiti di Giò.
Dunque è visibile, che non possiamo da quì in avanti spendere, come prima, non più larghezze, e splendidezze, ma misure e giuste regole, come Gargiolli ed altri de' più giudiziosi; altrimenti ci ridurremo come Jacopetti , faremo ridere i nemici, e gl'Ingrati del Paese, e noi piangeremo quando non saremo più in tempo. In oltre, per sentimento de' Teologi è vera colpa avanti a Dio, e il mondo, à spendere per il proprio mantenimento più delle Entrate , e per via di debiti che non si possono pagare per l'ostacolo dei fidecommissi!
Voi mi dite , che di 4 figli ne avrò tre Sudditi, e Servi, cioè Voi Giò e Checco, che mi riguarderete come Padre e Padrone.
E perciò come tale vi do per leggi i seguenti punti da ponderare con la più seria riflessione e memoria per vostro bene.
Il Primo è che da Firenze fino a Xbre non si può avere un quattrino.
Il 2° è che a Xbre non si avranno più le solite Entrate = D'essersi pagati (come seguirà in breve) i Debiti di Giò.
Il 3° è che dopo di me non avrete mai , neppure un quattrino di quell'Entrate che passeranno in mano di Luigi.
Il 4° è che non devo, e non voglio far Debiti. Se li farete da qui avanti Voi penserete anche à pagarli, perché da qui avanti non posso assolutamente più pagarli punto, né poco. E poi vi replico misura, misura del presente, e dei mesi à venire. Lasciate tutte le spese superflue, tenetevi alle sole necessarie, fate ogni giorno à Tavolino li scandagli delle Entrate , che vi restano delle Grasce e consumi, e dei contanti e spese necessarie.
Che è quanto in risposta per il vostro bene e di cuore v'abbraccio e benedico
I miei saluti e di Checco a voi tutti.
Vostro Aff.mo Padre

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Busta 282

Carissimo Figlio

Siena 16 Aprile 1780
Sento con sommo piacere, che dal Sig. Auditore Agnini abbiate ricevuto una Gentilissima lettera di gradimento per la funzione, che avete fatta a nome suo (la quale non sò, se sia stata veduta di buon occhio da tutti del Paese) ma io, e voi, e tutti noi non possiamo avere migliore appoggio di Detto Sig.re, e po' procurate ancor Voi di confermarvi la sua bontà e benevolenza. Vedo, con altrettanto piacere, che Voi l'avete per i nostri nipotini, e vi porto l'esempio dei Vecchi Sarteschi, de' Querni, e attualmente del Sig. Agostino Gargiolli , che fù la fortuna dei nipoti, come mi ha detto più volte il Sig. Giannino Gargiolli nel venire qui da me à torchio, e m'ha incaricato di riverirvi distintamente; il che farete da parte mia con quei Nipoti che mi faroriscono.
Dalla Sig.ra Madre sentirete la finale risoluzione di Checco, il quale mi dice di parteciparvela lui medesimo qui appresso, e di cuore vi benedico
Vostro Aff.mo Padre


Carissimo Fratello
Risoluto il mio stato d'essere Prete in Casa, che i noviziati e le Religioni non fanno per me , e così mi ha consigliato il Padre Rettore , e il padre Vicerettore, e il Sig. Dott. Fontani. Se piace a Dio verrò a dirti le Sante Messe nella nostra Cappella di Casa che lo direte ai nostri Fratelli e alla Sig.ra Cognata facendoli i miei saluti , e baciando i Nipoti. Resto con tutto l'affetto

Vostro Aff.mo Fratello
Francesco Fantoni
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Busta 282

Carissimo Figlio

Samminiato 14 Agosto 1780

Il Fattore di Noletta è capace di tutte le incombenze al Verdi e di vendere il vino, e può benissimo nei giorni di lavoro andare la mattina à buon'ora in Noletta, per vedere, se eseguiscono le faccende ordinate da lui il giorno avanti, e po' credo, che ci potrà servire con vantaggio , e si farà onore. Se poi egli non accetta di servirci così , scrivetemelo, che farò venire a Natale altro uomo capace, e intanto avete pensato bene a metterci Andrea al Borri.
Hò sentito con tutto il piacere il ristabilimento di Checchino, e che abiate avuto costì fra noi l Sig.ra Marchesa di Fosdinovo col Marchese Azzolino, e il Sig. Marchese Carlo di Pallerone; questi degni ospiti meritano da Voi, e tutti di Casa ogni attenzione anche per corrispondere alle bontà, e finezze usate alla Cognata, e a Luigi nel ritorno da Firenze, e se vi sono stati anche la mattina di S. Gaetano, avete fatto bene a farli il trattenimento d'un Accademia, facendo fare in Sala diverse Sinfonie dopo le ore 10, in tempo alle Messe, come hò visto fare in Firenze, e in Siena nelle Case de' Gentiluomini, che hanno la Testa nelli loro Cappelli, dando ai Suonatori la Cioccolata...Io non v'ho proibito , né vi proibisco queste attenzioni alli degnissimi Signori Ospiti, ma Vi proibisco costì in Casa, e invite pranzi, e attenzioni a quelli del Paese , che trattano da quelli che sono, Nobili di 4 giorni a forza di quattrini.
Salutate li Fratelli anche a nome di Checco, e di cuore v'abbraccio
Vostro Aff.mo Padre



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Lodovico Antonio Fantoni scrive nel 1789 al figlio Giovanni- Labindo che allora aveva 34 anni, e che forse era a Massa oppure dal suo amico il Marchese di Fosdinovo.

“Carissimo Figlio Fivizzano 26 Maggio 1789
Nelle angustie in cui mi trovo per liberarvi dal castigo minacciatovi da S.A.R. D'esser condotto nelle forze di Napoli, Voi mi chiedere quel Denaro, che mi resta per la Famiglia. Pensate alla circostanza à cui avete ridotto Voi, e me, e quanto perciò vi è necessario di star ristretto in tutto, e per tutto, in tutto e per tutto.
Hò graditi i limoni che mi ha mandati il Vostro servitore, ma con dispiacere mi bisogna dirvi di nuovo, che non vi è modo di mantenervelo, e se i vostri fratelli non possono avere che un solo servitore per tutti di loro, quanto meno lo potete avere voi presentemente. Queste indubitate Ragioni vi devono servire di regola, e invece di farvi ora un nuovo Abito, che è superfluo, fate vendere à Sarzana il Folaj, e valetevi del Denaro ricavato.
I miei più obbligati ossequi al Sig. Marchese, e scrivendovi Odoardo
Resto di cuore, e vi benedico

Vostro Padre Lodovico Antonio Fantoni.
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Queste successive lettere, tutte contenute nella Busta n. 269 sono le lettere scritte dal Conte Lodovico Antonio al figlio Giovanni e contengono consigli e rimproveri a volte anche severi, ma dettati sempre con un grande affetto.
Carissimo Figlio
Io v'ho scritto e vi replico, che se prima della partenza delle LL M(?) Non vi è conferito l' implorato impiego a Napoli, e se per andarvi non siete ammesso nella Flotta, ritornerete subito qua a casa , che in tal frangente è l'unico scampolo che vi resta Io non vi accorderò mai che corriate l'azzardo e l'avventura in detta città secondo quel celebre detto “ quid est quod erit? Ed quod fuit” Si vede la contraria fortuna che avete avuta fin d'ora, ed ultimamente appresso Milord, in cui avevi tanto confidato per che meravigliarsi? Voi avete sperato sempre nel mondo, e poco in Dio, da cui siccome principalmente abbiamo l'essere, così sa lui solo se potiamo avere il felice essere. Dice la Santa Scrittura che Dio ha nelle sue mani il cuore dei Re, e dei Grandi del Mondo, che egli muove come vuole. Dunque, caro Giovanni, siate per l'avvenire più devoto, e moderato, e prudente. Senza questa delle Virtù, dicono gli autori e mostra l'esperienza, che nessuno ha fortuna almeno stabile, e per maggiormente acquistare a pro vostro i vostri Protettori, e specialmente il Sig. Marchese Manfredini, non abbiate difficoltà di dire, che da vostri Antenati avete ereditato la qualità della nascita ma non la roba che si è prodotta, che voi siete in 4 fratelli, e voi un povero Cadetto.
Infatti in non posso rimettervi quel che appena mi servirà. Per mantenere la Famiglia fino a Dicembre, atteso il vostro gran disappunto per dopo tante vostre lettere e promesse, io non posso darvi altri aiuti. Sapete che per farveli io mi sono vuotato di denaro, e non posso e non voglio angustiarmi di più, e voi non siete il solo, ma la gran famiglia cui devo pensare. A on può riuscire di farvi avere altri Cento Zecchini, ma se li troverete perché siete affidato da impiego a Napoli, pigliateli pure, che io garantirò che si darà di denaro, e questo ancora per giustizia dovrà cadere sopra la parte del Patrimonio, che si succederà dopo la mia morte, sicché pigliateli, per mezzo del Sig. Zio, che mi riverite infinitamente e gli farete i miei più chiari complimenti.
Col ritornarvi altrettanti saluti dalla Sig.ra Madre, e di tutti noi, e dal Sig. Acconci, attendendo la prossima nuova resto, e vi benedico


Ps: per quanto vivamente desideri di rivedervi, e abbracciarvi qui prima che facciate il bel Viaggio a Napoli, ci parrebbe bene , che non chiedete il permesso di venir qui in tre giorni di cammino forzato, ma ci ribasta questo contento pressapoco tra due anni, dopo che sarete già istalato e stabilito in quell'impiego che credete meglio. Ricordatevi soprattutto di quanto vi ho scritto di confidare principalmente in Dio, Arbitro supremo delle Sorti. (salmo 126)
Vostro Aff.mo Padre

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Carissimo Figlio
Fivizzano 4 Febbraio 1786
La vista deteriorata unita all'età avanzata, mi fanno scriver poco, e per mano del nostro Checco Segretario.
Veramente credevo di ricevere in questo ordinario il noto foglio legalizzato in formato per farne quell'uso necessario che sapete, e siccome per quei motivi che mi accennate non me l'avete inviato, e vi esibite di fare una Fede Giurata, ossia una dichiarazione da voi firmata , e sottoscritta dai nominati due testimoni Canonico Silva e Marchese Ginori con farla riconoscere da notaro in formato come mi dite, ed è necessario; così mi conviene informarmi dal Procuratore di Firenze se potrà servire all'effetto desiderato, e di cui vi manderò in appresso la minuta a scanso di ogni ulteriore difficoltà.
Si sono sentite da me e da tutti noi con sommo piacere le vostre ottime nuove di salute, alle quali desideriamo che siano unite quelle dello sperato vostro ristabilimento in Servizio di codesta Real Corte. Io vi ricordo le massime fondamentali che vi ho scritte per ottenere e mantenere la vostra Fortuna, e confidare con le buone opere principalmente in Dio, da cui dipende ogni nostro bene spirituale e temporale, e tenere la buona regola di prudenza, parlar poco e breve finché si può. Guardatevi dalle spese superflue e dagli impegni.
Gradirò molto ancora codeste altre nuove che potreste darmi, e ritornandovi i cordiali saluti di tutti noi, e particolarmente della Sig.ra Madre, di Odoardo , dei nipoti e del Segretario e quelli al canonico Silva , con pienezza d'affetto vi abbraccio e Benedico.
Anche il Sig. Antonio vi ritorna duplicati saluti.

Anche il Sig. Antonio vi ritorna duplicati saluti
Vostro Aff.mo Padre

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Figlio

Fivizzano 25 Febbraio 1786
Due cose ci fanno gran specie, la prima che in sei mesi che siete in codesta capitale sperando onorevole Impiego, non abbiate avuto finora che sole speranze, e lusinghe senza sicurezze . L'altra cosa è che in tutto questo tempo non abbiate pensato di scrivere al Sig. Marchese Manfredini per riportare il potente appoggio delle sue efficaci raccomandazioni presso codesta Real Corte, e Ministero che per tal mezzo conseguireste l'implorato impiego.
Dovete ancora presentarvi al Sig. Giuseppe Bonecchi Segretario di legagione e Console in Codesto Regno.
Non ottenendosi lo Scorporo, ci troveremo in angustie e non vi si potrà più rimettere denaro nelle urgenze in cui vi troverete; per ottenerlo vi si chiede la vostra domanda, e il consenso dei Vostri Fratelli chiamati al Fidecommisso ascendentale, in mancanza vostra. Scrivete a luigi , e Odoardo una lettera nei seguenti termini, e non perdete più tempo, perché l'affare porta il corso di molti atti, e però anderà in lungo la spedizione e il potervi rimettere il denaro.

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Carissimo Figlio
Fivizzano Primo Aprile 1786
Mi sono consolanti le speranze, ma molto più mi saranno le sicurezze del vostro impiego.
La Prudenza però vuole che abbia due occhi, uno al presente e l'altro al futuro.
Vi ho scritto molte volte, che stante il disappunto dei Ducento Zecchini, io non posso rimettervi quello che mi è necessario per la famiglia, Che per ottenere lo Scorporo bisogna fare gli atti occorrenti, e indispensabili, che portano in lungo. In sei mesi potevano essere fatti, e non si sono ancora cominciati E prima d'impegnarvi al noto impiego , bisogna sapere che stipendio vi sarà fissato, e se sarà sufficiente, come voglio credere, anche per supplire al Vostro equipaggio. Intanto, prima d'ogni cosa, bisogna ottenere il desiato impiego, e dopo ottenuto, allora potrete inserire nella Fede dello Scorporo, che lo chiedete per equipaggiarvi, atteso l'ottenuto impiego.
Son persuaso delle spese che bisognano in una Città come codesta, e se vi siete regolato, come mi dite, questa vostra condotta vi farà maggiormente merito, per conseguire l'Impiego. La Sig.ra Madre, Odoardo, il segretario Checco e il Sig. Antonio vi salutano cordialmente e sono i soli a cui ho comunicato e comunicherò le vostre lettere e non saranno mai comunicate ad altri. Odoardo mi ha fatto vedere un'altra lettera che ha avuta in questo ordinario dal Pupeschi, che gli fa gran istanza d'esser pagato, e quel Merli di Firenze non gli ha mai risposto; sono cose che affligono e sconcertano.
Luigi la cognata ed i Nipoti vi ritornano cordiali saluti. Abbiamo qua in questa stagione tempi stranissimi, che suppongo anche costà, e però abbiatevi cura, e non camminate tanto, e con tanta cordialità vi abbraccio e benedico
Vostro Aff.mo Padre


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Fivizzano 22 Aprile 1786
Nessuno al mondo vi compatisce più di me, ma nel medesimo tempo compatisco anche me, a cui chiedendo denaro senza il tante volte predicato scorporo, da voi pure conosciuto necessario, e poi in silenzio mi chiedete la condizione dell'impossibile “ et impossibilium nulla existentia” Io risento ancora il disappunto dei Dugento Zecchini, e devo pensare al mantenimento della famiglia che siamo in una annata senza Olio, che è la migliore entrata, nella disgrazia di rovinarci la cucina vecchia, e stanze annesse, a cui per necessità ci bisogna presentemente riparare, e fabbricare; e liti in Firenze suscitate contro il Capitale Pazzi. Mettete assieme tutte queste cose e vedete se posso farvi veruna rimessa, senza lo Scorporo che in tanti mesi vi ho detto e e ridetto, e voi ve la siete passata senza nulla concludere, né mandandomi la carta autentica della vostra domanda, perché gli atti da farsi porterà qualche dilazione di tempo. In vista di che , io vi pressavo a mandare per tempo detta carta vedendo di non potervi con l'entrate rimetter denaro.
Per secondare dunque il vostro Bisogno, ed il mio affetto, in queste circostanze io non posso far altro, che prestarvi il mio consenso acciò voi potiate procurare costì la carta per lo scorporo almeno di Soldi Ottocento Fiorentini. Voi mi dite che in questo mese, e nell'altro otterrete l'impiego. Se vi riesce come vivamente desidero TE DEUM LAUDAMUS, altrimenti non vi lusingate più, non vi lusingate più (come sempre è stato il vostro difetto) ma col motivo di salute ritornatevene per mare a livorno, e poi qui a Casa.
Mentre la casa attese le dette spese non ha assegni per mantenervi fuori . Saprete che Milord Comper è partito da Firenze per Londra il dì 10 corrente e conoscete anche voi quel che hanno conosciuto tutti: la poca amicizia che hanno mostrata per Voi quegli Amici , su i quali tanto contavi.
Il vero vostro e nostro amico, Sig. Maurizio, nostro applaudito Proposto vi fa mille ossequi e ringraziamenti delle nostre congratulazioni e vi ritorno i saluti di tutti noi, in particolare della Sig.ra Madre, e di Odoardo, e Checco e Sig.re Antonio, e avrò caro che recuperiate il Sigillo, quando non vi costi troppo per il corriere, ma bisogna che facciate correggere lo sbaglio dell'incisore, che ha fatto le linee orizzontali quando devono essere perpendicolari.
Ho molto gradito la vostra premura per la mia salute per la quale mi continuo ancora il buon riguardo che raccomando ancora a Voi, e di cuore vi abbraccio e benedico
Vostro Aff.mo Padre
Ludovico Ant. Fantoni
I nostri saluti al Sig. Canonico Silva

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Carissimo Figlio
Fivizzano 25 Marzo 1789

Coerentemente alla vostra lettera avendo io tenuta la più lunga e seria conferenza con l'espertissimo nostro amico Sig. Antonio, si è trovato che il vostro debito con la Sig.ra Cito è un affare assai più imbrogliato e spinoso di quello che ci pareva, e poi dovendo pensare al sollecito pagamento, à nulla gioverebbe, ma piuttosto inasprirebbe la proposta nuova obbligazione. Intanto, mentre si pensa al riparo, riflettete ancor voi in che pelago avete messo voi, e me e tutta la casa.
I miei ossequi al Sig. Marchese, e Sig.ra marchesa Azzolino, e rimettetemi la lettera del Can. Silva, per rispondergli più adeguatamente, per ora in fretta resto e vi benedico
Vostro aff.mo Padre

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Carissimo Figlio
Fivizzano 3 giugno 1789
Poiché vi è conosciuto quanto vi amo da Padre, quantunque voi qual Figliol Prodigo abbiate dissipate, le migliori sostanze , che a suo tempo dopo di me erano per toccarvi, e le abbiate dissipate con mio grave dolore, a poco decoro di nostra casa, e che non lo permetta lo stato della medesima, per le continue gran spese della numerosa famiglia che siamo, né tampoco lo voglia la giustizia per l'egualità , che si deve tenere nella distribuzione delle rendite, mosso dalle rispettose, e afflittive istanze della vostra lettera del primo corrente, mi sono indotto a passarvi d' ora in avvenire, Due Filippi ogni mese, acciò con questi sappiate misurarvi, ed impariate quella Regola che finora non avete mai appresa, di sapervi condurre e provvedere dei vostri bisogni. Vi fò quest'atto della mia tenerezza per fare l'ultima prova del vostro ravvedimento con questi ulteriori contrassegni della mia beneficenza, ed affetto paterno, malgrado quelle critiche circostanze che vi sono note.
Presentate i miei perpetui sentimenti d'ossequio e riconoscenza al Sig. marchese, e parmi ancora d'avervi scritto , che col vostro lungo soggiorno voi non dovreste prolungare gli incomodi. E con i soliti cordiali saluti, essendo l'altra Famiglia ancora a Noletta, pieno d'affetto sono e Vi benedico

Vostro Aff.mo Padre
PS Dal Portalettere vi saranno portati i Due Filippi, e siccome egli è pagato da me anche delle lettere, Voi non li dovete dar niente. Chi scrive le rinnova i suoi umilissimi rispetti.

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Carissimo Figlio
Fivizzano 28 Luglio 1792
Siccome nell'altra vostra lettera scriveste, che i Medici vi consigliano a respirare un'aria più grossa, e più omogenea a vostri incomodi di nervi, così credei che l'aria di Caniparola vi fosse più adattata di quella di Massa che è più sottile. La Cordial bontà, e amicizia che ha per voi il Marchese mi fece sperare, che potesse concedervi tal comodo, ma se credete che sia un'indiscretezza, fate quello che stimate meglio.
Mi preme la vostra salute, e mi rincresce di trovarmi nelle note mie ristretezze economiche, causatemi ancora dal noto viaggio dell'anno passato a Fierenze, che vi potevi risparmiare come anche l'abito d'estate , che è superfluo in questi paesi, ove il vestire di panno buono si può usare tutto l'anno. Io son Padre e Padrone e ho sempre durato perché mi son sempre misurato, onde quanto più vi dovete misurare Voi oltri Figlioli, e poi Vi do questo amorevole ricordo “nosce te ipsum, et domun tuam” che così toglierete a me, e à voi gli impossibili gl'impossibili, e le inquietitudini: tenersi alle sole spese necessarie, per cui vi ho rimessi i 25 Filippi che godo abbiate ricevuti.
Aspetto con impazienza le vostre migliori nuove, e assieme con la Sig.ra Madre, Odoardo, e D. Francesco, abbraciandovi di cuore Vi benedico.
Vostro Aff.mo Padre

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Carissimo Figlio

Fivizzano 22 Agosto 1792
Dalla Vostra dell'8 corrente sentendo che l'uso della China con la Canfora ed altri dolcificanti e dei bagni contribuiscono al vostro miglioramento degl'incomodi di nervi, ne provo con tutti di Casa il più sincero contento, facendovi cordialissimi saluti, onde sperando prossimo il vostro pieno ristabilimento, attenderemo insieme il vostro ritorno, ed io particolarmente mi dichiaro oltremodo obbligato alla somma gentilezza e amicizia, con cui vi favoriscono codesti Degnissimi Ssri ai quali replicherete i nostri più sinceri complimenti.
Attenderò ancora con Odoardo la continuazione delle vostre nuove, che speriamo sempre più consolanti, e con vera cordialità v'abbraccio e benedico
Vostro Aff.mo Padre

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Carissima cognata
Fosdinovo 19 marzo 1789
Le accludo il turchinetto da calze che non ho potuto mandare prima d'ora attesa la partenza della M. e i tempi diversi, che mi hanno impedito prima di mandare il mio servitore a Sarzana a prenderlo. Spero che sarà di suo genio, ma in caso non fosse, o non bastasse, me lo avvisi che anderò in persona per meglio servirla. Mi saluti i fratelli e mi dia un bacio al nipote, e dica ad Agostino che non si scordi di mandare al M. il Cuccù.
Faccia i miei ossequi alla Sig.ra Madre , e vedendo Giovannino Gargiolli gli presenti i miei complimenti.
Mi comandi e mi creda di cuore


Suo affeziosissimo cognato
Giovanni fantoni
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La successiva lettera è scritta da Labindo alla cognata (moglie del fratello Luigi) contessa Maddalena Fantoni nata Morelli.
“Carissima cognata
Vi ringrazio di avermi provvisti i bottoni circa al mezzo panno per un Stak, non vi prendete che scomodandovi. La spesa non importa che le prendiate, basta che mi avvisiate subito , che l'ordinerò a Genova. Vorrei che vi mandassero quello che vi bisogna ; ma qui si fa al solito gran misteri, ed anche più del solito, giacche lui non mi è quasi mai entrato sulle spese, e sul vostro viaggio, si ché solo fa delle sessioni con il Sig. Antonio. Mi rincresce di non potervi essere utile, ma questo è il benedetto destino di questa Casa. Basta, Dio ce la mandi buona.
Vi ringrazio inoltre di cuore delle notizie di Agostinetto, che si sono avute buone anche qui. Salutatemi Luigi ed i parenti, e tutti quelli che vi domandano di me.
Desidero che vi divertiate e che stiate bene.
Addio. Sono di cuore
Fivizzano 28 agosto 1791

Il vostro affeziosissimo cognato
Giovanni Fantoni



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Qui abbiamo invece una lettera del fratello maggiore quel Luigi che divenne poi il continuatore della casa Fantoni con il figlio Agostino.
Quando Luigi scrive questa lettera ha 14 anni. Dimostra già dalle sue prime lettere
un carattere equilibrato, pignolo, preciso e premuroso verso gli altri.

Carissimo Sig. Padre,

Rispondo alla carissima sua dell' 8 Agosto e quanto all'esito avuto del primo esame, dicole esser stato felice, e di soddisfazione dei Padri. Giovedi 13 del corrente siamo passati dalla città alla villa, dove io quanto mio fratello, vi si ritroviamo in assai buona salute in compagnia di molti altri, co' quali godiamo di questo molto allegramente.
Qui abbiamo parecchi divertimenti, tra i quali il gioco da terra, quello da tavola, il gioco di palla e molti altri , de quali ne uso e ne userò sempre colla dovuta moderazione, secondo mi prescrive nella sua lettera.
La supplico dei miei rispetti colla Sig.ra Madre , e riverendola per parte di Odoardo, con tutto il rispetto mi dico

Badia di Fontevivo 21 Agosto 1761
Obbedientissimo Figlio e Servo
Luigi Fantoni

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Carissimo Sig. Padre,
Ella mi scrive che soffre di mal animo la tardanza delle mie lettere a cagione dei corrieri. Pur troppo eziando a me rincresce la dilazione di sue risposte. Circa alla scherma il maestro mi ha messo a tirare a petto. Intorno poi al ballo, faccio quel che posso. Approssimandosi il tempo delle S.S. Feste Natalizie, non manco, come mio dovere di augurarle a Lei Felici, come pure alla Sig.ra Madre, e ripiene d'ogni prosperità, e contentezza. Altro non ho a scriverle fuor solamente che Odoardo, ed io stò bene , perciò chiedendole la paterna sua benedizione, e baciandole le mani mi dico
Parma, 22 Xbre 1761
Suo Aff. Figlio Luigi Fantoni

Il piccolo studente Luigi dimostra un'altra considerazione dei propri doveri verso la scuola ( che assieme ai libri scrive entrambe parole con la lettera maiuscola) e verso il padre che viene ringraziato per avergli concesso di proseguire gli studi. (lettera successiva)
“ Carissimo Padre,

Parma 23 Luglio 1762

Un poco di febbre sofferta nella scorsa settimana, tolse a me il contento di poter nel penultimo ordinario compiere al mio dovere, quale era, quello di scrivere. Al presente però sto benissimo, e restituito mi sono nel primiero stato di salute. Io le scrivo breve perché sono occupato nell'esame della Scuola, che consiste nel rendere conto di quel poco che ho studiato ne due mesi che sono in Collegio. La ringrazio cordialmente de Libri , che delle stampe favoritemi. L'assicuro del mio amore e del filiale rispetto , e promettendole di secondare sempre in tutto le di lei giuste brame, e con tutte l'assequioni
protesto
Suo Obb.Mo e Aff.mo Figlio
Luigi Fantoni



“ Carissimo Sig. Padre,
Parma, 30 luglio 1762
Confesso di aver fallato col non averle scritto prima di ora a parte, ma ne spero facilmente il perdono, tanto più che veramente non ho potuto. Spero che per l'avvenire Ella non avrà il motivo di dolersi per tale capo; mentre l'amore che le porto mi farà trovar tempo per iscriverle spesso, e così compire ad un atto del mio debito. Io stò bene, siccome pure Odoardo , ed entrambi procuriamo di corrispondere ai giusti suoi desideri. La prego conservarmi il suo affetto. E riverendola insieme col fratello entrambi la supplichiamo della paterna sua benedizione.

Suo Aff.mo figlio e Serv.re
Luigi Fantoni

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Carissimo Sig. Padre,
Mi scuserà se nello scorso ordinario come è mio dovere non ebbi scritto, il motivo si è , perché ritornando dagli ameni soggiorni di Fontevivo, e non essendo provvisto di tutto quello che necessario era per fare una lettera, onde di nuovo la prego ad avermi per iscusato. Io stò bene così è di Odoardo che lo riverisce. Quel Collegiale, che ha il Vaiolo è quasi guarito, e questo male non si è anche ad alcuno attaccato, e si spera che non ne sia alivo. La ringrazio della licenza per questo altro anno concedutami, e spero di poter proseguire il profitto negli studi, com'Ella brama.
Pregola a riverire la Sig.ra Madre, il Pre Agnini, il Pre Sardini, e tutti que' signori della conversazione, e senza più le chiedo umilmente la S. Benedizione, quale con tutto il figliol rispetto mi dico
Obb.mo e Aff.mo Figlio e Serv.re
Luigi Fantoni
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Carissimo Sig. Padre,
Io non so d'aver troppo ecceduto nelle spese del semestre passato, mentre non si sono rifatti che alcuni manicini per me, e per mio fratello, e gli abiti da inverno per me solo.
I manicini si sono fatti, perché portandoli tutto il giorno, cosa, che non si faceva nel collegio Tolomei, si sono rotti per tal maniera, che non erano più buoni da portarsi.
E poi Ella può considerare che il continuo stropicciamento che si fa nel bucato gli ha consumati, essendo la tela massimamente sottile e fina. Questo è quello che si è speso in biancheria, e noi abbiamo l'istessa camicia e l'istessa robbe che abbiamo avute quando siamo venuti in collegio.Gli abiti da inverno sono stati fatti per me solo, non perché i vecchi si fossero macchiati, o rotti, ma bensì perché erano corti essendo io cresciuto molto in questi due anni e mezzo, ma d'Odoardo non è così perché non è punto cresciuto, ne ingrossato, e credo che sia per restar piccolo, come il sig. nonno.
Esso sta bene e la riverisce ed ha presente notte i pedignoni ad un calcagno, ma questo non li da punto fastidio., e spero che quanto prima non averà più altro. Egli in questo Carnevale recita in un dramma intitolato L'erminio in Frigia, ed ancora in una tragedia nuovamente uscita alla luce il protagonista della quale è L'Ermenegildo figlio di Leovalgido re dei Visigoti. Pregola a riverire la Sig.ra Madre ed i Sig.ri della Conversazione, che io pregandole presso il Sig. Iddio felicità e salute e chiedendole umilmente la paterna benedizione, con il dovuto rispetto passo a sottoscrivermi.

Parma 27 Gennaio 1764

Obb.mo Aff.mo Figlio e Serv.re
Luigi Fantoni
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Luigi ed Odoardo nel marzo 1765 si trasferiscono al Collegio Nazzareno di Roma, mentre il più giovane fratello Giovanni è nel collegio di Subiaco.


Amatissimo Sig. Padre
Ieri sera arrivassimo qua felicemente verso l'una ora di notte; onde non si poté avere la carrozza del Collegio, essendo un'ora impropria. Questa mattina abbiamo goduto questa bellissima città, andando in quei luoghi, che Lei ci aveva prescritti, oggi poi i Pre Rettore ci ha condotto a Monte Cavallo nella cappella Pontificia, ove abbiamo veduto il Papa, e tutto il sacro Collegio. Siamo ancora stati dalla principessa Albani, la quale ci ha accolti con grandi finezze, ma da quello che si é potuto comprendere, pare, ché essa non abbia ancora ricevute le lettere di D. Vittoria, e della Duchessa sua Madre, onde aspetterò, che Lei mi dia precisa notizia per ritornarci un'altra volta, pregandola di fare parte di ciò alla Sig.ra Madre.
Dal sig. zio B. Emanuel ricevei in Pisa due lettere di raccomandazione, una per la E. il cardinale Orsini, l'altra per un Cappuccino, ma per il conte Silva e Parenti non mi ha data alcuna commissione. La prego da parte dei fratelli che stia a riverire la Sig.ra Madre e tutti i cadetti Sig. Essi stanno benissimo, e unitamente meco la supplicano
dellaS. Benedizione; mentre io con tutto il rispetto passo a sottoscrivermi.
Roma 5 Gennaio 1765
Ubbid:mo figlio
Luigi Fantoni
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Amatissimo Sig. Padre
Avvicinandosi la villeggiatura di Albano, che sarà verso la fine del corrente, m'occorre significarle il bisogno, in cui siamo, di denaro per essa. Imperocché dovendosi pagare con la propria mesata i divertimenti, che la si godono, e dipendono dall'arbitrio di ciascun camerata, dai quali non può uno dispensarsi senza fare cattiva figura, la rata delle mesate rispetto agli altri convittori è ristretta; onde la supplichiamo tutti due a volerci accordare quanto il Pre Rettore, avendone da lei l'ordine, stimi necessario, e conveniente al proprio decoro. In queste vacanze autunnali il marchesino Maggiore di Fosdinovo va a trovare suo Fratello a Subiaco, e spero riporterà buone nuove anche di Giannino che spero starà bene, quanto qui Odoardo, che la riverisce. La prego finalmente riverirmi la Sig.ra Madre, e degnarmi la S. Benedizione, con la quule mi pregio confermarmi

Roma 7 Settembre 1765
Ubb.mo Figlio
Luigi.
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Amatissimo Sig. Padre
Domenica scorsa si tenne una pubblica funzione in questo Collegio con l'intervento di sei Cardinali, e da Prima Nobiltà, la quale consiste annualmente in una cantata, o sia piccolo Dramma in musica, e in altri Poetici componimenti, ad onore della nascita di Maria Santissima, facendosi di più un magnifico trattamento d'ogni sorta di rinfreschi. Ieri terminarono le scuole essendosi però premesso un esame generale di quanto si poteva aver proffittato nel decorso di quest' anno. Ieri pure fui aggregato all' Accademia di questo Collegio, la quale è intitolata Degli Incolti, ed è membro dell'Arcadia. Ora, giacchè questi P.P. mi fanno l'onore di credermi capace, la supplicherei a permettermi di passare il futuro Novembre alla Filosofia, come porta l'ordine consueto degli Studi, avendo ancor io impiegati due anni nella Rettorica, compreso l'ultimo in cui stetti a Parma. La ringrazio a nome ancora di Odoardo di del denaro accordatoci per l' occorrenze da Villegiatura, che sarà giovedì prossimo, della quale non mancherò a descriverne tutto quello, che avrà rapporto con l'antica Storia Romana, e che Ella stessa potrà confrontare con quello che si ricorda avervi veduto. E' compassionevole lo stato di N.S., il quale, perché l'asma non lo soffochi, è costretto ad abbandonare il proprio letto, e prendere alla meglio riposo su una sedia d'appoggio. Con tutto ciò si tiene per certo, che abbia egli risoluto di portarsi secondo il solito in Albano, ove i medici sono di parere che l'aria del Lago di Castel Gandolfo gli possa notabilmente pregiudicare. Oggi appunto è partito per Subiaco il Marchesino di Fosdinovo al quale ho commesso una scatola di reliquiari per Giannino, che ci aveva regalati il Pre Lodovico da Torino. La prego riverirmi la Sig.ra Madre, e concedermi la Benedizione mentre mi pregio confermarmi
Roma 21 7bre 1765
Ubbi.mo figlio
Luigi

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La ringrazio della bontà, e condiscendenza nell'accordarmi la mesata fino ad uno scudo.
Di che n'ero persuasissimo, onde senza difficoltà e per non più differire, esposi alla Si.ra madre quanto mi bisogna, essendo altresì sicuro della di Lei compiacenza in tutto quello che mi può occorrere. Avendomi perciò mostrata la di Lei lettera il Pre Rettore , ho trovato comprendersi in detto denaro oltre l'altre la spesa delle lettere, il che a Lui pare impossibile, atteso il caro prezzo con cui si pagano alla Posta, ne io so come fare, se mai ciò fosse il bisognevole per iscrivere, come carta , penne e simili, alle quali cose m'ero preso l'appunto di pensare.
Sono otto giorni che con mio sommo piacere studio e continuo la Filosofia, e già mi trovo al termine della seconda metà della Logica, onde una o due lezioni mi restano ancora prima di dar principio al Raziocinio.
Odoardo s'è rimesso ed oggi finisce di prendere la China, e scrive alla Sig.ra Madre, cui la prego di riverirne e ringraziare. Le ritorno i miei ringraziamenti assicurandole il mio impegno nel corrispondere alle giuste brame che Ella ha del mio profitto, e vantaggio, e il rispetto, con cui chiedendole la S. Benedizione mi confermo

Roma 16 9bre 1765 Ubb.mo Figlio
Luigi

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Questa lettera sempre indizzata al Padre ci dice di un Giovannino quantomeno distratto, e contiene le felicitazioni per l'acquisto del nuovo podere di Germagna oggi detto Germagnola località sita fra Agnino e Noletta.

Ecco finalmente che mi riesce di mandarle una lettera di Giannino, e quanto al di lui stato, è la prima, che m'abbia scritto di questo tenore, il che probabilmente provverrà dall'essersi egli accorto del fine, per cui con tanta premura, e sollecitudine veniva richiesto di sue nuove. Qui pure acclusa è una informazione a Lei diretta da uno, che attualmente qua serve il Sig. Marchese di Fosdinovo . Egli la supplica per mezzo mio a usargli la carità , di cui la prega. Mi sono indotto a raccomandarlo a Lei non tanto per la sua disgrazia quanto per il sig. Marchese, che si è interposto, e me n'ha parlato. Nei giorni scorsi venne il Valazzani a trovarci , la di cui attenzione è stata per noi motivo di sommo gradimento non meno, che impegno di fargli quell'accoglienze , che merita, e ch'Ella desiderava gli fossero usate.
L'acquisto sicuro di Germagna porterà certamente quel vantaggio , ch'Ella ha avuto di mira, e che noi arrivandolo a comprendere saremmo maggiormente in obbligo di riconoscere dalla mano dell'Altissimo, che s'é degnato accordarcelo, e dalla di Lei premura. Perciò ne ringrazio Dio, e le attesto ho il piacere, che può interessarmi per consentimento ancora di quella consolazione che Ella ne avrà provato per il felice esito.
La prego riverirmi la Sig.ra Madre e dirgli che in questo ordinario non gli ho potuto scriverle e che il Pre Rettore e il Pre Ricci la pregano di quell'affare che riguarda i Min.
Di Villafranca perchè credono che siano destinati per il Collegio Clementino. La prego di volermi accordare la S. Benedizione
Roma 2Agosto 1766
Ubb.mo Figlio
Luigi
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In una successiva del 22 maggio 1766 Luigi si complimenta per:
“la compra delle due case, a formare la fattoria di Noletta , intendendosi cioè delle fabbriche necessarie per riporre le grasce, l'ulivi, vini e e strami, e per l'abitazione dei contadini, e in conseguenza delle capanne e stalle per i bestiami, e infine della spesa de i condotti dell'acqua, dei muri e vasche per gli orti. In far questo passo mi riporterò anche al Sig. Auditore Agnini, che ha principiato ad uscire in una di queste mattine, e che ritorna i suoi complimenti a Lei e alla Sig.ra Madre, che la prego distintamente riverirmi.

Firenze 22 maggio 1766
Ubb.mo figlio
Luigi
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La successiva lettera parla di Agnini, medico a Barberino e dell'Auditore Agnini, famoso gireconsulto dell'epoca in Firenze. Entrambi imparentati con la famiglia Fantoni e componenti una famiglia prestigiosa originaria di Agnino.

Carissimo Sig. Padre
L'altra mattina al baciamano di corte potei veder ritornato di campagna il Commissario Francesco Niccolini, a cui dissi d'aver a presentare una sua lettera, quale mi replicò che gliela rendessi subito, come feci, partendo egli per Pistoia, dove si tratterrà forse otto giorni............
..................Quello che mi affligge è la nuova inaspettata malattia di Giovannino, scrivendone perciò subito a Roma. Per Ciuffo sono arrivate le 6 bondiole, 12 mortadelle e pesi 3 prugnoli, ne farò quell'uso , ch'Ella si compiace prescrivermi. Per il medesimo le manderò la transazione già copiata.
Perdonerà la necessità in cui mi son trovato di farmi l'abito di mantino, non m'ha fatto riflettere a domandargliene licenza, e se ora le do un altro guaio peraltro minore, d'un abito di lutto, essendo anche questo necessario per essere introdotto a Corte , come mi ha promesso il Sig. Lorenzo Niccolini, per andar nelle conversazioni e per il tempo dei 44 giorni per i quali è stato invitato.
La ringrazio dell'acclusa del sig. Arcidiacono Pavesi, che vorrebbe con questa inaspettata sua lettera, che io venissi a Pontremoli . Il sig. cavaliere Anforti, il marchese Manfredi, Mons:re Arcivescovo, e Casa Niccolini mi hanno fatto finezze, e la riveriscono distintamente. Il sig. Dott Pompei le fa i suoi ossequi e per mezzo mio la prega, che vacando la condotta del Sig. Dott. Battini, Ella voglia aver la bontà d'interessarsi a favore del Dott. Agnini di Gasparo , Medico qua molto accreditato a Barberino , e di cui il Sig. Auditore ne fa molta stima, in caso però, che non concorra il sig. Dott Battini di Fosdinovo, o concorrendo pretenda delle condizioni inosservabili da codesta comunità.
La prego riverirmi i Sigg. Acconci, e credermi con l'ossequio e di cuore

Firenze 19 Luglio 1765
Ubb.mo figlio
Luigi


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Carissimo Sig. Padre
Le accludo due composizioni che le manda il Pre Ricci, desiderando da lei sapere,. s'Ella ha genio che Giannino porti i propri capelli in vece della parrucca.
....................(.seguono affari privati di difficile comprensione)
Firenze 4 ottobre 1768
Ubb.mo figlio
Luigi
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Carissimo padre
.................Io la pregherei per qualche altro favorirmi due bondiole o coppe, per farle assaggiare a questi Cav.ri miei compagni, essendo che non manca chi di essi faccia venire i stracchini da Milano, i cotechini da Modena, e cos' altre cose proprie della loro patria. M'è riuscito di avere, com'Ella mi accorda , a tre Zecchini una buona Arpa, scelta come migliore in confronto d'un'altra . Il sig. Giovanni o'Kelly non è ancora partito per Roma, evendo avuto da altri le di lui recenti nuove, e avendogli indirizzate le mie a Pistoia.
E' da un mese che qui si trova il Sig. Marchese Cornelio di Licciana con l'ultima sua figlia, essendo qua venuto per rimettersi d'un grave incomodo d'asma, ch'egli soffre. Non avendolo saputo prima fui domenica la prima volta a visitarlo, ed egli fa a Lei e alla Sig.ra Madre distinti complimenti. La prego di fare i miei ossequiosi al Governatore, a suo fratello, al sig. Conte, e alla Sig.ra Contessa Benedetti, confermandomi umilmente, e di cuore, con il vivo desiderio della S. Benedizione

Pisa 16 Aprile 1770
Ubb.mo figlio Luigi
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Carissimo Sig Padre
Presso il Sig. Direttore Mazzantini non vi sono che Lire 25 e soldi 2 all'incirca. Si sollecita per l'altra parte l'esito del resto dei mobili Pandolfini.
Le razze migliori per levar cavalli sono quelle di Coltrano di S.A.R. (Sua Altezza Regia) e quelle di Agnano; ma nella prima credo che i prezzi siano troppo eccedenti, nell'altra i cavalli troppo grossi, ed alti. Col Sig. Giuseppe Studiati le saprò dire se vi sarà qualche cosa di buono in altri luoghi,che incontri il di Lei genio. Qui è peraltro ignota, ed incerta la gira di SAR in Lunigiana. Negli ultimi giorni di carnevale fui a pranzo dal Sig. Cavalier Cotanti, che la riverisce distintamente, con il sig. Michele Angelo d'Angiolo, e il Sig. Francesco Rossi. La prego dei miei rispetti al Sig. Governatore, Sig. Conte Benedetti,
...
Ubb.mo figlio Luigi
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Carissimo Sig. Padre
...........Farò ricerca ancora dell'altra aria di musica ch'Ella desidera, e del Sig. Cavalcani per fargli visita. Il cavallo riesce difficile a trovarsi buono, e a buon prezzo essendo in questi contorni di Cascina e Pontedera assai cattivi.
La prego dei soliti rispetti alla Casa Benedetti, e de miei complimenti al Sig. Acconci, confermandomi con tutto l'ossequio, e l'affetto in attenzione della S. Benedizione .

Pisa 4 Aprile 1770

Ubb.mo figlio Luigi
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Domenica notte arrivò di Firenze il cugino Lanfranchi che la riverisce, e va presto in campagna per i suoi affari.
A Lei carissimo Sig. Padre, se si compiace, ardisco chiedere nuovamente qualche bondiola per farne un regalo alla Casa Catanti , alla quale professo molte obbligazioni, e farne una sola sentire a quelli miei compagni di questo Collegio che l'altra volta non ne poterono gustare per essere assenti.
Ubb.mo Figlio Luigi

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Carissimo Sig. Padre
Dall'ultimo foglietto che certamente le inviai , appariva che mi fossero rimaste in mano Lire 100, sebbene a conto di qualche spesarella minuta, della quale non mi ricordo io poi le scrissi che tante non erano, ma qualche cosa meno. Perciò secondo il conto da Lei fattomi risulta che mi debba restare anche quale lira in meno di 92.13.4 delle quali porrà per uscita lire 28 è per il noto cristallo da carrozza e altre spese minute che troverà registrate con tutte l'altre nella presente acclusa nota che serve al pieno mio discarico. Ond'Ella vede che sono senza denaro , e che ne abbisognerei per il viaggio , per far la cassa all'Arpa, e per saldare il conto di tutte le lettere alla Posta, e di rappezzature d'abiti al sarto.
Nella mutazione seguita in questo anno del Superiore di questo Collegio, essendosi tutti questi cavalieri miei compagni, per le giustissime ragioni, che mi riserbo a dirle comodamente in voce, disgustati del non corrispondente trattamento ricevuto da questi Flli, ed avendo fissato di abbandonare affatto questo Convitto, vorrebbero che per comune soddisfazione l'istesso facessi, onde se si contenta mi licenzierò totalmente anch'io da questi Religiosi, per riparar ne' comuni anche i propri torti, e per non più soggiacer agli effetti di una sorda avarizia, o d'un indebita defraudazione. Questo accidente potrà servirle ancora a rinnovarle plausibilmente, e con lode un'altr'anno la spesa del mio mantenimento..........
Con affetto e ossequio

Pisa 2 Maggio 1770


Ubb.mo figlio Luigi
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Carissimo Sig. Padre
Alle 3 dopo mezzogiorno sono qua arrivato felicemente, in tempo per darle le mie nuove.
Lunedì sotto S. Terenzo incontrai i Signori Marchesi di Fosdinovo provenienti da Pallerone, ch'ebbero la bontà di permettermi di andar la sera a Caniparola, avendomi là fatto serviore da uno dei loro staffieri, e mostrato del rincrescimento ch'io non restassi da loro a Fosdinovo. Ieri mattina partii a giorno senz'acqua, ma di lì a poco si levò fiera burrasca con pioggia a vento, a tal segno che posso dire che l' Avenza ci ha lavati bene,
Li dunque costretto dal tempo, presi la posta per Massa, di dove senza trattenermi andai a Pietrasanta fradicio fradicio , e mi rasciugai dal Sig. Commissario Mordini il quale mi aspettava fin dalla sera antecedente, avendo dal vetturale avuto il mio baule. Io gli professo infinite obbligazioni , per tante cordiali finezze impartitemi. Nel lasciarlo questa mattina dopo le nove, mi ha fatto somma premura di riverire Lei, e la Sig.ra Madre.
Il vetturale che ha portato il baule, la cesta ed altra robba, siccome non l'ho riveduto la prego pagarlo del suo avere.
.....Ho avuto molto da fare per passare il Serchio , ne' il Borgo di Viareggio ho incontrato il Sig. Marchese di Licciana con la moglie ed aveva due calessi, e mi ha detto che si portava al feudo.
Avendo incontrato il Sig. canonico copi, il medesimo mi ha richiesto le sue nuove e la riverisce. Lo stesso fanno il Sig. canonico Rossi, e il sig. Curato che ho veduto qui alla posta, dove scrivo, portando i complimenti de i Padri Studiati. La prego della Ssma Benedizione e con tutto l'ossequio in fretta mi sottoscrivo

Pisa 22 Novembre 1770
Ubb.mo figlio Luigi

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Qui di seguito trascriviamo le lettere del fratello Odoardo .
Quando scrive ai genitori la sotto-trascritta lettera Odoardo ha solo 10 anni!
“Con tutto che lo scrivere mi costi molto (?) avere la mano ancor pronta a formagli caratteri, mi sono ingegnato alla meglio, che ho potuto di mettere assieme queste due righe per riverire finalmente una volta colli mia caratteri, il Sig. Padre, ed accertarlo del mio amore, ed insieme del filiale mio rispetto. Sono da otto giorni e più che siamo in villa, dove mi trovo in ottimo stato, e dove mi diverto allegramente . Le prometto daverle sempre figlio ubbidiente, amante e rispettoso, e supplicandola riverirmi la Sig.ra Madre, con tutto l'affetto mi dico

Badia di Fontevivo 22 Agosto 1762
Ubb.mo Figlio e Serv.re
Odoardo Fantoni


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Caris Sig Padre
Sapendo quanto le sia in grado che io le scriva, mi sono messo a formare queste due righe, con le quali sono a confermarle le ottime nuove di mia salute. Da questa che ho procurato di scrivere con la maggior diligenza possibile spero vedrà il profitto che ho fatto nello scrivere in un mese e mezzo che prendo lezione. Io le prometto di portarmi in tutto sempre bene sicché abbia a riuscire a misura delle sue brame. Il Fratello, che studia bene meco con la Sig.ra Madre la riverisce, e con tutto il rispetto mi dico
di Lei carissimo Padre
Fontevivo. 2 Ottobre 1762

Obb.mo figlio
Odoardo

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Carissimo Sig. Padre (manca pagina?)
Le significo in questa che la mia salute è assai buona, e che sono appieno, contento del mio ottimo stato, ne saprei cercare cosa alcuna di maggior soddisfazione. La prego poi istantaneamente a concedermi licenza a giocare al pallone, mentre questo gioco assai mi piace e questo divertimento colli compagni molto mi diletta, se pure non fossi per dispiacerle, con tale richiesta. In queste ultime dignità ho ottenuta quella di Principe.
Luigi le rende i suoi figliali rispetti e alla Sigra Madre alla quale la prego de' medesimi da parte mia , e di un cordiale saluto al Fratello e senza più col raccomandarmi alle sue Orazioni la prego della paterna benedizione unita a quella della Si.ra Madre e riverentemente baciandole le mani mi dico

Parma 17 giugno 1762
Ubb.mo figlio
Odoardo
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Nella successiva lettera, scritta sempre a 10 anni, Odoardo getta il testamento spirituale di tutta la sua vita. Dimostra subito di avere un carattere tranquillo e di essere rispettoso del padre a cui rimarrà, anche maggiorenne, sempre vicino, rinunciando anche a brillanti carriere.

Carissimo Sig. Padre
Con piacere sento dalla carissima sua che Ella sia contenta del mio carattere. Procurerò pure che l'abbia ad essere in avvenire anche nel restante, promettendomi riuscirle in tutto sempre di consolazione. Questa è stata e sarà sempre la mia mira. Continuo a conservarmi in salute , e a godere allegramente di questo soggiorno. Luigi mio Fratello che egli pure sta bene La riverisce unitamente alla Sig.ra Madre e chiedendole la sua Benedizione con tutto l'affetto mi dico
Fontevivo 17 Settembre 1762 Obb.mo e aff.mo figlio
Odoardo
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La successiva lettera contiene n 4 errori grammaticali, dovuti probabilmente all'influenza della lingua dialettale, parlata nel Fivizzanese, che non conosce, ieri come oggi, l'uso corretto delle doppie.

Carissimo Sig. Padre
Colla presente sono a rinovarle i miei più teneri e rispettosi affetti in questi prossimi tempi del S. Natale augurandole dal Signore ogni pienezza di grazie e di benedizioni. Questo mio augurio che viene tutto dal quore la prego communicare alla Sig.ra Madre, ed alli Fratelli.
Io sono sano e robusto ed i miei studi proseguono con allacrità. La supplico continuarmi il suo amore e chiedendole la sua benedizione con ogni ossequio umilmente mi confermo
Di lei carissimo Padre
Parma 20 Dicembre 1762 Ubb.mo e Aff.mo Figlio
Odoardo Fantoni

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Carissimo Sig. Padre
La stima di V.S. Ill.ma è stata a me di sommo piacere sì per l'ottimo stato di salute , che Ella gode, come anche di tutti di Casa. Mio Fratello che ossequiosamente le bacia le mani , grazie al Signore, non sente più alcun incomodo riguardo alla sua flussione. Egli stà bene e allegramente . Io per quanto posso procuro di attendere allo studio , affinché possa sempre più confermarsi in me quel tanto, che ha detto il padre Ricci nella pubblica relazione de' suoi scolari,. La prego dei miei rispetti alla Sig.ra Madre , e a tutti di Casa. Il Padre Rettore , il Padre Ricci la salutano , ed io resto col baciarle le mani, e chiederle la Sua Benedizione.
Di V.S. Ill.ma
Roma 13 Aprile 1765
Ubb.mo e aff.mo figlio
Odoardo Fantoni

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Mancherei al mio dovere se in queste feste Natalizie non le augurassi da Gesù Bambino tutte quelle prosperità e consolazioni, che Ella possa mai desiderare, come anche al buon principio d'anno. L'istesso le augura il Padre Ricci , il quale non le scrive per non moltiplicare lettere. Io seguito a stare perfettamente bene, come anche mio Fratello. Nel venturo Carnevale reciterò insieme col mio Fratello in una delle due Tragedie intitolata La Gabinia. Mio Fratello farà da Diocleziano, ed io da Gabinia. Questa è opera sacra tradotta dal francese in italiano. Quanto prima il barone di Sant Odil sarà in Firenze . Qualsia per essere la carica, che averà in cotesta Capitale non si sa.
Altro non avendo resto col baciarle le mani e chiederle la S. Benedizione

Roma 21 Xbre 1765

Ubbid.mo e aff.mo figlio
Odoardo Fantoni
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Carissimo Sig Padre
Sabato passato il Padre Ricci scrisse con belle maniere i sentimenti di V. S. Illma a Giannino . Spero che Egli potrà farlo stare allegramente, e levargli dalla mente i suoi pregiudizi. Dalla lettera, che scrisse l'ordinario passato si vede che egli sta bene. Abbiamo ricevuto dal medesimo una scatola di paste di Subiaco, che sono di ottima qualità. Quest'anno sono passato in Umanità. Di questo ne sono debitore al Padre Ricci, che veramente mi ha assistito con particolare premura. Io intanto farò tutto il possibile per attendere ai miei studi., e portarmi bene. Il Padre Rettore ed il Padre Ricci la riveriscono distintamente. La prego dei miei ossequi alla Sig.ra Madre, a tutti di Casa, e della Conversazione principalmente al Sig. Antonio Acconci , mentre resto col baciarle le mani e chiederle la S. Benedizione
Roma 15 9bre 1766
Ubb.mo e Aff.mo Figlio
Odoardo Fantoni

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Il 6 febbraio 1770 , Odoardo scrive a “Patri Suo Amatissimo” una lettera in lingua latina (che io non trascrivo per evitare errori maccheronici) per dimostrare l'apprendimento della lingua madre.

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Che il Conte padre Lodovico Antonio fosse un fine letterato lo dimostra questa lettera scritta a lui da Pio Fantoni che scrive:
“ Mio amatissimo Sig. Conte
Di quale elegante lettera mi ha mai Ella onorato. Io mi rallegro seco lei che scriva con tanto buon gusto, e meco stesso mi dolgo di non saper rispondere con ugual grazia. Ma un animo gentile, come il suo, valuterà non lo stile , ma il buon cuore di chi l'ama, l'apprezza e le protesta mille obbligazioni, per tanta di lei bontà e cortesia. Possibile che io non abbia mai ad avere un suo comandamento? Questa è la felicitazione che da lei bramo. E non impetrandola , sarà dunque colpa della mia insufficienza. Quindi molto più debbo esserle tenuto della memoria, che di me conserva, e della bontà, che spero avrà sempre di riguardarmi quale mi fò pregio di essere finché avrò vita.
Roma 18 Dic 1777

Divmo Obb. Servitor
PIO FANTONI

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(busta 255)
Una lettera proveniente da Genova ed indirizzata al Conte Lodovico Antonio ci fa capire le relazioni commerciali del tempo.
“Favorito col veneratissimo foglio di V S Illma và bene che al ritorno da Firenze del Sig. Conte Luigi Suo mi avviserà il costo delle noti tavoloni per pagarlo come più le piacerà: è vero che per l'uso cui dovevano servire si desideravano di legno morato, ma pure sono buoni, ed a qualche cosa serviranno, onde di nuovo gliene rendo grazie.
Mi rincresce di non aver trovato del Tabarro per poterla servire. Riguardo alla veste sua di Broccato, che desidererebbe d'esitare ne ho parlato con una di queste Maestre, che serve la maggior parte della Nobiltà, e non mi ha saputo consigliare di farla qui venire, dicendomi che in questa Città benpoco usano li Broccati, e solo alcuni per le Dame di primo Rango; le quali non è superabile che vogliano prenderlo usato, anche in tutta perfezione, che potesse essere, oltre la moda, che varia da un anno all'altro. Onde si potrebbe dare l'incontro per qualche Signore delle Riviere, ma è caso raro. Onde non comprendo l'azzardare di mandarlo sopra una peranza così lontana. Ricevei l'anzidetta Sua il giorno 25, ma essendo il giorno di Natale non v'era luogo d'informarmi ne per il tabarro, ne per la suddetta veste, onde scuserà per la ragione che non risposi il giorno stesso! Desidero l'onore di nuovi suoi comandi, e col più profondo rispetto mi rassegno

Genova Primo del 1785

Devmo e Obblmo
Andrea Cretteler
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In questa lettera (busta 255 ?) il Padre Lodovico Antonio scrive al figlio Giovanni (Labindo) con un tono di chi ha veramente perso la pazienza. Giovanni ha 31 anni e vive a Napoli senza concludere nulla.
“Carissimo Figlio
Fivizzano Primo Luglio 1786
Dopo alcuni ordinari che ero senza vostra lettera, ricevo quella in data del 20 del caduto Giugno, dalla quale via più ravviso , e tocco con mano esser tutte Chimere le Speranze che mi avete date, e ora mi replicate del vostro Impiego. Sono or ora 20 mesi, che vi trovate costà, e in tutte le vostre lettere mi avete sempre lusingato di dover sentire l'imminente Vostro impiego, e specialmente quello, che più speravate, e che ho saputo ora dal Sig. Zio D. Emanuele esser già due mesi , che è stato conferito al Cav. De Broldi che Voi nulla mi dite, onde mi meraviglio, e non riconosco in Voi, né Sincerità ,né ombra di Ragione, e Speranza di essere impiegato; Né io posso , né devo rovinare me stesso e la famiglia per Voi. Dunque à che più star costà, a perdere il tempo, e il denaro, e le vostre convenienze, e della Casa? Che perciò al ricevere di questa mia , disponetevi a partire prontamente col giusto motivo di ripigliare in questi Caldi il beneficio dell'Aria nativa sì perfetta e salubre, comè questa di Lunigiana, massime nell'Estate. E per scansare la presente aria nociva di Roma, come anche la gravosa spesa del lungo viaggio per terra, procuratevi l'imbarco in un Bastimento, che vada a Livorno. Non dubito che eseguirete, senza alcun pretesto, questi miei ordini, fatto pena di non esser mai più curato, né aiutato da me, né anche d'un Soldo. Aprite gli Orecchi e gli Occhi che è ormai tempo che gli aprite come vi riuscirà, se vi metterete nel Silenzio delle Vostre Passioni, e Chimere.
La Sig.ra Madre e tutti di Casa Vi rendono i saluti, come anche lo Scrivente, e senza più cordialmente vi benedico.
P:S: Mi dispiace il caso, che mi dite, d'esservi stata aperta, e Risigillata l'altra mia lettera, tanto più vedo avverato ciò, che mi fù detto da un dotto Lettore di Pisa, che < L'invidia è immensa nel mondo, et QUI CAVET, VIX CAVET>

Lodovico Antonio FANTONI
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In molte lettere il Padre Lodovico Antonio sprona il figlio Giovanni a trovare un “Impiego”. Ecco che la successiva lettera (trovata in Archivio Stato Ms busta n. 273) mette in chiaro quali erano le aspettative che poteva soddisfare l'Onorata Casata.
La lettera è del Marchese Carlo Malaspina d'Olivola , dimorante nel Palazzo Marchionale di Pallerone. Palazzo che fu poi acquistato dalla potente famiglia degli Agnini che, come dice il nome, era originaria di Agnino ed era imparentata con i Fantoni.
Labindo si era perso nientemeno che il posto di Ambasciatore a Parigi!

Amico Carissimo
Siccome credo che Ella sia certa della mia amicizia, e che nutro costantemente per Lei il più sincero e rispettoso attaccamento, mi lusingo, che si compiacerà di gradire quanto mi prendo la libertà di scriverle confidenzialmente.
Sappia dunque che la mattina del Sabbato Santo mi portai a Fivizzano con la marchesa mia cognata a fare un atto di dovere particolarmente, con le Dame della di Lei Casa, in occasione di dover andare a Pisa, Livorno , e Firenze, per dove partiremo dimattina. Nel dopo pranzo di detto giorno io salii all'appartamento del Sig. Conte di Lei Padre per fare al medesimo la doverosa attenzione di star seco una mezz'ora. Infatti mi dimostrò di gradire moltissimo la mia visita e Compagnia e dopo i complimenti mi entrò subito in discorso di Lei. Amico Carissimo, egli mi fece un confidente racconto delle sue passioni e apprendendo ormai per disperato il caso di vederla impiegata in questa Corte com'Ella glia aveva sempre fatto sperare e mi si dimostrò seriamente risolutissimo di farla subito ritornare a Casa, protestandosi di non poter più reggere al gravoso dispendio di mantenerla costì. Le cose che mi disse, sfogandosi meco, come buon servitore ed Amico della Casa, poiché eravamo soli, Lei se le può figurare; onde non gliene dico altro.
Si accerti che mi adoprai per Lei con tutto il fervore, ed in bella maniera procurai di addolcirlo, e di capacitarlo che non s'era ancora fuori di Speranza, ma egli mi replicava sempre “ Che impiego vuole che abbia? La Segreteria d'Ambasciata a Parigi è stata conferita, ch'é il posto che si sperava e che gli conveniva più di qualunque altro; cosa vuole che gli diano? “ In somma vedendolo determinatissimo di richiamarla su due piedi, mi appigliai al partito di dimandargli e d'insinuargli la dilazione di qualche Mese con studiarmi di persuaderlo, che vi era tuttavia speranza, e mi riuscì ottenere due o tre mesi; sicchè stimo bene di scrivergliene tosto per di Lei Governo, acciò qualora Ella abbia qualche opportuna veduta con fondamento, possa far tutto il possibile di ottenere l'intento in questo frattempo. Se poi non vi è più da impiegarsi, prudentemente pertanto deve ritornarsene; mentre per quanto capii, il Predetto Sig. Conte di Lei Padre, non può assolutamente continuare la spesa di tenerla in codesta Metropoli; onde da vero Amico Le dico, che per di Lei interesse farà bene a non disgustarlo maggiormente, ed a venirsene a Casa per coltivare in persona l'affetto di un Padre di età avvanzata, e cagionevole, come Lei ben sà. Desidero che Ella gradisca la mia sincera amicizia, poiché le scrivo di cuore davvero. Sono immutabilmente Devotissimo e Obbligatissimo Servitore A V. di Lei

Pallerone 15 Aprile 1787
Carlo Malaspina D'Olivola



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Un'altra lettera che trovo interessante per cercare un'analisi psicologica del carattere inquieto di Labindo derivante forse dalla mancanza d'affetto della mamma, si può forse trovare in questa “strana” lettera scritta da un certo Miller al Conte Lodovico Antonio quando Labindo aveva appena un anno e mezzo.
Il Miller, nello scrivere in un italiano appena sufficiente ,Vi trasferisce, a mio vedere, le sue inquietudini nel cercare scusanti che tradiscono un senso di colpa. Possiamo oggi supporre che la Marchesa Anna De Silva fosse occupata da altri pensieri oltre a quelli specifici di mamma?

“Caro Sig. Conte e Amico Riv.mo Dal Feudo di Camporaghena
a dì 13 7bre 1756

Verso un'ora doppo mezzo giorno siamo arrivati a salvamento in questo luogo, molto stracchi e affaticati. Atteso che il servitore dell'Amico Adami, per farci fare la strada migliore, ci ha fatto fare una la quale è più lunga di 9 miglia: presentemente usciamo di tavola, sono le quattro dopo pranzo ed avanti che sarebbamo a Cavallo, sarebbero vicino alle cinque, Giacché avendo tutti assieme fatto seria e prudente riflessione, che ci vogliono quasi quattro buone ore per arrivare a Fivizzano , e che non potrebbamo esservi , che doppo un'ora di notte, così giacché le strade sono così cattive e che non abbiamo chiaro di luna la sera, e per non esser causa di qualche disgrazia, che facilmente potrebbe arrivare in queste lame, abbiamo resoluto di aspettare fino a domattina, per andare più sicuramente..... La Sig.ra Contessa che ha il solito amore ed inquietudine nel cuore per i suoi figliolini, vorrebbe partire per forza, anche dovesse viaggiare di notte, mà Adami resiste come un Lione, onde giacchè qui non si conclude niente né per partire né per restare io scrivo cotanto la presente per modo di precisione , per mandarla per espresso, in caso mai resteremo. Acciò Ella almeno possa vivere con animo quieto, e sapere che stiamo tutti bene.
Ecco finalmente che ritorno a termine la presente lettera giacché la Sig.ra Contessa in considerazione dei pericoli che correrebbero nel partire stasera si è lasciata persuadere a restare quì, ma Ella m'incarica di pregarla, giacché l'è impossibile di tornare, Eh? Ella voglia aver cura de' Signorini, e far dormire con Odoardino e Luigino la sorellina Riccardina nel suo letto, acciò i figliolini siano sicuramente custoditi stà notte. E per la povera Ragiolina che tutti assieme faccino la carità di aver cura di lei.....Io già prevedo che la Sig.ra voglia stare inquieta stasera, come lo fù a Licciana nel viaggio di Pontremoli, e che faremo una brutta veglia, mà l'amico Adami ci dice che stasera ci darà una Commedia , solita del Feudo, un ballo, ed altri divertimenti di maschera, onde spero che questi piccoli divertimenti la svagheranno un poco. Caro Sig. Conte che peccato ch'Ella non sia qui con noi per fare la partita perfetta. Finisco perché ecco ADAMI che dice vuole essere ancora lui finalmente alla replicata istanza fatta dall' Adami a questa lista,et in specie alla Contessa
(seguono due righe nel foglio in cui la calligrafia si fa per me illeggibile e poi continua)...
La sua Sig.ra Anna qualche riguardo à S. Conte, in specie per li Signorini, .... Tutta la colpa della tardanza del ritorno è dell'Adami, (...seguono due righe illeggibili e poi prosegue in bella calligrafia)... Ecco finalmente tutto accordato......Uh! Che fatica, che fatica, basta, ringrazio il Cielo.
La Supplico d'un saluto a Riccardina, e l'Abbatino e dandole un caro abbraccio sono di cuore tutto suo.

Suo Um.ssimo e d Obblig.ssimo Servitore
ed amico vero Miller M?

Giacchè non possiamo tornare
stasera come credevamo, La prego
di voler far dar qualche cosa a Michele pel suo cavallo
al quale Stefano avea promesso che riavrebbe stasera.”

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Francesco Piccioni di maestro di Giovannino, che al tempo aveva 10 anni ed era nel Collegio di Subiaco, scrive al Conte Padre Lodovico Antonio la seguente lettera:
“Il Sig. Giovannino di Lei degnissimo figliolo ieri appunto mi espose le di lei grazie, alle quali io corrispondo con il più vivo del mio sentimento...Nell'istesso atto mi rappresentò, che V. S. Ill.ma desidera sapere ,se nulla occorreva per le indigenze, che potessero occorrere al medesimo per l'occorrente alla giornata del di lui servizio, onde io per obbedirla , ne feci parte con V.C. Maestro dei novizi, e da me ricercato in che stato si trovava il contingente, per il Sig. Giovannino, mi rispose che presentemente non vi è bisogno positivo, stante che il denaro lasciatogli dal di Lei cameriere puole essere bastante, per qualche altro tempo, stante che quantunque il Suo Sig. Figliolo non abbia peranche uno stato di vantaggio del Ceonomi (?), Lui peraltro lo va istruendo, acciocché quando dovrà governarsi da sé possa profittarsi di quanto presentemente l'istruisce, onde per ora V.S. Ill.ma puol viver quieto in questo particolare, e dandosi caso in contrario, facendone parte il Padre Maestro, non mancherei renderla avvisata. Io le posso dare buone nuove del Figliolo, il quale sta di buona salute, non mancando nello spirito, quantunque non si manchi nel raffrenarlo, acciò divenga di giusto peso alla sua nascita, ed al suo essere. Se in altro vaglio a servirla, mi comandi con piena libertà, e con presentare i miei ossequi alla Sua Sig.ra, con piena stima e rispetto, mi protesto

Subiaco , Santa Scolastica, 8 Agosto 1765
Devotissimo Servitore Vostro
Francesco Maestro Piccioni.
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Nel 1765 Odoardo e Luigi sono al Collegio Nazareno di Roma quando il Padre Generale del Convitto scrive al loro padre la seguente lettera:
“Coll'applicazione del rimedio già da me accennato a V.S. Ill.ma, e ciol beneficio della stagione più asciutta l'udito del Sig. C. Luigi è tornato al suo primiero sano stato. Ne ringrazio il Signore , e quanto prima lo levo dall'infermeria il Contino collocandolo nella sua camerata all'aspetto stesso, che hanno da mezzogiorno, a ponente la stanza dell'infermeria.
Anche il Conte Odoardo gode perfetta salute, ed ambedue sono sani, timorati d'Iddio , e studiosi. Ultimamente io medesimo li ho condotti à rassegnarsi al Sig. Bacone Odil, che gradì la visione, e presto darà loro pranzo.
Ad ambedue si fanno attualmente i nuovi abiti da estate, dei quali darò opportunamente conto a V.S. Ill.ma. Compatisca la brevità della presente, che mi è troppo necessaria la gravezza della Posta, con tutto il rispetto mi rassegno.

Roma 20 Aprile 1765

Al Sig: Lodovico Antonio Fantoni
Firenze – Fivizzano Umil.mo Obblig.mo
Stefano Quadri Generale del Collegio
Nazareno.

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Sette giorni dopo il Generale scrive al padre questa lettera:
“Essendosi questa mattina il sig. Conte Luigi alquanto aggravato da febbre, di tosse e di gola, il medico ha giudicato opportuno fargli un' emissione di sangue che si è trovato assai grasso e denso, ed ha da subito alleggerito il sig. Conte, .......


Roma 27 Aprile 1766
Stefano Quadri Generale Nazareno
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Nel 1767-68, dopo tre anni passati a Subiaco, arriva al Nazareno di Roma
anche Giovanni e questa è la lettera che nel 1769 il Generale Stefano Quadri invia al Conte padre ove parla dell'ottimo e miglior profitto del fratello maggiore Odoardo.

“Prendo l'occasione di scrivere a V.S. Ill.ma dall'accluderle l'attestato richiesto per questo Sig. Conte Odoardo, in comendazione del quale niente più posso aggiungere ab quello che con tutta verità asserisco nell'attestato, onde Ella, e la Sig.ra Contessa possano sentirne tutta la consolazione. Per le cose passate non avrei potuto fare un simile attestato
al Sig. Conte Giovanni, ma presentemente la sua emendazione è tale, che potrei attestare essere egli studioso, e savio, come realmente lo attesto a V.S. Illma, per suo conforto,
ché ho il piacere di accrescerle col riscontro sicuro della perfetta salute di ambedue. E con ciò rassegnando il mio rispetto alla Sig.ra Contessa

Roma 8 Luglio 1769

Umil.mo e Obblig.mo
Stefano Quadri Generale del Collegio Nazareno

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Queste lettere successive ci danno uno spaccato di come venivano curati i malanni nel secolo XVIII:
“ Colla presente non lascio di avvisare V.S.Ill.ma dell'ottimo effetto che fa la purga al Sig. Conte Luigi. Egli grazie al Signore sta presentemente di ottima salute, e seguita a portarsi bene e ne' studi e nelle altre cose. L'istesso le dico del Sig. Odoardo . La prego dei miei ossequi alla Sig.ra Contessa , e ad avvisarla che mando per il sig. Tommaso Ricci, che parte questa sera da questo Collegio col Corriere di Genova, al Sig. Antonio Bardini la reliquia di S. Apollonia affinché gliela faccia poi recapitare in Fivizzano più presto sia possibile. Il Padre rettore la saluta distintamente ed io desideroso dei suoi pregiatissimi comandi resto
Di V.S. Illustrissima
Roma 18/ maggio 1765 Michelangelo Ricci
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Scrivo in quest'ordinario al Sig. Giovannino i sentimenti di V.S. Ill.ma , e procuro di fargli capire che egli è ancora in un'età che non può distinguere qual sia il suo vero bene, e vantaggio, e perciò deve come figlio ubbidiente rimettersi alla volontà di V-S. Ill.ma, che pensa ugualmente a lui, che a tutti gli altri. Sentirò la risposta e poi la renderò a informarla di quanto occorrerà . Egli mi ha domandato una reliquia di S. Giovanni procurerò di contentarlo in questo, affinché egli stia più allegro e contento. Ho mandato in questa settimana una scatola di Paste di Subiaco ai signorini con una lettera diretta al Sig. Conte Luigi . Da questa si apprende che egli sta bene e che fin ora non vi è alcun lamento. Il Sig. Conte Odoardo quest'anno passa in Umanità. Spero che si porterà bene, attesa l'attitudine e diligenza che usa ne' suoi studi, e l'impegno che ha di farsi onore. Io seguiterò ad assisterlo con l'istessa premura di prima affinché possa essere di vantaggio a se stesso e di consolazione a V.S. Ill.ma. Egli sta presentemente di ottima salute. L'istesso le dico del Sig. Conte Luigi. Io ne sono contentissimo attese le loro buone maniere, che hanno di farsi amare da tutti , e spero nel Sig.re che ella ne possa un giorno vedere gli effetti
Al Conte Lodovico Antonio Fantoni Fivizzano

Michelangelo Ricci

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Il dì 3 del corrente tra le ore diciotto o dicianove partirà il nostro Sig. Conte Luigi tutto contento e sodisfatto delle antichità, e magnificenze, che ha veduto tanto dentro, quanto di fuori di Roma. Spero che voglia essere di somma consolazione a V.S. Illustrissima, come anche alla Sig.ra Contessa. Egli certamente si è portato assai bene in tutto il tempo, che ho avuto l'onore di potergli dimostrare la mia servitù, e premura per suo particolare vantaggio. Dalla sua docilità e buone maniere ne spero molto. L'istesso le dico del nostro Odoardino, di cui ne sono contentissimo, sì per il profitto che ha fatto fin ora, come anche per tutte le altre cose. Ambedue mi hanno imposto di ossequiarla distintamente.
La prego dei miei distinti rispetti alla Sig.ra Contessa, mentre resto ansioso dei suoi pregiatissimi comandi
Roma 2 Agosto 1767
Dev.mo e Obblig.mo
Michelangelo Ricci

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Dalla Sua stimatissima di V S Ill.ma vedo che Ella suppone che abbia due tendine di tela, ma ciò non è vero, attesoche io ho la sola tendina, che ha portato il Sig Giovannino da Subiaco, l'altra tendina che era nella camera del Sig. Luigi, è verde e io l'ho gittata, come ella mi diceva, insieme con una giubba, sottogiubba, e calzoni dei Suddetti. Dalla vendita della quale roba me sono ricavati scudi tre e bugi (?) trenta, perché era usata assai ed anche tarlata. Questa somma rimane a suo credito. Resta ora di gittare la copertina verde da letto portata da Subiaco con una Giubba e sottogiubba. Le camicie poi del Sig. Giovannino con l'aiuto della sola tendina non bastano perché rimarranno a cinque, o sei aggiustate che saranno onde avevo determinato, come già ne scrissi a V S Ill.ma in una mia diretta al Sig. Conte Luigi, di fare sei Camicie fine al Sig. Odoardo, e passare quelle del suddetto al Sig. Giovannino, perché siccome questo è di Cervello un poco più vivo, e più sciatone nelle sue cose, così ha bisogno di qualche camicia di più., ed anche in buono stato, altrimenti in due giorni sarà senza camicie. Da questo dunque Ella vede che bisogna fare almeno queste sei Camicie, come già me ne aveva fatto scrivere dal Sig. Conte Luigi .
Il mio Padre Rettore la ringrazia de' felici auguri che ella gli fa nella sua stimatissima, e si consola del miglioramento riguardo alla sua flujsione d'occhi. L'istesso fò ancora io nell'augurarle buon principio d'anno
(seguono tre righe da trascrivere)

Roma 13 xbre 1763
Michelangelo Ricci

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Il Sig. Giovannino è stato da quattro o cinque giorni con dolori di testa. Ed anche delle volte con un poco di alterazione. Attesi questi incomodi il Medico lo ha purgato, e lo ha posto in una vita regolata per poterlo rimettere nel suo primiero stato. Sono già due giorni che sta meglio assai. Onde spero che non vi sarà altro. Martedì mattina il Sig. Odoardo si alzò da letto con una guancia gonfia. Questo gonfiore dopo due giorni è svanito dalla guancia col lasciargli alcuni segni di umori salsedinosi, e poi gli è andato a gonfiare le braccia senza però alcun dolore di testa, e alterazione di polso. Il medico per questo gli ha ordinato che questa sera si cavi sei, in sette oncie di sangue e poi domani incomincerà a prendere alcuni decotti per questo suo incomodo . Ella non si metta in alcuna apprensione perché il male è guai civile, e spero nell'ordinario venturo di darle migliori nuove. Io ne ho tutta la premura. Non manco di assistere sì l'uno che l'altro con impegno. La prego de' miei più distinti ossequi alla Sig.ra Contessa , mentre pieno di stima mi confermo
Di V S Illma

Roma 22 Giugno 1768

Obb. Mo Servitore
Michelangelo Ricci
Generale Scuole Pie
Al Sig. Conte Lodovico Ant. Fantoni - Fivizzano
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Illmo Sig. Priore Col.mo

Il nostro Odoardo seguita a godere perfetta salute. Giovannino poi è stato gravemente incomodato ma presentemente sta meglio come sentirà dalla relazione. Sabato alle ore tre della notte ritornò la solita febbretta al nostro Giovannino, la quale cessò alle ore sedici della Domenica, ma non già il dolore di testa. Ripigliò alla medesima ora, e cessò alle ore sedici del Lunedì, lasciandogli un poco di dolore di petto. Verso poi le ore ventiquattro gli vennero alcuni deliqui e poi le convulsioni con palpitazione di cuore, stringimento di petto e semplice muto febbrile. Per questi incomodi gli fu fatta subito una sanguigna di uncie sei con fumenti al petto, ed anche ai piedi, dopo i quali sentì del miglioramento riguardo ai dolori di testa, e di petto. Prima di prendere riposo gli fu dato un poco di laudano liquido, per cui passò tutta la notte senza altro incomodo. Martedì poi alle ore undici replicarono le convulsioni, col solito moto febbrile, ma con minore incomodo di petto e palpitazioni. Attesi i polsi che erano duri, ed il sangue della sera antecedente che aveva fatto un umbra di fungo su la superficie, gli ordinò il Sig. Dottore la seconda sanguigna di uncie sei con i soliti fumenti alle suddette parti, dopo de' quali si sentì meglio a segno tale che tutto il giorno stiede più sollevato degli altri giorni. Replicarono per l'ultima volta alle ore ventitre le convulsioni, ma con minore violenza della mattina, con tutto ciò il sig. Dottore siccome ritrovò i polsi bassi e duri con palpitazione, e con calore per la vita, così ordinò che si facesse la terza sanguigna, di oncie sei, dopo la quale si sentì meglio delle altre volte, e riposò quietissimo tutta la notte.
Mercoledì mattina svanì il dolore di petto, e mi disse Giovannino che quando si alzava un poco i cappelli con le mani si sentiva del miglioramento alla testa, onde mi pregò che gli facesse tagliare i cappelli. Di ciò ne parlai al Sig. Dottore se si poteva attesi questi incomodi , ed egli mi rispose di sì, purché si facesse con somma diligenza, come veramente si fece; e dopo mezz'ora svanì del tutto il dolore di testa talmente che stiede senza febbre tutto il mercoledì, e giovedì fino alle ore ventiquattro, dopo le quali gli venne un poco di febbre, come anche un poco di dolore di testa, che gli durò tutta la notte, e tutto il venerdì. Verso le ore ventidue il Sig. Dottore ritrovò calore per la vita, il dolore di testa accresciuto ed i polsi stretti , così gli ordinò la quarta sanguigna di uncie sei, sopo la quale riposò con somma quiete tutta la notte. Quest'oggi è stato senza alcun minimo incomodo , come è presentemente che sono le due della notte. Il Sig. Dottore attribuisce questo male all'acrimonia che ha nel sangue, e perciò Giovannino ha incominciato fin da Lunedì di questa settimana a prendere il siero che lo digerisce perfettamente bene. Spero nel Signore che non debba esservi altro di funesto. Ella stia pura sicura che Giovannino ha tutta l'assistenza immaginabile.
Lunedì e Martedì che furono i giorni delle convulsioni si fece dormire in Collegio il Sig. Dottore per qualunque cosa potesse accadere; ma grazie al Signore non ebbe bisogno di cosa alcuna. Fino alle ore quattro della notte lo assisto io, dopo le quali vi lascio un Cameriere di Casa che è molto fidato, affinché si possa somministrare da bere, quando si sveglia, cosa per lui sommamente necessaria. Ella non si meravigli se il nostro Odoardo ha avuto quel piccolo incomodo, che le notificai, come anche del male del nostro Giovannino; perché quest'anno vi sono gran malattie, e principalmente di convulsioni.
Nel Collegio abbiamo avuto molti ammalati , e ne abbiamo presentemente, ma tutti con spossazioni, dolori di testa, di petto ed altre cose simili. I Medici attribuiscono queste gran malattie alla stagione, che veramente è cattivissima; e sono da tre o quattro mesi che non ha piovuto. Il Sig. Rettore la riverisce distintamente, e il Sig. Giovannino le bacia le mani , ed io pregandola dei miei più distinti ossequi alla Sig.ra Contessa mi confermo
di V. S. Illma

Roma 9 Luglio 1768

Michelangelo Ricci
Gen.le Scuole Pie
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Seguita la convalescenza del nostro Giovannino. Questa mattina gli si è mosso un poco il corpo, per cui il Medico gli ha sospeso il siero. Spero che non vi sarà altro, e che con l'aiuto di lavativi di latte, e di acqua d'orzo anderà a svanire. In riguardo all'assidua assistenza che ha avuto da me Giovannino, e che seguiterà ad avere certo che è di dovere , et obbligo attesa la servitù, che professo tanto a V. S. Ill.ma , quanto alla Sig.ra Contessa, e a questi suoi stimatissimi figli. Ma poi riguardo al Medico, egli non era obbligato a dormire in Collegio, e vegliare la notte; onde bisognerà fargli qualche piccola riconoscenza, cosa che si fa da tutti i Convittori, quando si tratta di malattie gravi, come è stata questa del nostro Giovannino. E' già più di un mese che prendono ogni giorno acqua fresca con Agro di Cedro dopo la dormizione del giorno; C: Giovannino oltre l'Agro di Cedro ha fatto gran uso di limone , mattina e giorno; onde ella vede che si è eseguito quanto ella mi dice nella sua e seguiterò a farlo fino a tanto che durerà la stagione così calda, che veramente è particolare quest'anno. Ella stia pur sicura che ne ho tutta la premura e l'impegno. Odoardo seguita a godere perfetta salute. Le sue salviette sono alquanto logore , onde aspetto sentire le sue determinazioni. Il Padre rettore la riverisce distintamente , ed io pregandola dei miei ossequi alla Sig.ra Contessa, e ad assicurarla della mia particolare premura per il nostro Giovannino, come anche per Odoardo con piena stima, ed ossequio mi confermo
Di V S. Ilmma
Roma 23 Luglio 1768
Obbl.mo Serv.
Michelangelo Ricci

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Colla presente mi consolo tanto con V. S. Ill.ma , quanto colla Sig.ra Contessa del totale ristabilimento del nostro Giovannino. Spero nel Signore che egli continuerà a godere perfetta salute per comune quiete e consolazione di tutti , purché non faccia qualche sproposito fin'ora veramente non ha fatto alcuno per quanto io possa sapere, ma sempre io ne temo per essere troppo ragazzo, lesto, e franco nelle cose sue. Pertanto scrivendo al Suddetto la prego inculcarglielo più fortemente di quello, che ha fatto saviamente fin ora mentre io non mancherò di fare l'istesso, e d'invigilare sopra di ciò è per quanto mi sarà possibile al nostro Odoardo, che ossequiosamente la riverisce,
come anche Giovannino, seguita a stare perfettamente bene. Il Padre Rettore la saluta distintamente ed io pregandola dei miei ossequi alla Sig.ra Contessa con piena stima mi confermo
Di V S Illma
Roma 13 Agosto 1768
Obbl.mo Serv.re
Michelangelo Ricci

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E' Stato soddisfatto tanto il Medico , quanto il Cameriere per lo straordinario incomodo che hanno avuto nella grave malattia di Giovannino, che grazie al Sig.re gode di perfetta salute come anche Odoardo. Seguiterà Giovannino, come Ella mi dice, per questi due mesi a prendere tre, o quattro volte al giorno ora Agro di cedro con acqua fresca ora limonee, giacché queste sono per lui molto utili. A tavola egli non beve mai vino, ma sempre acqua fresca; e ciò per ordine del Medico, che gli ha tolto la limonea dalla tavola, perché lo ristringeva troppo. Ella stia pur sicura che ne ho tutto l'impegno che egli prenda solamente quelle cose , che sono vantaggiose alla sua salute, che preme a me quanto la mia. L'istesso faccio col nostro Odoardo, affinché possa anche egli seguitare a godere perfetta salute, in questi caldi , i quali sono così eccessivi, che sono di trenta anni e più che non ha fatto caldo simile al presente, e ciò deriva dal non volere piovere.
Giovannino avrebbe bisogno di un Cudegugno per la prossima villeggiatura da portarsi per casa, come ha il Conte Odoardo, onde ne aspetto le sue determinazioni. Il Padre Rettore la riverisce distintamente ed io pregandola di portare i miei rispetti alla Sig.ra Contessa, con piena stima mi confermo
di V S Illma
Roma 20 Agosto 1768
Obbl.mo Serv.re
Michelangelo Ricci
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Credo che V. S. Ill.ma già saprà L'Elezione del papa succeduta ieri alle ore quindici nella persona dell'Ill.mo Ganganelli col nome di Clemente XIV . Con piacere sì Odoardo, che Giovanni videro ieri mattina il gran popolo che concorse alla pubblicazione del nuovo Papa, che fu poi allo ore ventidue portato processionalmente in S. Pietro; dove posto a sedere sull'altare, andarono tutti i cardinali all'adorazione. Fin ora non si sa quando sarà l'incoronazione, ne il possesso. Le dico però che è stato fatto a pieni voti così si spera che le cose si possono aggiustare, come si desidera da tutti.
L'anno passato non vi fu bisogno di vestiti di Estate, perché quello del Sig. Conte Luigi si fece aggiustare al Sig. Odoardo, ed il suo a Giovannino. Ma questo anno essendo ambedue inservibili bisogna farli nuovi, e perciò ne do avviso a V S Illustrissima. Seguita il sig. Odoardo a portarsi bene, e a studiare con impegno. L'istesso le dico di Giovannino , che fin ora mantiene le sue promesse, e spero che egli continuerà atteso l'impegno che ha preso di attendere ai suoi studi. Ambedue godono perfetta salute. L'acqua d'Indivia con un poco di nitro, che ha preso in varie mattine Giovannino, è stata di molto giovamento al suo incomodo a segno tale, che presentemente gode di perfetta salute. Di ciò non le scrissi sul principio cosa alcuna, perché il suo male era di di sì poca considerazione, che non glimpedì ad andare a scuola come tutti gli altri. Fin'ora non abbiamo potuto parlare al Barone di Santadil perché è stato fuori. Ma spero insieme con i Signorini di presentare fra giorni al Suddetto la memoria, che Ella ha favorito mandare al Sig. Odoardo con delle premure per poter ottenere qualche cosa. La prego ad avvisare subito in occasione di qualche vacanza di benefizio, per potere a tempo opportuno prendere tutti i passi necessari. Ella intanto mi comandi; che io pregandola dei miei più distinti ossequi alla Sig.ra Contessa, con tutto l'ossequio mi confermo

Roma 20 maggio 1769
Michelangelo Ricci

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Sono stati misurati gli abiti di Estate, i quali serviranno ancora per quest'anno, eccettuati però i due Ferrajoletti, che sono inservibili, onde bisognerà farli nuovi, come anche alcune paia di Calzoni, e una Zimarra al Sig. Giovannino, il quale attende un poco più ai suoi studi, ed incomincia ad essere alquanto più moderato nelle sue cose,.
Sono due giorni che il Sig. Odoardo ha una flussione reumatica , la quale seiccome questa notte gli ha dato del dolore di petto, così il Sig. Dottore per riparare qualche male maggiore, gli ha fatto fare questa mattina una Sanguigna, dopo la quale si è sentito assai meglio. Questa sera poi avendo ancora ritrovato ancora un poco di dolore di petto, ed i polsi tesi, gli ha ordinato la seconda. Presentemente che sono le due della notte è libero dal dolore di petto. Egli non ha febbre, ne dolore di testa, ne mai l'ha avuto in questo suo incomodo. Onde spero che con l'aiuto del Signore non vi sarà altro. Roma è piena di questi mali, attesa l'incostanza dei tempi. La prego de miei ossequi alla Sig.ra Contessa, come anche al Sig. Conte Luigi. Io ne rimango con tutta la premura e l'impegno, e spero nell'ordinario venturo di consolarla con la perfetta guarigione, mentre con piena stima mi confermo
Roma 9 Giugno 1730

Devotissimo Obbl.mo
Michelangelo Ricci
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L'avere subito avanzato avviso del noto Benefizio al Signore Gio. Cristiano Miller per questa volta non ci ha giovato, poiché scrive di non aver potuto insieme con il Sig. Barone di S. Odile favorire il nostro Odoardo; atteso che il Santo Padre ne era stato antecedentemente impegnato per Moyigre Delci Audittore della Camera, a cui infatti è stato conferito. Mi assicura però che il Sig. Barone non mancherà d'impegnarsi in mancanza di qualche altro. Pertanto giunto che sarà in Roma, anderemo a ringraziarlo di questa premura, e bontà, che conserva per Odoardo . Per li diciassette del corrente mese tornerà da Tivoli il Sig. Miller e poi la sera partirà per Firenze. Farò tutto il possibile per rivederlo prima della sua partenza, e gli raccomanderò con premura i Signorini. Il Sig. Marchese Andrea de Silva ritorna a V S Ill.ma i suoi più duistinti complimenti. Egli si fermerà per quanto mi ha detto tutto questo mese. I Signorini , che godono perfetta salute, sono stati già varie volte a fare le loro parti col medesimo.
Odoardo ha ricevuto il Zecchino, come Ella mi ha scritto. Il Sig. Padre rettore la riverisce distintamente, ed io pregandola dei miei ossequi alla Sig.ra Contessa, ed al Sig. Conte Luigi, con piena stima mi confermo
di V S Illma
Roma 11 Agosto 1770
Dev. e Obb.mo
Michelangelo Ricci
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Sono debitore a V S Ill.ma di risposta a due suoi graditissimi fogli no presentatomi dal Significatissimo Sig. Contino di Lei figlio, e l'altro ricevuto stamani colla posta ordinaria. E siccome contengono ambedue il medesimo fine di consegnarmi il gradito deposito del Sudd. Signorino...............
Può dunque restar sicura di tutte le mie maggiori attenzioni nel preservarlo da tutto ciò che possa offendere i di lui illibati costumi. Lo metterò sotto i migliori professori dell'Università e non mancherò di dargli que' lumi, che troppo sono necessari in un paese nuovo alla sua più plausibil condotta.
Quanto alle cose d'interesse, La Dozzina che pagano gli altri Nobili convittori è di Scudi 10 fiorentini per ogni mese. L'obbligo poi del mio Collegio è di dargli una camera fornita di tutto, con biancheria di tavola, e di letto, e sciugamano, tre piatti caldi alla mattina, e due alla sera oltre alla minestra e il postpasto, con quel di più che corre di straordinario fra la settimana ed i giorni festivi. I suddetti 10 scudi si pagano anticipatamente , di mese in mese, e alla fine se torna più comodo , e in ciò mi rimetto pienamente a V S Ill.ma.
Mi dice il Sig. Contino che egli volea portar Cameriere . Io per me non ho nessuna difficoltà, che si faccia servire da chi più stima a proposito. Solo mi trovo in obbligo di suggerirle che codesto cameriere le costerà molto caro. Il Sig. Marchese Paolini (?) e il sig. Conte Malpezzi hanno anch'essi il cameriere proprio e pagano al Collegio per la tavola scudi 6 al mese; ma non hanno quello che hanno i Padroni, essendo già il vitto carissimo. Se non le rincresce a pagare codesta somma, può starvi alle medesime condizioni, nonostante io farei come tutti gli altri, cioè di prendere un servitore comune, che rassetti loro la camera e li serva in ciò che hanno bisogno, dandogli un competente salario., non essendo più costume e massimamente dagli scolari do condursi presso un Cameriere. V S Ill.ma può fare uso di questo lume, come la torna meglio, essendo per me indifferentissimo a qualunque di Lei saggia deliberazione, offerendole tutta la debole servitù mia, mi do l'inestimabile onore di rassegnarle la profonda mia stima, e di esserle riverentemente ad ogni prova
di V S Illma

Firenze 9bre 1767
D.Salvatore Riva

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Il Dottore Thiene da Parma scrive al Conte Padre i propri dubbi intorno alla scelta di fare o meno l'innesto del Vaiolo ai figli Luigi ed Odoardo, rimettendo tale scelta al Conte stesso.
Il breve foglio è comunque intraducibile per la cattiva calligrafia.

“Corro al pensiero di fare l'innesto del VAIOLO ai Contini figli, ne interrogherei con comodo qualche miglior Professore di medicina.......


Parma 23 7bre 1763
Giovanni Dottore Thiene”
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Un augurio di Natale del 1762. Sempre il Dottore Giovanni Thiene da Parma scrive al Conte Fantoni il seguente augurio:
“Ricorrendo la Solennità Ssma del Natale non ometto di augurare da Dio a V. S. Ill.ma , e a tutti di sua pregiatissima Casa, ogni più lieta felicità accompagnata dalle più elette divine Condizioni, ben vivamente desidero, che V S Ill.ma accetti un tale augurio, non come un atto di semplice cerimonia da costume inveterato introdotto, ma bensì come pegno de' sentimenti più sinceri dell'animo mio rispettoso, e grato, e mi tenga sempre quale con piena stima, e rispetto mi protesto.

Parma li 18 Dicembre 1762
Colli de' Nobili
Gian Ettore Thiene

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Un altro augurio che arriva in data 1759 da Niccola Vallerini da Napoli:
“Sarei degno di mille rimproveri se nella ricorrenza delle prossime S. Feste di Natale , non richiamassi l'ozio della mia penna, in cui da tanto tempo giacque, per causa delle mie occupazioni, e non esercitassi verso V S Ill.ma i rispettosi uffici del mio dovere. In ogni tempo adunque, ma specialmente nelle prossime Feste del S. Natale auguro a V S Illma ogni felicità, sì spirituale, che temporale, riservandomi a ratificare questi miei sinceri voti dal sacro Altare, di dove pregherò Gesù Bambino à volersi degnare di ricolmare V S Illma , la degnissima Casa sua, e Loro Carissimi Sigg Figli di mille celesti benedizioni. Supplico V S Illma à volersi degnare di gradire questi miei auguri, onorarmi de' suoi pregiatissimi comandamenti, e per fine continuarmi l'onore della sua stimatissima grazia, e protezione che io sempre , quale con la più rispettosa stima mi dichiaro di V. S. Ill.ma
Napoli 11 Xbre 1759

Um.mo Dev.mo Obblig.mo Serv.re
Niccola Valerini
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Questa è una lettera inviata il 30 luglio 1797 alla sorella Anna, sposa di Lodovico Antonio Fantoni da Anna Teresa che aveva abbracciato la congregazione delle Salesiane di Pistoia:
“ Sento dalla Carissima Vostra come non ancora siete ritornata bene in salute , cosa che mi dà del pensiero, e mi fa molto temere, vi prego a volervi aver cura; mi dispiace che Odoardo si trovi assalito dalla podagra , male molto penoso, e non da liberarsene con facilità. Io non lascio di pregare , sì per voi che per il medesimo, e lo farò fare dalla Comunità . Ho inteso come vi diportaste con il Sig. Lemmi, mi è piaciuto il vostro contegno ed ho gradito, che me lo abbiate avvisato, in questa magniera. Saprò contenermi in modo da poter sortire ad onore, sì di voi , che io. Per i medesimi dunque vi manderò quel tanto che vi scrissi.
Ora vi do le mie nuove le quali sono assai buone. Grazie al Signore, non ostante gli eccessivi caldi che soffriamo, il nostro Sig. Priore Confessore mi impose a Voi i suoi complimenti, vi presento ancora quelli della Comunità, distinti quelli della Colomba, alla quale le fa pena che voi crediate d'esserle importuna, poiché molto vi compatisce, e comprende quanto è grande l'affetto, che voi mi portate, e ratifico il vostro detto, che il vero e sincero amore, và sempre unito da un continuo timore, e ciò lo dice per esperienza, ma me poi mai crediate di rendervi noiosa con le vostre lettere, perché ben sapete quanto è reciproco l'amor, che vi porto. E spero che non ne dubitiate, addio cara sorella, amatemi come v'amo e crediatemi qual sono, e sarò sempre vostra
Di Voi cara sorella

Aff.ma sorella che vi ama
Anna Teresa De Silva
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(busta 256)
Questa lettera è indirizzata invece al Conte Luigi Fantoni, ormai diventato un importante e politico. E' è una raccomandazione, che riporto per la suo lato di curiosità e per le tematiche locali.
“ Nell'atto di umiliare i miei rispetti a V S Ill.ma sono a rappprentarle come persino il passato prossimo mese di Maggio il giovane Giovanni figlio di Audica Fabiani di Monzone latore di questa umilissima mia prese ingaggio in Fivizzano, ed il prossimo di Giugno arrivò in Livorno, e fù investito in qualità di Granattiero, ed il primo di Ottobre presente prossimo passato gli riuscì disertare dal Regimento, e dal qual tempo fino al presente è dimorato ora in Garfagnana ora in altri luoghi, fugiasco e sempre con gran timore d'esser catturato; che però il di lui padre lo ha indotto a tornare al Regimento; ed il figlio di ciò ne ha dato parola ma teme ritornando di essere castigato del solito castigo, che consiste in un gran numero di bastonate; imploro pertanto l'efficacissima mediazione di V S Ill.ma à volere avere la degnazione di scrivere al Sig. Capitano Franchini, che è stretto parente della di Lei Dilettissima Sposa, che riverirà distintamente a nome mio, e fare in maniera che detto Giovine non soffra castigo, obbligandosi Suo Padre a pagare la Mortara che detto suo figlio permutò in altre vesti poco buone. Per non avere conosciuto, quando fuggì, di questa grazia che Le chiedo ne sarò partecipe anch'io, e l'avrò cara come se fossi stato io il disertore e gliene sarò sempre memore, e pieno di stima più perfetta passo a confermarmi
di V S Illma

Obbl.mo Servitore
Gio' Domenico Bertoni

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(Busta 255)
La presente lettera è appena successiva di un anno alla morte del Conte Lodovico Antonio ed è indirizzata, alla di lui vedova, dal fratello di quest'ultima. E' un consiglio a contenere gli effetti di astii famigliari.
“Livorno 29 Aprile 1795,
So compatire le Vostre circostanze, ma non so consigliarvi, ne approvare l'esecuzione del vostro progetto, non sembrandomi buona regola il rendermi responsabile di ciò che può accadere. Pensateci seriamente e fate uso della Vostra prudenza in un Affare così delicato quale è quello di scorporare la vostra Dote, ed assentarvi dalla vostra Famiglia.
Mi continua sempre la mia Flussione e quindi non posso scrivervi di proprio pugno.
Rendete i complimenti a tutta la Famiglia, e credetemi
di Voi Cara Sorella
Affettuosissimo
Emanuele De Silva


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Nel settembre dello stesso anno, il fratello Emanuele de Silva invia alla sorella Anna la seguente lettera, entrando, a cosa fatta, nei suoi problemi famigliari.
“Livorno 9 Settembre 1795
Ho letto con sorpresa le Convenzioni tra Voi seguite e la vostra Famiglia contenute le Foglio, che mi avete trasmesso, poiché oltre al vederle ben limitate , osservo anche un trattamento che non dimostra nei vostri Figli molta gratitudine verso di Voi. In tal caso loderei in Voi molto se vi ritiraste dalla Sorella Religiosa, giacché altro a questo riparo io non vedo a questo corto assegnamento, per cui non potete viver decentemente, che dà vostri figli vi è stato fatto, senza ad altro pensare se non che al loro proprio interesse.
Le ristrettezze della mia Casa, e le altre circostanze che mi è forza osservare, non mi permettono di richiamarvi a me, onde io vi prego a compatirmi, e non attribuirlo a mancanza di affetto.
Un viver quieto, e tranquillo è quello che Voi dovete presentemente ricercare, ed io credo che altrove, fuor che della Sorella non possiate ritrovarlo. Riflettete al mio suggerimento, e mi lusingo, che non lo disprezzerete, Vi abbraccio e sono,
Di voi Cara Sorella

Aff.mo Fratello
Emanuele

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Da Canneto di Fivizzano il Sig. Cardellini invia nel 1776 la presente lettera, ove se la prende col Padre Priore dei Cavaglini (località presso Agnino) il quale difendeva gli interessi dei Padri Serviti per il mantenimento del Convento, i cui beni dopo la soppressione finirono alla Casa Fantoni.

“Fui domenica à Cavaglini e sentii da quel Priore tutto quanto le lingue maligne fan conoscere il loro sinistro pensare, e mi manifestò breve il contenuto delle di Lui due lettere a V S Illma scritte. Infine conobbi il di lui fermo proposito in proseguire ed ultimare l'affare, con tutto calore, animato ed impegnato dal di Lei raro modo, et obbligante, con cui si ha parlato, dunque altro non resta che lo stabilimento di sua salute, il che sospiro al par di Lei che si effettui quanto prima, per far subito le note stime, come tra loro han fissato, e per questo non m'offre la Tavola a Casa, à necessità come porta il mio debito, ad inchinarla e discorrere di quanto per mezzo del Sig. Odoardo suo fratello si degnò accenarmi , oggi partivo, a piedi venivo, se il tempo lo permetteva, e con tutto l'affetto unitamente alla di Lei Sig.ra Madre e Fratello Sud. Abbracciandola resto

Caneto 10 9bre 1776

Devmo
Piero Antonio Cardellini

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(Busta 257)
Questa lettera è inviata da Patrizio Commeno di Livorno nell'anno 1774 ed è indirizzata al Conte Luigi Fantoni, ma ricorda anche gli altri fratelli, ed elogia le sue virtù musicali nel suono dell'Arpa:


“La graditissima compagnia del Sig. Odoardo che godo presentemente porta il riscontro di far spesso menzione dell'amabilissima sua Persona, quale si bramerebbe presente per compimento della nostra Accademia, e per Coronida della continuata armonia di flauti , dolci e traversi, di violini, di cembali , fra i quali legherebbe benissimo il cordiale suono dell'Arpa toccata dalla Sua delicatezza e buon gusto.
Non sono ancor morto, che sia fuor di speranza di dare una scappata per rimediare, e godere il mio carissimo Luigino, e risvegliarne le Muse, che miglior trovano soggiorno fra i colli e la solitudine. Il desiderio di ossequiare i suoi figli genitori, e dedicarmi loro servo aggiunge stimoli a questo viaggio: la supplico pertanto de' miei più umili ossequi ai medesimi. Il sig. Zio gode ottima salute, e così pure la sua cugina Sig.ra Annina: il sig. Odoardino fa lo Nesso, e mi dice dispensarsi da scriverli, giacché li scrivo anche per esso. Mi conservi l'onore della grazia della sua amicizia, del suo Patrocinio, e mi creda costantemente col più sincero attaccamento, e stima qual le dico per sempre

Livorno 25 Maggio 1774 Dev Obblig.mo
Patrizio Commeno

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Con questa lettera Giovanni Di Dio Contilli scrive al Conte Luigi Fantoni e fa qualche apprezzamento sui fivizzanesi del tempo:
“Sarzana 9 9bre 1805,
Sono ansioso di sapere qualche cosa riguardo agli affari nostri con quelli di Fivizzano e se avete per anco potuto tirargli a fargli un compromesso nella vostra persona, per finire una volta tali differenze. Già capisco che sarà molto difficile indurli a fare questo, ammeno che voi non li prendiate, come si suol dire alle brutte, col fargli uno spauracchio di questa natura, dicendogli: che se non verranno a fare quello che a Voi hanno promesso, oppure non vorranno dar fine a tali differenze per mezzo di compromesso legalmente fatto, la Causa Cortili di Sarzana, non sarà più causa loro, ma farò che sia causa mia, e allora né vedendo il fine: facendo questo forse si potrà sperare qualche cosa, altrimenti ci spero ben poco, perché conosco abbastanza la doppiezza, e le birbanterie di questi di Fivizzano. Insomma mi raccomando a Voi e fate come se fosse vostro interesse, che ve ne sarò ben molto tenuto......

Obblig.mo Amico
Giò Di Dio Contilli

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La lettera qui sotto è indirizzata al conte Luigi Fantoni e parla del figlio Agostino allora in collegio a Modena.
“Inerendo a quanto Vostra Eccellenza mi scrive nella pregiatissima Sua degli 11 Agosto prossimo passato ho accordato al Sig. Agostino l'intervenire alle caccie solite praticarsi dai miei Convittori unitamente agli altri suoi compagni. All'apertura delle nuove scuole lo passerò pur anche in Filosofia sotto la direzione del sig. Abate Venturi che ne avrà tutta la premura. Si assicuri poi che nulla gli manca di ciò che conviene, e non gli mancherà mai. Mi fece vedere tempo fa una di lei lettera in cui gli concedeva la lezione straordinaria del ballo, e l'ho secondato.
Veramente io non son di parere, che per lui fosse stato meglio l'esercizio della Picca, o della bandiera più atte a sciogliere, e a rendere agile il corpo, più che l'alto ballo, che temo non sia per lui. La venuta di un nuovo Maestro di ballo in collegio ha suscitata questa voglia anche in altri. Questa lezione costa un Filippo al mese, e la terrò a parte senxa porla nella lista semestrale. Il nostro Sig. Contino si porta bene e sta benissimo, e va preparandosi per l'esame della scuola a fine d'anno. La prego dei ossequi alla degnissima sua Dama, e con perfetta stima ho il bene di essere di Vs Eccellenza

Bonposto 5 settembre 1793.

Bonaventura Corti

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Sempre al Conte Luigi Fantoni viene inviata questa lettera.
“Eccellenza,
Con vero dispiacere rilevo dalla lettera di Vostra Eccellenza la perdita già preveduta che Ella ha fatta dell'ottimo suo Genitore, che quantunque molto avanzato in età Le avrà cagionato l'accennatomi rammarico ben giusto, e glie ne faccio le mie condoglianze. Il Sig. Contino Agostino è alla scuola e forse non potrà rispondere col corrente ordinario. Egli è già disposto a sentire la nuova, poiché ne abbiamo parlato insieme più volte. Mi affretto a risponderle per dirle che S. E. Munarini è sempre in Città, e ieri fu in Collegio per un'Accademia di Belle Arti tenuta dai miei Cavalieri. Il sig. Contino sta benissimo, e si porta bene, e ieri si produsse ballando il Minuetto, e una Contradd'anza . La prego de' miei ossequi alla degnissima Sig.ra Contessa. In avvenire adunque mi intenderò col Lei, e intanto bramoso de' suoi comandi con profonda stima passo al bene di protestarmi immutabilmente
Di Vostra Eccellenza
Modena 23 Maggio 1794

Dev.mo Serv.re
Bonaventura Corti

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Ad un anno esatto dalla precedente lettera il Sig. Corti scrive ancora al conte Luigi Fantoni la seguente:
“Dalla pregiatissima di Vostra Eccellenza del 26 dello scaduto piena di cordialissime espressioni al mio riguardo, per cui la ringrazio distintamente, sento le di lei giuste determinazioni di levare il Signorino ai primi del venturo Giugno. Se nella passata mia ho mostrato quanto egli sia portato per le Matematiche, ed il profitto che ha fatto, e sarebbe per fare anche in appresso, è stato per secondare unicamente i di Lei desideri che erano tali fin da quando vi si dedicò. Aderisco pertanto ai di lei saggi divisamenti , e le protesto che troverà un Cavalierino buono, docile, virtuoso, che sarà di una vera consolazione a Lei, alla rispettabilissima Sig.ra Consorte Maddalena, a cui la prego de' miei ossequi, e a tutti quelli che ansiosamente lo attendono. In ordine alla lista semestrale, il Sig. Bassi salderà quanto prima il conto. Le confermo le passate ottime nuove di salute, e lodevoli portamenti in tutto del prelodato, e con pienezza di stima, e profondo rispetto ho l'onore di protestarmi
Di Vostra Eccellenza
Modena 15 maggio 1795

Obbl.mo servir.re
Bonaventura Corti
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E' il prete di Sassalbo che scrive al Conte Luigi la seguente lettera:
“Sono già due settimane che avevo fissato di portarmi a Fivizzano, e sempre qualche nuovo impedimento mi si presenta. Ora, che per rassegnar la mia servitù a V S Ill.ma e per augurarle felice viaggio, e per affari di mia importanza, verrei costì, un'inferma che fa temer di sua vita, il decrepito sacerdote Bianchi, incapace all'assistenza de' moribondi, ed il mio dovere mi impediscono d'assentarmi dalla Cura.
Io dunque nell'atto stesso che supplico a scusarmi, mentre manco di venire in persona a umiliarle il mio ossequio, affidato alla di Lei già sperimentata bontà, che raccomando il qui insoluto foglio, pregandola a far sì, che vani non siano i miei caratteri, e le mie parole, o rappresentanze.
Mai prima d'ora ho fatto istanza per risarcimento di questa canonica. Il mio antecedente pregò il Sicurani per l'indicato restauramento, ed egli d'ordine del Tomei e del Sig. cav. Venturini, somministrò poche secchie di calcina, con intenzione di dar denaro e quanto abbisognava per tal ristabilimento. Ma il mio antecessore se ne partì. Il Sicurani niente mi da. Per la calcina non è abbastanza quel lavoro d'una giornata di muratore.
Ed il maestro galli di po' mi dice che ci vorrebbero trecento Piastre per rimettere la canonica in ripristino. Io intanto muoio di freddo, e chiuse le finestre, e gli usci, il vento mi spegne il lume.
Di V S Illma

Sassalbo 29 Marzo 1791

Umilissimo Obb.mo
Eugenio Copelli

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Lo zio di Luigi, Giovanni De Silva da Livorno, scrive al nipote che si è sposato da poco con la Maddalena Morelli di Firenze e lo consiglia di essere un buon marito.

“Resto molto tenuto alle cordiali vostre espressioni, e ai saluti dell'Amabile Vostra Compagna, che con le sue maniere già si è resa tale in casa. Io mi consolo con particolarità su questo punto troppo essenziale, per le sue conseguenze, Voi frattanto dovete usare della vostra Filosofia, e fate bene per farle dimenticare una Città che merita assai; credo però che l'unico rimedio sia l'amore scambievole, che ve lo desidero per sempre di cuore.
Sento quanto mi notate di vostro Padre, io me ne fò meraviglia fino ad un certo segno, conoscendone pienamente l'umore, però non lascia di sorprendermi e di scandalizzarmi una tale stravagante condotta. Io pertanto bramerei da Voi sapere come sono state fissate le condizioni fra Voi e Lui, se con tutte le formalità, se in carta privatamente, o se pure a voce. Voi frattanto usate della vostra prudenza, e ragguagliatemi, e si vedrà di prendere qualche espediente; ed in ogni caso non mancherei di scriverLi nelle debite forme, prima però datemi le richieste notizie per regolarmi con quella delicatezza che merita la materia.
Il venir mio costì non è eseguibile adesso, sì per la stagione che per gli affari, che non lo permettono. Hic quoque majora dabit ocia Deus. Salutate distintamemte la Sposina, e tenetela allegra, e dite ad Odoardino che sfoderi le sue sonate tanto celebri ma però con carità, e riservacione. Amatemi e credetemi con tutta cordialità

Livorno 20 9bre 1776

Aff.mo Zio
Emanuele De Silva

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(Busta n. 260)
Qualche dissapore nelle relazioni famigliari o con la famiglia paterna o con la sposina fiorentina deve averlo avuto il Conte Luigi se lo Zio Emanuele De Silva ha redatto la presente dichiarazione:
“ Livorno 22 Marzo 1780
Io sottoscritto attesto, ed asserisco a chiunque spetta, per la pura e mera verità, qualmente il Conte Luigi Fantoni di Fivizzano mio nipote, mai ha ricercato dividersi dalla Famiglia, ne qualunque altra sorta di divisione, ma si è sempre protestato esser contento di quell'assegnamento che col consenso di lui medesimo, e di tutto il resto della Famiglia, da me fu fatto nella dimora che feci in detto Fivizzano ; e per esser la verità mi firmo di proprio pugno
Emanuele De Silva

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Il medico Giuseppe Linoli nel 1804 scrive al conte Luigi e parla del VAIOLO a Torsana e Camporaghena.
“Invano mi sono lusingato di avere l'inesto vaccinio, ma ciò lo attribuisco alle grandi occupazioni di V S Ill.ma. La prego però a volersi degnamente di rammentarsi e mandandolo per la più pronta occasione, mentre mi sembra troppo necessario per rinovare dell'utili scoperte in sollievo della misera umanità, e ciò l'attendo dal suo Governare propenso in sollevare gli oppressi. In Camporaghena il vaiolo naturale fa dei progressi e si è esteso già a Torsana; di 29 individui che lo hanno sofferto uno è rimasto vittima del medesimo: sino ad ora i miei vacinati di Camporghena che sono al n. di tre non hanno risentito nulla, benché senza precauzione alcuna abbiano dormito a contrasto de i vajolanti, onde la prego di sollecitare se ciò è possibile, onde vorrei vedere se mi riesce d'arrestare il miasma contagioso. Il giorno 29 p.p. passò agli eterni riposi il bambino del Dott. Grandetti oppresso da tosse convulsa, se avesse subito la vaccinazione, e che fosse morto come è successo dal volgo ignorante , e dal medesimo dottore si sarebbe attribuita la morte all'inerto vaccino.
Sarei più eloquente di Cicerone, e più abile di Tiziano se scrivere sapessi, o pure dipingere volessi un Tableau, de nostri Briganti, ci si vede dipinto al vivo la costernazione, lo rabiare, il timore , tutto spira mestizia, e ognugno crede di essere infallibile. Dio voglia che sia cambiata, cotesti sicari della Umanità non possano più alzare il Capo; se mai in queste variazioni di cose ci fosse qualche mezzo d'aiutarmi mi raccomando a V. S. Ill.ma di averne memoria.
Portato dalla consuetudine vengo ad augurarle felicissime le presenti Feste Natalizie. Nostro Signore dunque con tutte le maggiori felicità benedica, prosperi V S Ill.ma, la sua Sig.ra Consorte, tutti di sua casa, pregandola di porgere i più distinti ed ossequosi ossequi alla Illma Sua Contesa Maddalena e a tutti di sua famiglia...e sono con tutta la stima e rispetto.
Fivizzano 22 Dicembre 1804

Um.mo Dev.mo Serv.re
Giuseppe Linoli
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Il Dottore Giuseppe Linoli era colui che aveva assistito, proprio il mese prima, Labindo sul letto di morte e ne aveva redatto il resoconto, che è il caso di riportare per dovere di storia. Il figlio Odoardo Linoli (nato nel 1801 e morto nel1884) fu anch'esso medico e ancora più famoso.
Esercitò in Maremma e a Palazzolo di Romagna (ove lanciò una pregiata pubblicazione sulle febbri intermittenti) e fu professore di chirurgia a Pietrasanta.
Di lui se ne parla nel “ Saggio Bibliografico degli Scienziati di Lunigiana- dell'anno 1929)


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Fivizzano gia nel 1782 aveva una sua banda musicale che era chiamata allora “ Accademia dei Filarmonici Dissonanti”. Il nostro Conte Luigi Fantoni, suonava l'Arpa, il Marchese Carlo Malaspina d'Olivola suonava forse il violino come risulta dalla presente lettera.
“Hò ricevuta col dovuto gradimento la patente di aggregazione a codesta rispettabile Accademia dei Filarmonici Dissonanti che il Rev.mo Sig. Conte Principe degnissimo della medesima, ha voluto onorarmi e favorirmi. Solo m'incresce che fra gli altri Membri che compongono il Corpo, oggigiorno io sono troppo debole; mentre da parecchi anni suono assai di rado, e se qualche volta mi cimento, non sento più nell'arco la primiera agilità e forza.
Rendo non pertanto allo stimatissimo Sig. Principe ed a tutti i Riverenti Suoi Accademici vivissime grazie per quelle pregievolissime, che si sono compiaciuti di compatirmi, e mi protesto distintamente con particolare considerazione, ed ossequio.

Pallerone 31 Gennaio 1782

Dev.mo obblig.mo Serv.
Carlo Malaspina d' Olivola

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Busta 282 Lettera del Marchese Azzolino Malaspina di Fosdinovo al Conte Odoardo

Sig. Conte Mio Padr.ne Stimatissimo

Ai fraterni ringraziamenti succedano le più vive dimostrazioni di mia riconoscenza, e l' Accademia dei Dissonanti riceva per di Lei mezzo un attestato sincero di mia gratitudine. L'esser stato ammesso nel rispettabile Ceto dei Dissonanti, è per me un'onore, di cui sarò sempre memore, è un'indizio del suo bel cuore ognor benevolo, vedo ad esempio del Principe comune à tutti i soggetti componenti la Detta illustre Accademia. IO, che ne sono un membro novello, che mai farò per mostrarmi meritevole di un tanto onore e corrispondere a tanta gentilezza? Io, come dissi, membro novello col mio strumento in mano farò ad onor di Fivizzano risuonar la Valle e il Monte, e cercherò in qualche modo attestarle sempre più quella stima ed Amicizia onde mi pregio di essere


Fosdinovo 31 Maggio 1780 Dev.mo Obblig.mo Servitore
Azzolina Malaspina di Fosdinovo.

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Alla morte del padre Lodovico Antonio il Conte Luigi riceve da un amico di Fosdinovo la seguente ( pesante per i Fivizzanesi!) lettera di denuncia:

Esprimerle non posso la costernazione in cui mi ha posto la nuova ricevuta ieri dal Marini relativa alla morte del Degnissimo Suo Sig. Padre, la quale benché da gran tempo prevista, sono sicuro avrà prodotta una gran passione all'amorosa Consorte egualmente che ai sensibilissimi Figli, e Nuora nei quali risiede quella grande espressione di cuore , che ha caratterizzato il Defunto, per cui altro a noi non resta che suffragarlo per quanto si può, ed imitarlo nelle altre virtù. Possa questo esempio servire a tutta la sua famiglia di vantaggio essendo l'unico mezzo per ottenerlo una pacifica armonia fra Fratelli, e Famiglia, un'indissolubile unione di cuore, e d'interessi, ed una ferma avversione a qualunque sentimento di divisione, il che appagherebbe, le inique e perverse brame dell'empia, maligna e perniciosa setta composta d'almeno tre parti di Fivizzanesi, professori d'ingratitudine, ignoranti de loro doveri, Farisei in religione, nemici del pubblico bene, e di conseguenza avidi della rovina della Sua Casa, e de loro assennati aderenti, come rileverà dal seguente paragrafo di una lettera da Noletta, e trovata “ ad Literam”; eccone il contenuto:< Si spera che la morte del Conte Fantoni compianta da qualche indigente a riguardo della carità possa appagare le pubbliche mire. La famiglia esistente è composta d' umori tra loro espressamente opposti. L'amore è ridotto all'apparenza, onde siamo sicuri di una presta divisione, essendo questi forsennati, giacobini nelle massime, ed Egoisti nel cuore. E' indubitabile che colla detta divisione, che si da per sicura, perirà, o almeno diminuirà il partito opponente, egualmente che la preponderanza , o lustro che da qualcheduno presentemente si attribuisce alla Famiglia, ed allora otterremo il nostro intento. Proverà l'esito la forza del Bilancio atto mio calcolo e Comune aspettazione.>
Per avere l'accennata lettera della quale ho trascritto il detto Paragrafo, ho dovuto ricorrere ad un mezzo indiretto quale è stato di corrompere una persona venale, perciò la prego di non farne traspirare il risultato, che alla sola sua Famiglia, alla quale può servire di regola, essendo nel punto della divisione, anch'io dal sentimento dell'autore della lettera, che sempre sarà da me celato per non accrescere paglia al fuoco, avendo indubitabile, che una Casa, e subdivisa non è né da Padroni né da Servitori.
La mia propensione, la buona servitù, ed amicizia che indistintamente professo alla sua famiglia mi ha reso ardito di comunicarle i miei sentimenti, qualora poi questi non incontrassero il suo genio, lo supplico d'avvisarmi, assicurandolo di tutta la rassegnazione a suoi veneratissimi cenni, col desiderio de quali, e coll'umiliare a lui e a tutta la sua distintissima famiglia li più distinti ossequi di noi tutti di Casa, e del P.te Baloni col solito rispetto, e venerazione mi confermo
P.S. Potendo mandarmi l'ultimo Monitore, e le Gazzete di Lugano lo gradirò e manderò il tutto con sollecitudine. D. Pelegro scriverà la posta successiva.

Fosdinovo Maggio 1794

Um.ssimo Dev.ssimo ed Amico Vostro
Federico Millateri

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Il Cognato di Luigi, Cavaliere Antonio Morelli Adimari, da Cerreto (Guidi? )scrive una lettera ove parla di un amore, non più corrisposto, del nipote Conte Agostino:
Cognato e Amico Amatissimo
Cerreto 15 xbre 1797
Accuso una grata vostra segnata 15 corrente, ove il Cappelli ha eseguito gli ordini, che gli avete dati, e fin qui va benissimo, ma vi prego in avvenire a non volere far tratte, poiché vi faccio riflettere, che per mettere in pari tutto l'affare col Coiani ci vorranno duecento scudi delle vostre entrate. Di questo danno io vi assicuro che mi farò sempre un vero piacere quando sarò in Firenze di assistere con tutta l'attenzione i vostri interessi, ed in assenza di farli assistere per il Castelli, ma se sopratraete vi avverto, che la cosa non puole andare bene, io a fine d'anno vi farò il vostro bilancio, e se vi saranno denari , vi saranno subito rimessi senza il minimo indugio.
O' sentito con sommo rincrescimento lo stato di Agostino, ed è compatibile col suo candido carattere. Si è lasciato trasportare da una passione per una Donna che lo ha burlato, e certo se cotesto matrimonio avesse avuto luogo, credo, che avrebbe fatta la felicità d'ambedue, ma quando le cose non devono succedere non vi è forza umana che le possa far seguire. Voglio, che codesto paese sia malevolo, ma assicuratevi che con una poca di buona direzione, della prudenza e del giudizio si sta bene dappertutto, ma la disgrazia ella maggior parte degli uomini, anche di quelli che hanno del talento e sono istruiti a forza di correr dietro ai Sogni ed alle Chimere perdono la felicità reale, e la prima dottrina è quella di imparare di essere sufficienti a se stessi, e questa non può essere mai la scienza dei giovani, che mettono grandissima vivacità in tutte le loro passioni, Speriamo che il tempo e la riflessione, gli renderà la calma e con la medesima la salute, vi prego a riverirlo caramente come pure tutti gli altri di vostra famiglia, mentre di vero cuore passo a dirmi

Vostro aff.mo Cognato ed amico vero
Cav.re Antonio Morelli Adimari

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Nella Busta 261 trovo questa lettera inviata al Conte Luigi da Pietro Rossi suo uomo di fiducia che scrive:

Sempre grazie all'Altissimo. Sommamente ho goduto a sentire le buone nuove del Sig. Giannino , come anche quelle delle SSrie loro Illustrissime e dei loro continui divertimenti, che partecipano unitariamente in codesta Città. All'opposto si fa da noi un Carnevale morto affatto, e Fivizzano pare quasi disperso.
Le darò ottime nuove del Sig. Franceschino , come della Balia sua che umilmente la riverisce assieme con la Sig.ra.
Ho parlato al Sig. Sormani, e nuovamente supplica V S Ill.ma a volerlo favorire della consaputa rimessa in Livorno, che ghe ne resterà sempre infinitamente tenuto.
Qui accluso, come in altra mia parmi significarsi, le trasmetto il conto distinto della Cassetta, et il saldo da me fatto dal medesimo Carlino per la fattura della medesima, compresi in detta somma barboni 47 per l'importo di un mezzo maiale, il resto soddisfatto à contanti che spero anderà bene, e pagati ancora all'Adorni per l'altra interiore di rame per il fuoco barboni 6.
Le due paia Fibbie di Brilli si sono ritrovate , mà il vaso della Triaca dice Stefano che lo pose dentro la Valisa grossa.
Ercole Lemmi Le fa umilissime serviture, non contento dello staio di Grano datogli, supplica V S Ill.ma aver memoria di lui con tutto il di lei comodo.
Santi della Fontana vorrebbe fare il solito negozio da recchi, ed io li ho risposto, che se mi riuscirà riscuotere, e con Suo preciso ordine si vedrà di farlo.
Tutta la mia casa umilmente riverisce V S Illma ed io pure facendo il simile mi dico
di V S Illma
Fivizzano 13 Febbraio 1797
Pietro Rossi

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L'erudito letterato Francesco Zipoli, più volte in corrispondenza con Labindo, scrive questa volta a Luigi complimentandosi per la bozza del suo futuro Libro “Efemeridi Biennali di Aronte Lunense”:
Con molto piacere ricevei la sua pregiatissima de 15 corrente, coll'acclusa operetta delle Efemeridi Biennali della quale le rendo le più distinte grazie, che per me si possa, e tanto di esse quanto dei fogli lasciatimi mi riserbo a destarne il mio debole, ma sincero sentimento in altra. Mi congratulo col Lei del suo felice ritorno un seno della sua famiglia, e m'immagino che ritrovarsi cui figli e la consorte, oggetti si cari al suo cuore, certamente le avrà fatto comparire meno orrido l'aspetto straordinario che prese la Stagione allorché con essi la racchiuse nella sua villetta.
Sono persuaso che uno come Lei , che ha meditato per vero spirito di patriottismo, e per naturale inclinazione sullo stato attuale di codesti luoghi, troverà qualche volta o inutili, o dispendiose alcune operazioni che costà si fanno. Ma che fare quando gli ordini sono emanati, e quando naturalmente devonsi essere ascoltate, e deve essere creduto a certe persone che sono destinate a ciò? E conviene cautamente interdersela con essa , o prevenirle. Altrimenti pazientare e lasciar fare anche a scapito d'una utilità più palese. Parlai già col Consiglier Senatore Bartolini della sua memoria Pecuaria. Essendo esso dimesso da tutti gli altri affari, per attender unicvamente a quelli della sua Corona, ed agli interni della Reggia Corte, ha dovuto come mi disse far passare in altre mani la sua Memoria, cioè al direttore della possessione per far fare ad essa il corso legittimo et ordinario. Non l'ha però perduta di vista, e se l'interessato con Lei nel progetto dovrà essere quello che Ella brama, e crede il più conveniente, allora non lascerà di favorire intieramente il di lei progetto in tutte le sue parti, ed in tutto ciò che può riguardarlo. Ella non abbandoni le sue dolci occupazioni letterarie, ed animi che lo spiritoso, ed immaginoso Suo Sig. Fratello, che avrò molto piacere di rivedere, e desidero di avere agio, e tempo di godere un poco della di Lei amabile compagnia. E sono col maggior rispetto Suo
di V S Ill.ma

Firenze 20 Maggio 1791


Devotissimo Obblig.mo Servitore
Francesco Zipoli
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Il Medico Ottavio Tacchini scrive al Conte Luigi dal Paese di Trefiumi nel Reggiano e prescrive i suoi rimedi per combattere il calore uterino sofferto da Maddalena Morelli.




“Giusto ieri sera hebbi la di lei gentilissima, e con sommo mio cordoglio sento l'infermità della di Lei gentilissima Consorte, ma per quanto intendo dal di lei gentilissimo Foglio, pur secondo il mio debole intendimento, questo suo male proviene da Calore uterino, che voglio dire da un calore da l'utero, quale formato produce gli stessi effetti e di più produce ancora seccatura di Gola, giramenti di Capo, fracassione di Ossa, come in tante altre donne ho veduto, perciò io l'invio dell'Erba la quale la farà bollire per un dire d'Ave Maria, e ne prenderà quattro o cinque foglie per bolitura solamente, la farà collare per pezza, e ne darà alla Paziente un mezo bicchiere a stomaco digiuno, con infondervi cinque o sei goccie d'acqua d' Acqua di Cinamonno, a seguito bibita, ci promuove il vomito, segno evidente che il male è tale e quale ce lo descrivo, e non si dubiti che si provederà. La Bibita della Sig:ra Paziente sarà lattata di semi di Malloni con inserirvi cinque o sei gocce di Acqua di Cinamonno et un pocho di sugo di limone, ma la mattina sempre l'acqua dell'herba che l'invio.
Cimando poi una setta d'un animale che tengo io, e la farà custodire così Cioe' prenderà dell'Acqua pura, e la farà far scaldare e n'infonderà la suddetta retta tanto che si distenda, distesa che sarà la farà lavare, e così calda la farà mettere alla Sig.ra Paziente su l'ombelicho, e con farla faciare, la terrà così tanto, che possa, e non dubiti che messa al suo luogo la matrice, coprirà febbre e rilascio di corpo e tutto.
Questo è quel picciol mio intendimento che posso darle. Io non vengo perché mi stò rimettendo d'un male che ho sofferto giorni sono, e ci mando a bella posta l'huomo, e Lei mi farà grazia d'avvisarmi del succeduto. Veduto qualche miglioramento non mancherò di farmi forzare di portarmi qui in Fivizzano per servire la Sua Signora e Lei.
Desidererei poi che la Sig.ra Paziente facesse qualche divota devozione, o alla B.V. Del Sassone di Rimagna, ò delle Grazie di Licciana, come V.S.Ill.ma piacerà, ed io intanto raccomanderò la Signora paziente all'Altissimo ne' miei sacrificii e stimo di buon animo, che a dio piacendo le cose anderanno bene. La prego di ossequiare la mia debole servitù a tutti i suoi figli e Signora , mentre con profondo ossequio, passo ad umiliarmi per fretta.

Trefiumi 16 ottobre 1786

Umilissimo et obbligatissimo servitore
Ottavio Tacchini



Busta n. 265

Sotto una lettera di un'amica francese di Labindo, la quale riconosce le doti di eccellenza dell'uomo.



Monsieur

Jai recu avec beucoup de plaisir, e de la reconaissance , le beux livres que vous m'avez anvoyés. Pour m'obbliger de plus en plus vous me faites la grace de m'adresser, un Charmant Billet, je ne peut pas m'empecher di repondre, pour vous temoigner que je suis très sensible, clux agréable, souhaits que vous me faytes; quand j'aurai l'honeur de vous voir, je ferai de mon mieux, pour vous le mercier, et accoplir mon devoir. En m'ecrivant vous avez choisi la Langue Francoise , au lieu de l'Italienne, et pour vous c'est la meme chose; Vous excellez en tout; Pour moi je ne sais pas ecrire dans la mienne, et je ne fais que begayer un peu celle-ci Ayez donc la Complaisence d'excuser mes fautes, et de vous assurer que je serai toujours, avec le profond respect



De la Maison 4 Fevrier 1791

Votre tres Humble Servante
Christine Baronì
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Serafino Maffei da Livorno scrive all'amico Labindo questa lettera:

(Busta n. 273)


Livorno 13 Giugno 1793

L'ultima volta che ti scrissi non avevo ricevuto la tua lettera, quei della Posta l'avevano data per sbaglio al servitore di un altro Sig. Maffei che è in Livorno, e che è quello stesso che ha così sciupato Orazio con una cattiva traduzione. Rispondo adesso perché non potrò farlo mercoledì, essendo oggi obbligato d'accompagnare a Pisa alcune persone di mia conoscenza. Forse tu vi sarai, forse t'incontrerò. Mi sarebbe piacevole se andando alla festa di un Santo m'avvenissi in un Uomo.
Ti ringrazio moltissimo della tua Ode nella quale ho ritrovato al solito e sentimento, e filosofia, e fresco colore, e copia e varietà di numero. Il Metro mi piace assai, ed é al Soggetto adattissimo. Vorrei che presto tu regalassi al pubblico queste tue belle cose.
Amico mio tu hai 39 anni, e io ne ho 28 non ancora terminati. In questo stato pertanto tu hai un bel dissertare sulla necessità d'imbrigliare le passioni, questo torrente impetuoso che così spesso riesce inafrenabile. Undici anni d'esperienza, e d'osservazione più d'un altro, giovano moltissimo, se è vero che l'anima non sia altro che il complesso delle nostre Idee, ma vi é un'età nella vita in cui la nostra esperienza quasi tutta si tace, e che il Tumulo? L'agitazione, il Sapere sono cose cattive. Io le chiamo necessarie e gusto col Tasso:
Bello in sì bella vista anco é l'orrore
e di mezzo la Tema esce il Diletto

Si da mai per sicuro che la Squadra Francese del Mediterraneo sia ormai in mare. Vari bastimenti qua giunti riferiscono che è stata veduta alle alture delle isole d'Ires, facendo rotta verso l'Esa. Si dice composta di 23 navi di linea, e di 14 fregate. Voglia il cielo che questo numero non sia reso inutile dalla malasanità, voglia il cielo che Gangrena del tradimento non abbia invaso il core dell' equipaggio!
Ama il tuo Amico
Serafino Maffei


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Dorotea Benedetti Fioravanti scrive da Pistoia a Giovanni Fantoni a Fivizzano e lo chiama “ Mio caro fratellino” La lettera non riporta data, ma nell'inserto c'è un'altra lettera della medesima Dorotea datata Pistoia 1794 e sempre indirizzata a Labindo ormai giacobino.

“Mio Caro Fratellino
La lontananza non è sufficiente a farmi obliare la memoria di voi, e delle vostre obbliganti maniere, lasciate all'anime fredde che abbisognano dell'occhio a protestare sentimenti di gratitudine, non mi fate questo torto di annoverarmi frà loro, e crediatemi ricordevole di voi per sempre.
Molti amici mi favoriscano e mi compensano della solitudine di Moncigoli, per vederne completo il numero desidererei d'avere il piacere della vostra compagnia, ma per ora lasciamo di desiderare quella che non ha apparenza di vero.
Dio voglia che s'avverino i vostri desideri. Vadano pure al diavolo i Baroni, e tutti quelli che li seguono, il male è che sempre ne risorgono, la loro razza sarà sempre fecondissima a nostro danno,
M'affligge che la Mariuccia si debba consumare dall'inedia a Moncigoli, desidererrei di poterla consolare, io ne sono tenera, l'amo volentieri. La Fausta nel mese entrante, io l'avrò da me, finalmente si è risoluto di non trascurare più la sua salute ho superato l'ostacoli che s'opponevano per farla fuggire da un luogo. L'aria è manifestamente nociva al suo temperamento. Quando sarà qua parlerò seco lei del noto affare A lei passerò le vostre premure e di poi profitteremo ambedue della vostra aprezzevole amicizia.
Le notizie che mi avete trasmesse le ho lette con piacere, io non ho da darvi cambio perché il nostro angolo è l'ultimo ad essere informato dei fatti, il Paese cose di rimarco non ne somministra, se voi me le continuerete potete esser certo della mia gratitudine.
Al Cav. Puccini ho fatto i vostri saluti a suo nome, io ve li replico, e vi partecipo il suo desiderio di conoscervi personalmente. Salutatemi il vostro fratello Odoardo, ramentateli la mia amicizia, continuatemi Voi la vostra, che vi assicuro della mia più sincera corrispondenza
La vostra sorellina D. B. F.”
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La lettera successiva del 1794 sempre della Dorotea Benedetti, sicuramente figlia di Casa Benedetti di Fivizzano, ci descrive un legame molto intimo e segreto con il Poeta Labindo.
Parla di Guidotti, nativo di Pistoia, che era il fattore di Casa Fantoni.

“Pistoia 25 Agosto 1794
L'occasione del ritiro del Guidotti è assai favorevole per trasmettervi i dolci di Pistoia ed i semi di cocomero che dimostrate di gradire. Riceveteli dunque in attestato del mio attaccamento.
Io sono tutt'ora convalescente. Il mio male è stato dei più ostinati. Il Reuma al Setto non si è sciolto che per mezzo dei vescicanti che dovrei attaccarmi. Attualmente però io sto assai meglio, e posso contare forse un lento ristabilimento.
Il nostro Paese è pieno di soldati Questa mattina è venuta l'ultima colonna della cavalleria napoletana per ripartire mercoledì mattina. La truppa va di male voglia alla guerra, questa è gente di male umore qui in Pistoia. ...
Non mi fate un delitto se non vi scrivo di mio carattere, ma oggi è stato il primo giorno che mi sono alzata da letto, e la mia estrema debolezza me lo ha impedito.
Persona di Casa Benedetti non sappia quello che passa fra noi.
Intanto amatemi e credetemi sempre
Vostra affettuosissima Sorella



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Lodovico Antonio Fantoni scrive nel 1789 al figlio Giovanni- Labindo che allora aveva 34 anni, e che forse era a Massa oppure Fosdinovo nel castello del suo amico il Marchese Malaspina.

“Carissimo Figlio Fivizzano 26 Maggio 1789
Nelle angustie in cui mi trovo per liberarvi dal castigo minacciatovi da S.A.R. D'esser condotto nelle forze di Napoli, Voi mi chiedere quel Denaro, che mi resta per la Famiglia. Pensate alla circostanza à cui avete ridotto Voi, e me, e quanto perciò vi è necessario di star ristretto in tutto, e per tutto, in tutto e per tutto.
Hò graditi i limoni che mi ha mandati il Vostro servitore, ma con dispiacere mi bisogna dirvi di nuovo, che non vi è modo di mantenervelo, e se i vostri fratelli non possono avere che un solo servitore per tutti di loro, quanto meno lo potete avere voi presentemente. Queste indubitate Ragioni vi devono servire di regola, e invece di farvi ora un nuovo Abito, che è superfluo, fate vendere à Sarzana il Folaj, e valetevi del Denaro ricavato.
I miei più obbligati ossequi al Sig. Marchese, e scrivendovi Odoardo
Resto di cuore, e vi benedico

Vostro padre Lodovico Antonio Fantoni.
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Busta n. 265

Una singolare richiesta, proveniente da Piazza al Serchio, arriva al Poeta Labindo ma è formulata con poco tatto:

“Un soggetto oscuro, e forse affatto ignoto a V. S. Ill.ma, si fa ardito di supplicarla d'una grazia affidata alla di lei gentilezza, ed abilità singolare riconosciuta in occasione di leggere le produzioni felicissime del di lei talento in genere di poesia. Quegli è il Pievano di Piazza, che richiesto di qualche composizione poetica da uno amico in applauso alle nozze imminenti del Domenico Sforza di Antognano, e della Sig.a Caterina Nobili Ambrosini dalla Sala, non riconoscendosi abile il Pievano a felicitare degnamente tale accoppiamento, si da non essere di sua professione tale esercizio, per esser in età decrepita, incapace a produrre fioretti, come richiederebbe il soggetto, poi ancora stante l'esser continuamente travagliato, da vertigini di capo, onde i medici l'anno avvertito di gravissimi pregiudizi, se applicasse la mente ad alcuno studio, e per ciò ha pensato di ricorrere per parte ancora dell'amico, cioè il sig. Agostini di Piazza, alla somma benignità di V.S.Ill.ma per qualche composizione poetica, non sapendo chi meglio possa onorare adeguatamente il merito di quei Sigg. Confido ancora di benigno compatimento della troppa mia confidenza, ed augurandomi la sorte di ubbidirla se volesse in qualche conto mi do l'onore di segnarmi con profondo rispetto
di V. S. Ill.ma

Piazza 8 Maggio 1790

Umilissimo Devotissimo Obbligatissimo
Paolo Piselli? - Pieve

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Questa lettera, contenuta nella busta 262, forse di un macellaio o commerciante di Pontremoli, è indirizzata alla Contessa Maddalena Morelli moglie del Conte Luigi ed è molto intima anzi licenziosa ed ancora oggi possiamo meravigliarci perché non sia stata distrutta.

“Veramente ho sempre avuta una qualche ambizione in servire a Dame, di Grado e di Merito; onde devo significare a V. S. Ill.ma in risposta, che mi farò sempre pregio di servirla in ogni incontro, e circostanza. O per ciò per darLe a conoscere il mio genio , ecco che vengo per accettare la commissione de' quattro prosciutti da lei fattami graziosamente nella stimatissima sua.
Su di questo non mi distendo di vantaggio, avendone scritto ancora il sig. Conte Luigi di lei degnissimo Consorte. Dunque passiamo ad altre cose.
Ella è pure vero, mi disse a tavola, che a suo tempo desidererebbe d'un buon fringuello.
Le torno a dire che non mancherò di premura, e di attenzione. Ma ne vorrei dar nel naso al Prete Don Domenico Pievani. Ella m'intende. Ma via facciamo animo generoso. Nel caso che Egli non lo trovasse da parifico , lo troverò io; e se lo gradisce, non ho difficoltà di spedirle a tempo, e luogo il mio stesso, il quale benché cieco di molti anni canta sempre assai bene, e frequentemente. Veda Ella dunque se tengo ambizione in servirla ne risparmiando, ne pare alle mie cose? Ma lasciamo le celie.
Mi onori di nuovo de' suoi pregiatissimi comandi, e supplicandola a conservarmi la sua Padronanza piena di Veneranza, e di rispetto
Ho l'onore di segnarmi
di V S Illustrissima
Vostro Aff.mo Servitore
Gio. Vincenzo Dini

Pontremoli (?) 20 Gennaio 1791
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Questa invece è una Lettera inviata alla madre da Agostino che stranamente si firma come “Amico” . Interessante perché parla del gioco del pallone. Ne riporto solo la parte finale lasciando il lungo preambolo generico. E' contenuta nella busta n. 262.
“Carissima Madre
........Le faccio mille ringraziamenti per la premura datasi di raccomandare il fratello dell'Amico: qui si crepa dal caldo, nonostante sto bene. La prego darsi premura di parlarne al Rettore di Moncigoli se volesse lasciar aggiustar quel suo prato ad uso del gioco del Pallone e sotto la Direzione di D. Cristofano , e Beniamino scrivendone ancora al Babbo acciò se ne contenti. Vi è Odoardo che n'é impegnato primo , quando giovasse esser aggiustato lo scriva che verremo a sverginarlo, avendo ordinato altri Palloni.
Tutti la salutiamo. Mi voglia bene, e mi creda

Massa 25 Agosto

Suob Aff.mo Amico
Agostino

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Agnese Marietta Ferroni, figlia di Maddalena Morelli Fantoni scrive alla madre e così conosciamo oggi che Maddalena era un'appassionata cacciatrice; dopo di Lei venne poi a Noletta un altro grande appassionato della dea Diana: il Conte Ottaviano Piccioli, da pochi anni scomparso.
“ Mia cara mamma,
San Lazzaro 22 8bre 1806
...le mie nuove sono per ora simili a quelle che le ho date, ed è soltanto da tre giorni che non soffro che la sera dopo aver cenato che mi conviene rigettare quel poco che ho mangiato, ma ora ho preso un altro sistema di mangiare qualche cosa di prima sera , e sembra che a quell'ora mi voglia dare meno fastidio perché ieri sera stetti un poco meglio, già per ora conviene aver pazienza, e soffrire. Godo infinatamente nel sentire che Lei sta bene, e si diverte alla Caccia, ed io mangerei ben volentieri l' Arrosto amazzato da Lei. ......”
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Busta n. 261
In calce ad una lettera di Lanfranco Venturelli, con una calligrafia diversa e un altro inchiostro, è riportato il seguente testo. E' probabile che fosse un abbozzo di una lettera che il Conte Luigi scrisse nell'anno 1787 al Granduca di Toscana Pietro Leopoldo di Lorena, colui che poi diventerà Imperatore del Sacro Romano Impero nel 1790.

“Pietro Landò di Fivizzano, umilissimo servo, e suddito della R.A.V. Col più profondo ossequio l'espone come fin da quando l'AV.R. Felicitò nella decorsa estate questo luogo, ebbe unitamente al Conte Luigi Fantoni l'alto onore di presentarle un saggio di Rame Nero di primo e secondo getto non per anche purgato, e tirato a rosetta di una nuova miniera, dall' Oratore scoperte allora di recente nel territorio di Sassalbo via di Fivizzano, e sembrandogli che una tal prova incontrasse il gradimento e la soddisfazione della R.S.C., perciò animato il suddetto dallo zelo di render vantaggio a se stesso, e allo Stato primieramente
Supplica la Somma Benignità di V.A.R. Di volergli accordare esclusivamente per anni 10 almeno, con la speranza della rafferma, a proprio profitto e spese il libero gratuito scavo di detta miniera, con tutti quei privilegi, ed esenzione, che la sacra Maestà dell'Augustissimo Imperatore suo fratello suole accordare alli capi mineralogisti dei suoi Stati di Germania, con facoltà inoltre di potere associare, e nominare altri nella detta Impresa, nell'atto di conseguire detto privilegio e di potere convenire in prelazione per i prezzi correnti il legname della Boscaglia a detta Miniera più vicina, come ancora di poter comprare da chiunque a stima e comando contattato per l'edifizio, e forno e presa di acqua.
E siccome sino dal luglio 1778 l'Oratore scoperse altra miniera sempre dell'istesso metallo nel territorio della Villa di Camporaghena, il cui privilegio goduto da Gio. Domenico Jacopetti Danesi di Fivizzano gli toglie la facoltà di ogni utile e ingrandimento, domanda che se previa una giuridica Intimazione da farsi dentro il tempo a termine che piacerà all' A.V. S. detto Jacopetti Danesi non avrà avviata impresa per detta miniera di Camporaghena, poter l'Oratore a egual condizione restare Investito di detta miniera per esser contigua e limitrofa a quella di Sassalbo e per aver il merito di primo scopritore; che delle grazie quam fosse (seguono due parole illegibili e la lettera termina senza firma)

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Busta 264
Nel 1810 Luigi Rovini di San Miniato scrive alla Contessa Maddalena la seguente lettera:

“ Essendo passate le feste del S. Natale, sono per augurarle un felicissimo principio del Nuovo Anno, ricolmo di tutte quelle felicità tanto spirituale, che temporale né solamente a V S Illma, ma ancora a tutti di sua casa.
Il dì 4 di Gennaio ho avuto le nuove, della Sig.ra Anna sua figlia quale mi dice che s'è fatta sposa di un Signore nativo di Bibola, la medesima mi diede le nuove di V S: dicendomi che si trova a Noletta mella Sua Bellissima campagna, quale a me non esce mai di memoria, né solo per Noletta, bensì per aver lasciato il di lei servizio per il motivo della Caterina rimettendomi nel volere di V S Illma, bramando sempre sapere di lei nuove, e di tutti di Sua Nobile famiglia, pregandola di ricordarsi di me, tanto il Sig.re Conte Agostino.
Se si compiace la bontà sua di rispondermi, mi dico come sono cresciuti gli olivi che io ci possi, altro non mi occorre. Rinnovo i miei ossequiosi rispetti, e pieno di stima sono


San Miniato 6 gennaio 1810 Suo Decvotissimo servitore
Luigi Rovini
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Busta n. 264
Domenico Ravani Pallai del paese di Bibola ma a quel tempo a Collagna scrive alla suocera Maddalena Morelli Adimari in Fantoni nell'anno 1816; veniamo così a sapere che Agostino si è sposato da poco e che si stava per iniziare la strada per il Cerreto.

“Per mezzo di Cosimino ho ricevuto i Maioli, i Gelsomini, i Fichi e la semenza di Basilico che di tutto la ringrazio tanto non solo delle suddette robe come anche della di lei premura.
Martedì venturo ritornerò alla Pianura se la posso servire per quelle parti non manchi di comandarmi. La strada che presto si darà principio è questa nostra così detta Strada di Lunigiana, che il Sovrano desidera che sia più presto che sia possibile ultimata, non solo pel commercio, come ancora per far guadagnare tanti poveri che sono in queste montagne, e si principierà da Busana fino ai Confini, ed avvio sia sollecito. Il Sovrano stesso ha richiesto un vistoso imprestito ai mercanti che entro il giorno 15 di questo mese doveva esser versata la somma, e mi figuro che a quest'ora tutto sarà in ordine; ma appena si darà principio l'avvertirò di tutto che sicuramente dovrò essere informato.
Una grande disgrazia ho avuto che mi sono morte quasi tutte le pecore delle Marane, e quel che è peggio che i Padronati delle Pasture vogliono che paghi la Fida come se fossero vive, in questo Paese sono perite da mille pecore, che anzi se Agostino avesse potuto parlare alle Autorità di Campiglia, acciò convertino i Padroni che sono Marco Dini, e Malfatti, ad avere compassione di questa disgrazia, ed in caso non volessero cedere nella totale somma, del loro avere almeno in parte, e con dilazione di successivi anni al pagamento, tanto più che tanti pastori sono già a casa senza una Bestia, se lei fosse in tempo avanti che venga a casa mi farebbe il piacere di scrivercelo se mai potesse riuscire che sarebbe grato a tutti.
Pregandola dei tanti saluti alla Sposina, un bacio ai Bimbi, mentre con tutto il rispetto corro
Suo Aff.mo Genero Servitore
Domenico Ravani Pallai


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Busta 264
Marianna che è poi Anna Carolina figlia di Luigi Fantoni e Maria Maddalena Morelli Adimari e che ha sposato nel 1809 Domenico Ravani Pallai di Bibola a seguito di una malattia ha perso la vista, per questo si reca dal prete di Collagna, ove allora abitava con il marito, e detta la seguente lettera diretta alla Madre:


Collagna 23 maggio 1810
Volendo esser una mia soddisfazione informarla dei portamenti della Maria, sono venuta a posta in canonica dal Rettore perché mi compiaccia di scrivergli, e gl'altri non sappiano niente. Le dirò dunque che la nota Donna mi ha fatto rimaner sorpresa, perché fin qui mi ha dimostrato solo il contrario, di quello, che si poteva sperare attese le ricevute informazioni. Dimostra di essere molto più di una giovine, e sofistica all'ultimo eccesso.
Comanda con tanta poca grazia, che niuno la vorrebbe servire. Bigo stesso ha già detto più d'una volta che si deve stare sotto di Lei, vuol più tosto tornare a mangiare castagnacci in casa sua. Quindi se non la soffre lui non saprei quale altra persona potesse soffrirla. Non è vero poi che sia ecconoma, perché vorrebbe tutto fare alla grande. In giorni 18 solamente per me ha consumato 8 libbre di zucchero, e molto caffè, che non so appuntino quanto si sia. So che Bigo ha detto che il primo fiore di caffè lo beve per sé, poi aggiunge acqua per me. Quando v'era l'Ellena con tatto li avessi ordinato non venisse più d'intorno a me, Essa li faceva tutti li dispetti possibili; di modo che la costrinse a desiderare l'ora, e il momento di partire; e se non era per lei era facile, che restasse finché avessi partorito. Ora si è messa a perseguitare la cognata; ma tutto fà con tanta furberia, che non posso corregerla; e d'intorno a me è piena di rispetto, e falso serviggio, e si guarda sempre bene dal farsi sentire da Noi due. I primi giorni, che ci venne, faceva da lei da mangiare, ed avendo detto a me, che non potevo fare quella vita, Domenico le ha levato subito quell'incarico.
Non può immaginare quanto dispiacere mi rechi una simil cosa, per essere io tanto contraria a cambiare servizio; e purtroppo vedo, che pur per gli altri, che per me non sarà possibile che la ritenga. Per carità mi faccia il bene di darmi un suo Consiglio, cioè se debbo pazientare ancora un poco, o mandarla via, finché la stagione è buona. Mi dica schiettamente quello che lei crede sia più proprio; e acciò possa scrivere con tutta libertà nella stessa lettera di risposta faccia il soprascritto a Don Tommaso Manenti Rettore di Collagna. Se non avessi solo questo disturbo rimediabile, l'assicuro sarei contentissima, perché Domenico ha tutti i riguardi per me, ed è pronto a provvedermi qualunque cosa possa desiderare. Da Agostino non ho più avuta novità dopo il ritorno degli Uomini. Mi dia la consolazione di darmi sollecita risposta, accertandola del mio più sincero attaccamento con tutto il rispetto mi dico
Sua Aff.ma Figlia
Carolina Ravani

( P S :LA LIBBRA CORRISPONDE A CIRCA 1/3 DI KG)

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Nella Busta n. 282 trovo una lettera scritta da Reggio il 22 febbraio (senza indicazione dell'anno) in cui Maria Maddalena Morelli Adimari scrive al cognato Odoardo e lo informa delle condizioni di salute della propria figlia: “ ...L'Annina sono dei giorni che gli si è caricato un occhio di sangue, e con del dolore.....”
A proposito del male agli occhi sofferto da Anna, è il caso qui di riportare il consulto che un noto medico diede allo zio Giovanni Fantoni sulla malattia dalla nipote.
E leggendo, è il caso di benedire di essere nati in questo secolo!

Busta 279



Parma 1 Agosto 1806

Quantunque dalla storia de' mali, la quale è stata ed è attualmente soggetta l'amabil nipote, del mio caro Labindo, argomentare si possa con fondamento, che la flogosi membranosa da cui trasse origine il primo attacco della corona ecc. fosse dipendente da una malattia universale del sistema membranoso e glandulare, io sono d'avviso però che i prodotti ultimi di codesta flogosi, l'addensamento, l'opacità, l'alterazione, di tessuto nelle parti suddette, considerare si devono come vizi locali staccati ed indipendenti (sino ad un certo segno) da quel qualunque avanzo che resta della prima universal malattia. Per il che quantunque saggio sia stato il consiglio di attacccare da prima la malattia con i rimedi capaci di agire quell'universal eccittamento , non credo ora che da questi rimedi, comunque altronde indicati, molto effetto attender si possa, in quanto a dissiopare la suddetta località. Se vi ha adunque tentativo che sperimentare si possa o ripeter, convien trarlo solamente dalla classe de' rimedi chimici: e tra essi erano sicuramente indicate le topiche applicazioni riferite nella storia, dalle quali infatto ottenuti si sono favorevoli cambiamenti. Un avvertimento solamente, dedotto dalla mia pratica, mi sia permesso di aggiungere relativamente all'uso dei mercuriali, ai quali si è d'ordinario proclivi trattandosi di vizi membranosi, a dai quali per altro il saggio medico della cura ha creduto prudente cosa d'astenersi. I rimedi mercuriali, quantunque sembrino per avventura produrre qualche effetto sulle membrane e sulle glandule, e quantunque ve lo producano talvolta vantaggioso, lasciano però d'ordinario massime se usate troppo lungamente, tale suscettibilità alle membrane alle glandule ai nervi, che risentono in seguito con maggior vivezza l'applicazione degli stimoli anche men forti, e soggette rimangono ad infiammarsi con somma facilità. Questa sensibilità morbosa l' ho io particolarmente osservata negli occhi di coloro che furono trattati lungamente col mercurio.
Cosicché nella nostra inferma, se qualche rimedio è da tentarvi, o localmente per gli occhi, o universalmente per gli altri incomodi nella storia riferiti, io mi atterrei sicuramente a tutt'altro rimedio che al mercurio.
Una soluzione allungata di solfato di zinco, una lievissima infusione di Nicotiana, sono le estreme applicazioni dalle quali ho veduto talvolta produrre qualche buono effetto trattandosi d'inzuppamento alle membrane degli occhi. Ma quando si è trattato di Flogosi tuttaiché cronica, io non ho veduto applicazioni più utili delle Saturnine regolate come conviene.
In quanto ai sintomi d'universale affezione membranosa glandolare (scrofolosa se così vi piaccia chiamarla) ond'è tuttora attaccata l'inferma, è stato sicuramente dedotto da ottima indicazione l'uso del Mercuriato di Barite e degli altri rimedi del saggio medico sperimentati. Siccome però l'uso di essi, ch'io cordo essere stati portati a dose conveniente, non ha totalmente dissipata la malattia, così io propongo alcuni altri rimedi, dai quali, in differenti circostanze però ho ottenuto talvolta decisi vantaggi.
Consistono essi nel Carbonato di Ammoniaca, nella Gommo-regina di Guajaco, e nell'Acido Nitrico. Io voglio prescrivere per lo più contemporaneamente i due primi rimedi, e così faccio bere ai miei infermi una soluzione di x. xy. Xvj. xx. xxjv. assai ecc. di carbonato d'Ammoniaca (in stato salino) nell'acqua distillata: bevanda da ripartirsi in due o tre volte nel corso della giornata. In qualche altr'ora della giornata stessa faccio prendere un boccone composto di quattro o sei grani di Regina di Guajaco: boccone da ripetersi due volte al giorno. A questi rimedi io do la preferenza quando è astenico il fondo dell'affezione membranosa glandolare. Che se non tutti di astenico inzuppamento di glandole, o di doglie articolari asteniche, ma di flogosi in questa parti sospette di Spertemia , accompagnate da ben estese nella macchia, e di sintomi di vigore, allora io preferisco l'uso di acido nitrico per alcuna delle ragioni esposte in qualche nota al mio libro sulla febbre gialla. Anzi io non prescrivo giammai l'acido nitrico ai deboli soggetti, e nelle malattie decisamente asteniche, siccome non uso il Guajco, l'Oppio, e l'Aaltali Volut. o Carbonato di Ammoniaca nelle Steniche Malattie.
La scelta però dell'uno o degli altri rimedi ch'io propongo li lascio pienamente al saggio Medico della Cura, che la regolerà su quelle doti di debolezza o di vigore, che mal si potrebbero rilevare da una storia che possono con sicurezza misurarsi solamente dai sensi.
Lo scrivente si augura intanto di poter cogli esposti suggerimenti, quantunque sieno influire al miglioramento d'una inferma di cui, quando i contratti dolcissimi rapporti non rendessero interessantissima la salute allo scrivente, sarebbe in ogni modo per un uomo sensibile interessante la situazione.

Giacomo Tommasini


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Prima di presentare la successiva lettera, una breve premessa:
Labindo appena arrivato a Napoli alla Corte di Maria Carolina, sorella di Maria Antonietta regina di Francia, conosce ed ha un lungo rapporto amoroso con la di lei Dama di camera; quella Giuseppina Kraft, nobile cecoslovacca la quale alla morte dei giovani genitori, era diventata dama di corte a Vienna e poi aveva seguito la Maria Carolina diventata regina di Napoli.
Giuseppina si innamorò perdutamente del giovine e galante poeta. Al quale Labindo rispose con modi maritali pur sfarfallando con altre donne di corte, senza mai perdere il vizio di cercare soldi al padre Lodovico per far fronte agli impegni che quella vita cortigiana comportava.
Alla profondità del pensiero della Kraft il Poeta continua a distrarsi in tanti rapporti e così non coglie l'occasione di avere rapporto duraturo e che gli poteva dare quella pace e serenità di cui aveva sempre bisogno. Le tante lettere del loro carteggio lasciano trasparire una stretta relazione sfociata forse anche in un aborto. (E siamo così al secondo, dopo quello della sua serva, quella Caterina Mancini che andò in galera per aver soppresso un figlio avuto da lui)
E forse proprio per tacitare le male lingue di corte, che la Regina Maria Carolina allontana la sua dama, che ritorna sconfitta e delusa a casa sua casa di Brno, ove ancora scriverà a Giovanni, sospirando fino alla fine un matrimonio che non avverrà mai. Senza aver raggiunto la felicità agognata muore di tubercolosi.
Non sappiamo se questa lettera sotto-trascritta (arch Fantoni Ms busta n. 266) è la prima comunicazione che Giovanni ha ricevuto sulla scomparsa di Giuseppina, certo è che l'amico Giuseppe Blasio gli da la notizia in maniera molto informale, senza nessuna delicatezza.
Noi oggi sappiamo invece che la notizia angustiò parecchio Labindo, che nel frattempo era rientrato da Napoli al suo paese natale ed ebbe, dopo questa missiva, una grande depressione.



Napoli primo Febbraio 1791

Veneratissimo e amabilissimo mio Sig. Conte
In data 22 dello scorso Gennaio ho ricevuto una sua lunghissima lettera, da cui ho rilevato l'attrosso della gotta, che soventemente anche qui sperimentasi, et nescio quo fato,; a quali oggetto ho fatto leggere al nuovo duca di Cantalupo D. Domenico di Gennaro tutto il periodo della di Lei lettera concernente i disordini della gotta. Egli facilmente in questo ordinario gli risponderà, e gli darà parte della morte del nostro Duca di Belforte di lui Dottore, e che io nello scorso ordinario con altra mia lettera non mancai di notiziargliela.
Il dì 26 Dicembre 1790 cessò di vivere la povera nostra Donna Giuseppina Krapftt , Le lettere ricevutesi da Vienna jeri l'altro ànno recato sì triste nuova, e si è trovata maritata a persona senza veruna carica o impiego, e di oscura nascita. Un tal matrimonio la ridusse estrememente misera , a morire in una povera locanda. Veda dunque mio caro Sig. Conte quanto sono stravaganti le vicende del mondo. Una donna nel breve giro di tre o quattro anni passare dall'orgoglio di una splendida Corte a morire in una misera Locanda.
Subito che tornerà dalla Torre del Greco il Dr. Gori gli farò sapere i favori compartitali , e da lui potrò sapere la risposta del Contissimo Calzabigi, che le farò immediatamente pervenire, non ostante però Egli deve star bene, perché per la nostra Città non si parla della di lui salute. Ho portato al Contissimo Dr. Saverio Mattei e Figli i cordiali saluti che mi ha ingiunti, ed eglino con pari affettuosa stima se le rassegnano, e mi ànno imposto pregarla proseguire l'indirizzo delle lettere con sopracarta in testa a Lui, rimanendo a suo carico rimandarmele fino a casa.
La conversazione Belfortiana, oggi Cantalupiana, le fa mille complimenti ed in modo speciale il Padre Abate Vivoli. Le trascrivo qui appresso alcune iscrizioni fatte a stampa da Don Gaetano Ancora per la morte del Duca. Se ne aspettano delle altre per riunirle a stamparle tutte in un volume col ritratto del Defunto. Mi conservi intanto il suo affetto, e mi creda di vero cuore , che io sono

Suo devotissimo Obblig.mo Servitore e Amico
Giuseppe Blasio
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In una ode, che porta la data del 1792, Labindo scriveva, depresso dalla morte di colei che avrebbe voluto diventare sua moglie:
“......
Te ormai partita, io qui dimoro invano.
Altro non veggo in queste spiaggie odiate,
Che volpi, e Lupi di sembiante umano
Ch'anime ingrate”

con un asterisco e una nota a queste ultime strofe:

“Chieggo perdono agli amici che formano la ricchezza del mio cuore, e ch'erano lontani, quando scrissi questa ode. Una malattia nervosa, e molti disgusti mi fecero dimenticare per pochi momenti la loro tenerezza, e mi costrinsero malgrado il mio cuore a comparire Misantropo.”






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Busta 266

L'amico Pietro Cillà, abitante a Luscignano, avente la funzione pubblica di delegato dell' Agenzia Dipartimentale del Panaro per i tre distretti della Garfagnana, scrive a Labindo:



Castelnuovo 23 Gennaio 1803

Una Compagnia di Comici da marionette viene a Fivizzano per dare un conto di spettacolare rappresentanze, mancante di appoggio, e di conoscenza per potere incominciare il suo travaglio; mi hanno pregato a volergli procurare una qualche conoscenza per potere ottenere la stanza per il teatro e i suonatori. Io li dirigo a te invitando la tua amicizia a volergli procurare tutta quella assistenza che ti è possibile Sono gente onesta, amici della verità, ed una imprevista disgrazia gli va accompagnarli da qualche mese a questa parte, anche meritano la tua assistenza.
Dammi tue nuove, saluta Odoardo e tutti gli amici, amami e credimi,

Il tuo Amico
Pietro Cillà.

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Labindo, dopo il suo soggiorno alla Corte di Napoli era passato a Roma e forse in quella città aveva conosciuto e si era fatto stimare dal Cardinale Garampi. Qualche anno dopo riceve questa lettera:


Roma 20 Maggio 1794

Quantunque oppresso dall'afflizione non lascio di adempiere ad una commissione lasciatami dal Cardinal Garampi, ch'è passato agli eterni riposi il di 4 corrente. Fino agli ultimi respiri della sua vita conservò egli nel suo pieno vigore la sua stima verso V. S. Illustrissima, non che la sua gratitudine per la costante amorevolezza, ch'Ella nutrì sempre verso di lui. E in questa confidato, mi raccontò di avanzarle la notizia della sua morte, al fine di ottenere i di lei suffragi per l'anima sua.
Adempiuto così questo doveroso ufficio, la supplico di darmi qualche conforto nella mia desolazione con accordare a me tanta parte della sua bontà e amicizia, quanta si era la sua amorevolezza verso l'esimio defunto al quale io succedo nei sentimenti di sincera considerazione e amicizia, che nutriva verso il sig. Conte Fantoni


Lorenzo Caleffi

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La busta n. 227 contiene una trentina di lettere scritte da Colomba Brunetti Salvioni di Massa all'amante Labindo. Prendiamone una a caso:

Mio Caro
Vi sono più disgrazie per impedire la vostra venuta? Ne prevedevo la maggior parte, che erano quelle del tempo cattivo, ma la malattia di Vostra Madre, e il vostro incomodo flussionale , mi è stato il più sensibile.
Le mie fervide preghiere a Esculapio spero renderanno la salute all'una e all'altro, ma intanto mi è ritardato il piacere di vedervi.
Pensate dunque a compensare il mio dispiacere col trattenervi qua più di quello che avreste fatto se voi foste venuto prima, credo che non vi sarà difficile. Volete che Vi parli schiettamente? Desidero che cb vada presto a F.ze, e così lasciarci più liberi e risparmiare a Voi di fargli la corte. La sua avvedutezza mi spaventa. Non Vi dirò che temo, ma .... sì bisogna che ve lo dica, Cl..... ha l'arte di farsi amare, Vedete dunque quanto è per me pericolosa? Non Vi rincresca la mia sincerità, un poco di cattivo umore mi ha fatto così parlare. Penso adesso a quando mi risponderete e sono più tranquilla, Conoscendo la vostra maniera di pensare , molto diversa dagli altri uomini, e vedo che ho fatto male a scrivervi, che temevo di Voi. Ricordatevi però che vi ho parlato sempre con sincerità, e che se vi amassi meno..........................
Ma ho detto assai, se vorrete intendermi.....
Secondo il solito ho ricevuto oggi la cara vostra, e benchè abbia poco tempo per rispondervi non sono stata così breve come voi, perche se voi dovete scrivere molte lettere, io devo impiegare molte cautele, per non essere sorpresa, ò interrogata, ma essendo molto il piacere che provo scrivendovi, così non posso far valere, quel che a me fa piacere.
Oddio non posso più scrivere, i pretesti non mi vagliano più, bisogna che mi faccia vedere. Se potrò vi scriverò Venerdì per il corriere di Francia.
Vi rendo quel che mi date nella cara Vostra, e sono la Vostra affettuosissima



17 Gennaio 1791

(la lettera non è firmata)



Prendiamo un'altra lettera:

Primo Marzo ore 10 di sera 1792

Non so trovare altro compenso alla noia che ho, che nello scriverti, per ciò salgo in camera mia per trattenermi teco e non meritando questo foglio d'essere mandato alla Posta , lo metterò nel Portafogli, che ti manderò giovedì.
Secondo il mio solito sono stata stasera alla solita ora a fare la mia meditazione, almeno così la chiamano, e a quante belle cose ho pensato ! Puoi bene immaginare che sei stato il solo oggetto dei miei pensieri. Essendo sempre sola, comincio dal recitare la tua ode, che quanto più la dico, vi trovo sempre delle nuove bellezze, e poi finisco col piangere pensando al passato, che ti vedevo, e non ho saputo bene profittare del tempo; ma non ci voglio più pensare. Oh se riuscisse il nostro progetto! Se fosse possibile, credo che t'amarei più d'adesso. Penso adesso che tu mi scrivesti una lettera assai fredda, partiva il Corriere è vero, ma perché dunque non anticipare la venuta di questo? Scrivo spesso e molto; non ho le tue occupazioni.. è vero, ma ti voglio molto bene. Dimmi un poco: tu sei sincero, é vero? Oh ma cosa andavo a scrivere? Volevo sapere la spiegazione d'una cosa che per quanto ti pregassi a dirmela, non volesti mai contentarmi. Dunque è superfluo che di nuovo io insista. Se mai tu te lo fossi scordato, ti dirò che fu l'ultima sera di Carnevale , la sera tardi quando giocavi; avrai ora inteso? Ti scrivo di camera mia , al mio tavolino, e accanto al mio letto. Sono sola. Non sento nessun rumore. Ah se ti potessi ora vedere quanti baci ti darei , ma tu non proveresti, o per dir meglio, non sentiresti il mio piacere, perché tu non hai per me, l'amore che sento per te. Scusami, son pazza. Non so al mio solito cosa scrivo, ma quel che dice la mia penna, il mio cuore lo sente con tutta la forza.
Vedi tu saresti un obbligo per ricompensarmi di tanti fogli recanti ch'io ti ho scritto, di scrivermi tu una lettera, che dovessi durare a leggerla, almeno 7 giorni, e potresti essere sicuro che lo farei senza annoiarmi. La sera la terrei a dormire meco, e la mattina appena desta ricomincerei la lettura; ma temo molto, che sapendo il piacere che dovrei avere destandomi, presto mi impedisse di addormentarmi.. Ma non importa, dimmi che approvi il mio progetto e che lo metterai in pratica, e sarò contenta.
;a no voglio essere più disperata; mi contenterò che invece di sacrificare tanto tempo a scrivermi, tu pensi a volermi bene. Desidererei , che tu mi volessi sempre, quanto me ne dimostravi in 2 o 3 giorni che eri qui.... Ti osservavo bene, e vedevo quanto tu mi avreste fatto delle carezze per compiacenza, e quando erano fatte per far piacere a te, e a me.
Io sono stata assai cattiva; ne convengo. Ma procurerò d'esser buonissima, in altre circostanze, se riuscirà il nostro concordato. Oh allora tu dovresti amarmi con t'amo io adesso, perché farei di tutto per meritarlo, sarei un angiolino. Ho scritto come le bestie, e vedo che stenterai a intendermi. Addio mio caro, sono chiamata, e bisogna che lasci,. Ti mando in questo foglio tutti i baci che ti darei se tu fossi stato meco quando ho scritto questo foglio.


(nessuna firma e nessuna data)

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Ancora una:

Mio Caro
Come posso essere non contenta della tua cara lettera? E' impossibile. L'ho letta più d'una volta e l'ho baciata mille prima di bruciarla; ora poi vedo che mi vuoi bene, e vivi sicuro che non dubiterò con tanta facilità del tuo amore per me.
Tu mi chiedi un Portafogli; ma così straordinario che non si riesce a raccapezzarlo. Lo vuoi di due colori, vuoi Pulce e color di Rape, e mi dici che il color di Pepe deve esser al di dentro. Ma come, cosa intendi, per questo al di dentro? Bisogna che tu sappia, che i portafogli di Mastrini, non si possono fare che nella maniera di quello che ti mandai, che sia un solo colore il fondo, e le righe d'altri colori, o d'un altro colore semplice, ma vi deve sempre entrare il colore del fondo, altrimenti non si possono più intrecciare, e per questo effetto vi è una sola regola. Vorrei essermi bene spiegata.
Come dunque devo fare per farlo a tuo modo? Spiegati meglio, oppure insegnami qualche altra maniera. Credo che non dubiterai quanto piacere io abbia, a impegnarmi per te, ma mi scrivi che deve servire per una Signora, e non avresti piacere a dargli una cosa mal fatta.
Vedo ancora della difficoltà sopra i Medaglioncini Ma con molta pazienza, e meglio che sia possibile, si puole riuscire a farli. Ma la più gran difficoltà che ci sia,. È che tu mi limiti il tempo che lo vorresti dicendomi “Ai primi di Maggio lo vorrei mandare”.
Bisogna che io ti dica che fra pochi giorni io anderò in Campagna, al più, almeno così spero, per 15 giorni.
Mi Padre crede che un poco di mutazione d'Aria, in questa stagione, possa essermi giovevole, benché adesso stia benissimo.
Egli sa che a nessuno di noi fa piacere questa gita, glielo ho fatto conoscere, ma finge di non avvedersene. Che ne dici :Non è questa una crudeltà?
Vedi dunque che non potrei farlo così presto, come tu lo vorresti, tanto più che non sono la, così libera di fare quel che voglio, in camera mia come qua.
Scrivimi dunque, con più precisione, il tempo, che lo vorresti, e come devo immaginarlo, per i colori.
Tu saprai che molte cose sono belle a immaginarsi, ma riescono poi impossibile a eseguirsi.
Desidero che non segua così del tuo Porta-fogli. Povero il mio P.! Quanta pena gli deve essere costata, il disegno che ne ha fatto, e poi a gettata la sua fatica.
Le mie lettere ti fanno piacere, mi dici. Oh quanto mi sono care le tue! Ma il pensare che questo piacer me lo procura la tua lontananza, l'amareggia assai. “E' veramente una pena il dover ricevere per si lungo tempo” e intanto il tempo fugge. Non posso avvezzarmi a questa idea, avrei bisogno di una buona dose di Filosofia, per addolcire il mio Destino. Pazienza! Voglio procurare d'allontanare questi tristi pensieri, quando questi mi si presentano alla mente. La tua P. piange senza dirtelo; Gridala farai bene!
Dimmi carino mio;mi vuoi fare un Motto, Amichevole, per Drea V.à, Ne vorrei un altro per me, di morale, che fosse bello. Ma che dico, fatto da te non puol esser che tale.
Non avendo un verso a mio, Modo per Detta, non gli ho potuto per andre fare il cintolino; ne ho fatto un altro per un mio zio con un motto di mia composizione, che dice: “ Chi tel donò rammenta, il Dono Obblia”. Non sa di nulla è vero? Se mai vuoi aver la compiacenza di farmi questi due Motti, quello che per Detta sia d'un verso solo, L'altro per me , anche di due, anzi sarà meglio. Non so se ti devo dire, che questi che tu mi mandasti la volta passata, nessuni dei 4 erano adattabili per nastri da oriolo.
Sento “nell'istesso tempo” con dispiacere il tuo incomodo, e con gran piacere il tuo ristabilimento. La tua gita che mi scrivevi che dovevasi essere per l'Ascensione a Venezia, non la credo favorevole alla tua salute. L'aria di quel paese è cattiva anche per me, perché t'allontana. Non ho ragione? E poi tu mi scriveresti più di rado. Quanti motivi perché io sia più sensibile a questa tua gita? Almeno promettimi di trattenerti poco. Dimmi vuoi condurmi teco? Allora vedrai che non mi lamenterò che tu ti trattenga di più, anzi credo che lo desidererò. Bel progetto! Cosa ne dici? Rispondimi, Mi vuoi? Addio mio Caro, ho scritto molto, e la mia lettera ti farà vedere, se sono di buon umore,. Sai cosa devi fare perché duri molto.
Ti mando quanti Baci vuoi, t'abbraccio e sono
Chi Sai.

18 Aprile 1792

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Labindo ha avuto tante persone che lo hanno osannato, ma anche amici, che stando al pari come posizione sociale, lo hanno anche sferzato con parole pungenti, come le sotto elencate lettere ritrovate in Busta n. 268.


Amico Fantoni
Alla vostra prima lettera rispondo in primo luogo, alla seconda risponderò in secondo. In ambe però dette lettere vi sono per data di luogo Sarzana per Fivizzano. Ove state dunque? Donde di questi due siti scrivere? Circa la data del tempo la prima ha quella soltanto dell'anno, quella della seconda é del 22 Marzo: Veniamo alle risposte.
E' vero siamo stati finora tra il suono lugubre delle campane, e li accenti lugubri de Letterati. ...
(Continua)
Lettera scritta da Napoli nel 1790 da Antonio di Gennaro


Il medesimo Di Gennaro scrive ancora in un'atra lettera:


Carissimo Amico Amabilissimo
Ricevo la vostra scritta in data di Fivizzano ma spedita da Fosdinovo, mentre mi dite in essa che vi trovate in compagnia del Marchese Carlo. Dunque vi siete affacciato alla casa Paterna e subito siete volato in seno all'amistà. ......Mi congratulo che abbiate ritrovati in ottimo stato di salute tutti i vostri, e massimamente il bel nipotino. E' inutile il condurlo qui per tentare di aprirgli l'udito che è ottuso colle grida dei nostri esclamanti Lazzaroni...Riletta la vostra lettera veggo che ho sbagliato, e che le allegrie sono in Fivizzano. (segue)

Antonio di Gennaro



L'amico Luigi De Isengard, nobile di la Spezia è ancora più incisivo:


Car.mo Amico

La Spezia 20 Febbraio 1791

Tu vuoi abaliarmi di Ciarle, e mi coglioni coi fatti e colle parole. E' verissimo che poco importa alla defunta Duchessa ch'io la lodi una settimana dopo, ma è altrettante vero ch'io avea dato parola che avrei mandato i miei versi per questa posta, e ciò era necessario perché si aspettano onde cominciare la Stampa della raccolta . Se io avessi supposto che ti fossero caduti in pensiero io avrei sin d'ieri spedito a prenderli appositamente, ma ero sicuro che tu nulla ne hai fatto, così quasi temo che abbi neppure a mandarmeli per lunedì, nel qual caso mi converrà allora spedirli a Massa. Dici che non hai tempo à nulla, che sei occupato, e poi hai testa a fare il buffone, e a perdere il tempo a dettare in lunga lettera, che la metà ne sarebbe bastata per fare que' benedetti versi, che in ultimo hanno ancora a farmi sorgere. In somma io scorgo da tanto che bisogna che tu sia perduto intorno a qualcuna di quelle poiette (?) della S. Natura che tu mi nomi; ti veggo in fregola più che mai, e inasinito molto prima dell'arrivo della Primavera. Se continui così so sin dove devi arrivare.
Non so più che dirti. Fa a tuo modo che camperai fino alla morte. Un bacio a Baldassino Perla, Sono a tuo dispetto
il tuo affettuosissimo amico
Luigi de Isengard


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La Spezia 2 Marzo 1791

Tu hai voluto farmi morire con tutti i sacramenti. Ricetti la tua lettera spedita tre ore dopo il mezzogiorno, cioè due ore dopo la partenza del Pedone. Mi convenne quindi spedire subito un altro uomo a Massa, doppo aver copiati i tuoi versi, e aggiuntavi in un luogo una cosa di cui non potea fare a meno. Non so se saranno a tempo, e se già saranno cominciati a stamparsi i miei, che l'ordinario prima avea mandati per mettermi in sicuro di aver compito in apparenza, benché promettessi in tale occasione di rimandarli migliorati. Ciò deve essere co' tuoi da me spediti; i quali benché da te improvvisati, per non poterne a meno, pure sono pieni di quel poetico che non è nei miei e che mi togli il poco esercizio fatto sul fraseggiare e comporre in poesia. Devo però dire sinceramente che io trovo ne' miei un certo sentimento e un certo xxxxx che non mi fan sentire le tue più poetiche espressioni. Sul timore d'ingannarmi ho fatto leggere come mie l'une e l'altre composizioni a pena di criterio, e ha trovato più espressiva la mia, più poetica la tua. A Massa sarà deciso, se la cosa è in tempo, qual dovrà stamparsi , perché là ne ho lasciato l'arbitrio: benché abbia mandata l'ultima come correzione della prima.

Con tutto il cuore
Il tuo aff.mo Luigi D'Isengard

ps: Per tua regola e di pausa non ho trovato bella tua l'acclusa di cui parli, sarà effetto della tua fretta.

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C. Amico
La Spezia 13 Marzo 1791


Son arrabbiato come un Turco, affrettato quanto un Diavolo e quindi breve per necessità.
Un accidente ha prodotto che forse sarà stampato il tuo xxxxx cosi mi vien fatto sperare da Massa, te ne prevengo in seguito del già detto.
Ti ringrazio delle poche righe scrittemi con Pensa, e della speranza che mi dai di venire a trovarmi. Puoi credere s'io ti sospiri e se ti vedrò volentieri; benché sia in circostanza da non chiederti mai un favore che aTe deve costar troppo per molti capi.
Son persuaso che tu nulla abbia meco, e che non mi hai scritto, perché nell'età di trentasi anni ti senti anche il prurito di fare il burattino.
L'Abbate, Lauretta e Pensa ti salutano Che vuoi di più?
Addio Addio Addio

il tuo aff.mo
Luigi D'isengard

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Amico Carissimo


La Spezia Primo Giugno 1791


Le tue lettere sono state il soccorso di Pisa, che arrivò tre giorni dopo che si fu arresa. Potrò mandar quella al Marchese Silva, che gli riguarda, pregando Lui a far pervenire l'altra a lei. Rilevo da questa che tu scrivi al cugino che conti di presto vederlo. Punto e virgola il mio caro amico.
Io vorrei che tu stessi prevenuto a non farmi qualche corbelleria discorrendo di questa Donna. Mi preme che egli nulla sappia dei nostri intrighi amorosi, giacché temendo della di lei buona riuscita, potrebbe lagnarsi ch'io l'avessi imbarazzato in cose simili, vorrei però che sapesse ch'io ne ho tutta la premura e protezione a motivo delle peripezie sofferte col marito, e che io ti ho condotto alcune volte da Lei , venendo a trovarmi alla Spezia, nella quale occasione l'hai trovata una Donna capace a riuscire molto bene nell'impegno a cui viene destinata. Vorrei di più che tu mi facessi un piacere da amico. Che tu notassi bene i discorsi del Marchesino, e che indagassi con destrezza come ha presa quella cosa, s'egli ha formato nessun sospetto, e molto più se ha quasi lasciato seco in nulla, e fatta scorgere in cosa alcuna. Mi preme moltissimo saper tutto questo, onde scrivendomi da Livorno, o di dove sarai al primo momento, aspetto che tu mi informi precisamente su tutto questo, non con una delle tue solite frettolosissime lettere, ma con tutta la precisione e minutezza. Per amor del Cielo non divenire tu pure Egoista, e pigliati un po' di caldo, almeno in queste cose che da sé solo dipendono.
Rimaniamo intesi, aspetto il ritorno delle lettere e sono al solito sempre pieno di occupazioni

il tuo costante Amico
Luigi d' Isengard
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Amico carissimo

La Spezia 28 Agosto 1791

La mia venuta sarà pressa poco alla metà dell'entrante, e forse doppo che prima, onde non sarà possibile ch'io venga prima in Fosdinovo. Ciò si potrebbe combinare al ritorno. E ti prevengo fin d'ora che fu questa voglia essere di libertà, e che senza dolci violenze io voglio potermene andare quel giorno stesso, ch'io stimerò meglio. Mi darai una delle copie che ti diedi dei tuoi Scherzi, anzi mi farai sommo favore a farmela venire sin d'ora. Per l'altro volumetto aspetterò che Giorgi te l'abbia stampato ed allora non dimenticarti di farmi essere il primo ad averlo. Ti dirò poi il motivo di questa mia premurosa ricerca, e ti spiegherò meglio il carattere del Frate, che non ne ha di tal genia che il nome, e anche questo và quanto prima a rinunziare per sempre. Scrivo poco perché devo scrivere molto. La Checca è giunta al 18 del passato in Costantinopoli doppo un viaggio felicissimo di 26 giorni., senza avere n temuto né patito.
Ella si spaventa a non vedere che mortali Turchi, e mi dice che assolutamente non vi si vuole fermare. Ella è pazza e torna a me a portare il peso delle sue pazzie. Addio di volo, sono

il tuo Affettuosissimo
Luigi de Isengard

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Amico Carissimo
La Spezia 30 8bre 1791


Ad onta delle precauzioni prese io non ho potuto evitare la tua Strapazzata, quel che peggio si è che tu non mi fai nemmeno parola del manifesto che ti ho diretto invece di quella lettera che io non ti potei scrivere, essendo in Anola come ti dissi. Nulla intendo di tutto questo. Intendo solo che tu sei un certo Bestiolino che non ti vuoi metter mai nelle circostanze degli altri, che vorresti che si accomodassero ad ogni tuo Capriccio e alle tue, il che è difficilissimo! Intendo di più che è necessario il lasciarti seguitare il tuo sistema di Brontolone, fare le cose tue in santa pace, quando si ha la disgrazia di esserne schiavo, e di non poterne a meno, Amarti ciò nulla ostante, ed essere con quella tolleranza che esigi e non puoi accordare.

Il tuo affettuosissimo Amico
Luigi de Isengard



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Amico Carissimo

La Spezia 28 Marzo 1792

Mi credea che tu facessi il malato da Burla, e mi spiace ora al sommo che tu lo sia stato davvero. Godo però che tu stia meglio , e desidero sentirti ristabilito del tutto.
La mia partenza col Fratello è fissata subito doppo le Feste di Pasqua. Oggi abbiamo già cominciato le visite e sono affaccendatissimo nel dar disposizione a certe cose che vorrei terminate prima di partire. Se vorrai procurami una o due lettere di tua Madre col grato di servirmene o nò secondo delle mie circostanze, che non fosse per servire espressamente tua Madre , come le farai intendere ossequiandola in mio nome, e riservandomi a ringraziarla in profondo.
Ti prego far con Ignazio le mie scuse,. Non è possibile per ora ch'io scriva le mie solite lettere.
Sono con tutto il cuore, pregandoti salute

Il tuo affettuosissimo Amico
Luigi De Isengard

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Amico Carissimo

Parma 27 Aprile 1792


Ti scrivo in mezzo ad infinite distrazioni, e divertimenti queste due righe, che avrei dovuto scriverti prima, senza però averlo mai potuto, e lo faccio prima di tutto per porgere col tuo mezzo gli ossequi miei e dei miei fratelli, alla degnissima e amabilissima tua Sig.ra Madre, Padre e Fratelli, con milioni di ringraziamenti per tanti favori, e cordialità che mai potrò dimenticare.
Devo poi comunicarti il piacere che ho avuto di abbracciare e baciare cento volte il tuo Caro Agostino, che sta benissimo, e che ha mostrato, per suo buon cuore, egual piacere nel vedermi.
Aprendomi però il suo cuore, non ha mostrato troppo piacere della sua situazione.
Giunsi jerisera in Parma ove vidi al Teatro, il Sig. Ferrari Della Torre. Un accidente me lo pose vicino, un accidente mi fece scoprire che Egli era tuo amico e che era quello che aveva fatto per me delle lettere di raccomandazione.
Andò a finire che non si fece che parlare di te. Egli m'incaricò di salutarti caramente, ed io eseguisco la promessa che gli feci di farlo alla prima volta.
Scrivo di casa di una bella Signorina, che ho lasciata per non più procrastinare a darti mie nuove.
Gradisci dunque questo poco , e condonami il di più. A rivederci poco doppo il mio ritorno.
Sono e sarò sempre con tutta l'anima

Il tuo affeziosissimo amico
Luigi De Insengard

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Amico Carissimo


Riserba i tuoi Ragguagli di Parnaso che superano certo nel sale e e nella grazia quei di Boccalini, all'arrivo del famoso Duca quando ritorni da Firenze, come avrai sentito dalla mia passata. Io mi riserbo allora dal canto mio a somministrartene la materia, che mi figuro che non sarà mancante avendo per oggetto i bei capi d'opera. Non t'aspettare però che io abbia a figurare in questa scena. Io non avrò la sorte di essere ammesso dappresso che loro divinità; sarà assai se sarò segnato di un sorriso compassionevole in profondo e alla lontana. Io m'imbuggero, a dirla in breve di loro; così potessi imbuggerarmi di me e delle cose che mi infastidiscono. Ma inutile è ch'io te ne parli: tu non sai consolarmene, e non puoi dal tuo canto aiutarmi che con delle buffonate.
Ti accludo confidentemente una lettera che mi rimanderai subito: se hai cuore devi arrossire di essere tu solo la cagione che me l'ha procurata. Pazienza! Almeno non mi rispondere con le tue soliete fanfaluche, e lasci “il gran Mondo”, “i pregiudizi dei Paesi piccoli”, “le facezie dei Ministri”, molto meno poi aggiugivi adesso le mutande e la barba dei Cappuccini. So che non sai campare a fare nulla, ma so che sai dire tutte queste belle cose. Non credere però ch'io sia arrabbiato, da questo poco dico. Se avessi tempo direi anche di peggio, con tutto ciò ti amerei come prima, e come adesso che mi ripeto teneramente

Il tuo Aff.mo amico
Luigi De Isengard

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Un amico da Napoli, dopo avere visto una stampa del volto del poeta, scrive a Labindo la seguente lettera adulatrice:

Amico carissimo
L'essere stato da Voi onorato col dono del vostro pseudo-ritratto mi fa essere sicuro ch'io non sia interamente cancellato dalla vostra memoria. Io vi ho scritto varie volte, ma non avendo avuto risposta ho creduto che le vostre occupazioni non permettessero di rispondere ad inutilissime lettere, come sono le mie, e però mi sono astenuto di più tediarvi. Ora che mi sono veduto da voi favorito mi son veduto nell'obbligo d'incomodarvi nuovamente e rendervi i miei più sinceri ringraziamenti per tal dono, che mi fu dato dall'ottimo Duca di Cantalupo, al quale era stato consegnato dal Cav. Gargiolli, assicurandovi che l'ho ricevuto carissimo, come ricevo tutte le cose che vengono da Voi.
Ho detto al principio Pseudo-ritratto, poiché sebbene sia elegantemente inciso pure tutto altro indica, che la vostra fisonomia. Io vi ho sempre presente, e per conseguenza i dilineamenti del vostro volto sono impressi nella mia mente, ed il ritratto vostro sopra tela che mi favoriste tempo fa, e che vi somiglia è assai diverso dalla stampa. Che Diavolo vi ha fatto con un naso da zoccolante, quando Voi avete un nasino così bello, e delicato che potrebbe ingiulepparsi. Avendo veduto quella stampa un delicato incisore che trovasi in Napoli per nome Secondo Bianchi vorrebbe anch'egli incidere il vostro ritratto, ma ritraendolo dal vero ritratto che ho io. Essendo un uomo piuttosto bisognoso, sebbene eccellente nell'arte sua, vorrebbe che riuscendo esatto il lavoro, ed incontrando il vostro genio, gli usaste la carità di farcene esitare xxxxx o almeno prenderli per conto vostro, contentandosi di diserettissimo prezzo. Mi farete dunque la finezza questa volta sola di rispondermi su tal particolare.
E l'edizione compita delle vostre cose è andata già in aria?
Già per quella di Bodoni io non ci avea mai pensato, ma credeva vederne qualche altra di stampa meno spesosa. Non mi state a dire le solite fanfaluche che non vi crederò più. Temo che siete diventato un vero ozioso, traendo i giorni vicino a qualche bella, com'è stato il vostro solito da quando siete nato. Molti giorni sono da Cantalupo Si fece degna menzione di Voi, ed Oh quanto male si disse di Voi ed io specialmente quanto mi sgraziai a criticarvi. Addio ottimo amico, conservatemi la vostra buona grazia che niente vi costa, e credetemi
Vostro aff.mo amico e servitore Obblig.mo
Carlantonio De Rosa


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Queste due lettere successive (arch. Fantoni Busta n. 269) scritte da Agostino allo Zio Giovanni- Labindo le trovo molto importanti perché oltre a darci notizie di carattere locale sono una ulteriore testimonianza sicura (oltre alla lettera evidenziata dal Prof. Loris Bononi nel suo MUSEO DELLA STAMPA) che fu Agostino ad inventare la prima macchina da scrivere al mondo ad uso della sorella cieca Anna Carolina.
Le lettere, come molte altre scritte da Agostino allo zio, non sono datate, ma sono state scritte “Al Cittadino Giovanni Fantoni - Massa” intorno all'anno 1802.







Mio Caro Zio


Fra la Ravagna, e le lettere di mio Padre sono stato imbarazzato, onde sarò breve. Ti do avviso che ho inventato uno strumento onde l'Anna possa scrivere liberamente, se in questa settimana verrà il legnaiolo per la posta ventura ti scriverà di proprio pugno, mi struggo di vedere come riuscirà in pratica la mia idea, ma mi lusingo da alcuni tentativi fatti che riuscirà perfettamente.
Colonna non è di Magistrato, bensì un altro di Comano. Zamberlucco non si è visto per due feste, si aspetta oggi, giacchè glielo ho mandato a dire, sentirò così da lui quando sarà per venire, finora mi pare anche novizio.
Ti ringrazio delle nuove, non credo in alcun pericolo la Libertà Americana, credo soltanto come si vide pubblicato su un foglio inglese, sacrificati i poveri negri all'interesse dell'Inghilterra, e raddoppiate le loro catene perpetuando la tratta di quegli infelici.
Mille saluti alle Poldaccine, a Mannestronostro, il Commissasrio, Rossena, e Guerra. Lazzarino mi ha risposto.
Non ho ancora parlato per l'affare di Reggio, onde non so cosa dirti.
Salutami tanto la Lucreziana, e credimi qual sono

Tuo affettuosissimo
Agostino



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Carissimo Zio
Da Odoardo ti ringrazio delle nuove che mi hai mandate, sono stato 4 giorni fra Antognano, e Luscignano e mi trovai presente quando ad Antognano prese fuoco il Camino di Cucina, dapprincipio il fuoco si manifestò con una violenza terribile bruciando i mobili di cucina, con gran fatica si poterono salvare 16 prosciutti, ed altri salati, ma stante l'acqua vicina, e l'aiuto accorso ben presto fu spenta la fiamma, e il danno cagionato è stato poco vale a dire bruciati i tavolini, le panche , dei funghi, dei prugnoli secchi, ed altre bagatelle. Il zio Odoardo e il fattore si danno premura di ricercare la tua robba, e ti scrive Odoardo essendo tutte e due qui a Fivizzano venutolo io a vedere giacchè era del tempio che non ci eravamo visti. Tu mi dirai che cos'ho fatto?
Sono stato fora anche tutta questa settimana, in Figliole alle cave dei marmi, Equi, Monzone, Ajola a vedere quelle maestose orridezze della Natura, quelle rupi pendenti e quelli orribili precipizji. Ho ricevuto molta soddisfazione nel vedere la Buca d'Equi e quei condotti sotterranei, o filtratoi naturali delle acque piovane e delle nevi ammassate, generatori delle fonti dei fiumi, e dei ruscelli scoprendo quelle accessibili cavità il secreto con cui la Natura viene a formarli. Avrei pagato qualche cosa a saper la chimica per esaminare l'acque minarali del Bagno, l'acqua di Monzone,e quantità innumerevoli di minerali, e di marmi di cui si vedono gli indizi in quelle vergini grotte.
L'orrore che mi cagionarono quei dirupi fecero sì che tutta la notte, io non mi sognai quasi altro che di cadere giù dai precipizj. Peraltro non solamente volli penetrarne in fondo al gran corridone che comunica con la grande sala della Buca d'Equi, ma inseguito entrai in un altro foro che torcendo a forma di seta s'interna ben avanti nel monte, e in questo cunicolo è così angusto che conviene passare strisciando col petto a terra. Avevamo però avanti di noi una torcia per fare lume, e per indicarci se per accidente vi fosse stata qualche corrente d'aria mortatica. Scusa questa descrizione forse di già troppo noiosa per prolungartela di più, solo ti aggiungerò che quei marmi , e minerali non sarebbe indegni di qualche eccellente chimico, o Naturalista come Mascagni, od altri.
Riguardo alle lettere la posta passata non ne ricevei alcuna, e l'Agnese non mi ha detto di aver ricevuto lettere quando questo non fosse affare di due poste fa.
In quanto all'aver studiato in questi giorni tu vedrai da quanto sopra ti ho detto che ho fatta la vita del vagabondo. L'istrumento per scrivere a occhi chiusi non lo potuto ancora far eseguire perfettamente da un maestro che finora ho invano atteso, e questo non è lavoro da effettuarsi senza l'assistenza di chi lo ha ideato, un informe abbozzo da me fatto ti produsse quelle due righe dell'Anna, a tutti però quegli ingegni meccanici a cui l'ho comunicato trovano che deve riuscire a perfezione, avendo in questi ultimi giorni trovato il modo di fare il gambo alle lettere T D B Q che finora non aveva potuto trovare, stimo però molto facile il ritrovato, onde non credo d'averci gran merito.
Avrei qualche cosetta da mandarti, non già qualche bella cosa di cui sono capace, ma solamente fatta per esercizio.
Addio, nuove non ne do, essendone poi più asportata (?) di me. Salutami gli Amici, e credimi sempre qual sono

Il tuo Aff.mo Amico
Agostino


Il giovane Agostino si preoccupava per tutti i problemi della sorella Anna se scrisse questa lettera al confidente zio Giovanni. (in Busta n. 269)
I progetti andarono in porto perché, come abbiamo già visto, l'Anna seppur cieca sposò quel buon uomo di Domenico Ravani Pallai di Bibola.



Mio Caro Zio
Noletta

Una ostinata neve alta mezzo braccio mi tiene chiuso in Noletta con mio Padre, onde non ho potuto fare le tue commissioni. La lettera acclusa del Fattore fu rispedita sul momento appena che ricevei la tua. La carta di mio Padre e alcune lettere di Pisa piuttosto favorevoli mi danno tempo di risponderti categoricamente senza dilungarmi.
Scrivo a Glauco concertando la rimessa del vostro denaro con questi cattivi pagatori che mi fanno fare cattiva figura.
Ho inteso riguardo all'Anna, e cercherò di quetare con il consiglio e l'opera. Bisogna operò pensare a trovarle marito perché ne ha troppa voglia, e prima, o poi ci farà qualche sproposito con danno suo e nostra vergogna. Mio Padre non ci pensa e io non so dove battere la testa. Onde mettiamoci a cercare una occasione e tu impiega a questo oggetto le tue forze. Considerando che le cose stringono avviserò Odoardo tutto però sarà fatto con prudenza da parte nostra.
Il Sig. Bartolomeo morì prima del figlio sette giorni. Fece testamento più in favore di Domenichino che d'altri. Il sig. Domenico si crede non abbia fatto testamento nel qual caso detto Pierino spartisce a metà con Battistino. Detto Pierino vuole stare a Cardoso e fa buoni patti a Inetto perchè si sacrifichi a stare ad Antognano. Per un avviso speditoni dalla Caterina al Franconi sento l'arrivo di Battistino ad Antognano...... (la lettera prosegue con informazioni varie e convenevoli)

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La successiva lettera di Agostino (busta n. 269) allo zio ci mostra come il rapporto era molto stretto e famigliare. Si parla di screzi famigliari, di poesia, di curiosità locali, di politica e di speranze in un'Italia unita.


Mio Caro Amico e Zio,
Ricevo tre carte tue del 3 e 6 corrente, e ti ringrazio di vero cuore della premura con cui mi scrivi con un non dubbio segno dell'affetto che hai per me che procurerò sempre di meritarmi. Mi rincresce che Capponi si avi lasciato in timorire dai Livornesi che gli hanno dipinto mal sicuro il passaggio del bosco di Viareggio. Mavi ha scritto ancora a me, forse egli avrà mandato in scherzo il noto affare sapendo ch'era incamminato al rimedio. Fino di Domenica scorsa essendo il zio Odoardo venuto in Noletta a veder mio Padre seguì il discorso sopra l'Anna fra lui, e mia Madre che li protestò non aver detto nulla contro di lui, mentre anzi su questo particolare li protestava infinite obbligazioni., di aver detto però a Luigi da Gasparo che a Caugliano vi erano de' ruffiani , e qui nominò segnatamente il Pinelli, e Andrea il garzone. Bisogna dunque bene che Gigio abbia parlato non già allo zio Odoardo ma alla Rosina, o a qualched'un altro che lo abbia ridetto alla Rosina, La Rosina che coglie con piacere l'occasione di far nascere delle divisioni l'ha ridetto allo zio Odoardo facendovi delle frangie per cui il zio Odoardo indispettito contro mia Madre fece la nota risoluzione di mandare Anna in Noletta , ma venuto in chiaro della casa, soddisfatto della parte che li fece mia Madre , fece subito nell'istesso giorno l'invito all'Anna di ritornare, essa per ora non l'ha accettato per far la Pasqua in famiglia, e altre ragioni, dopo Pasqua però quando più gli piacerà tornerà a Caugliano. Essa sta ora alquanto meglio de' suoi occhi, e io cerco in tutti i momenti che posso di sollevarla con la lettura, o con la conversazione, e vedo che ragiona, e discorre molto bene anche su certi principi filosofici. La descrizione della Primavera è commovente qualora essa la faccia secondo lo spirito con cui voi l'avete tracciata, spero che lo farà, io certamente quando gliela lessi me ne sentii molto commosso. Procurerò di fare sempre per essa quello che attualmente io faccio, e di più ancora se mi sarà possibile. Tompuono (?) non l'ho bisogna ch'io l'ordini al Masi.
Intendo con piacere la venuta de' nuovi caratteri, mi dispiace non poterti venire ad aiutare, dopo che son tornato non ho potuto nemmeno andare a Caugliano, sono tutto il giorno alla campagna ove per ordine di mio Padre faccio eseguire tre piccole piantate d'olivi ch'esigono realmente la presenza onde i lavoratori non eschino di disegno, inoltre sono al presente occupato a rivenire, o stabilire de' termini ne' boschi adiacenti a Noletta, per garantirli dalle usurpazioni de' confinanti. Queste occupazioni campestri innocenti, e piacevoli soddisfano alla morale risvegliando in lui l'attività dell'immaginazione, e avrei fatto qualcosa se mio Padre non mi togliesse i momenti che mi restano non andandomi sempre a chiamare onde tenergli compagnia, Dio voglia che guarisca onde si liberi egli da suoi dolori, e noi dal travaglio e dalla soggezione, in cui continuamente ci tiene. Spero peraltro che questo sia per accader presto quando egli non faccia qualche ricaduta poiché presentemente sta molto meglio.
Godo sentire le nuove degli amici pisani, e che abbiate il piacere di aver rivisto Iacoponi , che abbraccierete da mia parte, e al suo ritorno li incombenzerete de' miei saluti, e di dir mille cose per me a tutta la Franceseria e agli altri amici che sapete.
Il Dizionario Inglese l'ho avuto dai Remedi in Sarzana, poi è venuto ancor quello che mi ha mandato Masi, il frasario epistolare inglese l'ho acquistato facendo con qualche fatica uno spoglio da una raccolta di lettere inglesi datemi dalla Maria Remedi, a parte frasi poi adatte con il Dizionario i diversi sentimenti che le circostanze, e i miei rapporti esigono che io inserisca nelle mie lettere, in questa maniera purgiungo a scrivere con vero stile epistolare, ed anche con qualche facilità e prontezza meno il necessario tempo di sfogliare il Dizionario.
Ecco il nodo che ho tenuto: Lazzarino non mi ha risposto. Ho principiato a tradurre un pezzo delle poesie stesse che mi daste, ma non ne vagliano la pena, si vede che non sono D' Ostiano perché non corrispondono.
Mi rincresce la malinconia di Luigino Adami, quando vado a Fivizzano, che procuro sia presto anderò a vederlo. Le tue lettere sono recapitate al bon destino. Ho fatto le tue commissioni al fattore, ma aveva già spedita della roba l'istessa mattina. Il Pittò sarà difficile trovarlo mentre io l'ho fatto cercare inutilmente.
Odoardo è uscito eletto Priore del magistrato, ma vuole rinunziare, lo stesso vuole fare il Colonna di Comano, onde resteranno impiegarsi i soliti o ignoranti, o F. Gonfaloniere, o il Sig. Franco Agnini di Gasparo.
I meloni che hai mandato basteranno, giacché sono come le voglie delle donne gravide. Intanto devo ringraziarti per parte di mio Padre.
Finalmente la pace di Aniene si è pubblicata, anche a Fivizzano fù affissa a suono di tromba, questa pace é unanimamente rincresciuta, erano già state date due battaglie una a Legnano, l'altra a Bizzighettone. Conservo la tua lettera, credo l'Unità Italica meno qualche distinzione che vorranno dare all'egoismo particolare delle antiche Capitali, stento però a credere gl'ingradimenti vociferanti, mentre nei preliminari fù sottoscritta l'evacuazione di Napoli, e Roma dai Francesi, lo scioglimento del Corpo sovranico attuale e l'ingrandimento dell'influenza della Prussia dovrebbero ingelosire l'Imperatore. Qui è stato ancor detto che è stata promessa l'integrità dei suoi stati al Turco.
Adesso pare che non si dovrebbe tardar molto a vedere la decisione del nostro destino, e dovrebbe uscir fuori finalmente l'organizzazione italiana, decisa la sorte di Genova, Parma e Torino. Se le cose si decidessero per l'unione, non credo sarebbe male rimettere in campo l'affare mio di Lombardia, tanto più che le ragioni ultime della vittoria non levavano di speranza, e che il prossimo Maggio ne darebbe un pretesto soddisfacente a norma ancora di quanto mi faceste riflettere a Massa alla lettura della lettera della Bolognini. Poco volendovi a fare rinvogliare mio Padre , dicendo che era tolto l'ostacolo frapposto, non essendosi accomodati, intanto cercherei averne notizia.
Dunque non si sa più nulla di Lucca, quest'inazione dopo aver fatto tanto fracasso a pubblicare la costituzione, non meno che lo stato provvisorio di Genova dando delle Speranze AGLI ITALIANI. Basta vedremo, mio Padre mi chiama a assiccer le sue lettere, se avrò tempo proseguirò. Questa volta sarei moltissimo eloquente, e seguiterei ancora ad annoiarti con l'idee che via via mi vengono, Ti prego dei miei saluti alla Bertolucci, e alla Del Medico, di mille ringraziamenti alla Lucrezia, e credimi qual sono
Tuo Aff.mo Amico
Agostino

11 Aprile

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Questa come la successive due lettere sono dettate ma non scritte da Anna che, ha problemi seri di vista e non può scrivere di proprio pugno.
La Nipote Anna sorella di Agostino scrive per interposta persona allo zio, il poeta Labindo, e lo informa della festa di Pasqua a Fivizzano, parla del suo componimento poetico “L'inverno” e dell'intenzione di scrivere da sola “DUE VERSI CON IL METODO di AGOSTINO” cioè con la macchina da scrivere che aveva inventato Agostino.
Siamo nell'anno 1802. (le tre lettere sono contenute nella busta 269)


Caro Zio,
Noletta 22 Aprile 1802
Domenica scorsa quando vi scrissi avevo fretta per questo non potei dirvi tutto quel che seguì nella Processione del Venerdì Santo, onde giacché viene da voi Domenico aggiungo con questa mia quel che lasciai l'altra volta, cioè che il palazzo del Marchese Gargiolli era oscuro affatto che scomparire faceva tutta la Piazza, e la Banda che Vi nominai montò sul terrazzo del Grilli per essere meglio veduti, e ascoltati da tutto il popolo che fecero delle più famose e toccanti sonate, e il loro maestro da Capella era l'Avvocato Sarteschi, perché il Cortesi era ammalato; il Marchese di San Terenzo come governatore della sua numerosa Compagnia aveva in petto un medaglione bianco, e rosso, col cordone, e rocchetto blu, che formava la coccarda francese, egli generosamente diede del denaro a quelli della sua compagnia, acciò andassero a ubriacarsi. Dopo che la processione fù tutta schierata in piazza, che saranno stati da mille persone, il predicatore di Carrara montò sul pulpito, due persone presero il Cristo morto, e lo posero sul palco, questi erano i due Ladroni che poi si misero uno da una parte e uno dall'altra fermi come statue; acciò il popolo li vedesse e li conoscesse. Indovinate chi erano? Bronzone, e Boccalone furono quelli che vollero avere l'onore di fare da ladroni, nessuni sconcerti seguì. L'Abate Rossi di Moncigoli diede fuora dei sonetti fatti da lui, dedicati al Vicario, che voleva dedicarli al Babbo che lui non accettò. La predica che fece era che voleva far piangere i Sacerdoti, ma tutti invece ridevano, perché credo io che pensassero al pranzo che sogliono avere il Sabato Santo dai parrochi, a proposito questa volta non vi ho taciuto la minima circostanza, e forse quel che vi ho detto vi farà ridere. Ieri era la terza festa di Pasqua fu da noi il zio Odoardo, ma la sera tornò a Caugliano, ma dice: avendo accettato d'esser Priore bisogna che vada a stare a Fivizzano, e invitò me a andare da lui Domenica a mangiare un poco di pitto che fatto levare di vita, non so se vi anderò perché il Babbo è tre giorni che si è rimesso in letto con fieri dolori, e la sera li rimette la febbre. La PRIMAVERA l'ho quasi finita, adesso penserò a ricoregerla con l'assistenza di Agostino; ricordatevi prima che vi allontaniate di più di ritornare ad abbracciare i vostri nipoti che vi amano teneramente. Vi prego quando scrivete a Plauco dirle che sono in collera con lui perché la posta passata non mi ha scritto nemmeno un verso io con tutte le prediche che mi hanno fatto, non ho lasciato passare una settimana senza farle dare le mie nuove, e ancora la posta passata li feci scrivere, ma ho saputo che restò alla posta per averla messa troppo tardi, e io stavo in pena grandissima, e Pietrino Pinelli, che me ne mandò una che aveva scritto a lui; quest'altra volta spero di scrivervi due versi da me col metodo d'Agostino, e qui sotto voglio fare il mio nome. Non m'allungo di più perché si va a tavola, resto col darvi un abbraccio insieme con Agostino e l'Agnese.
Vostra Aff.ma Nipote
M. Anna Fantoni

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La lettera (busta n. 269) è scritta allo zio Giovanni dalla nipote Anna, figlia di Luigi e sorella di Agostino; quella stessa che poi divenuta cieca ebbe in dono dal fratello una macchina per scrivere. A proposito del componimento poetico chiamato “Inverno” vedasi la mia trascrizione in fondo alla presente raccolta.
Le tre lettere sono dettate da Anna ad altra persona, che le scrive per lei, impedita nella vista.
Una piccola parentesi; Zuccherino, è il sopranome dell'avvocato Tomei acerrimo nemico del Conte Luigi padre di Anna.

Caro Zio,
Noletta 28 Aprile 1802
Venerdì dopo pranzo si andò tutti fuorché il babbo alla gran città di Fivizzano, che adesso in breve vi farò la descrizione della funzione che fecero, io il maggior piacere che provai fù Sabato mattina nel ricevere una vostra cara lettera, ecco che vi dirò quello che volevi sapere.
La luminazione del Paese fu assai miserabile, l'unica casa che più facesse figura era quella di Angiolino Lemi, e dei due Sarteschi, Zucherino mi dicono che illuminasse a cera, ma a porta chiusa. In processione vi era un gran numero di gente che con pochissima regola giravano il paese accompagnati da certi suoni chiamati da loro Banda scortata che il meglio sentire era la battute di Catuba; il regolatore di questa era Calani che con penacchio teneva pomposamente il suo posto, di quelli che nel vestire accompagnavano lui non vi era che Zuccherino e Castellini Capitano delle Bande represse di Pontremoli, e pochi soldati del pichetto; eccovi detto, in succinto tutto. Noi ieri dopo pranzo si tornò con molto piacere in Noletta, ci favorirono di farci visita tutti li Acconci, li Adami, la sposa del Dottorino, la Sigra Magniani con la Sig.ra Barbera.
Io e Agostino faremo quel che dite riguardo alla correzione dell'Inverno, e quando si avrà terminato ve lo manderò insieme con la Primavera. Il zio Odoardo verrà da noi la terza festa di Pasqua, certamente vorrà che vada con lui, io vi anderò ma non mi tratterò più di quattro o cinque giorni, ne tacerò di dirli il motivo che mi fa tornare in Noletta, cioè che non voglio ritrovarmi a soffrire di nuovo delle mortificazioni ingiuste, essendo quelle troppo pregiudizievoli alla mia salute, e che per lei vi starei molto volentieri, ma che non mi posso compromettere che taccino le cattive lingue. O adesso degli occhi sto assai meglio, e vi dirò che da quello migliore provo del miglioramento, avendo la vista assai più chiara. E' presto però il farvelo vedere, vogliatemi bene, che io facendovi tanti saluti della Mamma dell'Agnese, e di Cristofano , resto abbracciandovi di cuore

Vostra Aff.ma Nipote
Anna Fantoni
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Caro zio
Questa volta la vostra lettera mi à veramente consolata, e mi sono messa subito con tutto il trasporto di vero piacere a descrivere La Primavera che non sò se mi riuscirà. Agostino si era messo a mettere in versi la descrizione dell'inverno, e mi faceva aggiungere qualche cosa ove era mancante, ma adesso che sento che la volete mandare anche voi corretta, la lasciamo per ora in tronco per aspettare di terminarla quando avremo la vostra, quel che mi piace è che Agostino è stato fedelissimo alle mie parole, non cangiandone che pochissime, per non poter far di meno, quel che vi raccomando a voi è che vi ricordiate che voi siete Professore , e chi ha descritto appena si può dire che sia principiante, perciò non pretendiate di correggerla esattamente, perché allora dovreste levar tutto quello che ho fatto io, e mi avvilirei in una maniera tanto grande, che non avrei più coraggio di fare nemmeno quel poco malamente. Le nuove della funzione del Venerdì Santo cercherò di darvele, per ora non vi dico altro che la nuova della pace ha fatto avvilire molte persone, ma Agostino vi darà le nuove esatte.
Se scrivete a Glauco fateli per me tanti saluti. Ho ricevuto le fibbie e vi faccio tanti ringraziamenti, continuate qualche volta a darmi il pioacere che m'avete dato con questa posta scrivendomi a lungo. Il zio Odoardo che fù qui a vedere il Babbo mi ivitò ad andare da lui questa Pasqua, mi ha fatto piacere in vederlo cangiato, ma io non ho intenzione di tornarci che tra molto tempo, e ancora allora per pochi giorni, perché io non voglio soffrire più disgusti per sciocchissime ciarle, che in realtà vedo che tutto troppo mi disturba , e mi fa male alla mia disgrazia, e se non mi ho un poco di cura da me, agli altri niente l'interessa, e anzi cercano le più piccole piccolezze per farmi vivere inquieta, basta io desidero che abbino tutto il bene, ma il proverbio dice chi altri tribola se non posa tanto adesso Mi pare di star contenta ancor qui avendo la compagnia della sorella, e del fratello, l'Agnese vi fa i suoi più cari saluti , ed io teneramente abbracciandovi sono
Vostra Aff.ma Nipote
Anna F.

Noletta 22 Aprile 1802
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Carissimo Zio
Ho avute le tue nuove dalla Mamma ma con dispiacere non ho ricevute tue lettere, e ricordati che non è più Carnevale pensa a tornare a Casa, il tuo ritorno è molto necessario per la compagnia, e per mio sollievo. Sappi che Pietrino Pinelli ha dato prove di coraggio perché ha bastonato due di quelli fanatici per il Medico Agnini, e che erano andati per bastonare Lui. Non ho ancora potuto sapere chi sono, ma se lo saprò te lo scriverò esso ti saluta. Io stò sempre male degli occhi, sono qua disperata, e zio per mia disgrazia non si risolve ancora d'andare a Caugliano, molto più adesso che crede che possa fare una corsa a Fivizzano xxx xxxx, ti raccomando di ricordarti della xxxx non posso più scrivere, Cristofano ti fa mille saluti, pure la Caterina, e l'Annetta, L'Agnese di cuore ti abbraccia, amami quanto ti amo mentre sono
la tua Affeziosissima Sorella
M.Anna Fantoni

Noletta 2 Marzo 1803




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La successiva lettera, una delle poche,(busta n 269) è del fratello Don Francesco che scrive a Labindo lamentandosi di poca considerazione.

Carissimo e gentilissimo Sig.re Fratello
Vengo con questa mia che forse questa sarà l'ultima lettera che io vi scrivo perché ve ne ho scritta un'altra quando eri a Caniparola e nella medesima vi scrissi che mi faceste il piacere di ascrivere al Sig. Barone Luigi D' Isengard che si ricordi di mandarmi la carta rossa e la scatola e poi vedo, che voi avete mancato al vostro dovere di fare questa ambasciata, ma basta bisogna che io abbi pazienza era stato meglio per me che io mi fossi fatto frate o che fossi andato a servire la Nazione Francese, dunque si vede bene che non mi considerate più vostro fratello, basta seguitate pure a fare così, a me non mi preme delle notizie, che avete date al vostro servitore Giuseppe, e che poi le ha date a me, voi me le avevate da dare a me e non ad altri: ed io lo so che voi avete scritto al Braccini, ed agli altri e a me no? Basta non mi preme niente, questi sono i bei piaceri, che si fanno a voi, e che poi mi ringraziate, col non darmi retta. Io vi voglio disingannare d'una cosa ed è questa, che voi avete scritto ad Odoardo che io vi ho scritto, e che vi ho mandato un pezzo di Bandiera dentro la lettera, e vi giuro che non ne so niente affatto qui si vede, che ci sono qui in Paese delle persone che vogliono male alla nostra Casa. Finalmnte il Sig. Padre mi ha fatto fare il tavolino da tenere in camera, ed è molto bello onde sta attendendo la risposta vi abbraccio, e sono di Cuore

Fivizzano 16 Novembre 1792
Vostro Aff.mo fratello
D. Francesco
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Il Marchese Carlo Emanuele Malaspina di Fosdinovo scrive a Labindo queste lettere contenute in busta n.272 e 273.
Nella prima parla dell'importante visita che fece in Lunigiana il Granduca di Toscana, il giovane e innovatore Pietro Leopoldo d'Asburgo- Lorena che, quattro anni dopo, divenne Imperatore del Sacro Romano Impero.
Nella seconda si parla del teatro di Fosdinovo e nella terza, che ritengo la più interessante, si parla dei rapporti che intercorrevano fra il Marchesato di Fosdinovo e la vicina città di Sarzana, ove di già circolavano idee libertarie e giacobine provenienti dalla Francia.

Amico Carissimo

Fosdinovo 16 Luglio 1786
Ieri all'ore otto di mattina giunse in Fivizzano il Reale Granduca di Toscana dove si dice che parta domani alla volta di Pontremoli per compiere il giro della sua Lunigiana La Famiglia e i Feudatari che mi avevano onorato di eleggermi per compiere a nome di tutti al più umile e doveroso ufficio presso il Principe suddetto, lo hanno fatto frustaneamente giacché con lettera compitissima del suo Ministro vengo dispensato da ogni passo.
O quanto al presente sarebbe a Proposito la persona ora al decoro della Patria, e al bene dei veri Patrioti? Son certo che in questa circostanza si toccherà con mano qual grave mancanza sia quella di un uomo di merito, e di talento. Una evidente prova di ciò credo che siano le Feste preparategli, di cui non vi do ragguaglio certamente. Io vivo in ardente attenzione di vostro riscontro all'ultima mia in cui vi pregavo.
La mia signora è tornata finalmente nella scorsa settimana. Il vostro Sigillo è appresso di me e vi sarà spedito colla prima occasione. Amatemi che siete corrisposto di cuore. Addio
Il vostro Amico e Servitore
Il Marchese di Fosdinovo



Amico Carissimo

Fosdinovo 23 Luglio 1786
Ho scritto al Sig. Conte Vostro Padre nel modo che più bramate, e ne attendo il riscontro, che ormai dispero di potervi inviare a Posta corrente. Lo farò adunque nel venturo ordinario. Adirvela però, io non mi lusingo punto che il Vostro Sig. Padre sia per cangiare di sentimento, atteso essere egli immutabile nelle massime che adotta per migliori.
Caro Amico, io non so cosa dirvi su la vostra presente situazione, sono infiniti gli esempi che ne additano il merito non riconosciuto, avvilito, ed oppresso.
Rammentatevi che i Sentimenti sì felicemente da Voi consacrati all'Eternità, e se non d'altro, fate Capitale del cuore di un Amico, che vi ama teneramente.
I noti Componimenti io li vorrei al più presto possibile, dovendo questi essere stampati in Parma almeno per la metà di Settembre. Vorrei che in questi vi ricordaste del Capo, e Direttore dell'Accademica Società dei Comici, il quale rappresenta, e nel Fabbricatore Inglese ne è il Protagonista. Ciò lo stimo necessario principalmente per così occultare da chi ha avuto origine l'inchiesta.
In quest'anno il mio piccolo Teatrino è stato l'oggetto del mio divertimento , e mi è stato di un sommo divagamento nelle avversità che mi molestano. Si può dire che non è più quello di prima, giacché son quattro mesi che vi lavoro, avendo fatto venire di fuori l'Intagliatore, Indoratore e Pittore e temo molto che non possa essere ultimato per il principio d'Ottobre.
Attendo vostre ulteriori notizie colla massima impazienza, e sopra di tutto per ciò che vi riguarda, non me le ritardate adunque, se vi compiacete di riguardare con la stessa parzialità d'affetto, chi vi sarà immutabilmente

Dev. Obbl.mo S. e Amico Carissimo
Il Marchese di Fosdinovo


Amico Carissimo

Fosdinovo 26 Agosto 1787

Quando credevo di poter godere di una stabile tranquillità, stante il piano di vita che mi ero proposto regolato da saggi vari consigli, ecco che il Diavolo ha suscitato Disturbi, e Diavolerie, che non mi lasciano un momento di riposo.
Questi hanno origine dall'astio, dall'invidia , e dall'innato livore con cui i pessimi miei confinanti, i Sarzanesi hanno sempre riguardati questi Feudi Imperiali.
Si sono saputi prevalere dell'imbecillità del moderno Governatore, ed hanno tutti insieme ne' scorsi giorni pubblicata una Legge di cui la più iniqua non si rinviene ne' fasti dei Secoli più barbari. Questa esclude ogni sorta di commercio, sì attivo che passivo con i Feudi a me sottoposti, e con ciascheduno individuo, a segno tale che sono giunti a negare un sorso d'acqua di pozzo ad alcune povere persone mie suddite che si trovavano in Sarzana nell'atto che il barbaro Proclama si pubblicava a suono di Tromba. Sono infiniti gli assurdi , le contradizioni, le iniquità che contiene. La surriferita barbara Legge, che non solo ha fatto orrore all'intiera nostra Provincia, ma altresì alla Toscana tutta, e alla Lombardia che hanno voluto applaudire la retta condotta da me tenuta in simile funesto, e inaudito incidente. Le mie Provisionali sono state tutte dirette alla Quiete, e al riparo di qué passi, che una troppo irritata pazienza suggeriva agli oppressi miei sudditi, che non pensavano che alla vendetta, e che uniti in diversi corpi minacciavano colpi dettati dal furore, e dalla disperazione. Infatti ne' scorsi giorni non si contavano che carcerazioni , che aggressioni, che percosse, ed insulti; s'impediva il passo delle merci forestiere quivi indirizzate, si usurpavano i raccolti delle campagne a noi spettanti. Tutto insomma era ingiustizia, furore, oppressione,. Cosa credete Amabilissimo Coll.mo che abbia dato moto ad un fatto così stravagante, ed irregolare. Sappiate che fu fermato nel mese scorso una condotta carica di Tabacco guidata da un Sarzanese, che era munito di licenza falsificata. L'affare fù discusso in giudizio, e il Mulattiere sarzanese fù condannato a termini di giustizia. L'interesse per altro era di spettanza di alcuni signori sarzanesi, e questi hanno suscitato un fuoco, che poteva produrre conseguenze assai più funeste. Ecco come si giudica dagli uomini guidati soltanto dall'interesse e dall'amor proprio. Genova però ha principiato a farmi giustizia con l'ordine trasmesso al Sig. Governatore di revocare prontamente il barbaro Decreto, e si attendono con l'ordine di domani altri ordini più strepitosi, e proporzionati al fatto , e in sodisfazione del leso mio decoro, ed al risarcimento de' danni causati agli innocenti miei sudditi.
Ho voluto informarvi almeno in parte d'un fatto, che giungerà ancora costì, e che forse dall'altrui malizia potrebbe tramandarsi alterato.
Stò attendendo con affettuosa impazienza la notizia che riguarda il vostro stabilimento, che preferisco, e preferirò sempre a qualunque mia sodisfazione. Ciò vi basti per replica all'ultima Car.ma vostra, mentre sarò sempre
Vostro Aff.mo Amico e Servitore
Il Marchese di Fosdinovo

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Sempre in busta 273 la lettera di Azzolino Malaspina, fratello di Carlo Emanuele, che dal Feudo di Fosdinovo prega per avere dei farinacei per sfamare il suo Popolo.


Amico Carissimo,

Fosdinovo 21 Maggio 1793

Questi nostri panettieri sono alla vigilia di dover chiudere la Bottega per mancanza di Grano, e questa Comunità viene minacciata fra pochi giorni di fame. I provvedimenti finora presi hanno servito a tenere in calma questo Pubblico, ma presentemente siamo alle strette, e il povero che torna alla sera a casa stanco delle fatiche giornaliere e non trova pane alle Botteghe, onde sfamarsi, comincia a mormorare. Prima dunque di giungere a maggior calamità ho pensato di scrive a Voi come Amico, e Cittadino di tutto il Mondo, e pregarvi , se fosse possibile di mandarmi una Partita di Grano, o Mistura, o anche farina di castagne. A Voi, ch'avete buoni mezzadri e gente da poterne compromettere all'occasione, dovrebbe riuscire un contrabando, che si fa per il piacere d'una piccola porzione di genere umano a voi limitrofo, e se vi maneggiate in maniera da spedire questo grano ai confini, o come vi sembrerà più proprio, avvisatemi prontamente, che vi manderanno i vetturali per caricarlo. Io non vi limito il prezzo che si sborserà subito, e senza contrasto, ma vi prego bensì di provvederne in quella maggior quantità, che vi sarà possibile, assicurandovi che vi resterò eternamente obbligato. Alle mie vi unisco anche la preghiera di mio Fratello, che vi saluta caramente, e in attesa di un favorevole pronto riscontro ho il bene di confermarmi con tutta la stima e amicizia

Vostro Aff.mo Serv.re e Amico
Azzolino Malaspina di Fosdinovo


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La Busta n. 272 ci riserva un'interessante raccolta di lettere dell'amico Antonio Lei di Bologna che, tre anni dopo, gli mise a disposizione la propria villa di Corticella, per cui Labindo prese contatti per trasferisi ivi da Massa. Ma il 30 ottobre il Poeta si ammala e si ferma nel Palazzo nativo di Fivizzano, ove cessa di vivere, la sera del 1 Novembre 1807.





REPUBBLICA ITALIANA
Bologna 14 Febbraio 1804 Anno III
ANTONIO LEI
Delegato di polizia presso la prefettura del Reno


Al Suo Amico Aff.mo Giovanni Fantoni Labindo

Zambeccari a cui ho letto la vostra lettera è vivamente penetrato di sentimenti de' quali siete animato a suo riguardo. Egli è figlio del Senatore Zambeccari e nipote del Professore. Egli anzi si lusinga di essere stato con voi in colleggio a Parma, e si compiace di questa idea. Egli di presente sta meglio della sua mano, ma ha di già perduta la falange del suo dito anulare, e la prima del dito mignolo. E' tale la forza e l'azione di un'aria caustica come egli la chiama alla regione di quattro miglia circa di altezza che per salvare l'intiera mano è stato inutile ogni miglior cura. Egli però non è sgomentito, ed è incapace di scorragiamento. La sua relazione redatta dal Prof. Venturoli, e combinata con le deposizioni del suo compagno Andreoli, le osservazioni fatte da Saladini, e da Ciccolini all'Osservatorio dell'Istituto e il più regolare Processo verbale della Dioscesa Prima, all'argine da me ordinato, sortirà a momenti, ed io mi farò carico di spedirtela per il corso di posta.
Ora vi scrivo qualche cosa sul conto degli amici. I buoni che furono veramente tali lo sono sempre, Sartoni, Lodi, Cauriani ora Prefetto al Basso Po' si conservano. Alcuni altri abbandonando ogni altro pensiero si sono dedicati, o alle cure Forensi come Vicini, Gambari, Baldini di Faenza, o alle speculazioni mercantili come Spaggiari di Bologna, Corelli e Manzoni di Faenza, e sono ricchi, altri o servono al Governo ne' Pubblici Impieghi, e non sono che passivi. Nella Classe di questi ultimi si distinguono gli onesti per il principio generale di giustizia che li anima, e li guida. Fra questi si distinguono Somenzani che sà governare, e sà farsi amare. Ne' bolognesi resta sempre il germe del Patriotismo, che prende le forme di ardente amore per il proprio paese, che li fa credere egoisti in faccia a limitrofi, e che li dono un carattere vero nazionale. Di Reggio non so dirti nulla. Boretti come saprai è Segretario Generale, a Modena Leonelli e Cortesi hanno eretta una fabbrica di vetri, e Cristalli, Ballentani dimenticato nella nomina del tribunale d'Appello è stato fatto Pretore di Modena, Quirico Luogotenente, e Giovannini Assessore. Tomaselli ha riconosciuto il numero dei Buoni Patrioti che la morte ha rapito. Pisa fa il medico e malamente, Tamburini lo farebbe con reputazione se non fosse inquietato dai debiti: Giusti è attaccato intieramente alla Prefettura, e Braganzè è Delegato soltanto di nome, Bosellini scrive tutto il giorno, e legge ma poco vantaggio n'avrà la Società. Mazei che fu mio Segretario, e di cui più volte m'avete domandato è attualmente scrittore presso l?istituto Nazionale. Io non ci voglio più bene perché ho avuto degli incontri per conoscerlo cattivo, cioè intrigante, pettegolo, maligno, e violento. Non ho mai più saputo di Delfico e della nostra lettera. La Nipote del Matematico Fantoni non esiste a Bologna quando non lo fosse sott'altro nome.
Il Maresciallo Jourdan passò ieri di qui: fece la rivista delle Truppe, e distribuì la Stella d'oro a molti Generali e perfino a de' semplici Soldati. Il Prefetto ed io fummo di convitati al gran pranzo di formalità. In mezzo a molte cose disgustose mi compiaquì sedere a mensa col Conquistatore di Fleurus, e avere accanto un soldato decorato d'un insegna d'onore.
Ho ricondotti di nuovo Gaetanetto a Nonantola dopo che dal volo di Zambeccari fin adesso è stato con me in campagna in una amena collinetta fuori di una di queste Porte.
Io sono ogni giorno più contento di lui, vivace all'estremo è docile nello stesso tempo ubbidiente, e condiscendente: ama la verità senza essere imprudente, e senza mai aver detta una bugia, sa tacere quel che è inutile di dire. Questo è al disopra della sua età assolutamente, poiché egli ha soltanto quattro anni e mesi nove e non sette come voi credeste. Ha un'inclinazione grande per i cavalli, poco per le armi, e per altri giochi della sua età. S'occupa tutto il giorno a taccare e staccar cavalli di legno da molte e varie piccole Carrozze, e conosce ad uno ad uno tutti gli attrezzi inservienti a cotest'uso. Ha un'estrema immaginazione, e anche macchie di un muro, e di una tavola egli vi vede dentro Uomini, Donne, Cavalli, Fanciulli. Quando non sa esprimere un'idea chiaramente la espone per analogia e i suoi
confronti e le sue comparazioni sono sempre giuste.
E' sobrio nel mangiare: la mattina fa due o tre collazioni, pranza alle 4 pomeridiane col Papà, e alla sera non cena: beve costantemente acqua, e non vuol vino, se non con violenza. Siccome la Campagna è un elemento per lui così lo lascio di nuovo presso le sue zie (di cui son molto contento) fin che non cambia la stagione. Ogni giorno i miei Amici m'offrono Precettori, e metodi di educazione. Prendi il Professore uomo ben noto mi ha messo per le mani certo Abate Dalmi di cui tutta Bologna fa immensi elogi. Io mi sono impegnato non volendo, ma ho limitata l'educazione che gli darà a soli precetti verbali senza insegnargli a leggere, e con quel metodo che voi mi proporrete.
Vorrei piuttosto che fosse Filosofo che Erudito, ma mi dicono che è l'uno e l'altro. Ecco dunque il tempo di astenermi: attendo da Voi un piano pratico di Fisica, e morale educazione per Gaetano fino agli anni 8.
Il Vostro Lei

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Qui sotto (busta n. 273) una lettera dell' amico Serafino Maffei di Livorno che aspetta con impazienza l'arrivo dei Francesi.






M.C.A.

Livorno 13 Giugno 1793

L'ultima volta che ti scrissi non avevo ricevuto la tua lettera, quelli della Posta l'avevano l'avevano data per sbaglio al servitore d' un altro Dr. Maffei che è in Livorno e che è quello stesso che ci ha sciupato Orazio con una cattiva traduzione. Rispondo adesso perchè non potrò farlo mercoledì, essendo oggi obbligato di accompagnare a Pisa alcune persone di mia conoscenza. Forse tu però ci sarai, forse t'incontrerò. Mi sarebbe piacevole se andando alla festa di un Santo, mi avvenissi in un Uomo.
Ti ringrazio moltissimo della tua ode nella quale ho ritrovato al solito e sentimento, e filosofia, e fresco colore, e copia, e varietà di numero. Il metro mi piace assai, ed è al Soggetto adattissimo. Vorrei che presto tu regalassi al Pubblico queste tue belle cose.
Amico mio, tu hai 39 anni e io ne ho 28 non ancora terminati. In questo stato pertanto, hai un bel disertare d'imbrigliare le passioni, questo torrente impetuoso che riesce inefrenabile. Undici anni d'esperienza, e d'osservazione più d'un altro, giovano moltissimo. Se è vero che l'anima non sia altro che il complesso delle nostre idee, ma vi è un'età nella vita in cui la nostra esperienza quasi tutta si tace, e che il tumulo e l'agitazione il sangue sono cose cattive: io le chiamo necessarie e queste con il Tasso:
Bello in sì bella vista anco è l'orrore
e di mezzo la tema esce il diletto

Si da quasi sicuro che la Squadra Francese del Mediterraneo sia in mare. Vari bastimenti qua giunti riferiscono che è stata veduta alle alture delle isole d'Iheres facendo rotta verso l'Elba. Si dice composta di 23 navi di linea, e di 14 fregate. Voglia il Cielo che questo numero non sia reso inutile dalla malvagità, voglia il Cielo che la gancrena del tradimento non abbia invaso il core dell'equipaggio!
Ama il tuo Amico
Serafino

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Busta 274 lett 49 Glauco Masi – Editore di Livorno

Amico Caro
Livorno 18 Aprile 1804

Attenderò quanto tu mi dici da Agostino o dal Babbo, ed intanto, se ti pare, fai loro nuove premure con quella riservatezza che prescrive a me l'amicizia. Appurato come tu mi suggerisci di scrivere all'Annina, le scrissi già l'ordinario scorso, e non le mostrai che il dispiacere di dover formare di lei un opinione diversa da quella che avevo, e di crederla poco sincera ugualmente che tutte le altre donne.
Se tu sentissi la lettera che mi scrisse prima dell'intervallo che v'è stato di silenzio da una parte e dall'altra, te ne meraviglieresti. Pare ch'essa sia nel calore della passione per me, e mi attribuisce tutti i suoi mali, mi forza infine a decidermi sul partito che volevo prendere a suo riguardo.
Io le risposi con la mia solita ingenuità, e le posi sott'occhio il quadro vero della mia situazione, e le necessità in cui eravamo Ella ed io di rinunciare alle speranze concepite di unione matrimoniale. A questa lettera venne una risposta tanto fredda, quanto era piena di fuoco la prima. Dopo questa, ebbi la notizia dei suoi amori con il figlio del Vicario e poi la sua disperazione per la di lui partenza. Io che so queste cose da persona testimone oculare delle sue smanie, vedo con dispiacere ch'ella suscita nel negarmi tutto, e che abbia rinunziato a quella ingenuità che faceva uno dei begli ornamenti del suo carattere.
Siamo in una critica circostanza nelle mie stamperie riguardo a Torcogliere, uno che avevo mi si è ammalato di un tumore in un braccio che lo ha costretto a tornare a Siena sua Patria per curarsi, un altro che ne aspettavo da Pavia ha preso impegno con uno stampatore di colà e probabilmente non lo avrò. Intanto siamo in impegno col Pubblico per le nuove Edizioni di Dante di cui ti rimetto il manifesto, e non sappiamo dove darvi capo. Tu che hai relazioni in Genova e Torino potresti scrivere e sentire se vi fosse da averne uno, ma si verrebbe bravo e non dei comuni, perché non vogliamo farci assassinare dei buoni caratteri, della buona carta e farci poco onore al Pubblico.
Il Ghiselli si potrebbe ritentare?
Non conosco punto il libro scritto dall'Ebreo Modenese e di cui mi richiedi notizie.
L'opera che vende Gamba, contiene i ritratti degli uomini celebri della Rivoluzione, ma non solo i ritratti morali, ma le loro effigi in rame con un ristretto delle loro gesta e della loro morte. Contiene inoltre in quadri diversi tutti i fatti rimarchevoli della Rivoluzione con la descrizione sotto i quadri medesimi. In che senso siano scritte queste vite degli Uomini celebri non posso dirtelo perché non ho potuto farne venire nessuna Copia perché è una opera assai costosa e di difficile esito.
Mi si dice sortito a Parigi col titolo Le Citateur che lavora molto bene gli Allocchi, e che il Governo stesso ha permesso che si stampi per reprimeragli un poco.
Ho domandato varie volte a Buio fratello e a Bologna le notizie che tu chiedevi rapporto al Canonico Pio Fantoni ma Egli non me ne ha risposto nulla, e facilmente non ne saprà nulla, essendo molto occupato.
Vado ristabilendomi in salute col favore della stagione e d'una vita lattea.
Quello che minacciava d'essere tumore non fù, e si dileguò naturalmente coll'uso de' Bagni. Una volta l'anno è lecito di divenire Pazzo, ed io lo divenni nel corpo del passato carnevale di funesta memoria per me. Ci vuole pazienza e profittare delle continue lezioni che si hanno nella Società per imparare a conoscersi, e quando si è appreso allora la Morte vi risparmia di far uso delle lezioni avute, e siamo disbrigati d'ogni intrigo.
Addio Amico caro, amami e credimi
Aff.mo Amico
G. M.


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Busta 274 Lett 52 del 16/12/1805 di Glauco Masi
L'Editore Masi, ha ormai abbandonato alle sue sorti l'Annina e per dimostrarne il distacco non ne pronuncia nemmeno il nome completo!

Mio Caro Amico
Livorno 16/12/1805
La graditissima tua e quelle dell' A....mi annunziano il tuo ristabilimento, ora io ne godo moltissimo
Nella stagione in cui siamo è difficile preservarci interamente dall'infinità degli incomodi che ci circondano. Io mi sono persuaso che la malattia che ha qui dominato non debba più comparire e nella peggiore delle ipotesi che si riproducesse, tanti sono i preparativi che si sono fatti e che si fanno per attaccarla subito, che credo di poche vittime riuscirà d'immolare onde sono determinato a non fare cosa alcuna che consigliare mi potesse una tetra immaginazione. Non voglio per vari timori rischiare di peggiorare la mia esistenza la quale può migliorare al contrario della perseveranza e coll'assiduità agli affari. Cassami dove vuoi, anche se ti piace nel numero dei Pazzi; il tempo dei sogni e delle illusioni è per me assolutamente finito. Saprai l'elezione di Giuseppe Bonapartye in Re d' Italia, e quella di Luciano in Re di Olanda. Quai meschini effetti da cause si grandi.
PARTURIUNT MONTES.
Addio amami e credimi tuo
Aff.mo Amico Glauco Masi

ps: stasera vedrò la Rosina e la saluterò in tuo nome. Mio padre ti abbraccia.
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BUSTA 274 lett 58

Amico Caro,
Livorno 22 Aprile1806
Ti ho scritto tre settimane sono una lettera nella quale ti pregava di profittare dell'occasione del tuo amico che si portava a Firenze per raccomandarmi al Tassoni. Ti aggiungo inoltre un mio progetto che mi si aggirava in testa, e ti chiedevo un tuo consiglio e assistenza, ove tu l'avessi approvato. Ma mi pare che finora sono come S. Paolo che invano scriveva ai Corintj. Ho dimandato le tue nuove a Benedetti, e ho saputo che stai bene e sei molto occupato negli affari dell'Accademia. Ma pochi momenti all'amicizia si possono dare senza molto danneggiare le Arti. Insomma tassoni viene qui con la Corte venerdì; se tu vuoi mandarmi una lettera commendatizia per lui mi farai piacere. La presenterò se continuerò in certe idee, altrimenti non incomoderò né lui né altri.
Qua abbiamo feste , spettacoli, Apertura di nuovo Teatro. Tu sei a pochi passi di qua e non vuoi partecipare? Io se potessi verrei a passare i giorni che queste dureranno da te, tanto stranier qua sono ad ogni festa che non sia di Gloria.
Ti approvo dunque ed invidio i tuoi studi tranquilli.
Addio amami e credimi di cuore.
Affezionatissimo amico
G. F. (Glauco Masi)
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Busta 274 lett 68 - (Lettera senza data, probabilmente scritta intorno al 1804-1805)

Amico Amatissimo
Sento che sei a Caugliano ad animare e promuover l'allegria e il buon umore. Rallegra e distrai chi è tristo, caccia la noia e le malinconie da tutti i cuori, consola quelli che ne hanno bisogno. Mi scrive mio Padre d'averti scritto riguardo all'Edizione delle Odi, che aspettava le tue risoluzioni per occuparsi di sceglier un sesto di carte conveniente e fabbricarle alla nostra nuova cartiera.
Gradirò dunque di sentire da te il tuo sentimento e la tua decisione.
Abbiamo le nuove del vicino ritorno del Re Etrusco. La morte del vecchio duca pare che abbia abbreviato la sua dimora in Spagna. Si attende qui una squadra Inglese con truppe da sbarco, si crede quelle d'Egitto. Saluta caramente il buon Zio Odoardo, e tutta la brigata Cauglianese. Abbraccia caramente chi mi saluta e di al gran Piccolo s evuol ch'io gli mandi un maestro che gli insegni di nuovo a scrivere, giacché immagino che se lo sia affatto dimenticato. Dagli peraltro mille baci in pegno della tenera amicizia che ad esso mi stringe. Tutti gli amici ti salutano; spesso si parla di te con la Rosina. Quando ti si conosce come si fa a non parlarne? La tua amicizia è troppo cara e quel a cui l'accordi purché se ne faccia un pregio di possederla.
Ama intanto il tuo Amico Glauco.

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BUSTA 274


Carissimo, 23 (senza data)
Il dolore sì il terribile dolore furono la ragione del mio silenzio. In quel giorno Glauco che io dovea darti le mie notizie seguì il taglio fatale alla mia povera madre coll'asportazione totale della mammella. Oh! Amico mio qual dolente qual tremendo spettacolo! Tu puoi figurarti la mia afflizione e la desolazione unanime della famiglia. Ora la malatia superati i primi momenti ha preso un verso naturale e tranquillo, ma la vita di mia madre è sempre appesa a un filo fragilissimo che può rompersi da un momento all'altro. Ciò ti esprime abbastanza lo stato dell'animo mio, la mia inconsolabilità del mio dolore. Niuna cosa può sostenermi; tutto mi amareggia e mi opprime.
Per ora non posso dilungarmi ancora e compiangi il tuo addolorato amico

Giuseppe Micali
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BUSTA 274 lett 47
La lettera è importante perché parla del “ progetto Beccaria”, che consisteva nell'intenzione di Labindo di erigere un monumento a Cesare Beccaria.
Cesare Beccaria nacque a Milano nel 1738, studiò presso i gesuiti di Parma e di laureò in giurisprudenza. Entrato a contatto con cenacoli illuministi si appassiona alla filofia e alla letteratura.
Nel 1764 pubblicò il libro “dei Delitti e delle pene” breve scritto che ebbe un apprezzamento entusiastico in tutta Europa specialmente in Francia. Il Beccaria sosteneva con esso l'abolizione della pena di morte che non impedisce i crimini e non è efficace come deterrente. Sosteneva in vece il valore rieducativo della pena. A tali temi il poeta Labindo era molto sensibile essendo discendente
di quel Terenzio Fantoni dottore in Giurisprudenza (nato a Fivizzano nel 1613 ed ivi deceduto nel 1687). Chissà quante volte il nostro poeta lesse l'opera del suo avo Terenzio “Discursus de Juramenti Reis non dando” che già 150 anni prima di Beccaria scriveva contro la costrizione al giuramento e l'inumana tortura dei carcerati. Per tale motivo dopo l'esperienza giacobina di Reggio Emilia Labindo va a Milano e assieme a Pietro Verri, amico di Beccaria, si mette a raccogliere fondi per inalzare un monumento, ma le difficoltà storiche del momento impedì che venisse realizzato. Solo nel 1871 Milano, a nome della nazione italiana, gli farà erigere un monumento, opera dello scultore Giuseppe Grandi.

Lodato fu il Cielo che potrò alla fine rivederti e abbracciarti! Quando tu andrai a Monteforcoli ci verrò anch'io, ed ancora parleremo di nostro interesse di cuore e reciproca soddisfazione. Sappi però che venendo a Pisa non incontrerai più la Contessa. Questa Donna sconosciuta dopo il mio ritorno mi ha dimostrato una tale indifferenza ed insultante freddezza da mettermi in sospetto sul di lei carattere ed intenzioni; né mi sono ingannato dacché ho saputo che per discolparsi è giunta persino a calunniarmi. Ho sempre dubitato che le Donne fossero capaci di una vera amicizia, ma ora poi mi accorgo che non vagliano neppure la pena di essere stimate. Peggio poi quando sono il manto artificioso della filosofia, ritengono tutti i pregiudizi del loro stato, e le pretenzioni della bellezza. Io ho finito per la prima volta di non accorgermi di questo cambiamento, l'ho trattata con la solita confidenza, e fin l'ultima volta che fui a Pisa andai espressamente a trovarla per offrirgli l'occasione di porre un velo sopra i suoi torti papali, ma il suo orgoglio e le sue pretenzioni mi hanno alla fine ribrettato.
Fito e gli altri hanno rimproverato la sua maniera di procedere verso di me. Ella dice di avere delle ragioni per operare così, e le tace. In ciò mi calunnia, né io debbo soffrirlo. Ella palesa l'ostinazione del peccatore, e l'odio del suo sesso. Io tutto gli perdono, ma rotti vincoli della usata amicizia, Ella mi è diventata indifferente né io debbo più vederla né stimarla. Tutto ciò lo confido all'Amico. Tu non devi farne cosa , né mai tenerne proposito colla Contessa. Ch'Essa sappia che ho l'anima tanto grande da non risentirne, ed ecco la mia vendetta.
La relazione di Pavia per dirti il vero non l'ho ancor fatta perché non corri il tempo per le cose più importanti, ma con un poco di tempo te la manderò sicuramente. Quella di Milano è troppo debole ed imperfetta per essere stampata nel Mogard Letterario a lato di tanti belli effetti estratti che ho veduto nel primo numero, che ho per le mani. Se avessi creduto che fosse destinata a tale uso, gli avrei dato un altro giro, molto importante nelle attuali circostanze, perché avrei dimostrato l'influenza del governo sul carattere e operato nazionale, non meno che le due vicende. Tu fai peso che quella memoria fu fatta coscientemente, ed interesse di fare un catalogo degli amici di lettura, che una relazione scientifica. Per dunque se tu non l'hai accresciuta e perfezionata ne auguro poco bene. Pensaci e dimmi i tuoi sentimenti. Se la cosa promettesse molto potrebbe farsi una nova relazione, allora si che sarebbe utile e decoroso di farla stampare.
Non credere che mi sia addormentato sul progetto di Beccaria, Le risposte che ho avuto da Milano tolgono ogni speranza di realizzare colà il tuo progetto, ma invece ho pensato che sarebbe meglio di erigere il monumento in Toscana, ove si sono vedute realizzate le benefiche mire dell'autore a vantaggio dell'umanità. La collina di Fiesole presso Firenze non può offrire un locale più favorevole né più pittoresco per tale oggetto, onde tu puoi argomentare da ciò che si avvicinano sempre più le speranze della riuscita. Il Governo non vi si opporrà certamente se noi potremmo mettere nel partito delle persone che contano molto. Ma prima di tutto conviene motivarlo molto il progetto e riformarlo in qualche parte. A Montecuccoli parleremo dunque di ciò, e spero che potremmo combinarci.
Per ora ti abbraccio e sono tuo amico
Giuseppe Micali

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BUSTA 274 lett 27 Giuseppe Micheli

Livorno 9 7bre 1791

Evviva Labindo! Sei finito a Barga , in traccia di divertimenti a giorni, allegro, gioioso e contento.
Te felice che non si senti alternativa poi far curare la tua anima dalla pena al piacere; La mia sempre oppressa dal peso tremendo da farsi male geme nella più profonda costrizione e giunge perfino ad invidiarti la tua filosofia che fa renderti meno infelice e più contento. I rapporti dei quali mi parli furono tutti terminati fin di quando tu eri a Livorno e da quel tempo in poi non se ne sono più creati. Però mi duole di non poter eseguire in una maniera né l'altra la commissione del tuo amico.
Desidero assai di vederti: dai fai una corsa a Pisa per veder Pitto che ha esalato sangue nuovamente, ma ora è molto migliorato. Non ti parlo delle dolenti e luttuose novità di Toscana: L'anima mi geme di dolore. Addio.
Aspetto presto l'arrivo della tua venuta a Pisa. Tuo
Giuseppe Micali
La mia mamma però non fa molti miglioramenti.
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BUSTA 274


Amico Carissimo,
Livorno 9 Marzo 1796

Oggi solo comincio a star meglio della mia cattivissima infreddatura, come vi feci scrivere mi ha obbligato a guardare il letto per molti giorni. Rispondo adunque alle tre care vostre lettere, ricevei con la prima il consaputo piano di studi; mi ha fatto veramente piacere, ho trovato eccellente il metodo, e la concatenazione degli Studi per lo sviluppo dello spirito umano, non mancherò di applicarmi a seguire in tutto i vostri savi consigli; leggerò pure dopo Locke, “ L'Assai su l'origine des connoissances humaine” de Condillac, questo non potrà che giovare nello studio dell' Intendimento Umano: seguiterò poi con l' Emilio e L'Uomo, non mancherò dopo aver letto ambedue di fare un estratto di quelle cose che mi sembrano le più in contradizione, e farvi di poi quelle riflessioni necessarie per vedere se fosse possibile conciliarle, come mi diceste, questo estratto non ve lo prometto pronto, perché come sapete sono quattro volumi grossetti i quali vanno letti per ben tre volte al fine di poterli giudicare. Questo richiede del tempo, ma oh Dio! Gli obblighi del mio stato mi danno pochissime ore per studiare. La sera vo in camera come sapete alla mezzanotte, la gran stanchezza allora mi assopisce i sensi e bisogna che prenda riposo non mi restano dunque che una o due ore della mattina. Levandomi presto delle quali mi approffioterò, e certamente saranno le più a proposito per le ragioni che voi stesso mi avete scritte. Venghiamo ad altro; ho fatto già incassare il finimento terraglie e siccome il navicello per Bocca di magra non è ancora partito, lo consegnerò al Sig. Arrighi perché lo spedisca in quell'occasione, ho sollecitato per la partenza ma ha detto che vi è tempo qualche giorno e che vi manderà pure insieme le molle che li commettete. Scriverò ad Andrea Vaccà della sella e dei cavalli. Con altra mia vi dirò il risultato. Geppino ha scritto una sola volta di Parigi scrisse poche righe solo per far sapere il suo arrivo. La disgrazia del Convoio Inglese si sapeva, è' certamente una perdita incalcolabile per gli Inglesi e avrà certo funeste conseguenze. Purtroppo la nuova Italia ha da temere le sue Monarchie son mal fondate e il genio della Libertà Francese le fa crollare da tutte le parti, così non fosse si fanno gran preparativi in Francia, non più che questa mattina un Francese al servizio della Repubblica che è qui di passaggio per andare a Costantinopoli fra le molte cose di cui si è parlato mi ha detto < L'italie au milieu de l'eté ne serà plus quell'elle est à present> Queste parole mi fecero tremare... ma tremai per tutto il resto della Povera Italia che chi sa a quali spaventevoli tragedie deve ritrovarsi; la causa per cui viene fatta questa guerra è pur bella. Ma oh! Dio sono così terribili gli effetti che non so a che partito appigliarmi, come non è possibile acquistare il Diritto Divino della Libertà se non con l'odioso dritto di Arimane? Sì fin che Uomini saranno Innannati Superstiziosi e Orgogliosi le cose andranno sempre così; ecco perchè il Savio ed il Filosofo non deve tralasciare mai di tramar con tutto il calore e l'energia contro gli abusi del fanatismo, se egli non arriva a cambiarlo arriva almeno a raffrenarlo.
Perdonate Caro Conte se mi sono esteso in materie che Voi non ponno interessare, ma l'ho fatto per avvezzarmi a sviluppare le mie idee, e farmi non tanto uno stile nello scrivere, quanto ancora per formarmi il Cuore e lo Spirito; non solo leggendo i libri s'impara ma col saperne fare l'uomo istruisce e conosce gli errori, e si perfeziona sempre più; Correggetemi se vi sono errori in questa lettera, ma avrò un vero piacere, così non ci caderò altre volte.
Serafino ha fatto l'ambasciata vi saluta e ringrazia, il Loreti vi rigrazia della sua attenzione, per il nonno il babbo la mamma e le sorelle. Tutti vi rimettono i loro saluti. Amatemi e scrivetemi, sempre
pronto ai vostri comandi
(non è firmata: ma è uno dei fratelli Micali di Livorno)

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BUSTA 275 LETT 25

La lettera è dell'Abate Pietro Notari di Montemiscoso raccomandato da Labindo al veneziano Micheroux quale precettore dei figli.

Carissimo Sig.- Conte

Venezia 12 Gennaio 1792
A motivo dei tempi sono arrivato a Venezia più tardi di quello che avevamo destinato, cioè mercoledì sera. M'incontrai per strada con un sig.re Veneziano che mi s''affezionò moltissimo, e volle che la sera suddetta andassi ad alloggiare in casa sua. Ciò mi parve un buon augurio. Infatti spero che incontrerò anche la Sig.ra che è bellissima, piena di fuoco, e d'amor proprio unito ad un gran talento.
Un Padre non poteva situarmi meglio, ma non le sarò ingrato qualunque fortuna io incontri, la dovrò al suo cuore ed al sincero affetto che Ella ha per me. Vorrei poter dimostrarle la mia gratitudine co' fatti, ma siamo ancora giovani, e se una morte invidiosa mi rapisse sono sicuro ch'Ella non dubiterà della mia riconoscenza.
Tra breve scriverò al suo Sig. Padre per ringraziarlo delle pulitezze che mi ha fatte e del buon cuore che mi ha mostrato. Scrivo due righe anche al Conte Odoardo temendo ch'Ella non sia più a casa,.
Spero che a quest'ora avrà ricevuti i capponi. Ne lasciai l'incombenza unita al denaro a un mio amico, e a mia madre onde sono sicuro che sarà già stata eseguita la mia commissione.
Il Sig. Cav. Non le scrive , essendo già troppo aggravato dagli affanni, ma m'impone di dirlr un mondo di cose e sopratutto che farà tutto quello che potrà per servire un suo amico come Lei riguardo all'affare che Ella sa' che con un poco di pazienza spera di accontentarla.

Ps: i bambini sono belli ma il primo pare an'angiolo.
Pietro Notari


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La successiva missiva mostra un rapporto molto confidenziale fra l'Abate Notari ed il Poeta Labindo.
Labindo sapeva tirare fuori anche i più segreti pensieri dai suoi compagni. Così come mostra in questa lettera l'Abate Notari , scrivendo in un linguaggio da ragazzacci di strada.


Busta 275 lett 19

Carissimo Sig. Conte Mio Padrone e Signore

Il di lei saggio giudizio sopra Marra, perché è vero, è degno di essere scaturito dalla di lei penna. Lessi tempo fa un di lui sonetto sopra l'Inferno, che può chiamarsi un < altro basso> essendo ora tra le stelle, ora a farl'apposta, all'Inferno, s'inalza maestosamente ora precipitosamente cessa, e malgrado tutto questo si sente dire: bello, bello. Il Poeta, che imita la Natura, non fa di questi salti, e facendoli non guasta niente l'armonia, siccome questa si conserva male nella natura delle cose.
Non vi ha verità più certa di quella, ch' Ella mi trascrisse, che tutte le Scienze ridondano a farci conoscere i rapporti dell'Uomo con lui stesso, e colla Natura, dai quali si rilevano le regole di condotta; e che perciò esistono nella Filosofia Morale tutte le Scienze utili.
A me però pare, che osservando i doveri verso di noi, e quelli verso gli altri, s'osservino anche quelli verso Dio; e che perciò prima vadano avanti quelli , che questi essendo una conseguenza di quelli.
Le sono infinitamente grato dei vantaggi che mi desidera, e vorrei potere secondare questi suoi utili desideri.
Che diavolo mai fanno questi Sopraintendenti della Posta, che ritardano sempre le lettere? Io le scrissi l'ordinario passato un'altra lettera con entro un biglietto del Sig. Can. Fantoni, dalla quale Ella intenderà, che io ho ricevuto tutte le sue lettere molto tardi.
Facilmente nella gita, ch' Ella pensa di fare non mi troverà più in Pisa, avendo fatto conto di essere casa la sera del 26 del corrente, ch'é giovedì otto. Onde guardi se posso servirla avanti di partire, che sono sempre disposto a i suoi comandi, e si ricordi che non sono nello stato, in cui era l'ultima volta, e perciò non abbia ribrezzo a comandarmi.
Se Ella si ritrova in Fivizzano La prego di farlo saper anche al Sig. Conte Odoardo, e alla Sig.ra Madre, e a tutti i miei Sig.ri, e di loro dire la mia debole servitù.
Se poi Ella non vi si trova modo a rispondere ad una lettera del Sig. Agostinetto, scrittami da parte del Sig. Conte Luigi, a Lui (parola illegibile) che faccia i miei doveri con tutti i suddetti miei Padroni, senza scrivere tante lettere una per ciascheduno.
Mi rincresce della di lei continua agitazione, ma se la di lei Pupola è sincera, o almeno mostra di esserlo, a che Ella ne diffida così? L'amare è una bella cosa, lo confesso, ma uno stato senza il suo Dio me lo tenga lontano!
La Vincenti, il Sarti, lo Stay, e Pietri, che ora è tornato da Lucca mi dicono di riverirla distintamente.
Io penso Ella conoscerà, che ho fretta, e perciò saprà scusarmi.
Le dico ancora una cosa e poi finisco. Sono Disgraziato, sto poco bene, e quel che è peggio, mi sono incontrato sull'ultimo in una bella sposina chiavabilissima.
Posso ripetere = pazienza= Non vorrei, ch'Ella da questo parlar oscuro intendesse, ch'io abbia preso qualche male, perché grazie a Dio non sono in questo proposito. Il mio star poco bene lo riporto dall'aria che comincia ad ingrossare.
Addio Sig. Conte, mi comandi con tutta la libertà , e mi creda con tutto il cuore
Suo Umilissimo servitore vero
Pietro Notari

Pisa 18 Maggio 1791




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BUSTA 275 LETT 34


Carissimo Sig. Conte

Giubbilo che la sua salute vada meglio: ma mi rincresce ch'ella non possa applicare e contentare il mio desiderio componendo un secondo discorso e la memoria commessale da Ferdinando sui bisogni della nostra Lunigiana, di cui forse Ella si è dimenticata. S'affretti perciò a guarir bene per diventar più robusto di prima tanto nelle facoltà fisiche, che morali, e dare dei prodotti di maggior peso.
Micheroux non l'avvisa del tempo in cui io dovrò partire? Mi dispiacerebbe di esser costretto a passare anche tutto questo mese in Fivizzano tra questa gente malvagia. E molto più mi sarebbe grave di passarvi Settembre.
Possibile che io abbia tanti peccati da purgare!
La roba ordinata a Genova non mi è ancora arrivata.
Del butirro non ho risaputo nulla ma verrà.
I suoi affari sono ancora pendenti: il Conte Luigi mi fece leggere un'articolo d'una lettera dove Agostineto la saluta.
L'ottimo conte Odoardo è immobile ed io al par di lui
Mi protesto per sempre il suo Affezionatissimo
Pietro Notari

Fivizzano 11 Agosto 1792

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BUSTA 275 LETT 35


Carissimo Conte
Sono più allegro. G. m'assicura ch'è una mera supposizione che si vorrebbe far apparire verità. Ma agli animi deboli.
Ho sempre parlato il linguaggio della ragione, e della Giustizia e spero che mi varrà.
Le spedisco per Cattreccolo il mezzo peso burro, il di lui prezzo è di due lire di Parma la libra. Mia Madre vedendo che per colpa del mulattiere non le ha potuto provvedere l'intiero peso, le ha aggiunto due pani del suo, che forse non sarà inferiore al parmigiano. Mi scrive ch'Ella la scusi se non gliene manda di più essendo in tempi in cui se ne fa molto consumo in casa. Ho ordinato l'altro mezzo peso.
Ho ricevute due sue amatissime, alle quali risponderò domenica. Ho letta la conclusione ed è ragionata assai bene; ma questi Frati nei loro raziocini non hanno riguardo all'utilità. L'origine delle cognizioni umane bene realizzata è utile; poiché fa crollare i pregiudizi e li soffoga.
Non sono più lungo perché Cotreccolo parte. Mi ami e mi creda di vero cuore.

Il suo affeziosissimo
Pietro Notari

Fivizzano 13 Agosto 1792
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BUSTA 275 LETT 37


Carissimo Sig. Conte

Dio sà, se potrò venire a Fivizzano, li Zii sono in bestia. Perché non tornano i mestrui alla C.
Credono, anzi vogliono che sia gravida: io, consideri non ne so niente.
Il male si è che hanno le mie camicie, e non me le vogliono rendere; quando partii da Fivizzano me l'avevano nascoste, e però non potei portarle meco.
Lo zio mi stà dientro da molto tempo perché rinunzi alla... (qui si interrompe la lettera che è stata appositamente tagliata dal destinatario per nascondere qualche notizia che doveva rimanere segreta, ma poi sotto continua:) ....dei suoi beni, che ha in Lombardia; e questa Donazione è irrevocabile, finché io non muto stato.
Ne ringrazio Iddio.
Ho piacere, che il suo Sig. Padre abbia imparato a conoscere i Fivizzanesi; era ora che li conoscesse.
Senza suo danno continui a darmi le nuove dei Francesi, ed a elettrizzarmi dipingendomi quadri tanto sensibili: Dio voglia che la filosofia,= Creseat eundo=, e soffochi l'Ignoranza madre del Pregiudizio, e della Superstizione, in un profondo abisso... (solito saldo di lettura perché siamo nella seconda pagina del foglio tagliato)... E' una lite d'impegno, ed io sono l'Avv. E il Procuratore. Quando si divisero queste due famiglie, si tralasciò di dividere un campo di dieci staia di grano di semenza; voglio dunque che sia diviso.
Ho cheisto al Conte Odoardo per questo fine il Codice di Giustiniano, e faccio spesso uso di alcuni passi delle Sue Odi.
La prego di domandare a qualche Avvocato di Codesto paese, se un mandatario si possa fare, per rispondere alle posizioni; e quali devono essere le cause plausibili per scusare il Reo a rispondervi, e perché possa istituire un Mandatario a rispondere per lui.
Mi saluti tanto D'Isengard, avrò cara la sua lettera; ma gli scriverò prima io, subito, che avrò tempo.
Addio, caro Sig. Conte, mi comandi e mi creda di cuore.
Il Suo Aff.mo
Pietro Notari
Montemiscoso 6 8bre 1792

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Busta 283 Pietro Notari di Montemiscoso parla delle nuova strada carrozzabile che il Duca di Modena vuole costruire attraverso il Passo del Cerreto. La lettera è scritta in un francese approssimato.

Tres Ill.re Monsieur

Jer j'eux quelque nouvelle du gran chemin pour un Monsieur, qui me dit, qu'il est un largeur d'huit bras, et q'on il farra bientot. L'ordre qu'a donné Monsieur le Duc de Modene, est, che le gran chemin doitre etre SOMMEGGIABILE COMODA; ce dernier mot avec la longeur indique, que le gran chemin doit etre calessable. Cet Gran chemin ne passe pas pour Montemiscose , mais il passe pour Castelneuf, et Ceret des Alpes. Et nous quand voudrions venir à Fivizzane, nous fairons le premier rue; que faisons à present, C'est tout ce, que je peux dire surmant sur tel chose.
Je Vous prie Monsieur de faire mes compliments à Monsieru Le Conte Louis, e de lui dire, s'il m'à porté quelque livre, qu'il me l'anvoye, e qu'il me done avis du valeur. Cepandat, pour Monsieur, recevrez un consign aavec quattre pair de beurre, mais, je vous prie à me pardonner de l'travaliesse , que, je me piend. quand Vous avec Monsieur Battaglia allè venir donner m'en avis, mais la fin de Septambre est le plus a propos , les autres mais precedants non nomment les mois des affaire pour ce pays.
Je vous echarge, Monsieur, de mes compliments à votre Maison, et à Monsieur Battaglia et avec le plus profond respect je me professe
De Vous Monsieur Tres Ill.re
Tres Humble et tres Obejgeant
Serviteur
Pierre Notari

Montemiscose 24 Jullet 1787
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BUSTA 275 LETT 42

Carissimo Sig. Conte,

Venezia 12 Marzo 1792
Ricevo in questo momento una sua lettera che comprende un'articolo di un M. Cav. Micheroux che mi ha fatto piacere. Così potrò regolarmi, ma, a dirglielo in confidenza, pare che la Sig.ra non sia contenta di me .....
=Penso che non vorrà seguirmi se io sono destinato a Costantinopoli= fosse buttato perché io mi scoraggi d'andarci. Comunque però sia Ella parli chiaramente al Cavaliere, e gli dica, che se tanto egli, che la sua moglie, non sono contenti di me, e con mi condurranno volentieri con loro a Costantinopoli sul caso, che attenghino quella come migliore, o non ottenendola non mi vedino volentieri qui al loro servizio, me lo facciano sapere senza alcun riguardo, e per tempo, che così, se non vorrò tornarmene a casa, ma provvederò altri mezzi per star fuori. Mi parrebbe di fare un delitto se accorgendomi di testare???, benché leggermente la felicità di una famiglia col viver con essa, non la lasciassi
Mi vergognerei di me stesso, se avessi la franchezza di viver con persone, non voglio dire che mi odiano, ma che mi guardano con occhio bieco. Eh non sono tranquillo, come dice il Cavaliere! Non son tranquillo, che con quelle persone, che sono sicuro, che mi vogliono bene. Son tutt'altro che tranquillo. Ella dunque cerchi al Sig. Cav.re il suo sentimento su di me, e quello della Sig.ra Contessa sua moglie; perché se posto, che sia Egli contento di me, e non la Signora, io le ripeto, non posso resistere a conviver con persone, che mi guardano lupo, e cesserei di turbarla.
Riguardo ai miei studi continuo quello di Giuspubblico, il quale é utile; ho cominciato a studiare la Storia, e il corpo degli studi di Condillac per prepararmi per l'educazione di questi allunni. Fra qualche anno spero di aver acquistate delle cognizioni, che desidera il Cav.re, e spero che se si dispone con la sua moglie ad esser contento di me, fra qualche anno sarà contentissimo.
Non può credere quanto mi abbia disgustato la disgraziata nuova dell'Avv. Lampredi, Dio Voglia che sia ancor vivo e torni in salute. Ammiro la di lei sensibilità che appena avuta tal nuova si muove per andarlo ad abbracciare. Se, come spero, vive, lo supplichi della sua padronanza e protezione e gli dica che la sua disgrazia mi è stata sensibilissima.
Un uomo come Lei, con tanti talenti, e senza rimorsi anzi con la consolazione d'aver fatto del bene, quando ha potuto, e d'aver la rara disposizione di farne non deve temere i colpi della Fortuna.
Sempre non andrà cosi, diceva quello che girava il rosto. Lo spero, che verrà il tempo, in cui anch'Ella sarà felice. Ma io parlo di felicità? Credo, che nessuno abbia la sorte d'esser tale. Nemo sua sorte contentus. Caro Sig. Conte, Addio. Mi ami, come l'amo e mi creda sempre
il Suo Aff.mo
Pietro Notari
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Ecco una lettera scritta di qualche mese dopo dal Cavaliere Micheroux , ministro in Venezia, all'amico Labindo in cui parla delle gioie del proprio matrimonio, ma a queste sirene Labindo sarà sempre sordo.

Busta 274 lett 39

Carissimo Amico

Ho letta con un vero dolore la storia delle vostre spiacevolezze domestiche, e tanto più vi compatisco che, per intima convinzione, ho sempre stimato e stimo, che tutte le cose del mondo siano un nulla, in confronto di quelle dolcezze, che si gustano presso i Penati. Vedo dunque con raccapriccio la vostra situazione; ma permettetemi di non diffidare della vostra prudenza, dei vostri talenti, del vostro coraggio; e de' modi concilitori di cui potete e sapreste far uso. Con tanti doni in Voi compilati, non è possibile che non vi riescha di condurre vostro fratello alla mansuetudine e alla giustizia, il vostro Padre all'imparzialità e la Madre vostra ad un perfetto disinganno intorno al soggetto, cui immeritatamente Ella confida. Grandi esser debbono le tempeste nelle quali vi trovate immerso; ma io vi tengo per maggior delle vostre sciagure, ove voglite far uso di que' lumi tutti, e di quelle armi da Savio, che possedete. Pensate che vi è più Gòoria a reggere con virtù ed irreprensibilmente in una situazione come quella in cui vi trovate, di quel che ve ne sia a comporre cento volumi: valesse il Cielo ch'io potessi somministrarvi altro che consigli! Ditemi voi in che potrei addolcire i vostri mali, e mi troverete pronto ad accorrere in aiuto di un sì caro Amico.
Vi siete troppo spaventato pel cenno che vi ho fatto, intorno a quelli, che ho io sofferti. Non vi parlerò di mille amare peripezie, che mi han sempre accompagnato ma quel che non mi ha mai fatto essere pienamente felice, si è che non sono mai stato perfettamente sano. Del resto, ciò non impedisce ch'io non sia felice Sposo, Padre, Congiunto, ed anche Ministro, e ch'io non sappia invidiare nessuno, finché io sappia soffrire quel che nelle mie condizioni v'é di rincrescevole.
La mia cara Teresa, e gli Amati Bambini son giunti felicemente in Napoli tra le blandizie e le dolci accoglienze de' Parenti e degli Amici. Oh! Quante dolci lacrime sono state sparse, e quante me ne han fatte versare le 12 pagine che Teresa mi ha scritte! Mia Madre, l'Angelica Mia Madre sopratutto, è fuori di sensi nel vedersi attorno una nuora interessante e due Pronipoti che paiono due Angioli. In cento lettere non trovo altro che congratulazioni, applausi, e tratti d'affezione, e narrative della parte, che tutti fanno alla mia famiglia. L'istessa sera della partenza delle lettere, mia mogli aver dovea udienza dalla Regina, la quale giunta appena da Belvedere, avea mandato a chiamarla.
Giovedì prossimo adunque saprò il risultato di questo primo incontro. Scusate, Caro Amico, s'entro con Voi in queste particolarità. Siete sensibile, e mio amico; onde lasciate che vi trasmetta quella gioia, che provo. Ho passato tanti giorni mesti, ma l'anima affettuosa e tenera della mia cara Teresa, e le liete nuove de' miei cari figli son venute a colmarmi della più dolce eluttanza.
Non parliamo più della Bartolomei. Il Bali Pignatelli la credette vostra cognata, e le presentò la mia lettera. Se Teresa avrà in seguito bisogno d'una Donna, ricorrerò a Voi, ed a voi solo. In quanto al Segretario, persuadetelo Vi priego a trattenersi qualche altro tempo. Trovandomi a Padova, ho bisogno a Venezia di chi sia peritissimo nelle mie inconbenze. Altrimenti sarei obbligato a restituirmi alla Capitale. Convien dunque lasciar passare qualche altro mese. Ditremi intanto s'egli sappia scrievre in lingua francese correttamente. Vi ringrazio del manifesto inviatomi, e mi servirà a procurarvi di buon'ora degli Assocciati. Mandatemi però qualche Ode, giacché qui mi trovo in mezzo a letterati, cui parlo spesso di voi. Addio Caro Amico.
Vi ricordo ercole in casa d' Euristeo, Giuseppe tra i suoi Fratelli, Clarisse in mezzo alla sua Famiglia. Il Cielo vi dia rassegnazione e coraggio. Gradite intanto mille abbracci e credetemi fino alla morte tutto vostro
Micheroux
Padova 30 Giugno 1792



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Busta 275 lettera 185 di Pietro Notari a Labindo
La successiva lettera definisce un tempo storico: quello dell'uccisione della Regina di Francia tramite ghigliottina.
Parla anche dell'Abate Pastori che da Venezia aveva scritto a Labindo “Voi siete il Rousseau italiano!”




A Sua Eccellenza Conte Giovanni Fantoni
Sarzana per Fivizzano

Caro Sig. Conte

Credea di leggere stamane qualche sua lettera ma vienmi negato si dolce piacere non so da chi. Ho scritto al Sig. Barone solo in questo ordinario, giacché in quello scorso non potei far niente, perché nel giorno di posta dovetti andar colla Contessa fuor di città far una breve gita.
Mi sono sempre scordato di dirle che l'Abate Pastori dopo aver letto la Sua Ode a Bondi, mi scrisse, perché Ella non disse i Toschi Genj che i Larj. Io non gli ho mai risposto, perché finora è stato a villeggiare, e quando gli scriverò ho qualche cosa da dirgli su l'argomento. Quando il Cavaliere fu a Venezia, L'Abate Pastori, che lì pure vi si trovava, mi mandò pel medesimo a salutare, e gli disse un mondo di bene per me, e parlò di me con molto sentimento. Tutti quei della Conversazione della Contessa Scherimon mi amano, e mi vede di buon occhio anche la Contessa; però non creda per fini di galateria.
Abbiamo dette grandi nuove, si dice che a quest'ora la Regina di Francia sarà trucidata, e che i Francesi stanno per levarsi e correre in massa ai confini per soffogare i loro nemici. Se s'avverano queste notizie, l'Europa è vicina a tremare; né una Pace è lontana.
Che fa la Toscana? Si è sparsa nelle gazzette la nuova, ch'Ella mi favorì, vale a dire che il Granduca sia per andare a Vienna. Manfredini è un uomo di merito o no? Qui ne sento dir male assai. ; ma credo che sia invidia che faccia parlare.
Se da qui innanzi mi scrive diriga le lettere a Venezia, giacché ci ritorneremo verso il principio del venturo ottobre.
Non sono vere le nuove che le ho date. Mi tocca finire perché parte la posta. Mi saluti tanto il Sig. Conte Odoardo, e tutti, mi creda tutto
Suo Affezionatissimo
Pietro Notari





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Busta 275 busta 46 bis di Notari
Venezia 6 Aprile 1793
Caro Sig. Conte
Sono due ordinari che non ho il piacere di avere sue lettere. Non so cosa pensarmi, O Ella è malato, o è immerso in cose che le hanno fatto scordare di me. Desidero questo ultimo caso, perchè non possono essere che cose grate, e piacevoli, ma non vorrei il primo. Mi dica dunque quale è la causa del suo silenzio?
Il Cav.re non mi ha più parlato di lei. Onde non so se gli abbia mantenuta la parola di scriverle e rispondere a tutto minutamente, come mi disse che le significassi. Di me parmi, che sia contento, egualmente Madama, né parmi finzione, ma io a dirglielo di confidenza, e col patto che non ne parli ad alcuno, sono pochissimo o niente contento. Con persone prima di tutto avare e che non amano che loro stesse, come cred'Ella che si possa convivere? Se per disgrazia mi sorprendesse una malattia come potrei stare in mezzo a persone che non hanno cuore che nella lingua, e che non hanno altra molla ché l'utile e l'interesse e che sono capaci – in una simile circostanza – di dire:vattene? Quanto, Caro Sig. Conte, sono diversi da quello che si credeva! Bisogna però che le dica che se Egli avesse una Donna di buona tempra sarebbe egualmente scemo non avendo un carattere fermo, fa tutto quello che Ella vuole, è uno shiavo che non ha altra mente che quello del suo Tiranno. Di qui Ella argomenti s'è persona da potersene compromettere. Non pertanto Ella ha a continuare il carteggio con lui almeno per qualche tempo, perché non sembri che ella coltivasse la sua amicizia per mero interesse.
Che nuova abbiamo del povero Lampredi? E' un gran male per l'Italia la perdita di quest'uomo,
Particolarmente nelle presenti circostanze. Chi sa che, anch'Ella non divenga necessaria per dar ordine alle cose, che pare che voglion far di diventar un caso. Domounter ha fatta, come saprà, una lodevole ritirata, i francesi hanno bisogno di mezzi per indebolire le forze delle Potenze Combinate, e d'impedire che le neutrali mutino d'opinione.
Ella una volta mi promise l'Ode , ch'io non conosco, su le sue circostanze Desidero che me la mandi assieme a quelle canzoni che si cantavano dalla Squadra francese.
Sere fa andai ad una conversazione, dove si parlò molto della sua persona.
I miei piccoli allievi non vogliono differire dallo stipite, Ella sa che non c'è cosa peggiore, quanto il secondar male una regola. Si fa tutto al rovescio ed io devo fare, e faccio quello, ch'Essi vogliono.
......Quanti mali cagionano!
Mi saluti il sig. Conte Odoardo e tutti i suoi di casa.
Suo Aff.mo
P.N.

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Busta 275 lettera 46 di Notari


Carissimo Sig. Conte

Venezia 30 marzo 1793

Questa mattina desideravo di leggere qualche sua lettera ma non mi è riuscito. Son stato fin'ora a scrivere a la Contessa , e devo tornare fra breve.
Le voglio descrivere chi è questa Donna.
Ha avuto due mariti che sono ancor vivi. Da questi si è voluta separare con la soluzione del matrimonio, e si è unita ad un terzo, che é il Cavaliere. E' di una antica famiglia, ma povera. Ed è sempre stata mantenuta da un certo Sig. Giacomo Foscarini Gentiluomo Veneziano, e si parla che sia stata sua donna. Non mancano di vedersi qualche volta anche adesso, ma tutto per Lei tende al fine di avere. Poiché sono il suo segretario non ho mai scritto una lettera per cui Ella non dimandi qualche cosa a quale cui scrive.
I suoi amici son tutti ricchi, e fra i Poeti non stima che Alfieri, perché è ricco, quelli che sono poveri e che non possono spendere sono per Lei un oggetto di derisione. S'Ella le manda a casa un prezioso regalo, Ella è il più Gran Uomo al mondo sebbene non manchi di coglionare anche quelli che le regalano. Ringrazio Dio, ch'Ella non sia venuta meco qua, e se volesse venire la sconsiglierei di venire in questa casa.
Perciò, non ho più quella stima che prima avea del Cav.re . Questo è un C. (per il lettore: C sta per Coglione) che fa quello che Ella dice, o sia Dritto , o sia Storto; e l'essersi unito ad un carattere così cattivo, e comportarlo non solo ma anche secondarlo è quello, che mi fa perdere la stima di lui, e che me lo fa giudicare un uomo indegno della stima degli uomini.
Non le scrivo di più perché devo tornare a scrivere per la Contessa. Volesse il Cielo che non l'avessi mai conosciuta, ma tutte queste cose e i miei sentimenti restono in Lei.
Addio mi saluti tutti quelli che le domandano di me, e mi creda pieno di gratitudine e per sempre
Suo Aff.mo Pietro Notari
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Busta 275 lettera n 61 di Pietro Notari

Caro Sig. Conte
Padova 26 Luglio 1793

La ringrazio tanto tanto delle notizie, ch'Ella ha voluto comunicarmi, le quali se si avverino potranno scombinare le Potenze combinate. L'Inghilterra ha fatto un'alleanza con il re di Napoli a condizione che questi rompa la sua amicizia con la Francia, ed in fatti Matò è già partito.
Le condizione in favore del re di Napoli sono, che , non potendo unirsi a far la guerra ai francesi, debba star solo sulle difese, e, quando si venga fra le potenze alleate, e la Francia ad una convenzione di pace, siavi compreso anche il re di Napoli affinché poi non resti sottoposto alla vendetta del fiero popolo francese. A questa alleanza sta per unirsi anche il Veneziano, dopo che ha ricevuto un dispaccio per un corriere, spedito giorni sono dal suo Ministro in Napoli. Mi viene a questo proposito fatto credere che il Senato manderà a Napoli un corriere per recarvi la sua risoluzione e riportarne le risposta. Le dirò in prova di tutto questo che qui non è per anche stato accettato il nuovo Ministro di Francia M. Noel, ch'è venuto da molto tempo.
Suppongo che anche la Toscana romperà la sua comunicazione con la Francia invitata a simile alleanza la quale non mi pare niente svantaggiosa. Non sono poi persuaso che vi concorra Genova per esser unita con quella francese con molti legami. In questo momento ricevo una carissima sua dalla quale con sommo mio contenti rilevo, ch'ella è stata persuasa, a somministrarle quella somma, ch'Ella desiderava, perché non l'ho, che se l'avessi avuta, Ella s'accerti che l'avrei impiegata a suo vantaggio, esigendomelo, il mio dovere, la mia gratitudine, e poi l'affetto che, e non so perché ha sempre tenuto vicino il mio cuore al suo. Non può credere quanto mi rincresca di esser obbligato a restar senza il piacere di contentarla. Ma ci vuol pazienza: non son nato per esser fortunato.
Ho scritto persino due lettere all'Abate Pastori e non ho mai avuta risposta; e bisogna dire ch'io sia fuor di Venezia a Villeggiare. Ripeterò la terza, e aggiungerò l'articolo della sua lettera, e spero, che l'abate Pastori tratterà con premura l'affare ne l'edizioni delle sue Odi. Il Cavaliere non mi ha mai parlato di Werther, ma s' Ella vuole, quando ritornerò a Venezia farò di tutto perché venga col suo maggior vantaggio stampato, ben'inteso ch'Ella non ne faccia giammai parola al Cav.re,
Resto sorpreso come non abbia per anco ricevuto l'allume di piuma, che otto giorni dopo ricevuto il suo avviso, dopo aver durato un grande stento a trovarlo, le inviai in una picciola scatola con la direzione A Figonetti col Corriere di Genova. Io non so cosa pensare. Ella non ha ricevuto l'allume che inoltre francai alla Posta; il Sig: Conte Odoardo non ha ricevuto le coccie e l'arciprete della nostra valle di Montemiscoso non ha ricevuta una libra di triaca , che mi commise. Io non so cosa dire, dico solo che tutta questa roba l'ho spedita. Ella mi parlava dell'allume di piuma nella penultima lettera ancora e ne ho fatto ricerca nelle spezierie di Padova non meno che nelle botteghe di colori, ma non ho mai potuto trovarne. Scriverò dunque al conte Danielucci, e dirgli dove pressapoco trovasi quella bottega, dove presi l'altro, e lo pregherò a prenderne di nuovo e consegnarlo a Gabrielli perché glielo spedisca.
Dirà poi al Sig. Conte Odoardo dopo avermelo salutato tanto, che ho scritto a mia Madre che faccia far ricerche a Zabotti della rapetta delle coccie, la quale se poi si è perduta gliene manderò delle altre, e le assicurerò meglio. Ha fatto bene a comunicare al medesimo tutte le mie cose poiché non meritava che le si tacessero.
Mi rincresce sommamente del suo cattivo stato di salute, ma spero che prenderà buona piega, quando saranno terminati i suoi disgusti, i quali voglia il cielo che finiscano presto, e ch'Ella possa ottenere la nota Isoletta per poter viver il resto del tempo in quiete.
La notizia del compimento della Costituzione francese è arrivata anche quà. E che c'è qualche gelosia fra le Potenze Alleate, il che prova anche la nuova suddetta Alleanza, ma di fatti d'Arme e della quiete dei Francesi non se ne parla; né della greta corrispondenza di Marat con l' Inghilterra.
Se i Francesi si mettessero in pace tranquilla fra di loro e sbandissero le sedizioni, e i malcontentamenti ed approvassero generalmente e particolarmente la nuova costituzione, in questo caso si vedrebbe subito con chi chiudere una Pace, la quale è veramente desiderabile! Qui non si parla delle flotta inglese, la quale tempo fa si diceva uscita nel Meditterraneo. Che poi non è stato vero. C'è il dubbio che l'Inghilterra abbia qualche mira sopra la Spagna? Mi pare, che il solo motivo dei Francesi non abbia potuto esprimere la potenza Inghese a far alleanza con Napoli ed invitarvi anche Venezia, giacché potea ottener quell'intento di concerto con la flotta Spagnuola, che si diverte per il nostro Mediterraneo. Comunque sia noi staremo a vedere, e se mai venisse qualche guerra in Italia ci ritireremo nei nostri paesi dove forse non giungerà.
Ricevei le note canzoni.
La prego dei miei rispetti alla Sig.ra Contessa Madre, e cognata non meno, che al Sig. Padre. Mi saluti il C. di Francesco, e il Sig. Conte Luigi. Desidero, ch'ella corregga dove può le composizioni di Agostinetto, cui ho scritto, e me le mandi, per poter farle leggere e far diventar losche quelle persone, che non credono perfette, che le sue cose. Ella m'intende. Addio di cuore, mi ami e mi comandi, mentre sono tutto suo
Affettuosissimo
Pietro Notari
%%%%%%%%%%%%%%Busta n. 275 lettera n. 70
Carissimo Sig. Conte
Padova 6 Settembre 1793
Con mio sommo dolore intendo dalla carissima sua, ricevuta in questo momento colla data del 28 di agosto , il cattivo stato di salute , che invece di abbandonarla, continua ad assediarla con più fierezza. Possibile, che non giovi rimedio per poter calmare quelle maledette convulsioni? S'Ella s'alzasse la mattina di buon ora, e andasse a fare una buona passeggiata, e passasse dalla peschiera, dove berrà due buoni bicchieri d'acqua, cred' Ella, che non le farebbe bene? Ella ha bisogno di rinfrescarsi, ma ella sa meglio di me quello, che le può esser utile; dico bene, che se facesse una vita attiva, sarebbe meglio, che lo star tutta la mattina nel letto, e il bene dell'acqua schietta a digiuno, sarebbe molto più utile, che il prendere i suoi soliti decotti, e caffè col latte. Le suggerisco ciò, perché può figurarsi quanto ci patisco oltre a vederla scontento per le altre cose , a vederla anche tormentato da mali fisici. Non so, se mi riuscirà a trovare in questi paesi uno, che la somigli. Quante volte dico fra me stesso, particolarmente quando son solo < Fossi adesso a Fivizzano!>. Quanto partii di costà mi lusingavo di trovare altro Lei nel suo amico, ma, Oh Dio Quanta distanza!
Fummo ambedue fortunati, ch'Ella non venisse meco, Do la cosa con accortezza, giacché ne io ne Ella lo conoscevamo, ed è più difficile da conoscersi della moglie, perché questa non batte fuori dalla bocca , che parole malate, e si conosce che ha fatto uno studio di questa opera di favella, ed à associate a parole belle e solite da usarsi di rado, idee malvaggie, o almeno pratiche cattive, questa poi si vede subito essere stata una puttana, o almeno si sospetta, e se ne assicura dopo averla praticata, o essere stato informato dei suoi affari. In somma le dirò, ch' io sono in mezzo a gente, che non posso amare, e che mostra d'amarmi, per di meglio non può odiarmi, e mi vede volentieri, perché credo non pensasi di trovarne uno, che abbia meno voglia di me, e della mia docilità. Son solo e non ho altra compagnia che il primo dei miei allievi, l'altro insieme al padre e alla madre è andato a Venezia per fermarsi tre giorni. Il bambino, che è restato meco, ha pochissima voglia di studiare non credo che sia sua colpa, ma ha suoi genitori che lo vorrebbero lettore in un giorno, e temo che gli accaderà, come accade a quelli che fanno maturare i frutti prima del tempo, che risultano insipidi. Quello che mi rincresce si è , che ha tutte le inclinazioni della madre, e si studia d'imitarla in tutto in tutto fino nelle carezze, ch'ella fa al marito giacché non ha alcun riguardo per i figli. In tutto questo argomento la prego di non rispondermi e se volesse dire qualche cosa la dica ma come supponendo a cose tutte dette al contrario per ogni buon ordine.
.... Giunge qui la nuova in questo momento che Genova si è unita agli altri Potentati e dichiarata contro la Francia. Dicesi che la nuova flotta di Dreft sia una mera ciarla malgrado che la passata settimana si credesse vera. I Francesi posson venir in Italia quando loro piacerà. Hanno però questi avuta una gran rotta al Settentrione, ed hanno perduta una Fortezza, ed hanno dall'altra parte fatti dei grossi acquisti verso la Spagna. Nulla si dice di Tolone. Lione dopo esser stata in potere dei patrioti, e dopo aver raggiunto in buona parte, quei 4 m. che erano fuggiti con immensi tesori, ha decretato, che siano rovinate tutte le abitazioni de' ricchi di questa città, e si salvino solamente le case dei poveri e le fabbriche de' manifattori; che i beni di controrivoluzionari si dividano a quelli, che difendano la Repubblica; che Lione da qui innanzi si chiami Villa Affranchie, e non più Lione.
Questo è un decreto che molti dicono porterà conseguenze contrarie à Francesi. Io non dico niente: le aggiungo solamente che in Francia si sono scoperti altri tradimenti.
Non m'estendo di più, perché queste nuove le devono essere pervenute tutte a quest'ora. Ella dice bene che non può sapersi la verità a motivo de' gran partiti, ma se non si sa adesso si saprà un giorno.
Non posso scriverle di più perché sono chiamato a pranzo, e sono già 24 ore., ed ho lavorato tutto il giorno co' ragazzi talmente che non ho più stoffa.
Mando i libri a Giuseppe per la via di Modena.
Addio caro sig. Conte, mi dia buone nuove di Lei. A sua lettera è un gioiello e piena di tutto il bello.
Addio sono di cuore il suo
Aff.mo per sempre
Pietro Notari
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Busta 275 lett. 74 di Pietro Notari


Caro sig. Conte
Ho ricevuta stamane una carissima sua in data de' 15 dalla quale rilevo esser lei molto disgustata di Fivizzano.
Veramente dalle cose, che so, e da quelle che m'immagino ella ha ragione di esserlo; ma è poi andata al Detto Paese col marchese, e la Donna Pisana come mi scrisse? E' forse nato qualche nuovo imbarazzo? Io approvo totalmente, ch'Ella, Caro Sig. Conte non isperi, e non creda alle lusinghe della F.; poiché così, divenendone vane, non le aggiungeranno una nuova afflizione: desidero però con tutto il cuore, che si avverino, affinché io abbia la consolazione di vederla felice, e forse s'avveranno, s'Ella lo coltiverà con prudenza, e colla sua solita delicatezza. Quella mano invisibile, che guida ad un politico cangiamento il genere umano per istrade a lui incognite, io spero, che farà cangiar la sua sorte, giacché a lei nulla più manca da soffrire: e deve perciò esser vicino il suo autunno.
E' vero purtroppo, che nessuno la somiglia di quelli, ch'Ella tali credea, e nessuno scrive quello, che pensa, né lo dice. Perciò io mi vedo avvezzando ad osservar le persone, se sono conseguenti alle massime, che talvolta per ostentazione d'onestà di buon cuore, e di giustizia, e molte volte per comparir saggi, con tanta facilità esse pronunziano. Ma vedo con dispiacere, che le azioni niente hanno che fare colle massime, che tutto è vanità. Uno solo m'è dato di conoscer della Sua stampa, e questo è l'ottimo Gabrielli; se lo conoscesse, e lo trattasse lungo tempo, lo troverebbe sempre lo stesso; è' per altro prudente ed esperto. Noi siamo amici quanto mai espertosi e si contrasse la nostra Amicizia, fin dai primi giorni che ci trovammo insieme.
Giunge qui le nuove, in questo momento, che Genova s'è unita agli altri Potentati, e dichiarata contro la Francia. Dicesi, che la nuova della flotta di Drest sia una mera ciarla, malgrado, che la passata settimana si credesse vera. I Re co' Principi è ritornato a Torino, ed i Francesi posson venir in Italia quando lor piaccia. Hanno però questi avuta una grossa rotta al settentrione, ed hanno perduta una fortezza, ed hanno dall'altra parte fatti dei grossi acquisti verso la Spagna. Nulla si dice di Tolone. Lione dopo esser stata in potere dei Patrioti, e dopo aver raggiunto in buona parte, quei quattro m. ch'erano fuggiti con immensi tesori, ha decretato che siano rovinate tutte le abitazioni de' Ricchi di questa città, e si salvino solamente le case de' Poveri, e le fabbriche de' manifattori; che i beni dei controrivoluzionari si dividano a quelli che difendono la Repubblica; che Lione da qui innanzi si chiami Villa Affranchie e non più Lione. Questo è un decreto, che molti dicono, che porterà conseguenze contrarie ai Francesi. Io non dico niente: le aggiungerò solamente, che in Francia si sono scoperti altri tradimenti.
Non m'estendo di più, perché queste nuove le devono esser tutte pervenute a quest'ora. Ella dice bene, che< non può sapersi la verità a motivo de' gran partiti>; ma se non si sa adesso si saprà un giorno.
Non posso scriver di più, perché son chiamato a pranzo e sono già 24 ore, ed ho lavorato tutto il giorno co' ragazzi talmente che non ho più testa.
Mando i libri per Giuseppe per la via di Modena.
Addio Caro Sig. Conte, mi dia buone nuove di Lei. La sua lettera è un gioiello, e piena di tutto il bono. Addio sono di cuore
Suo Aff.mo per sempre
Pietro Notari

Venezia 25 ottobre 1793

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Nella lettera successiva, non datata, l'Abate Pietro Notari scrive ancora al Conte Giovanni Fantoni- Sarzana per Fivizzano a sondare la possibilità di avvicinarsi a casa magari per fare l'insegnante a Fivizzano.

Busta 275 lett 191

Carissimo ed Amabilissimo Sig. Conte
Ho udite noi della carissima sua, ch'io insieme con lei avea prevedute, ma non m'aspettava ancora. Eh che la Francia per ora non può fermarsi! Vi abbisogna un mezzo per estinguere le cagioni delle sedizioni. Vi dee essere una sola fazione, e una sola opinione: chi le contravviene dee rimanersene privo dell'aria e dell'acqua. Mi fanno ridere con le loro nuove Costituzioni, e coi loro discorsi di moderazione. Queste cose intanto non conducono l'abbondanza, non rianimano l'agricoltura, né le arti, né possono promuovere il commercio.
Quel numero infinito d'uomini, che esercitava prima della Rivoluzione mestieri di lusso, e trovava da di fuori il suo sostentamento per le permute delle manifatture come può egli vivere adesso? E i figli di questi dovranno vivere oziosi, come i Padri, non faranno che accrescere le spese dello Stato, non gà le rendite. Gli agricoltori deggiano esser pochi, o meno ancora che quando era la Monarchia. Eccettuati adunque questi gli altri debbano occuparsi nel seguitar tumulti, e far nascer patrizi, i quali soli possono distruggere quella democrazia. Osservo, che Napoli ha molta somiglianza con Parigi d'una volta. Dio voglia, che non vi nasca qualche rivoluzione. Questa porterebbe un rovescio per tutta l' Italia. E' vero che quella si è un Corte troppo paurosa, ma tanti continui onesti bisogna che abbiano una ragione non di semplice timore. Basta...Dio ci tenga lontani i flagelli delle Rivoluzioni; ma purtroppo vedo che Dio mostra di esser stanco della perversità dei nostri costumi!
Son qui solo anche oggi: Egli è trattato assai malamente <per certo male> probabilmente attaccatogli dalla moglie, perché se fosse altrimenti non si udirebbero de' rimoproveri. Ella è trattata più disperatamente. Si cerca di far crescere che sino modichi di cui, a dir il vero, mi rincresce perché è troppo grosso (?); ma colei merita assai più.
Ho pensato, che quando Ella scrive al Governatore, maggiormente impegnato a mio favore, gli dica che io essendo là potrei esser utile a' suoi figli, e per di ciò può dirgli che non farò né Condillac, né Fonelon, siccome fu da lei scritto una volta; ma che ho abbastanza buon senso. Si guardi però dal promettergli per me: solo glielo metta in vista. Oh quanto pagherei di potermi avvicinare a casa, e d'uscir da questo martirio!
Non mi sovviene se la volta passate le scrissi, che i librai di Milano hanno risposto, che credono, che le “Lezioni Criminali” di Joannenfals non sieno per male state tradotte né in Italiano, né in Francese; almeno che a loro non è nota nessuna traduzione di tal libro. Nell'originale tedesco, se lo vuole, potrò farlo venire,
A Fivizzano che professore v'ha egli di Filosofia? M'immagino, che farà qualche forete. Bisognrebbe ch'io potessi ottener questa cattedra, quando però mi convenisse.
< In pochi anni farei che il Paese passasse a modo nostro> cioè rettamente.
Mi diffonderei molto per l'Etica, e l'origine delle cognizioni umane, e come per incidenza vorrei dare un corpo di Juis Pubblicus universale coll'appoggio della Storia.
La prego di tanti saluti al Conte Odoardo, de' miei rispetti alla Sig.ra Contessa, e di amarmi come io faccio per Lei
Pietro Notari

(lettera senza data)

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Busta 275 lett 99 (Robespiere)

16 Agosto 1794
Sono rimasto contentissimo della bellissima sua lettera , la quale oltre ad esser scritta con energia, e con nobiltà d'espressioni, siccom' Ella suol fare, ha assorbita tutta la materia, di che tratta, cosicché chi volesse dir di più, e insieme ragionare, egli non potrebbe farlo. L'ho data a leggere subito al Cav.re , il quale, credendo che lo scrivere ed il parlar bene di tali affari sia solo concesso a quei che fanno il suo mestiere, perciocché egli ha forse dimenticato le cose trascorse, è restato sorpreso e attonito. Io poi ho provato un piacere di più, avendo nella sua lettera rivenuta la decisione di una quistione nata tra me e lui, ed alcune idee, ch'egli approvava, e le quali poi diedero origine alla quistione; motivo per cui io la supplicai a scriver su tale argomento, presentendo che ella non sarebbe stata d'opinione contraria, la mia essendo fondata su i suoi principj , i quali sono conformi al diritto naturale delle genti.
S'io non temessi niente, la farei subito stampare, ma oggi è cosa pericolosa e non m'arrioschio. Il 21 ordinario le darò ragguaglio della sensazione ch'Ella avrà fatta negli animi di G., e d'alcuni amici nostri. E sopratutto al Ministro di Malta, uomo che pensa giusto, e vede le cose con chiarezza. All'amico di Trieste trascriverò i suoi sentimenti, ma la lettera non la mando certamente così lontano. Solo una cosa a me pare, che manchi alla sua lettera, di cui Ella non fa menzione, vale a dire, che la Russia sia per correre la medesima parte che quella ch'a assegnata all'Inghilterra, nel caso di una pace. A Lei credo inutile dire le ragioni, penso ch'Ella le vede da sé.
Faccio ancora un'elogio alla sua lettera dicendole che solo il fine mi ha fatto versare lacrime. Ella ha un bell'ozio temendo che tutte le sue cose tocchino il cuore. Ah! Perché mai non sono io costì? Qui non odo che scioccherie le quali distruggerebbero l'armonia naturale del mio amore, e del mio cuore, se non cessassi di mantenerla aggiungendo loro la lettura di Orazio, (seguono altri 3 nomi illeggibili) e vivo con questi uomini, io passo la vita in questa città, non conoscendo nessuno, e quelli che potrei sono in campagna.
Abbiamo seguita la faccenda di Robespierre, costui maggior d'assai di Pisistrato (segue una riga illeggibile) di farsi padrone della Francia la quale sarebbe stata divisa fra loro tre. La tela, se la guardia nazionale avesse dato assolto a suoi capi, i quali la volevano farla marciare contro la convenzione, era stata benissimo ordita, trovandosi d'accordo tutta la municipalità; ma la guardia nazionale invece è accorsa in difesa della Convenzione, e ne ha eseguito subito il decreto d'arrestare i controrivoluzionarj, i quali ghiliottinati, tutto è finito.
Il Comitato poi di salute Pubblica, dopo essere stato completato, e modificato, ha inviato nuovi rappresentanti ove occorreva, e in particolare alle armate per cancellare qualunque impressione avesse potuto in genere ciò fare a seconda del desiderio dei controrivoluzionari. Si sperava da questi avvenimenti qualche salutare cangiamento; ma intanto è sempre bene che uomini così ambiziosi, e malvagi siano caduti.
Finora in quel paese non v'è stato un Solone, ma tutti quelli, che si sono mostrati capaci di governare la Francia, ed esserne Legislatori, hanno finora avuti di terzi fini, lo scoprimento dei quali è stata poi la loro rovina. Ed osservo tali fini esser stati diversi secondo la diversità de' tempi.
Si racconta che i francesi avendo preso l'isola di Kadzand posta nella Fiandra Olandese di qua dalla Schelda orientale abbiano rinchiuso il Presidio d' Ecluse; quindi si dice, che sionsi ancora impadroniti del Forte Lillo (molto importante posto sulla Schelda dall'altra parte) ed assalita Liegi abbiano uccisi 1ooo Francesi, ed abbia avvanzato il suo quartiere generale.
All'Italia corrono due voci: che l'armata francese stia in perfetta inazione, l'altra, che il 12, 13 e 14 dovea seguire un'attacco generale. Dio faccia esser vera la prima.
La priego de' miei saluti al conte Odoardo, e al Sig. conte Luigi, di presentare i mieri rispetti alla Sigra Madre, e Cognata, di salutarmi il suo Agostinetto quando gli scriva.
G. le fa mille saluti ed io sono tutto suo

PS Bramerei aver qualche nuova D'Isengard
Pietro Notari

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Busta 275 lett 113 Pietro Notari

Carissimo Sig. Conte
Oh che bella lettera! Vi sono descritti tutti i rapporti che può avere il Mecherantissimo Francese.
Io l'ho letta, e riletta più volte. Gli amici l'hanno ammirata, e tutti abbiamo convenuto ch'Ella è un Uomo, che vede solo quello che è, e può essere, e quello che dovrebbe essere, non lasciandosi abbagliare dai ciechi sistemi, come fanno la maggior parte. Ma per veder le cose, come Lei, bisogna bisogna aver seguito con occhio attento solamente non solo i Principi della Rivoluzione Francese, i Progressi, le Vicende, e le conseguenze; ma ancora i principi di tutte le nazioni d'ogni tempo, i loro progressi, le loro Rivoluzioni, e ciò, che ne è da queste venute, cosa che non è così facile come si può credere.
Ella non vuole che più le proponga questioni? Mi spiace che non ne ho una presentemente. A chi le ho a proporre? Forse a quelli, che altro non sanno dire che ciò che hanno udito da altri? Ciò basta l'animo di dirlo anche a me, oltre di che io ho sapore di ripetere una cosa detta da un altro, senza farmelo autore. Dunque caro sig. Conte mi faccia un tal piacere cancelli il decreto, e non voglia diminuire quella facoltà, ch'io per inveterata consuetudine ho acquistate.
Non so d'aver la sua “Ode alla fortuna”; pure quando fra le sue lettere, se vi sia, trovandola sabato venturo le accluderò. A dire il vero piaceva più anche a me, essendo più semplice e naturale.
Insomma come vanno le sue applicazioni filantropiche? Quando se ne vedrà Egli il frutto? Non dia nulla fuori, che non sia ben ponderato, ed esaminato più volte. Benchè io brami di veder le sue cose, e le aspetti con fatica, desidero tuttavia di vederle pure, e monde.
L'ordinario scorso non scrissi al conte Luigi, perchè quando mi misi per scrivergli, fui chiamato, né mi rimase tempo da farlo di poi. Gli scrissi però ieri, e gli ho scritto rapporto al sistema della sua Casa. Non so che cosa risponderà.
La prego di far le mie scuse al Conte Odoardo, se non gli scrivo in questo ordinario, e dirgli, che oggi gli spedisco gli occhiali e la lente. Me lo saluti tanto.
Io credo, le dico ciò in confidenza, che il Cav.re abbia chiesta la pace ed argomento questo da certi riggiri secreti, de' quali ho fatto sembiante di non accorgermi.
Quanto sia vero prevedo, che non sia per riuscir, attesa la mancata fede, e riuscendovi, è probabile che tal pace debba esser pagata da molte navi di linea ben fornite di tutto. Basta.... io la desidero più, che non la spero.
Non abbiamo nulla di nuovo dalle armate. Talion ha detto in convenzione < Facciamo la pace con qualche nostro nemico, e colle navi Spagnuole e Olandesi corriamo alle rive del Tamigi a distrugger la nuova Cartagine>
La sua lettera sul trattato di pace contiene molte cose che si dispongono ad avverarsi, quella del Moderantismo non so cessar di leggerla.
Addio Sig. Conte. Mi saluti tutti i suoi . La saluto da parte di G. e del Pastori del quale è accludo un biglietto in risposta al suo, dal quale può riconoscere il carattere gesuitico. Mi ami mentre l'abbraccio con tutto il mio cuore e sono tutto suo sinceramente,
Pietro Notari
6 Dicembre 1799
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Busta 275 lett 115

Carissimo e Amatissimo Sig. Conte
Ho ricevuta la carissima sua di pochi righi, dalla quale rilevo esser Lei per dar fuori un Inno.
Io lo leggerò volentieri, e ne ascolterò l'altrui giudizio, del quale, come del mio, le darò ragguaglio.
Sia certo frattanto, ch'io non parlerò ne adesso né poi. Mi dispiace ch'Ella m'imponga nell'ultima sua di non dir parola del piano d'educazione,. Ormai ho già detto qualche cosa, ma senza mentovare il piano di educazione né alcun'altra cosa: solo ho detto ch'Ella si occupa di cose utili, e piene di filantropia. Aggiunga che di ciò ho solo parlato con pochi amici. Si persuada però che d'ora in avanti non dirò più nulla., e mi serberò a parlare di Lei e delle sue cose quando saranno uscite, e già saranno piaciute.
Assaissimo mi rincresce che suo fratello Conte L. si porti verso di lei e degli altri da uomo poco sincero. La sincerità fu la cosa che gli raccomandai più di ogni altra nell'ultima mia, e però è anche da sperarsi che venga alla buona. Ella pertanto, caro Sig. Conte, abbia pazienza: è meglio accomodarsi le cose pacificamente e con qualche sacrificio che in altro modo contenzioso.
Gli Spagnuoli hanno continue rotte. Si vede che i Francesi hanno mira a rendersi mansueti a segno che si determinino a chieder la pace. A proposito di pace, tutti ne parlano la desiderano, e la sposano. Ma i Rapporti che si hanno di Parigi mostrano che i francesi siano poco disposti a farla, almeno senza lasciare i loro nemici debolissimi e poverissimi. Un'altra cosa notabile da tali rapporti si rilevano, che i Francesi non vogliono fare Paci Segrete ma Pubbliche.
A dire il vero le cose adesso mi sembrano imbrogliate più che mai. Non so persuadermi che i Francesi vogliono mostrarsi indifferenti alle vicende della Polonia. La casa d' Austria manda a quella vola molte truppe, e per quanto si dice tratta la pace con la Francia. Quanto all'ultimo articolo però la Francia fa distinzione tra le Potenze che hanno fatto la guerra per interesse, e quelle, che l'hanno fatta per odio contro i Repubblicani.
Addio Caro Conte, la prego dei miei saluti al Sig. Conte Odoardo, e a tutti gli altri di sua famiglia., alla quale darò a mio nome le Buone Feste. Per Lei poi le auguro ricolme di ogni bene e consolazione e soprattutto di quella, che le può arrecare l'esecuzione di quanto Ella è a proporre a pubblico vantaggio. E abbracciandola con il cuore sono tutto tutto suo
Pietro Notari


20 Dicembre 1799
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Busta 275 Lett 128 di Pietro Notari

Caro Sig. Conte Amatissimo
Ogni altra cosa io mi sarei bensì aspettata, ma non la mesta nuova ch'Ella mi ha detta della morte del povero Sig. Conte Francesco. E mi scrisse, sono alcuni giorni, per accusarmi la ricevuta di certo denaro da me a lui dovuto come Camarlingo di codesta Filarmonica Accademia e per chiedermi delle nuove, ma io ho tardato a rispondergli, e gliene sarei ancora debitore. Povero Sig. Conte! Quanto mi rincresce! Fu Egli il primo della Sua famiglia con il quale io da ragazzo ebbi l'onore e fortuna di consacrare, e mi ricordo, che mi conduceva ora ad uno, ora ad un'altro de' suoi poderi a mangiare le frittelle co' castagnacci, di che non potea far cosa più grata, e che più si confacesse alla mia costituzione. Chi avrebbe mai creduto che un giovane così robusto e forte dovesse così presto finire i suoi giorni! ......

(Prosegue la lettera trattando cose private, non importanti; e poiché è difficilmente leggibile, evito di trascriverla )
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Busta 275 lett 152 di Pietro Notari
Venezia 7 Maggio 1796
Carissimo e Amatissimo Sig. Conte

La risposta che Ella ha data a Micheroux è regolata e abbastanza concisa; ma vedo da quella e da quanto scrive a me, ch' Ella ha paura d'attacarla con gl' Impiegati. E Perciò non voglio tralasciar di dirle che forse gl' Impiegati che risiedono presso altre corti, saranno persone di maggior autorità, ma che questi, eccettuati due o tre, hanno tanta autorità, quanta ne ho io, e sono screditatissimi. Uno fra i quali e forse il più screditato, si è quegli di cui si tratta. Tutte quelle maniere che mostrava al di fuori, quella dolcezza e placidezza, non erano altro che pura vernice, che ricopriva un legno di pessima porta, La vernice si è scrostata, ed egli è comparito agli occhi di tutti un uomo senza carattere, senza massime solide, senza onore, vile ed abbietto. Io qualche volta l'ho incontrato di fronte, insieme con tutta la sua famiglia, ma non mi son degnato nemmeno di guardarlo, ed ho volta la testa altrove. Gli uomini deboli e gli adulatori hanno disapprovato questo mio modo d'operare, ma quei che hanno l'anima come la mia, m'han lodato. Siccome mi conosce, non ha ardir di lagnarsene; finge di non avvedersi del mio disprezzo. Altre volte, mentre stavo con lui, massime nel gioco, m'ha voluto mordere con parole umilianti, ma non avendo io mai lasciato di rispondergli con energia tale, che avrebbe potuto comprometterlo, replicando, se né sempre taciuto. Una volta fra le altre, alla fine di un giuoco che si faceva, non trovandosi il vincitore, o il prenditore, perché sua moglie aveva nascosto il denaro vinto, ed io dicendo d'aver risponduto, siccome era vero, il Cav.re ebbe l'ardire di darmi del bugiardo in presenza di altre persone, parte delle quali giocavano, e parte stavano a vedere, alzatomi da sedere, gli risposi che guardasse bene quello che si dicesse, perché io non era solito di soffrir impertinenze da nessuno, e in particolare da quei che credensi più grandi di me. A questa risposta la moglie divenne bianca come la cera, e fattasi tra me e lui, insieme cogli altri, ed egli non avendo replicato nulla, finì la cosa senza che fosse fatta altra parola. Da tutto questo Ella vede che sia quell'uomo.
Non posso a meno di non lasciarla per cagione degli occhi. Il dovere star attento per correggere mi nuoce di molto, e in tal caso non mi conviene di continuare. Sto vedendo che mi va bene una cosa, e poi mi risolano di tornare a casa per farsi in quiete una traduzione d'un libro di viaggi di cinque volumi (prosegue)

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Busta 275 lett 189 di Pietro Notari

Desidererei ch'Ella mi facesse una definizione della sua Noletta, e delle qualità di esse; poiché = At prius ignotum ferro, quam scindinius e quam ventos, et varium coeli gorae diseare morem.- cura sit= Ma è Ella già a coltivarla? E qual genere di coltivazioni ci viene più felicemente? Vedo, che non v'è cosa migliore, che quella d'aver un podere, e mettersi in mezzo, e dire: = né credo esser men nobile se con industria man poto, ed innesto.= Nella Società presente non v'è miglior mezzo per vivere libero et utile.
Le devo dire, che tre o quattro giorni fa il Cav.re mi disse, che si lamentava di me, perchè la sera invece di star a divertire i bambini me ne andava alle conversazioni di una certa contessa Seriman, di cui le ho parlato altre volte. Ciò mi è sembrata una novità curiosa, perchè la sera io non ho mai divertito i bambini; mai mi sono fermato alla loro conversazione. Ciò è dunque stato un giochetto della Contessa, la quale non vuole che quei di sua casa si divertano, se non in di lei compagnia. Ed io mi sono corretto; e da qui innanzi non uscirò, che il Sabato; le altre dopo aver fatto il mio dovere studierò o anderò a letto per potermi alzar di buon'ora a studiare, questa riprensione mi è stata vantaggiosa di molto. Che crede Ella che sia stata la causa dell'aver licenziato Gabrielli? E' stat a la Contessa, perché questo è ganzo di una bellissima giovine triestina, e dopo aver fatto i suoi affari subito è da lei. Ma Gabrielli si è saputo regolare, ed è fermo qui a loro dispetto e ordine della Corte, checchè ne dica il Cav.re.
Gabrielli è tanto nobile, che dopo essere stato licenziato non ha più pranzato in casa, fuori del sabato, perché, essendo giorno di festa, non ha tempo d'andar altrove e dopo essere stato fermato qui dalla Corte rinunciò ai cinque zecchini, ch' era solito avere per suo onorario. Le dirò tutto un'altra volata. Intanto m'ami e mi creda tutto tutto
Suo Aff.mo
Pietro Notari
Ps: la prego dei miei rispetti a tutta la famiglia, e in particolare al Sig. Odoardo, cui dirà se ha ricevuta la chioccia. Mi saluti Braccini e il Battaglia.


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Busta 274 lett 49 di Micheroux
Antonio Micheroux, ministro delle Repubblica Veneziana aveva accolto in casa il giovine abate Pietro Notari di Montemiscoso, a lui raccomandato da Giovanni Fantoni, quale precettore dei propri figli. Il risultato non fu di soddisfazione da ambedue le parti per cui seguirono lettere di confidenza e sfogo al nostro poeta.
L'abate Notari rimase più di un anno in casa Micheroux ma alla fine, come era prevedibile, il contratto di lavoro si interruppe bruscamente e conseguentemente il rapporto fra il veneziano ed il nostro poeta.
La lettera riportata mostra già segni di un rapporto ormai incrinato.
A monte della lettera, sotto riportata, si dipana una lunga vicenda su 150 zecchini che costava un ritratto di Labindo commissionato dal Micheroux all'incisore Del Piano, sul suo pagamento e della relativa caparra per 15 ducati pagata dal veneziano. Per cui già in una precedente lettera il Micheroux scriveva che non si poteva “ esigere da Del Piano, uomo che vive alla giornata di aspettare 6 mesi per il suo pagamento, cioè il tempo necessario a far viaggiare 6 volte il suo lavoro.”

Amabilissimo Amico
Non mi potendo persuadere che siete voi il mutilatore e asservitore delle parole, che vi commisi di scrivervi, è forse ch'io ne rigetti la colpa sull'abate Notari, il che assai mi sorprende, dopo avergli dimostrato intorno a ciò tanto sentimento e tanto interesse. Dall'espressione della vostra lettera, si credette ch'io abbia ritenuto il rame come un pezzo ed una sicurtà de' miserabili 15 ducati da me sborsati. Ma di che dovea io temere? Di Del Piano? Egli ha troppo onore e mi deve troppo rispetti per usarmi una cattiva azione. Di voi? Qui non v'è risposta.
Detto ciò sarà bene aggiungere non aver voi giammai rispettato, caro amico, ch'io sono un padre di famiglia, il quale non possiede un palmo di terreno: che debbo conto alla Dama ch'è si è meco unita, e che presiede al Governo della mia casa, non meno che ai figli che il cielo mi ha dati, di tutte le mie osservazioni: che dopo aver passata la vita a seccondare gl'impulsi della mia naturale liberalità, tutto mi costrinse in oggi a far forza a me stesso, e ch'io violerei tutti i doveri di natura e dell'onore, se usassi di allontanare il momento in cui, accadendomi di morire, non abbiano almeno i miei figli a ripudiare l'Eredità del Padre, e a farsi maledire da di lui creditori.
Passo ora ad un articolo essenziale. Avete veduta di mandarmi un Segretario ed un Leio, e mi avete mandato un Giovine bensì savio, onorato, affettuoso, pieno di probità e di disinteresse; ma sprovveduto delle cognizioni e delle qualità necessarie alle dette due funzioni. Come Segretario, Egli ha un pessimo carattere, nessuna Idea di storia, di Diritto Pubblico, D'interessi dei vari Governi, o della loro costituzione. Come Leio, Egli non è dotato di quel nobile contegno, di quelle maniere gravi ad un tempo ed amene, dignitose, ed insinuanti che incutono agli allievi rispetto ed amicizia, soggezione e confidenza. Un Leio è originale sul qual sempre i Bambini si modellano, ed i miei han tanto natural gentilezza, nulla di meno giacché quest'ottimo giovine non conviene alle mire nostre, sto procurando di situarlo in un posto migliore di quello che ha presso di me, cioè facendolo ricevere come segretario in casa d'uno di questi primari signori, e quello oltre ad essere un ottimo personaggio, ha poi un cuore angelico; talché l'Abate acquisterà un estimabile Amico ed Egli rimarrà soddisfatto. Vi ripeto che non saprei encomiare quanto merita il suo cuore, e il suo carattere; ed io debbo un'Educazione squisita à miei Figli, che contenga luogo un giorno di quella fortuna, che non possono da me sperare.
Venezia 30 Marzo 1793
Micheroux
Busta 274 lett 53 di Micheroux
Questa è l'ultima lettera che troviamo scritta dal veneziano Micheroux il quale da buon politico, temporeggia , non vuole fare l'offeso e cerca di mantenere ancora una buona relazione, ma sicuramente il poeta ha deciso di troncare se, come si evidenzia, questa è l'ultima lettera agli atti.


Bravo davvero! Mi minacciate di non scrivermi più mai! Ma io non me ne spavento, giacché <bongré – malgré> dovete amar sempre chi tanto vi ama, benché cede a Notari il bene di carteggiar con voi. Infatti non vi ho scritto, perchè non ne ho avuto il tempo. Se sapeste! Ho tanto da fare che merito compatimento. Or vi dirò che nonostante le vostre ire, ho riveduto con piacere i vostri dolci caratteri. Siete però un bel pazzo di tanto accalorarsi alle cose presenti, tanto più che le vedete male, come accade in Politica a tutti i Poeti. Non vi è da rider per nessuno: siamo in tempi di calamità; questo è tutto. Sapete che questa Guerra è per me diventata importantissima. Ho due fratelli a Tolone, per un de' quali naviga in questo momento l'avviso di averlo il Re promosso al rango di Brigadiere. Già le Truppe Napoleoniche hanno sostenuto la prima Azione contro del Generale Carteaux, il quale è stato disfatto. Figuratevi però il mio batticuore nell'udire i grandi preparativi che fa la Francia per riacquistare una preda di tanta importanza. Scrivetemi un poco cosa fate, mandatemi qualche Ode nuova, datemi ogni cosa di voi. Io sto bene, la mia famigliola prospera. Sono pochi giorni che siamo tornati da Padova ed abbiamo qui trovati 7 teatri in attività. e tutta Venezia intenta a divertirsi. Temo però che la nostra pace abbia ad esser di breve durata. Non so se Notari è di voi contento. Noi lo amiamo in oggi moltissimo per i suoi purissimi costumi, per le qualità ottime del suo cuore, e per l'affezione che dimostra. Non è certamente un Condillac o un Millot per l'educazione de' bambini; ma li assiste con amore ed ha il cuore di Festelon. Addio ottimo amico: per Dio mandatemi qualche Ode, gradite mille abbracci e credetemi tutto vostro
Micheroux
Venezia 19 Ottobre 1793
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Da anni il Ministro Micheroux era in relazione col nostro Poeta, come risulta da questa lettera:

Carissimo Amico,
a questo libraio, Sig. Ramondini, è stato da me affidato lo smaltimento delle vostre poesie.
Egli però mi previene, che assolutamente non sarà possibile di esitarle a quattro Paoli: qui tutto si ristampa, tutto si traduce, e tutto male. Quindi il Pubblico è avverso a comperar libri quasi a peso di carta. E' passato il tempo delle belle Edizioni Venete, e chi ne fa, se ne pente, e per esser questo Pubblico avvezzo a comperar libri male stampati, ed a buon prezzo. Ad ogni modo, si venderanno le Sue poesie col maggior utile possibile. Ella mi comprende nel numero di coloro che più l'ammirano, e più le sono affezionati e devoti; mi voglia bene, mi comandi; mentre me le rassegno colla più perfetta stima e amicizia,
Devotissimo e Obb.mo Servo e amico
Il Cav. Antonio Micheroux
Venezia 5 Agosto 1786

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Cambiamo città, tempi e soggetti. Qui una lettera inviata a Labindo a Massa nel 1807 dal suo amico Pezzana.


Busta n. 276 lettera di Pezzana da Parma

All'Immortal Labindo
il suo Amico Pezzana
Parma 6 Gennaio 1807
Io già ti temeva imbarcato per l'eternità, allorché negli ultimi giorni del 1806 mi fu consegnato dal (Illeggibile) Avv Rossi la graditissima tua del 14 8bre. Corsi subito coll'occhi a vedere se era datata da Filadelfia; ma mi dovetti assicurare che era scritta da Massa. E che diavolo ha ritardata tanto la spedizione di questa lettera?
Sapendo che la provvista della copia “De L'homme en Societé” che mi chiedi sino alla conferma di questa commissione, giacché è corso tanto intervallo. Non vi è nessuna premura per le 10 lire del Davuer; o le farei (nome illeggibile per tarlo nel foglio) al valore del Levacher nel caso che tu me le chiedi di nuovo.
Tonina ti scrive ed è un poco in collera teco. Nel momento che ricevei le tue lettere comunicai le tue amichevoli espressioni a tutti i tuoi parenti, e a molti amici che si trovavano meco a pranzo in casa di Franco Ferrari. Essi te le ricambiano a milioni.
Salutami tanto tanto la brava Lucrezia. Che cosa fa questa vispa fanciulla? Tarocca ella ancora qualche volta con Labindo?
Son persuaso che avrai ricevuta a suo tempo la sella e la briglia, se no, scrivimi, il nome del vetturale, e tu l'avrai.
Addio mio caro: non so dimenticare i tanti Massa, Fivizzano e le tue somme cordialità.
Amami e credimi
Tutto tuo
Pezzana
Ps: Mille cose di cuore a tutta la famiglia Fantoni.

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Ecco una lettera delle più significative fra quelle da me trovate e trascritte.

Anche la Prof.ssa Paola Melo ha riportato nel suo Epistolario di Labindo una lettera di Perini Giulio che parlava di un Virgilio, ma senza segnalare che si stava parlando di un incunambulo cioè uno dei primi libri stampati al mondo e segnatamente stampato a FIVIZZANO!
Giulio Perini da Firenze scrive al Nobil Uomo Conte Giovanni Fantoni Sarzana per Fivizzano questa lettera del 26 Maggio 1792 ove chiede notizie su un Virgilio stampato a Fivizzano nel 1472 che era di proprietà di Giò Francesco Grazzini. La famiglia Grazzini depositò poi questo libro alla Biblioteca Magliabecchiana. (Oggi Marucelliana) Il libro è già stato segnalato dal Prof. Loris Jacopo Bononi nelle sue due pubblicazioni “Fivizzano Città Nobile” ed in “Fivizzano e Firenze tra accomandigie e stampatori “ collegandolo però ad una lettera del Conte Luigi Fantoni. Credo che la lettera che riporto sotto sia sconosciuta ai più.


Busta 276 lettera di Giulio Perini al Conte Giovanni Fantoni in Fivizzano.

Giulio Perini è un abate, Segretario dell'Accademia Fiorentina che allora riuniva anche l'Accademia della Crusca.



Maggio 1792 Firenze 20

Amico Carissimo
Io dissi al Sig. Conte Fratello vostro degnissimo, che il Cav. Vannetti di Roveredo pubblicava le sue osservazioni sopra Orazio, sopera i di lui traduttori, e i di lui imitatori, e che mi aveva scritto che tra questi essendo anche Voi, ne avrebbe probabilmente parlato.
Io li risposi che lodevole era il vostro nome e habile e singolare la maniera con cui l'avete imitato, ed egli soggiunse ch'egli pensava com'io pensava di voi. Egli mi comunica di mano in mano i suoi Quinternetti Stampati, e finora non mi siete comparso davanti, ciò che sia per essere nol sò, ma so bensì che il Vannetti è giusto ed ha naso fino abbastanza per conoscere il vostro merito, onde siete in buone mani e percò non abbiate timore ch'egli divenga schivo per contradire a se stesso. So che non è molto che fosse a Pisa, vorrei che andasse anche a Parma a stimolare l'infingardo Bodoni che donasse finalmente alla luce le vostre cose che qua e altrove avidamente si attendono.
Giacché l'occasione misi presenta di scrivervi, torno a pregarvi di procurarmi qualche notizia intorno al Virgilio di cui parlai a Voi ed al Fratello vostro, ed occorre l'indicazione. Virgilio in foglio piccolo, senza paginature, né richiami, né Registro di Cartagrossa. Stato di Gio. Francesco Grazzini.
Principia con l'Egloghe, e la Carta non ha marca alcuna.
In fine si legge:

Sculpserunt docti manibus sed pectore firmo
Carmina Virgilii vatis super aethera noti
Jacobus existens primus Baptista sacerdos
Atque Allexander comites in amore benigni
Qui Fivizzani vivunt super oppida digni
MCCCCLXXII

Le Majuscole sono miniate; Vi sono gli argomenti alla Georgica ed all'Eneide.
Eccovene la descrizione, onde spero qualche sicuro riscontro.
Salutatemi moltissimo il Vostro Fratello, e la Vostra Sig.ra Cognata, Nel futuro Giovedì bramerei assai che fosse presente ad una mia bizzarra lezione accademica, onde m'ingegnerò di mostrare che l'Uomo ha imitate molte arti e molte cose dall'Industria degli Animali; Religione e Società queste, Linguaggi, Nautica, Architettura.
Addio senza complimenti, comandatemi e credetemi
Vostro Amico e Servo Vostro
Giulio Perini

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Qui sotto trascrivo n. 6 lettere del Canonico Luigi Paffetti che da Roma scrive a Labindo parlandogli degli affari dell'amante del poeta quella Giuseppina Krappf, camerista della Regina a Napoli che per motivi di salute ed altri fu allontanata da corte e se ne ritornò al proprio paese di Brun in Moravia.



Busta 276 lettera n. 2 di Luigi Paffetti


Roma 22 Giugno 1787

Ho trasmesso al noto Ignazio Gerio le lettere di Madamme Giuseppina venute ultimamente da Bologna; mandate perciò a prenderle che saranno consegnate a chi presenterà a prenderle a vostro nome. Nel rispondere alla Sig.ra avvisatele di avervi io trasmesse le di lei prime e queste seconde lettere per canale sicuro, senza che abbiano corso il pericolo, di cui essa teme; al contrario posso assicurare Voi di aver spedita la vostra, alla medesima diretta, entro una mia ed altra del cav.re che si dirette a Bologna ove sicuramente doveva trovarla al suo arrivo, tantopiù a scanso di equivoco scrissi due lettere, una con la direzione legittima, l'altra con la Direzione da Voi stabilita. Ed in ambedue avvertii cosa diceva l'una e l'altra, conché mi parea non dover eseguire smarrimento di esse, come sento che sia accaduto a dispetto delle usate cautele.
La Signorina Conte per cui vi pregai a procurare costà un buon matrimonio, l'avrete in breve sposa del Conte Coppola, figlio del V. Duca Presidente della Zecca e fratello di questo Monsignore Segretario dei Sacri Ritti; il Partito è concluso e si attende lo sposo a giorni per condurre seco a Napoli l'amabilissima e virtuosa sposa alla fine dell'entrante luglio. Si è qua parlato in diverse maniere di questa famiglia Voppola. Alcuni napoletani che si trattengono in Roma hanno detto di molto bene della medesima Nobiltà, asserendo che gode quelle prerogative, che godono le prime famiglie di Napoli, e che ha un'Entrata senza i Personali di circa 12 mila Ducati. Altri poi dicono che è Casa Fresca di non alma Nobiltà, e che l' Entrata scende a 6 mila Ducati. La cosa è già stabilita, ma non ostante per mia mera curiosità con pretesto di non farne alcun uso, vorrei, che voi mi renderete informato di questa famiglia, per schiarire le due accennate diverse oppinioni.
Comandatemi in quel pochissimo che io vaglio, e conservatemi la vostra padronanza ed amicizia col confermarmi che sono per sempre qual mi confermo
Mio padre vi fa i suoi più distinti saluti.

Vostro Amico aff.mo
Luigi Cav. Paffetti



Busta n. 276 lettera n. 3 di Luigi Paffetti

Amico Carissimo

Roma 31 Luglio 1787

Per evitare ogni incontro nelle lettere, che secondo la nuova moda vengono aperte anche costà, mi prevalgo della datami notizia con il dirigervi la presente sotto l'indicatami direzione, essendo rimasto sorpreso che vi sia stata aperta anche l'ultima mia benché diretta al Gerio. Io compatisco assai l'agitazione in cui vi trovate per lo stato infelice della amabile vostra amica; Essa è giunta in Vienna ma poco sarà per sopravvivere, se il suo male è arrivato al termine, che sentirete nella qui acclusa diretta al Cavaliere , il quale non vi scrive in questo corso per essere molto occupato, ma che m'impone di salutarvi, e di accertarvi di tutto il suo impegno e desiderio di vedervi collocato stabilmente in questo Stato con un decoroso e stabile impiego. Ciò, amico mio, senza lusingarvi inutilmente è assai difficile, per le circostanze a voi ben note, ma se nonostante si darà qualche apertura siate persuaso che ambedue ci daremo tutto il pensiero di coadiuvare il vostro intento; Se peraltro potete spuntare qualche cosa di fisso da codesto Governo, credo, che sarebbe assai meglio anche per la vostra convenienza; Il vostro talento è cognito abbastanza, e se il Generale Acton dice da vero, sono persuaso che poco gli costerà a situarvi decorosamente. Vi ringrazio dei passi fatti per la Damina Lante, e chissà che eseguendosi il trattato, che avevi per le mani, non fosse stata meglio di quello che seguirà col presente suo marito Coppola, che in Roma non è piaciuto ad alcuno per la sua non troppo piacevole apparenza e il suo cattivo carattere mostrato nella sua prima gioventù. Crede che questa amabile Damina sia sacrificata , Voi ne sentirete parlare, e perciò ne gradirò qualche riscontro. Essa deve essere arrivata in Napoli Domenica scorsa circa le ore 23. Se volete andare a farle una visita, siate certo di vedervi ricevuto con buona grazia, e sapendo la medesima che siete mio amico, vi gradirà assai.
In quell'occasione fatele i miei complimenti , e ditele, che desidero le sue nuove.
Ovunque io possa valere, comandatemi con piena libertà, sicuro che a tutta prova mi troverete sempre quale mi confermo nell'abbracciarvi caramente. Addio
Vostro Aff.mo Amico e Servitore
Luigi Cav. Paffetti



Busta n. 276 lettera n. 5

Roma 28 Febbraio 1787
Ricevuta la carissima vostra con l'altra per l'amica Jose non mancai di spedirla subito al suo destino per la corrente Posta. Di Essa Amica avevo ricevuta appunto una lettera in cui mi si dettagliava il suo stato attuale di salute che è migliorato notabilmente, attesa la cura di latte di Donna che prende quattro volte il giorno, oltre alcuni decotti di erbe col latte di Vacca, dai quali rimedi ne ricava considerabile vantaggio a segno che adesso non spurga più né sangue, ne altra materia. Incomincia ad avere più forza e pare ad essa ripigliare un poco di carne, tantoché spera di guarire, Loche mi dice che si effettuerebbe anche più presto , se il suo animo fosse alquanto più tranquillo, e non avesse tante ragioni di rammaricarsi, tra le quali conta quello di vedere alienato l'animo vostro dalla solita amicizia per lei; perché non gli scrivete, e perché una lettera da voi scrittagli ne' primi tempi del di lei arrivo a Vienna, e che è l'unica che mi dice di avere ricevuta, era di uno stile che le trafisse il cuore per essere equivoca e per aver mostrato poco gradimento del suo carteggio sul timore che le di lei lettere potessero fare la vostra disgrazia. Io nell'averle risposto ho procurato di giustificarvi col fare del vostro carattere quell'elogio che meritate, e credo che Essa potrà restare persuasa di tutto ciò che ho detto a vostro riguardo: la medesima mi soggiunse in detta lettera che vi domandi se il Sig. Domenico di lei Condottiere al suo ritorno a Napoli vi consegnò una lettera, e se avete parlato con lui, inoltre che io vi rammenti che volendole scrivere mandiate le vostre lettere a Vienna con l'indirizzo convenuto tra voi due. Ecco adempiuta la mia commissione, fate adesso, che io possa eseguirla ugualmente per Vienna.
Ho piacere che vediate qualche volta la Contessina Coppola, che mi fa mille elogi della vostra persona nel tempio che mi fa il carattere de' Napoletani. Sento che il marito sia geloso a morte, onde abbiate giudizio nelle vostre visite.
Desidero che i vostri lavori e le vostre molte fatiche vi portino una volta quello stabilimento. Che meritate, ma mi pare che poco siavi da fidarsi dei Napoletani, nemici de' forestieri e delle persone di talento, tuttavia avendo tentata costà la vostra sorte, è bene di vederne il fine. Per Roma, amico carissimo, vedo assai difficile l'intento di una nicchia adatta per voi, Qualche pratica avete ancor voi di questa Corte, la quale non essendo oggi punto aderente e favorevole alla nostra, poco e niente considera i Toscani , i quali non hanno certamente più quel merito, che in passato dava loro la sola Nazionalità.
Mave ed io si cerca, né si lascia opportunità alcuna per potervi consolare , ma le vostre qualità, che meritano molti riguardi, e le circostanzi attuali di Roma, mi fanno perdere il coraggio di riuscire felicemente, come vorrei, in quest'impegno, che sarebbe per me una vera consolazione. Mave non vi scrive per essere molto occupato, ma m'impone di salutarvi, e di accertarvi di tutta la sua vera passione per tirarvi a Roma.
Abbiate cura della vostra salute, e lavorate quanto comporta la vostra complessione, e niente più, rammentandovi che la maggiore e miglior ricchezza nostra è la sanità e che perduta questa si può avere in saccuccia quel che resta.
Comandatemi in quel poco, che può da me dipendere e conservatemi la vostra amicizia sicuro di tutta la mia maggior corrispondenza. Vi abbraccio e sono a tutta prova il vostro vero Amico e buon servitore Addio
Paffetti

Vedendo la Contessa Coppola fatele i miei più cordiali saluti. Addio.


Busta 276 lettera n. 6

Roma 19 8bre1787
A L.
Non potete essere certamente in migliori mani delle nostre cioè del Cav.re e di me, per procurarvi nelle opportunità una decorosa nicchia in questo Stato adatta alla vostra Persona, in quanto all'averne tutto il maggior pensiero ed all'agire con maggiore impegno, potete esserne più che certo, ma Amico voi siete ben pratico di questa Corte, per vedere tutte le difficoltà che possono opporsi alla buona riuscita, di tali comuni desiderj, Tuttavia speriamo nella Providenza che ci apra una strada per poter operare efficacemente con frutto per togliervi da cotesto Paese, che attese tutte le circostanze pare non sia per Voi.
Quanto mi accennate riguardo alla comune Amica, Le verrà da me scritto con la prossima Posta tantopiù che devo risponderle ad una di lei lettera che ho ricevuta jeri l'altro. In essa mi dice cose riguardo alla presente sua situazione, che mi hannmo recata una vera e somma afflizione, per quanto dia buone nuove di sua salute, che è quasi ristabilita, non sputando più sangue affatto, e solo spurga nella mattina pochissima marcia. Dice però che dalla sua partenza da Napoli, che sono cinque mesi non ha avuto il minimo soccorso, né alcun riscontro di ciò che si pensa fare di lei, e che si trova senza un soldo, che è stata dal Ministro di cotesta Corte, il quale l'ha assicurata di non avere avuto mai il minimo ordine per lei, che le sue circostanze lo hanno mosso a pietà, ma che non ostante le ha detto di non potersi interessare per lei presso la Regina per non aver mai ricevuta alcuna incumbenza, che la riguardasse, e per non esser Egli in alcuna corrispondenza con S. M. che però ha accettata una lettera, che gli ha presentata per la Regina, avendole promesso di mandarla per via della Segreteria.
Mi aggiunge che non sa capire con qual fondamento Voi abbiate detto, che le sono stati assegnati 500 fiorini, quando Lei non ha ricevuto ancora verun riscontro, e che in conseguenza sarebbe alla mendicità, se il di lei fratello maggiore non la mantenesse da tre mesi in poi. Questo fratello voleva portarla seco al suo Reggimento ma siccome trovasi adesso situato in un luogo dell'Ungheria molto pestifero, non ha potuto accettare l'offerta, ma che bensì ha accettato di andare fra giorni a Brun in Moravia col secondo suo fratello , che gli ha offerta la metà della sua paga, sinché si accomodano i di lei interessi, e che la tolghino dalla miseria, in cui si è ridotta. Essa m'impone dirVi che mandiate a chiamare il Domenico Direttore del suo Viaggio, e che gli domandate, se ha ricevuto in Bologna una di lei lettera con altra per la Regina, ed una scrittagli Napoli con quello stesso indirizzo dato dal medesimo Sig. Domenico e se ha parlato costà della di lei Donna Orsola per conto dei Busti lasciati in sue mani dall'altra Donna portata seco a Vienna, delle quali cose Voi ne darete riscontro all'amica in Vienna colla direzione e sopracarta: A Mr Josephe Noble De Strolbendorf a Vienna.
Overo potete indirizzarle a Baron Loprestipsron a Brun in Moravia, Così Essa mi dice di avvisarvi, facendo nel tempo stesso doglianza di Voi, che non gli scrivete mai, nel che ho procurato di persuaderla con averla assicurata dei vostri sentimenti di amicizia per la medesima e di averle dirette io stesso diverse vostre lettere.
Il Mave vi saluta con tutto l'affetto e pensa a Voi, bramando di vedervi stabilito con vostra convenienza, ma sino a che non si apre qualche buona strada non può concretarsi niente di certo.
Quando vedrete la Contessina Coppola, fatele i miei più distinti complimenti ; Voi comandatemi con libertà in tutto quel poco, che può da me dipendere. E Credetemi a tutta prova vostro vero e sincero amico. Addio Addio
Paffetti


Busta n. 276 lettera n. 7

A L.

Roma 7 Xbre 1787
Colla posta dello scorso giorno ho ricevuto una lettera della comune Amica che vi trasmetto qui acclusa per mezzo del Sallustio Piccolomini, cui la dirigo per un napoletano , che lo conosce particolarmente; Gradirò di avere con vostro comodo qualche riscontro unitamente alle vostre nuove, che vorrei sentire una volta consolanti per il vostro stabilimento. Per Roma si procura dal Cav.re e da me con ogni impegno una qualche nicchia adattata alla vostra Persona, ma sinora non si trova apertura alcuna, e la vedo ancor lontana, attese specialmente le nuove rotture insorte tra questa e la corte di Toscana per conto del nuovo Vescovo di Pontremoli, come saprete , Loche serve per far concepire maggiormente delle odiosità contro i Nazionali, che sono a Roma, e contro quelli che cercano di stabilirvisi, tuttavia si farà tutto il possibile a vostro vantaggio.
Vi accludo due manifesti per una Gazzetta che si stamperà in Roma, da una Società di altri due amici che ho formata a quest'effetto; Vi prego di procurarmi degli associati, i quali spero che saranno soddisfatti dei miei fogli. Voi comandatemi e crediatemi, a tutta prova vostro vero amico Addio Addio
Paffetti

Busta 276 lettera n. 8

Mio Caro Conte Stimatissimo

Roma 5 Luglio 1794
Reso il nostro comune amico Miller inabile a qualunque operazione, come già sapete, mi ha consegnata la vostra lettera lui diretta de' 4 Giugno scorso, perché io facessi quanto occorreva per servire Voi ed il vostro raccomandato Duranti; onde io devo dirvi che gli Eredi del defunto Gian Batta Duranti Cappellano a Montalto, sono stati male informati del regolamento tenuto dal Podestà Martellotti, quale non ha mancato in veruna cosa, ed ha eseguiti gli ordini di Monsignor Tes. Il quale è il succollettore degli Spogli a favore della Reale Camera di tutte le persone che muoiono nello Stato Pontificio senza aver fatto testamento e senza che vi siano gli Eredi necessari , e quando non si sa quali siano questi tali eredi, come accade frequentemente dei Forestieri , con i quali tutti si osserva lo stesso metodo che è stato praticato col D. Giov. Batta defunto, Bensì la camera non si appropria l'Eredità del defunto, ma la ritiene in forma di deposito peer farne la consegna a quei che provano autenticamente d'esser Parenti più prossimi e gli Eredi legittimi del defunto. Nel caso del Sig. Duranti accaderà lo stesso, mentre avendone io parlato col sostituto di Camera destinato per tali incombenze, mi ha assicurato che sarà restituito tutto quello , che fu trovato al Detto Cappellano defunto, a norma dell'inventario fatto per ordine di Monsignor Test , tostoché Gl'Eredi daranno autentiche prove d'essere loro i più stretti parenti del medesimo defunto; Dunque mandatemi sollecitamente questo documento , che a scanso d'ogni equivoco staccatelo dalla Curia Vescovile di cotesta Diocesi, ed uniteci un Mandato di Procura, in faccia mia, se lo credete bene, con facoltò di sostituire in Montalto di Castro altra persona ed a vista io avrò la consegna di tutto, che io terrò a disposizione degli Eredi Duranti, e vostra. Questa è la strada per ottenere questa eredità, e non quella del Vescovo di Viterbo, che non entra per niente in questi affari, anzi con questo mezzo è lo stesso, che intorbidare tutte le cose. Se così vi piace, io mi esibisco di servirvi puntualmente, intanto vi rinnovo i sentimenti della mia vera amicizia ed attaccamento, E passo a confermarmi, pregandovi dei miei più distinti complimenti, anche per parte del nostro Amico Miller, a Vostra Sig:ra Madre e Fratelli
Vostro Affezionatissimo Amico e Servitore
Luigi Can. Paffetti


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Gio Cristiano De Miller, Ispettore Generale della Finanza dello Stato Ecclesiastico ( in stretta relazione con lo zio del poeta quel Marchese de Silva famiglia di origine spagnola) scrive al giovane Labindo, da poco passato ufficiale a Firenze, questa intensa lettera di consigli dettati da esperienza e intelligenza. Miller era in contatto epistolare col il padre Ludovico Antonio Fantoni che, sicuramente gli avrà suggerito cosa dire a quel figlio così prodigo nelle finanze.

Busta 274 lettera n. 3


Roma 16 Maggio 1776

Caro Sig. Giannino
Per il canale della Posta di Firenze ricevo la grata sua del 16 Aprile scorso dalla quale rilevo con estrema consolazione, che dalla clemenza di Codesto Sovrano le sia stato conferito un posto d'uffiziale nelle Sue Truppe: nessuno più di me gode del bene che Le accade, e vorrei che lei fosse pienamente contento, e felice. La felicità nell'uomo – per quanto la può dare il mondo – dipende dalla prudenza e buona condotta. Il militare è pieno di scogli, e la via più difficile a procurarsi una comoda sussistenza; ma il Filosofo che non apprezza le ricchezze, e si accontenta dell'onesto e necessario, rinunzia senza pena alle comodità superflue, e si regola col poco da non essere d'aggravio ad alcuno.
A questo punto Caro mio Giannino bisogna che Lei pensi seriamente procurando per quanto è possibile di non essere d'aggravio alla Casa sua, la quale come le ho detto molte volte, non è in grado di fornirle lungamente l'assegnamento che Le ha passato fino al presente. Io so bene che la paga di un Sotto Tenente è molto mediocre, ma con tutto ciò facendo bene il suo conto, si può vivere alla meglio: tutto è affare di calcolo, e l'economia è l'anima di tutte le altre cose, e si stima universalmente un giovine che si regola con giudizio, e spende consideratamente i suoi piccoli assegnamenti: senza essere avaro si può essere non prodigo, basta saper evitare nobilmente le occasioni d'impegnarsi in spese inutili.
Oltre all'economia l'ufficiale deve essere delicatissimo sul Punto d'onore: la delicatezza nel militare è più necessaria che in tutti gli altri stati della vita civile: ma quest'onore deve essere vero e reale nel carattere, e non una capellatura d'esterna apparenza.
E' vero che è essenziale di comparire delicato nell'onore, ma per comparire tale costantemente bisogna esserlo; La critica dei maligni scopre ben presto il vero fondo del Carattere d'ognuno, onde si deve procurare d'essere tale nell'interno, che anzi di scapitare nell'Estimazione si acquisti a esser conosciuto familiarmente: L'uomo veridico, incapace di Bugia, di Artificio, di tradimento, umano, caritatevole, buon amico, guadagnerà sempre a misura che si scoprirà il suo carattere: Il Mondo quantunque sciocco et ingiusto, alla lunga rende sempre giustizia.
Io so mio Caro Giannino, che Lei ha un ottimo cuore, e buon carattere, oltre al talento che Dio Le ha dato: Non le manca che l'esperienza e questa non può acquistarsi e non coll'età. Possono per altro prevenirsi , se non tutti, almeno la maggior parte degli Inciampi regolandosi sull'Esperienza degli altri più vecchi di Noi, E perciò i consigli degli Amici savi, d'una certa età non sono mai da disprezzarsi, Io le sono amico, amo la di Lei Persona, e il suo bene; nella mia Gioventù io sono stato d'un carattere e complessione simile alla sua, ho sbagliato, mi sono attirato non poche avversità, oltre a quelle che il Cielo mi ha mandato senza mia colpa, le une e le altre mi hanno reso riflessivo, e se potessi ridiventare giovine ardirei lusingarmi di poterne evitare la maggior parte con una Prudente Condotta; e quel che io farei allora ma che non posso più fare perché il passato non ritorna più, io lo consiglio a Lei per il suo bene: Come suo più affezionato e fedele Amico ho il diritto di parlarle con libertà, e dirle varie cose che altri meno familiari e meno sinceri o non ardiranno o non vorranno o forse non sapranno dirle. Prenda dunque in buona parte questi miei affettuosi consigli, e sopra tutto si regoli nell'Economia e nel parlare: non confida i suoi segreti senza necessità, e senza sicurezza del buon carattere del vero amico. Procuri di farsi amare da tutti, faccia il dovere del suo Stato con massima esattezza, procuri a poco a poco di vincere la sua inclinazione a quel Sonno che in certi momenti per Lei è un vero Letargo, legga le Opere di Mons. Tipot , e vedrà come si può vincere a poco a poco il Sonno con avvezzarsi a levarsi bruscamente dal lato allo svegliarsi dopo il primo Sonno, e con addormentarsi col pensiero intenso e proposito fermo di levarsi alla tal ora.
E sopra tutto sia delicato, senza dir mai la minima Bugia, L'uomo d'onore non è obbligato a dir sempre la verità, che sà, ma quando fa tanto di parlare, non deve dire che il vero che si sà. Il Silenzio è il santuario della prudenza. Il saper tacere a proposito risparmia all'uomo prudente mille disgusti e patimenti che col parlare talora non possono evitarsi.
Finisce la carta e non ho ancora parlato di me, onde le dirò brevemente che io sono tranquillo e contento: la mia illibata coscienza, che Lei sà, mi serve di consolazione.
Il Papa mi ha promesso di provvedermi di un buon benefizio, e non dubito che Egli manterrà la sua promessa. Intanto stò bene di salute, Studio, lavoro al tornio, e passo il mio tempo con soddisfazione, Le do un abbraccio di cuore, tutto suo
Vero Amico
Miller

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Busta 274 lettera 5

Labindo è alla Corte dei reali di Napoli ove riceve, 9 anni dopo la prima sopraindicata, una nuova lettera piena di giusti consigli.

Roma 8 novembre 1785

Sig. Giannino Mio Caro Carissimo

La di lei lettera in data 22 ottobre scorso mi ha fatto un vero piacere, perché in essa rilevo l'amore e sincera amicizia, che ha per me, e quel che mi consola vedo, che Lei ha conservato gli ottimi suoi sentimenti, e massime di buona morale, del cavalier d'onore e del filosofo Cristiano. Sento la critica circostanza in cui lei si trova per la imminente caduta del suo protettore Sig. Cav. Acton, ma questo bravo ministro forse risorgerà perché gode del favore del Re e della Regina, sicché Lei continui a coltivarsi la di lui benevolenza, senza però dare nell'occhio, e rendersi nemico del Sig. Marchese della Sambuca : la Prudenza e la Circospezione è necessaria quando si vuol fare la sua fortuna: sopra tutto conviene badare , come si parla, e con chi: Cotesta città è piena di spie, anche gallonate, che riferiscono tutto non solo a cotesto Ministro e Governo, ma ancora a S.A.R. Il Granduca di Toscana, onde stia cauto, parli bene di tutti, e male di nessuno, neppure con quelli che Le dimostrano amicizia.
Osservi bene, ove tira il vento della Fortuna, e faccia la sua corte a quelli che possono influire a farle il bene, e procurarle il desiderato suo stabilimento; senza disprezzare nessuno, faccia buona scelta delle persone, che Lei vuol trattare con assiduità, e non stia a perdere il suo tempo intorno a quelli, che non possono esserle d'alcun giovamento. E se vuol frequentare le compagnie grandi, non s'impegni mai in giuochi ne in spese superiori al suo piccolo assegnamento, per non indebitarsi. Chi fa debiti senza aver la forza e probabilità di pagarli è peggiore d'un ladro, e presto o tardi diventa un oggetto d'odio e di disprezzo di tutti gli uomini onesti. Per l'amor del cielo, mio caro Giannino, si ricordi che la sua casa non è ricca, che ha tre altri fratelli, che lei è cadetto, e che a Fivizzano un Ducato Napoletano equivale ad un Zecchino: onde si regoli con la massima autonomia, Lei forse dovrà restare molto tempo a Napoli avanti che possa essere impiegato con suo vantaggio e decoro, onde si regoli da uomo prudente, per poter durare, perché presto o tardi, io spero che Lei sarà creduto. In quanto al militare di Roma, Lei non spesi niente perché vi è un'infinità di uffiziali sopranumeri, senza paga, ai quali non si può fare il torto di anteporloro un forestiero che non abbia alcun merito con questa Corte, Aggiungo a ciò, che i Toscani qui sono odiati a morte, e che i disgusti che il Governo di Toscana dà continuamente al santo Padre hanno alienato l'animo della Santità Sua contro tutti i Toscani in generale: sicché dalle parti di Roma non fondi alcuna speranza, e prosegua la sua diligenza a Napoli, regolandovisi in modo, in modo che Ella possa continuare a mantenervisi con decoro, ed aspettare, che le si dia qualche favorevole congiuntura.
Le raccomandazioni, che Lei ha avute, e quella che le può fare il Sig. Zio di Livorno tanto direttamente, quanto indirettamente per qualche suo amico del Ministero di Madrid, possono giovarle assai, basta che Lei si regoli con prudenza, si faccia amare, e ben volere dai signori di portata, et in carica, come ancora da qualche principessa o Dama, che sia favorita dai Ministri o altri Signori potenti :Lei ha delle prerogative da farsi amare, colla poesia et altri piccoli attributi. Dunque adoperi la sua arte delicata, per farsi amici, et amiche potenti, ma non s'ingolfi a fare la figura di amante appassionato , specialmente con donne plebee, che possano far perdere la salute et il decoro; Io non sono contrario. Come le ho sempre detto, che un giovine faccia all'amore, ma badi di scegliere una persona di rango, nascita, e ingegno che possa fargli onore, et anche qualche vantaggio. E' vero che la passione non si regola sempre, come si vuole, ma portandosi bene si può evitare di cadere nel sacco a capo chino, o almeno di fare una buona scelta di una donna, per cui si possa delirare un poco senza disonorarsi.
Io le mando questa mia direttamente per la Posta, ma lo so che a Napoli le lettere sono care, procuri di trovare qualche altro canale per cui io le possa inviare le mie lettere senza spesa, oppure se s'intenda con il mio Amico Sig. Conte Sallustio Piccolomini che potrà servirla, et al quale ho scritto, che abbia per Lei tutta quell'amicizia, che egli ha per me, considerandolo io come mio figlio , per essere stato amico intrinseco col defunto suo Sig. Padre.
Mi riverisca di cuore il Sig. Marchese Silva, e mi dia spesso le sue nuove, che m'interessano sommamente, desiderando io di vero cuore, di poter contribuire ai di Lei vantaggi, e di dimostrargli con gli affetti la mia sincera ed affettuosa amicizia, Vale at me, at soles Ama
tutto suo Servitore e di Vero Cuore
Miller

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Busta 276 lettera n 7
Roma 6 Febbraio 1787
Mio Caro Giannino

Hò ricevuta la grata sua del 30 dello scorso Gennaio, dalla quale rilevo, che Lei ha diradato di scrivermi, perché è stato avvisato da un amico di Firenze, che il tener carteggio con me, potea recarLe pregiudizio: questo amico si prende giuoco di Lei, perché io posso assicurarLa, che presentemente S.A.R. Il Granduca è pieno di Clemenza, e bontà per me: nulladimeno, se il carteggiar meco potesse recare il minimo dispiacere al Suo Sovrano e Signore, io mi contento, che Ella tronchi pure per sempre ogni commercio di lettere con me, basta solo, che per qualche occasione straordinaria Ella mi faccia sapere le sue buone nuove, et avanzamento.
Non mi è mai pervenuta alcuna di Lei lettera ne per il Cav. Tedesco, ne per il Cav. Piattoli compagno di viaggi della Sig.ra Principessa Etzartoriski . Può essere che essi siano passati in Roma nel tempo delle sei settimane che io andai a villeggiare in Ronciglione.
Io in questa Estate ebbi una lunga malatia di nervi , che mi condusse due dita lontano dal sepolcro. Adesso per altro stò possibilmente bene, ma soffro gran dolori d'una podagra vagante, la quale per altro mi lascia il capo libero, e lo stomaco fa bene le sue funzioni. A primavera farò una purga nelle forme, per vedere di liberarmene.
Mi rincresce assi che Ella non abbia ancora ottenuto il minimo stabilimento in cotesta capitale, et a dirgliela l'impiego di aio d'uno di codesti Principi non mi pare troppo adatto a Lei. E perché piuttosto non procurare d'entrare in cotesta Segreteria di Stato o nel Dipartimento della segreteria Reale del militare? Lei dee cercare di guadagnarsi qualche cosa, e d'entrare presto in paga, perché la sua Casa non è in grado di mantenerla con un così grande dispendio.
Lei mi domanda le mie nuove, et io le dirò, che io sono contento, e non ho niente da desiderare.
La santità di Nostro Sig.re con onorificentissimo chirografo Pontificio in data de' 10 Gennaio scorso mi ha conferita la decorosa carica d' Ispettore Generale della Finanza dello Stato Ecclesiastico e mi ha lasciati inoltre gli altri due importanti impieghi che avevo di Direttore Generale della gran fabbrica camerale delle Colonie di Roma, e di Soprintendente alle Manifatture dello Stato Pontificio. Sicché Lei vede mio caro Giannino, che il Cielo non abbandona mai il galantuomo, che confida in Lui. Tutti i miei nemici sono morti nella disperazione, e nell'obbrobrio: La Misericordiosa Providenza ha avuto cura di me, et io mi trovo attualmente in maggior auge di quel che io sia mai stato in Toscana. Ma tutti questi onori non hanno per me la minima attrattiva , perché conosco ormai troppo l'inanità di tutte le cose di questo basso mondo: vivo la mia solita vita di Filosofo Cristiano, niente mi turba, ringrazio sempre il Cielo senza domandargli niente.
Adio mio caro Giannino, mi dia qualche volta le sue nuove quando non ha altro di meglio da fare, e mi creda sempre di cuore
Tutto suo Servitore di cuore
Cav. De Miller

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Busta n. 274 lettera n.9

Roma 24 Maggio 1787

Mio Caro Giannino Car.mo
Per continuarle le nuove della cara et amabile Josefina, le dirò che la medesima si è dovuta trattenere qua per tre in quattro giorni, perché le convulsioni la strozzavano, sputava sangue, et era come mezzo moribonda. Io l'ho assistita da Padre, e frà il Canonico Paffetti, Lorenzo e me, le abbiamo sempre tenuto compagnia, con tre in quattro lunghe visite ogni giorno, Povera figlia! Essa mi fa veramente compassione, perché per il suo ottimo carattere e giudizio merita ogni bene. Abbiamo discorso largo tempo insieme in tedesco, perché il Sig. Domenico Fragonetti suo custode era sempre presente, Essa mi ha spiegato tutte le circostanze dalle quali si comprende che vi è una potente cabala e persecuzione, della quale gradirò che Ella mi dica la vera origine, e progressi per poter fare le mie considerazioni sul quid agendam. Giannino mio, da quel che mi ha confidato la buona Josefina, vedo che Lei sui trova a Napoli in critiche circostanze, e che difficilmente Lei otterrà un conveniente impiego. Et intanto Lei oltre all'aggravio che reca alla casa sua, fa dei debiti rilevanti. E come mai mio caro Amico finiranno queste cose? Io per verità ne sono afflittissimo, tanto più, che sò, che Lei si è fatto un mondo di nemici, perché è troppo facile a parlare, et a confidare le sue cose a tutti, Per l'amor del Cielo mio caro Giannino, usi prudenza, e sia cauto con tutti, per non guastare i fatti suoi , E Sopra tutto sia più economo nello spendere, Mi ha detto il Canonico che Lei tiene Carrozza . E come mai può Ella supplire a questa grave spesa? Basta, io attendo dalla sua amicizia che Lei mi confidi sinceramente tutte le sue cose, per poterle dare qualche buon consiglio, perché Lei non ha alcun amico più sincero e affezionato di me, onde riflettiamo insieme e vediamo cosa possiamo fare.
La buona Josefine partirà domattina, io le farò preparare per il suo viaggio quelle piccole cose che potrà gradire per ristorarla un poco, ma Dio sa come potrà tirare avanti in questo lungo viaggio, tanto più che il Sig. Domenico ha ordine di andare avanti in qualunque grado che essa possa trovarsi. Io non capisco niente a quest'ordine inumano, Il Sig. Domenico ha scritto alla Corte per poterlo fare revocare, perché la salute di questa povera figliola non resisterà sicuramente a tanti strapazzi. Io gli ho dato il mio indirizzo al Sig. Domenico ed egli mi ha promesso di scrivermi da Firenze, da bologna, da Trieste, da Inspruck e da Vienna, per darmi le sincere nuove della povera Josefina, et io le darò a Lei a Napoli. Ma caro giannino desidero da Lei che si procuri a Napoli qualche indirizzo al quale io possa mandarle le mie lettere senza spesa di porto alla Posta, perché le lettere sono care, e questi porti di lettere sono spese gettate inutilmente.
Il canonico e Lorenzo la salutano, e io sono di tutto il cuore suo
Vero buonservissimo et amico
Gio Cristiano De Miller
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Busta 274 lettera 12

La lettera viene inviata a Labindo ormai ritornato nella casa paterna a Fivizzano
La stessa ci mostra un Giovanni affezionato alla Josephine Krappft, tanto che si parla anche di un possibile matrimonio. E invece sappiamo come andò a finire. Vedesi a tale scopo la lettera di AGGIUNGERE NOTA!!!!!!!!!!!!!!!!!
Nel PS finale si parla di Cotugno che è il famoso Medico napoletano, amico di Labindo, che ha dato il nome all'attuale Ospedale di Napoli. Leggasi la lettera del 18 luglio 1789.




Roma 13 Giugno 1789
Giannino mio Caro Carissimo

Subito ricevuta ieri la grata vostra de 6 stante, passar da me in persona colla mia carrozza, dopo la Fabbrica delle Calanca dal Sig. Domenico Lavaggi, Direttore di queste Poste di Genova(?) e gli consegnai la stagnata di tabacco di Spagna che mi chiedeste, e che egli mi ha promesso di spedire col corriere di questa sera al sig. Domenico Figonetti Direttore della Posta in Sarzana al quale ho indirizzata la medesima stagnata, scrivendo sopra l'indirizzo, = per il Sig. Conte Giovanni Fantoni in Fivizzano= onde spero che la riceverete puntualmente. Questo tabacco, come sapete, è stato raccolto nel mio giardino, sette anni sono, ed è stato manipolato col vero segreto del Tabacco da Spagna in questa Fabbrica Pontificia, e mi pare che sia diventato molto buono; mi dispiace che l'ho quasi finito, a forza di mandare dei saggi a diversi Dilettanti......Approvo moltissimo i vostri affettuosi sentimenti per la buona Josefina, ma molto più lodo la tenerezza, che dimostrate verso la vostra incomparabile Mamma,che rilevo dall'espressione che mi fate “ Che la Josefina in qualunque stato, o vostra o di altri sarà sempre la più cara cosa, che abbiate in questo mondo, dopo la mamma.” Ed in ciò avete ben ragione, perché la vostra cara mamma è la Regina di tutte le Donne, per prudenza, per spirito e per cuore. Continuate pertanto a dimostrare a questa degna Madre il vostro attaccamento, e tenerezza filiale, e sopra tutto regolatevi secondo i suoi savi consigli.
Fate bene i vostri conti di concerto colla Mamma per vedere, se con quel poco che vi può dare la Casa e colla pensione che ha la Josefina potete vivere decorosamente nella Lunigiana; Nel qual caso non disapproverei questo matrimonio, tanto più, che è sperabile che la Regina di Napoli le accresca la sua Pensione, quando saprà che siete per sposarla, nel qual caso dovreste Voi medesimo scrivere alla Regina, per domandarle questa permissione, bensì per adesso non è tempo d'importunare la Regina, eperché essa si trova in angustie per le 13 navi da guerra Spagnole, che si trovano nella rada di Napoli, e per le altre nove di Alto Bordo che stanno in poca distanza in alto mare...Salutate di cuore la cara Mamma da parte mia, e presentandovi i complimenti del Canonico, Lorenzo e Card. Bini, resto di cuore tutto vostro.




Ps Cotugno ha messo la povera Teresa in una casa ordinata e molto dispendiosa, e chissà se riporterà le sue cose a Roma. Povera Donna fa veramente compassione. Addio mio caro Giannino, scusate se non scrivo più di pugno, la mano mi trema
Tutto Vostro servitore et amico
Gio Cristiano De Miller

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Busta 274 lett 13

Roma 18 Luglio 1789

Giannino mio Caro Carissimo

Non ho risposto prima alla vostra grate del 28 Giugno scorso, perché non mi era riuscito di trovare il libretto sulla Tise per il vostro medico, che trovai finalmente e ve lo mandai nell'ordinario passato. Non occorre che parliate del costo perché è una bagatella.
Josefina mi scrisse una Lunga Lettera, tutta tenerezza per voi, mi dice che le si è presentato uno sposo, vedovo, Baron tedesco, che ha tre piccoli figli, ma che essa non vuol risolvere niente senza il vostro e mio consiglio, che il suo cuore sarebbe portato per Voi, e che preferirà Voi a tutti gli uomini del mondo: ma io son del parere che voi dobbiate acconsentire che Essa sposi il Baron vedovo, che è un Signore benestante: finché essa non trovava altri partiti migliore del vostro, voi eravate in obbligo di offrirle la vostra mano, come avete fatto, ma la Providenza le ha mandato un partito migliore, Voi stesso dovete esortarla a non trascurarlo, fermo stante però, che se per qualche combinazione il detto matrimonio non riuscisse, voi sarete sempre pronto a sposarla, qualora essa si contenti della mediocre fortuna, che secondo le vostre limitate circostanze, le potete offrire. Beninteso , che intendete sempre di pagarle quel che le dovete, dandovi un poco di respiro al pagamento. Ditemi in risposta quel che ne pensate affinché io possa risponderle con fondamento per secondare la vostra determinazione.
Scusate se non continuo a scrivervi di pugno, la mano tremami oggi più del solito.
(Prosegue la lettera con altra calligrafia, più grossa, più tonda e di altra mano)
La Sig.ra Teresa Bini mi scrive da Napoli, che avanti che il Medico Cotunnio avesse ricevuta la Vostra lettera di raccomandazione, le avea fatta pagare per ogni visita una Doppia, ma dopo aver ricevuta la detta vostra lettera, egli le ha dimostrato una maggiore amorevolezza, et essa non gli ha più pagata alcuna somma per due o tre volte, che si è fatta portare in portantina alla Casa del medesimo medico Cotunnio, il quale le ha detto, che non avea tempo di farle altre visite in persona, ma che in riguardo del Sig. Conte Fantoni egli le avrebbe dati i suoi consulti gratis, basta che avesse mandato da lui l'altro suo medico curante, per rendergli conto di mano in mano la sua cura. Questa povera Donna si distrugge e dissipa il suo piccolo patrimonio in una Locanda dispendiosa di Napoli, ove dovrà trattenersi fino a Settembre, per terminare la cura dell'unzione mercuriale, che Cotunnio gli ha ordinata un giorno sì e un giorno nò, alternando i bagni tiepidi con l'unzione, per impedire la salivazione. Io non so come possa entrarvi questa unzione per il male d'utero e la durezza nella matrice, ma la Sig,ra Teresa mi scrive che le pare di star meglio, e che ancora la piaga nell'intestino retto, o sia la fistola emoroidale vada a cicatrizarsi, mentre si formano adesso i suoi escrementi di qualche consistenza; ma chi sa, seciò sussista, perché questa povera donna vive sempre di speranza, e pasce la sua immaginazione con tutte le lusinghe, che le donne danno ai medici, e chirurghi. Essa mi scrive, che io vi faccia mille affettuosi complimenti da parte sua e vi preghi di scrivere a posta corrente una lettera di ringraziamento al Dott Cotunnio con raccomandarla nuovamente alla di lui gentilezza e premura, giacché egli dimostra tanta amicizia per voi. Scrivetegli dunque direttamente per la Posta e datemene avviso , affinché io possa consolare questa povera donna col dirle, che l'avete favorita.
Le sue tre figlie che stanno qui senza Madre e col il Padre impiegato continuamente alle Poste, vi fanno i loro più distinti complimenti, e vi ringraziano di quanto avete fatto e siete per fare a favore della loro afflitta madre. Il canonico Lorenzo e tutti vi salutano ed io abbracciandovi di cuore resto tutto vostro
Vero Serv. Et Amico
G. C. De Miller

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Busta n. 274 lettera 14

E' una risposta alla domanda avanzata da Labindo per conto del suo amico Marchese di Fosdinovo di avere informazioni sull'uso e sfruttamento del Carbon Fossile contenuto nella collina di Castelnuovo di Magra.


Roma 8 Agosto 1789

Mio Caro Giannino Carissimo

Ho ricevute le grate vostre de' 25 Luglio scorso e del 2 stante. Vi ringrazio della nuova lettera scritta a Cotunnio, il quale spero che avrà tutti i riguardi per la Teresa, come a suo tempo ve ne darò riscontro. Essa mi scrive che prosegue la sua cura, e spera di terminarla alla fine del corrente mese, Le sue figli vi fanno mille salute e il simile fa il canonico e Lorenzino. In quanto all'impiego di Segretario del Congresso Accademico di Roma, questo ormai è stato accettato dall'Avvocato Gorivossi per Segretario, al quale Monsignor Tesoriere ha riunito ancora l'Impiego di Archivista Segreto della Camera, con provvisione di scudi venti al mese, onde non posso più proporre alcuno, e molto meno il vostro amico della Spezia, che io conosco per riputazione, sapendo che egli ha un sommo talento, ma non essendo particolarmente conosciuto in questa Città, sarebbe stato impossibile di fargli avere la detta carica.
Riguardo al merito di servirsi di carbon fossile nelle Fornaci de' mattoni è inutile scrivere a Savignano, ove questo prodotto è ancora nella sua infanzia. Il Sig.Conte Marco Fantuzzi Soprintendente delle Dogane del Dipartimento di Garenna, ottenne ultimamente dal Papa la privativa della cava di detto carbon fossile in Savognano, con l'obbligo di una sola libbra di cera l'anno, da pagarsi in tributo a San Pietro. So che egli fa diverse esperienze, e adopera il detto carbone tanto grezzo, che torrefatto per servizio di molte manifatture ma credo, che i suoi esperimenti non siano ancora consumati.
Egli scrisse sin d'allora che si regolava secondo le istruzioni dei diversi libri oltramontani, che ne trattavano. Questi libri li potrete avere facilmente da Genova, e che vi serviranno assai più della voluminosa memoria, che il detto Conte Fantuzzi ne trascrisse al Congresso Accademico, e che io credo non possa complire di farsi copiare per non spregare il danaro inutilmente in detta copia.
Se con tutto ciò il Sig. marchese di Fosdinovo la desidera, basta, che me ne diate avviso in risposta ed io procurerò di renderlo servito.
Intanto vi prego di fargli i miei più distinti complimenti non meno che all'Amatissimo Marchese Carlo di Palerone, per cui io professo sempre la più sincera e cordiale amicizia.
Alla buona Josefina ho scritto nella forma che considerate, e spero, che essa sarà contenta di voi e di me.


La lettera è di Miller e spedita al Nobil Uomo Fantoni Giovanni a Fivizzano ma lo scrivano si dimentica di firmarla.

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Busta 277 lettera a Labindo.



L'Orazio novello d'Italia ravvisato nel sempre dolce Labindo, ed in questo il Fantoni, non poteva a meno d'interessare grandemente e chiunque conoscesse il pregio del colto scrivere, e si reca a dovere di rendere giustizia al merito Letterario di chi può con ragione esigere l'ammirazione e l'encomio dei Dotti, L'Accademia degli Unanimi di Torino avendo letti i suoi puri versi di V.S. Illma non esitò un istante a farle spedire queste Patenti con cui spontaneamente la scrive tra i suoi Soci, e quelle io non mancherò di inviarle , tostocché sarò ragguagliato da Lei della Città in cui fa Dimora, (motivo per cui ora le scrivo a Firenze e a Livorno) e dei nomi Battesimali, Patria, e Titoli esprimenti nelle medesime.
Ne' credendo l'Accademia bastare ciò solo a contestarle l'Alta Stima in cui la tiene, decretò la ristampa delle Poesie Suddete a spese dell'erario Accademico, pregandola però a favore fra tutto Ottobre, e se potesse ancor prima, altre inedite di Lei Prose, e Poesie in quel maggior numero che le sarà possibile, e che basti per rendere un secondo Volume di mole competente, ed eguale al primo, nel quale saranno inserte tutte le prose della prima edizione, e tutte le Poesie esistenti nell'altra di Carlo Giorgi sino alle Motti, o Versi sciolti , che occuperanno le prime pagine del Volume. Secondo. Si prega inoltre V. S. Ill.ma, e Chiarissima a voler inviare il rame del di Lei ritratto, od almeno il disegno, acciò possa essere premesso all'Edizione, che si farà in piccolo sesto con caratteri nuovi, buona carta e frontespizi in rame, né ad altro motivo le si chiede il rame già inciso, se non se ad oggetto, che in Torino non v'è un Morgen, com'Ella si merita. Riceverà poi a tempo opportuno un numero di copie senza veruna conseguenza, di cui potràò Ella disporre a puro piacimento.
Grato io all'Accademia Nostra che mi abbia dato il mezzo di aprire seco Lei Letterario Commercio, oso offerirle la mia qualunque siasi Servitù, estrinsecamente ad ogni mio Dovere Accademico, e pregandola del più sollecito riscontro circa ogni articolo, passo con pienezza di stima, e profonda venerazione a rassegnarmi
Di V. S. Illust.ma, e Chiar.ma
Servitore e Socio
Paolo Luigi Raby
Dottore d'ambe leggi nella Reggia Università
e Archivista Segretario dell'Accademia degli Unanimi
Torino li 24 Giugno 1795

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Busta n 277
Lettera a Labindo a Napoli da parte di A. Rivani – componente dell'Accademia Reale di Firenze.

E' nel settembre del 1775 che Labindo segue a Napoli Maria Carolina Amalia, Regina delle 2 Sicilie. A Napoli conoscerà vari letterati e politici: Melchiore del Fico, Mario Pagano, Il Duca di Belforte e si innamorerà di Josephine Krappft.

A Carissimo
Firenze 6 Settembre 1775

Portai l'inclusa lettera al suo destino. Godo vivamente e dell'onore del suo viaggio sulla Flotta Reale e che ora sia in Codesta metropoli, ove i suoi talenti, il suo merito, il suo carattere aureo, la nascita la fanno sperare gran cose. Si ramenti ch'é sotto gli auspici di due sonori (?) che sono la delizia del genere umano, e la gioia, ed il cuore dei suoi popoli felici, che conoscono il merito e la passione; ciò basta per risvegliare il Lei speranze e gratitudine.
Parini la saluta e la ringrazia della memoria ch'Ella nutre di lui, e gode meco della sua fortuna.
Faccia i miei ossequi al Cav. Corronchi, ottimo cav.re perché ottimo amico. Gli dica che mi dispiace di non averlo ossequiato avanti che partisse, andai più volte a casa Vettori ma non ce lo trovai.
Si ricordi di quel discorso che le feci sulla Pizza di S. Croce , e faccia bene.
L'Accademia Reale va molto bene, si fanno spesso delle sessioni per causa dell'aumento al Vocabolario della Crusca, sono ancor io uno dei sette Deputati da S.A.R. Per esaminare e disporre le nuove voci.
Il caro nostro Lampredi la riverisce, il Bali Capitano Carlo ancella del Borgo con sua consorte le fanno i loro saluti ed io sono come sono stato e sarò sempre
Amico Alessandro Rivani

Mi scriva le sue nuove.

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Busta 277 lettera a Labindo

Carissimo Amico
Castel Nuovo 12 Maggio 1807

Volevo prima d'ora aver adempiuto a un mio preciso dovere ma una febbre gastrica, sofferta nei giorni scorsi mi ha privato del piacere di poterlo fare, adesso, che principio a rimettermi alla meglio non manco di farlo; Le fò noto adunque, che nella Settimana Santa ricevei una stimatissima sua lettera ed insieme la lana con la stoppa per la nota coperta, ma non so se si rammenta, che le scrissi che la lana la voleva torta, e lavata, ed io l'ho ricevuta filata solamente, ma io l'ho già fatta torcere e lavare, e adesso la faccio legare, per tingere la suddetta era libbre tredici, e mezzo, e lavata è tornata £ 12 la stoppa, è cinque X, L'avviso che la spesa sarà un poco cara ma gli converrà aver pazzienza che io il possibile per spender meno, che sia possibile, Se in altro mi crede capace di poterla servire mi comandi, che mitroverà sempre pronta, a servirla, resto col farle i saluti del marito, e cognata, mi do il piacere di sottoscrivermi
Dev.ma Serva e Amica
Sofia Rossi Ballotti
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Busta 277 lettera a Labindo da parte di Rovini Luigi suo fattore.


Ill.mo Sig. Padrone Carissimo

30 Giugno 1804

Non ho mancato di fare una visita al Suo Podere di Monte Vallese il dì ns festivo in occasione di portarmi alla Fiera di Terra Rossa in compagnia del rettore di Moncigoli.
Ho veduto la necessità del suo podere di essere di essere nuovamente coltivato, a ulivi e Viti, esaminai un piccolo sito davanti alla sua casa. Sarebbe ottimo per farci una vivaia di ulivi, di terreno buono, Esaminai le piante vecchie Si trova delle scielerità e male intorno che in generale regna in questo paese; non anno abilità nessuna per tenere gli olivi in ordine, sarà caso perfezionargli e fargli distinguere i loro mancamenti di non conoscere e sapere tenere le piante in ordine. Circa al vino non si può trovare meglio siti di esso podere per fare il vino buono. Posso dirgli che in casa Bertoli mi rinfrescai , ebbi la dignità di sentire il vino di due qualità bianco e rosso, con somiglianza dell'aleatico di Noletta, non se puole trovare del meglio in questi posti. Dee fare buono anche nel suo podere ma temo che sia cambiato, Deve essere sempre meglio di quello che ci manda il fattore, Altro non mi occorre, e pregandola a farmi i più distinti saluti a Lucrezina,

Sono a pregarla se ho mancato ai miei doveri, di nuovo mi comandi, sono suo aff.mo servitore
Luigi Rovini

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Busta n. 278 lettera a Labindo a Pisa, da parte di un amico estasiato dalla sua Poesia.



Al suo Chiarissimo Amico Labindo
Salomone Fiorentino

Quant'è dolce il linguaggio dell'Amicizia quando và di concorso col cuore! Permettetemi ch'io l'usi tale con Voi a dispetto di quello che si usa dal rango e dalla cerimonia convenzione per altro non accettata dal Filantropo e dal vero Dfilosofo. Nion posso a meno di significarvi che distante da Voi , che siete capace disanimare anche gli stupidi di natura, io mi sento ricadere nell'avvilimento e nell'inerzia. La sola memoria della vostra immagine basterebbe a sollevarmi lo spirito se io partecipassi dell vostro ingegno sublime e sempre creatore.
Pure voglio provare a seguire i vostri suggerimenti, e se vi riesco, tutto incomincerò da Voi. Eccovi il mio piccolo Tomo, e se vi riscontrate per avventura qualche scintilla di Genio sappiate ancora che fu soffocata nel nascere dal Tempo e dalla Fortuna.
Subito che vi, sarà permesso fatemi avere, vi prego, la carta che mi prometteste, perché non v'è cosa che mi elettrizzi quanto le vostre mirabili Produzioni.
Nel momento che Vi leggo un morto non ordinario mi agita la notte i miei nervi in una deliziosa convulsione che somiglia a quell'estasi che si può sentire ma non si può descrivere.
La cordialità che mi avete dimostrato nell'essere con voi, è così naturale che alcuna volta nel rammentarmene giunge a farmi credere di meritarla. Così potessi io procurarvi quell'altissimo grado d'ammirazione e di tenero affetto che occupate nel cuore.
Del Vostro Deciso Amico e Servo
Salomone Fiorentino

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Busta 278 Lettera al Nobil Uomo Giovanni Fantoni a C.aniparola

Il Papa mi ha coglionato, o meglio dire i suoi Ministri, Sono la stirpe dei baronfottuti; mi si è negata adunque la licenza per il mio matrimonio, una delle scuse vergognose fra le quali mi si dice, che non si accorda per timore che essendo la Ragazza protestante, in un Paese Cattolico darebbe dello scandalo. Non posso seguitare a parlare di loro, e però venghiamo a noi, Se a voi fosse possibile per mezzo del Monsignor Caimi o per altre strade il vedere se si potesse svolgere dalle loro opinioni, sarebbe per me un'obbligazione di cui vi sarei sempre grato. Un timore nato in me contro Monsignor Toschino che faceva per noi a Roma, e fondato sull'esser egli promotore della Fede, mi ha fatto risolvere e non più imbarazzarmi con lui, ma spero che altro impegno gli farà accordare ciò che bramo. Scrive di più detto Monsignore che non ha voluto parlare al Papa perché non voleva consigliarlo a far questa licenza. La spesa non mi preme, e ciò dico perché sapete cosa bisogna per ottener grazie da quella Corte.
Attenderò un vostro riscontro e augurandovi il piacere di vedervi presto sono sempre di voi A.C.


Vostro Amico Carissimo
Carlo Salvioni

Massa 16 9bre 1792

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Busta n. 278

Lettera del Pittore Saverio Salvioni da Massa a Giovanni Fantoni in Fivizzano.
Il pittore Salvioni è stato colui che dipinse il sipario per il teatro di Fivizzano. Questo inaugurato nel 1810 aveva un ordine di tre palchi e 600 posti a sedere. Fu distrutto in parte dal terribile terremoto del 1920.Circola oggi una voce che il telo del grande sipario, con scene di paesaggi del Salvioni, fu lavato per togliere via le pitture, tagliato in strisce per ricavarne asciugamani. Il teatro fu demolito per far posto a un cinema e a una filiale della Cassa di Risparmio di la Spezia.

Carissimo Amico

Il Sargente Monecchia sarà il latore di questa mia, con la quale vi raccomandio il detto soggetto. Il medesimo nell'essere venuuto a Suonare in Sarzana ai paolotti ha voluto venire anche a Fivizzano, per rivedere, o forse riprendere, la sua figlia. Questo uomo vorrebbe suonare due sinfonie in Fivizzano e a tale oggetto si fa raccomandare a Voi, acciò gli procuriate compagnia dilettante con la quale potere eseguire queste sue suonate. Voi conoscete quello che puole fare, onde il medesimo si lusinga di essere compatito. Le occupazioni che ho avute per preparare tutto ciò che può occorrere per la mia fabbrica, ed i viaggi che ho fatti in questi contorni montuosi, mi hanno impedito di terminare il ritratto, il quale però è un pezzo avanti, come sentirete da Monecchia. Procurerò però di terminarlo sollecitamente e di mandarvelo.
Mille distinti ossequi a Vostri Sigg.ri di Casa e credetemi
Vostro Aff.mo Amico
Saverio Salvioni
Massa 14 Agosto 1792
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Busta 278 Saverio Salvioni lettera n. 11 inviata al Nobil Uomo Conte Giovanni Fantoni a Fivizzano


Caro Amico

Non ho potuto mandarvi la prova del vostro ritratto corretta, perché ho avuto da fare molto dopo il mio ritorno da Pisa, lo farò col venturo ordinario. Ho esaminato la suddetta prova, e trovo che l'incisore non ha conservato i contorni, ma che gli ha molto alterati, cosa che molto mi è rincresciuta, perché ha perduto assai la vivezza della mossa, e ciò proviene dall'accrescimento notabile fatto nella spalla sinistra, che fa sì che più non sfugga dove poi il mostrarsi di spalle gravi e larghe, e perciò non vera. Nella convenzione noterò tutto, ma questo forse non sarà rimediabile.
Don Lorenzo, e La Colomba vi salutano, e la Mamma lo stesso. Venite pure a terminare il Carnevale che siete gradito, ed aspettato. Mille distinti ossequi ai Sig.ri e Sig.re e sono Vostro Aff.mo Amico
Saverio

Massa 23 Gennaio 1793

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Busta 278 Saverio Salvioni lett. n. 12


C.A.

Ti rimando il ritratto, che essendomi stato rimesso nel momento che partivo per Pisa, portai meco per farlo correggere al Sig. Giovanni come feci. Onde potere rimandarlo mettendo in buona forma le descritte correzzioni, che qui vi accludo. E spero che dopo questa avrete un rame ben accordato, e da soddisfare gli associati.
Circa l'originale lo ritengo presso di me, per fare ad esso quanto desiderate , dopio di che ve lo rimanderò.
Non mi prolungo di più perché sono aspettato per andare da Madame Eliott.
Mille saluti ai Vostri Sig.ri e Sig.re e abbracciandovi sono
Vostro aff.mo Amico
Saverio Salvioni

Massa 1 Aprile 1793

Segue l'allegato del Salvioni:
Riflessioni del Ritrattista da rimettersi al Sig. Del Piano, come notate nel rame della 2a Correzione:

Trovo il ritratto molto migliorato dalla prima correzione, e perché questo arrivi alla perfezione da voi, e da me desiderata ho pensato aggiungere alcune altre col mezzo delle quali potrà rendersi compito il lavoro, e sono le seguenti:
I)Schiarire un poco la mezza tinta della fronte, e della guancia, che fugge, e che resta dietro al naso.
II)Decidere un poco più l'attaccatura della testa col collo
III) Rinforzare l'ombra, che dalla biancheria viene fatta sul petto, osservando che questa sia più forte nel punto ove detta ombra incomincia.
IV) Oscurire un poco il solino della camicia che gira dietro al collo dalla parte opposta della penna fino alla piccola piega, la quale nella parte dell'ombra potrà essere alquanto adolcita.
V)Schiarire le pieghe che sono fra la mano e la penna.
VI) Indicare di più con dei tratti le divisioni della piuma della penna, per renderla con tal mezzo meno chiara della biancheria, e così ottenere un maggior risalto della biancheria.
VII) Nel Giabò, si potrà nelle pieghe della dritta di chi guarda il ritratto, porre in maggior ombra le pieghe del detto Giabò, e potendo, convertire in pelle l'ultima piega, che con detta pelle confina.
VIII) Abbassare alquanto le pieghe inferiori del detto Giabò che sono prossime alla mano della penna.
IX) Abbassare, e ingrandire l'occhio della manica, che indica la piegatura del braccio della penna, ed inferiormente accresce la manica, così che si ottenbga una maggior lunghezza del braccio.
X)Oscurire un poco la tinta di tutto il vestiario, che veste la vita, ed abbassare pure la manica del braccio, che regge il foglio, prolungando l'occhio che indica la piegatura di detto braccio, per ottenere una maggiore lunghezza di detto.
XI) Accrescere la rivolta della pelle alla manica del foglio, cuoprendo quasi affatto la piega del manichino
XII) Accrescere l'ombra del foglio sulla camicia, come si vede nella correzione.

Così data l'ultima correzione spero, che avremo un rame ben accordato, degno del Sig. Del Piano, di un Edizione del Bodoni, e da poter soddisfare gli Associati.
Sono il vostro Saverio Salvioni

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Busta 278 lettera di Saverio Salvioni a Nobil Uomo Conte Giovanni Fantoni a Fivizzano



C.A. (Caro Amico)


V'ingannate assaissimo credendo ch'io sia andato ad altra barca che a quella d'Arcola Tutta la gente che incontrai dopo Sarzana m'impegnarono la strada ad arrivare alla scafa. Ben otto o dieci donne che lavoravano la gremigna mi asserirono essere quella la scafa d'Arcola. Io credo che due siino le scafe d'Arcola, che una di queste si trovi venendo per la parte di Sarzana e l'altra più alta, che sia quella che fa capo alla strada da Voi tenuta di Palerone. Voi mi scrivevi di tenere la strada di Sarzana, e non parlando della strada che pensavi di tenere di Palerone, facesse a me credere, che foste a Fosdinovo, e che aveste tenuto quella di Sarzana. Se avessi saputo che dovevi venire da Palerone, avrei tentato venire a trovarvi al capo della strada.
Circa il ritratto non è possibile presentemente che vi contenti, per essere nel massimo da fare dello sgombero della mia casa, per andare alla nuova Cattani, e tutto è appoggiato alla mia Direzione; onde come fare in mezzo a tante occupazioni, e tanta polvere. Credo che tal ritardo non guasterà niente. Persuadetevi di questo, ed accertatevi che subito che avrò messo all'ordine le mie cose, sarò a contentarvi; intanto accettate un cordiale abbraccio, amatemi che sono
Vostro Aff.mo Amico
Saverio

Massa 18 7bre 1793
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Busta 278 lettera di Stefano Scatizzi da Livorno inviata a Labindo.
Un'altra testimonianza di ammirazione.

Sig. Conte

Io ho avuto sempre il desiderio, ma non ho giammai meritato di conoscerla personalmente. Mio Fratello mi fa sperare, che avrò almeno il piacere di servirla da lontano: Se le mie forze potessero andare del pari con la mia ammirazione forse potrei credermene degno. Tocca a V. S. Illustrissima a donarmi tutto ciò, che mi manca: voglio dire , il suo compatimento, e l'onore dei suoi comandi.
Io non saprei come esprimerle quello che sento nel core: Pensando ch'io scrivo ad un uomo di un ingegno tanto sublime, mi mancano le parole, e non resto compreso, che da quella profonda venerazione, con la quale ardisco di segnarmi.
Di V S Illma

Dev.mo Obblig.mo Servo
Stefano Scatizzi

Livorno 11 Sett 1804

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Altra testimonianza di ammirazione a Labindo, anche se velata da altri interessi.

Busta 278 lettera di Marianna Serra al Nobil Uomo Giovanni Fantoni- a MASSA

Non saprei quale titolo principiare nel momento che piglio la penna per darvi nuove della mia esistenza. Dovrei incominciare da titoli di cerimonia, ma la mia mano non sa marcare una virgola che il mio cuore smentisca. Altronde non saprei darvi il nome di amico avendo con ingratitudine dimenticata la mia persona, e mancato a tutte le promesse da Voi fattemi. Io però non voglio imitarvi, e l'alta stima che ho di voi mi fa rompere i riguardi che dovrei avere per non esser io la prima a scrivervi. Reclamo dunque sulla vostra promessa fattami delle vostre Poesie, e spero che non lascierete delusi i miei desideri. Esse raddolciscono il mio cuore delle amarezze che purtroppo ho dovuto provare in questo piccolo viaggio, ed è tanto vero che quelle poche che sono stampate formano il mio trattenimento studiandole tutte per cuore. Non crediate ciò adulazione, e siate persuaso che la ingenuità e riconoscenza sono le qualità (sebbene le sole) che formano e formeranno il mio carattere.
Dai bagni di Lucca mi avviai dunque alla bella Firenze quella Atene d' Italia; ivi soggiornai ventidue giorni, e fu quello l'unico luogo ove il mio spirito abbia provato una vera ricreazione. Firenze è l'immagine degli Elisi, per chi non ha un cuore di ghiaccio , ed il nido della dotrina, delle scienze e delle Belle arti per ci non è uno stupido.
Partii il giorno 7 per questa di Livorno, e vi assicuro che partii con sommo mio rammarico. Ah! Dovea essere quel suolo che avrebbe dovuto darmi l'esistenza; ed io non sarei stata infangata da quella Patria, ed avrei procurato tutti i mezzi di rendermene degna. Pure è necessario aver pazienza ed uniformarsi al destino, buono, o cattivo ch'egli sia. Ora sono annoiata di questo mio soggiorno . Altro non respira questa Città che commercio , e sordi da ambizione d'interesse. Devo per altro fermarmivi fino a tanto che abbia un bastimento sicuro per rimpatriarmi. Potete dunque scrivermi sicuramente ove non conosciate che io ho demeriti, e sono alloggiata All'Aquila Nera.
Desidero occasioni di potervi dimostrare la stima e l'attaccamento che ho per Voi; ma io sono nulla in questo mondo, pure se vaglio qualche cosa comandatemi con franchezza, e credetemi con esuberanza di spirito
Vostra Aff.ma Serva
Marianna Serra

Livorno 10 8bre 1805

PS Rammento con dolce compiacenza la vostra amabile conversazione quantomeno mi tormenterebbe la dilazione del mio rimpatriamento se mi foste vicino. Voi addolcireste la mia amarezza con i vostri melliflui racconti, e dissipereste la mia malinconia con gli scherzi, ed attici sali delle vostre poesie. Ma io non sono fatta per avere simili compensi ne ha dritto di esigere chi non ha de' meriti come son' io , nessun beneficio alla natura.

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Busta 278 lettera n. 2 a Labindo di Don Maurizio Solferini che poi divenne Proposto di Fivizzano.

La ringrazio nuovamente delle notizie datemi riguardo alla Parrocchia. La gita del mio Competente a Pisa mi ha alquanto agitato nell'animo, temendo io di qualche men pulito maneggio, che possa ordirsi, ed effettuarsi dal medesimo. Basta , io mi rimetto alle disposizioni della Provvidenza.
Sento poi con piacere l'Edizione, ch'è per farsi, delle sue Odi Oraziane. Il frontespizio più modesto, plausibile, e moderno nella maniera, che jeri sera si concepì in Sua Casa cò di Lei, Sig. fratelli e che le viene accennata dal sig. Odoardo uno dei suddetti. Il Sig. Co. Luigi poi non vorrebbe spendere più di quella somma, che nella lettera del medesimo Sig. Co. Odoardo le ha promesso di sborsare a suo tempo. Talché se il numero di 112 Odi richiedesse somma maggiore per il terzo , la consiglia di ristringersi e lasciarne addietro qualcheduna. Se poi Ella volesse inserire tra le cose da stamparsi anche quell'Ode, che il di Lei generoso Genio si degnò di scriver per me, La prego a far così l'indirizzo: All'Abate N.N. , e dove nel campo dell'Ode v'è Maurizio , occupar quello spazio di carta coll 'adattarvi qualche altro nome Arcadico; come potrebbe esser Melinto o Menalca.; poiché essendo io in corso di Ecclesiatico, non vorrei, che qualche persona malamente nata di questo pregiudizioso Paese mi tacciasse di Libero presso de' Superiori; essendo nella detta Ode una Ninfa, se non sbaglio, che aspetta anche me alla cena.
Ella entri in me stesso, e creda, se li miei sospetti sono fondati o nò, e secondo il suo Giudizio si regoli. Il desiderio del Sig Conte Luigi sarebbe che la stampa delle prelodate Odi, uscisse prima di Natale.
E intanto ho l'onore di essere di V. S. Ill.ma


Fivizzano 8 Xbre 1782
Vostro Distintissimo e Obbligatissimo Servitore
Maurizio Solferini


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Busta 278 lettera n. 6 a Labindo di Maurizio Solferini – Parroco a Vinca

Onoratissimo Sig. Conte, Mio Padrone, Accademico Stimatissimo

Il vero merito non deve aspettare, che applausi. Se le sue diverse produzioni poetiche hanno avuto successo in più città dell'Italia, io non ne resto ammirato. Quegli elogi, che se ne fanno da i letterati, non sono, che un debito pagato ai di Lei Talento, che à diritto a i loro voti comuni. Questi esterni riscontri ch'Ella avrà in avvenire su tale oggetto, comunicati a me dalla sua penna, mi saranno sempre graditissimi.
Mi dispiace l'incomodo della Sua Madre. Prego il Signore giornalmente, perché la conservi, ma le mie orazioni non sono esaudite, perché fatte da un povero peccatore.
Mi faccia grazia di riverirla a mio nome, e me ne dia qualche nuova in seguito, per mia soddisfazione. Endo i saluti al Sig. Co. Francesco, ed umilmente l'incarico di fare i miei complimenti al suo Sig. Padre, Sig.ra Cognata, e Fratelli.
Sono frattanto immutabilmente co' sentimenti della più perfetta stima, ed affetto
Di V. S. Illustrissima

Obblig.mo e Affett.mo Servitore
M. Solferini
Vinca 11 febbraio 1784

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Busta 278 lettera n.8 di Maurizio Solferini a Labindo

Don Maurizio Solferini scrive da Vinca, dopo essere già stato semplice parroco a Fivizzano, questa lettera che, forse gli portò fortuna, visto che poi divenne il Preposto di Fivizzano.

Ill.mo Sig. Col.mo

Ho l'onore di rimette a V.S. Illustrissima il suo Jacquet, e soddisfo al debito di fargliene i più vivi ringraziamenti con la presente mia umilissima.
Evacata la nostra Propositura, e sò che già si è fatta costì coll'acclamazione il nuovo Curato. Il Povero Rettore di Vinca che, non è stato un'istrumento ozioso, e inutile per i Fivizzanesi, si lascia in silenzio, anzi si nomina per escluderlo, solita ricompensa che dà la Patria a chi è nato tra gli squallori di una infelice povertà. Non mi smarrisco però.
Chi altre volte sofferse il polveroso sudore della palestra, non si trattiene, per tema di restare alle mosse, dal correre nuovamente. S'arenasse il Ciel mi assiste, concorro, ed esso solo può sceglier chi deve riportar il plauso de' Spettatori. Altri, com'io può meritare l'alloro, ed io come gli altri, posso essere sfortunato. = Nec quisquam sumit sibi honorem, sed qui vocatur a Deo, tam quam Aavon=. Perdoni questa esaggerazione, che non è che figlia , di quel rammarico, che sento in udire, che si vuole da molti dei Fivizzanesi escludere ne, che tanto costì ho faticato., e introdurre chi non gli ha portato gl'istessi servizi.
E pregandola di riportare i miei rispettosi ossequi a tutta la di Lei Stimatissima casa, ho l'onore di essere eternamente pieno di riconoscenza, e di umiltà.
Di V.S. Ill.ma

Um.mo Dev.mo ed Obbl. mo Servo
Maurizio Solferini

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Busta 278 lettera n. 9 di Maurizio Solferini a Labindo

Siamo alle solite, il Poeta viene richiamato ai suoi doveri.

Ill.mo Sig. Col.mo

Ho ricevuta la stimatissima lettera di V. S. Illustrissima, relativa ai connoti documenti., che Ella desidera dal Suo Sig. Padre, e che questi mi commena dirle, che non li difficutterebbe passarli qualora gli avesse ritrovati. In esecuzione della medesima mi portai ieri a parlargliene, e concluse detto Sig. Conte Suo Padre, che oggi ritornassi da lui, per avere la sua categorica risposta.
Per mercoledì prossimo dunque saprò umiliarle il risultato della mia mediazione in quest'affare . E frattanto le do avviso, per sua quiete, che la suddetta sua lettera è in mio potere, e sarà rispedita da me con tutta la gelosia.
La moglie di Pellegrino Mariani e suo figlio maggiore, attesa la Morte del medesimo, accaduta nel Suo Palazzo, dov'egli era infermo, com'Ella sà per essere suo Mezzadro in Caugliano, si sono presentati a me con un Suo obbligo, dal quale rilevasi, che Lei ricevé a cambio dal Suddetto Pellegrino, il dì 30 Giugno 1784, Barboni 900 di questa moneta; e mi hanno pregato di mostrarlo al suo Sig. Padre, all'effetto di esser pagati , ritrovandosi oppressi da diversi debiti.
Per procedere con il dovuto riguardo, gli ho detto di scriverne a V. S. Ill.ma; onde Ella mi onori su questo del suo sentimento per la gola.
Sono ricorsi a me, per aver io assistito detto suo mezzadro alla sua morte.
Di tanto la riscontro, E con perfettissimo ossequio mi confermo
di V.S. Ill.ma
Um.mo Dev.mo Obbl.mo Servitore
Maurizio solferini

Fivizzano 29 Luglio 1792

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Busta 278 lettera n.12 di Maurizio Solferini.

Sono arrivati a Fivizzano i Francesi.. Le chiese vengono depredate dai militari. I contadini insorgono contro le ricche famiglie padronali.
Questa lettera è significativa degli avvenimenti del tempo.

Libertà Eguaglianza

Carissimo Cittadino Fantoni

Io ho consegnati gli argenti di questa chiesa Parrocchiale, cui presiedo, nelle mani del Camarlingo di questo Comune, in conformità della notificazione dello Giuris di rione datata al dì 13 Maggio 1799 V.S.
Vi prego di aver sott'occhio detta notificazione, affinché possiate favorirmi di quanto sono a domandarvi.
La mia chiesa ha la Croce del Clero di lastra d'argento con anima di legno.
Non abbiamo che questa Croce per il Clero. Nella notificazione si riserva un pastorale nella Cattedrale per l'uso da pontificali.
Parreblemi, che implicitamente a posteriori fosse riservata la croce del clero.
Se gli ordini lasciano un'Ostensorio per il medesimo, parrebbe, che implicitamente fosse Ricevuto un Turibile d'Argento per uso della Messa Cantata, ed esposizioni del SS Sacramento, giacché senza turibile non possono eseguirsi tali funzioni.
Per i Funerali e per la benedizione delle case nel Sabato Santo, per le Rogazioni ed altri simili Atti di culto, abbiamo un solo Aspensorio e la sua Paiolina d'argento.
Nella messa cantata abbiamo una piccola Paca d'Argento.
Voi sapete che avanti l'Altare del S.mo abbiamo una sola lampada d'argento.
Il Popolo è amareggiato, quantunque sia obbedientissimo agli ordini, di perdere gli utensili succennati , come pure di non avere più alcuna lampada di argento d'innanzi all'Altare della Madonna di Reggio.
Sono dunque a supplicarvi con tutto il fervore che informiate il Cittadino Reihard, ed il Cellesi segretario della Giurisdizione dello stato. Povera nostra Chiesa , non paragonabile alle Chiese delle città della Toscana, a pregarla per riguardo a questo popolo, di lasciare le suppellettili da me, accennatevi, e quanto all'Altare della madonna, almeno alcuna lampada, e almeno una, attiene a quella del Suddetto.
Dovete informare i suddetti Cittadini e particolarmente Reinhard della mia prontezza ad ubbidire agli Ordini, avendo tosto consegnati gli Argenti. Ma nel tempo stesso fate conoscere il desiderio del popolo, avvertendomi, che scriviate ancora alla Illma Nunziata quante lampade vi sono state lasciate per nostro regolamento.
Parlate, pregate, perorate. Ricordatevi dell'affetto che vi ho portato; Assicuratevi della riconoscenza mia, che tratto la causa del popolo, non già la mia.
Io vi prego di qualche riscontro.
Sappiate, che tosto, che intesi l'insurrezione dei contadini contro questa Città, corsi a reprimerla fino a Pescigola col Cittadino Vicario. Predicai, pregai, supplicai, m'inginocchiai, e dopo tanti sforzi non ebbi la sorte di x (parola illegibile) la loro ignoranza, stoltezza.
Dall'afflizione stiedi malato tre giorni con febbre.
Ho fatto in scritto e in voce delle Esortazioni Pastorali al mio popolo, e mi adopero per la quiete, e per illuminare gl' ignoranti, perché ubbidiscano al Governo.
Quanto a me ho subito ubbidito agli ordini della consegna degli Argenti, ma diversi del Popolo mi hanno pregato a scrivere per poter essere graziati della cosa accennatavi.
Scusate l'incomodo; il Signore vi conceda ogni bene, e salute.

Fivizzano 26 Maggio 1799

Il Proposto di Fivizzano
Maurizio Solferini

Ps Vi prego tende l'acclusa al Segretario della Giurisdizione.


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Busta 278 lettera indirizzata a Monsieur Jean Fantoni Labindo à Massa di Carrara da Maddalena Studiati di Pisa.. Lettera senza data.

Da notarsi quel “Ma!” che focalizza un rapporto nel passato ben più stretto con il Poeta.


Amico Stimatissimo
Ho tardato a rispondere alla vostra cortese lettera , per darvi notizie più certe della condotta dei fratelli Adami la quale quest'anno è savia abbastanza, Luigi, e Giuseppina non frequentano i Caffè, né i Biliardi, e nelle ore di ricreazione vanno a lezione, il primo di Clarinetto, ed il secondo di Violino. Franceschino si occupa adesso d'imparare a miniare, essendo qua di passaggio un mio amico, assai bravo in quest'arte, che ha già incominciato a dargli delle regole per riuscirvi, e che non mancherà di succedere essendo già bravino nel disegno; Esso spera che sua madre non disapproverà questo suo genio, e ne ha già per mio mezzo intercesso l'assenso. Le lezioni ch'Esso prende sono, Gius Pubblico, ordinaria civile, e Gius canonico. Luigi Medicina pratica allo Spedale da Torrigiani, e Chirurgia da Vaccà, a casa da Morelli Fisica Sperimentale, e Chimica.
Giuseppino, Gius civile, et Ordinaria Canonica, ma l'anno venturo ne prenderà altre ancora, ma per quest'anno la brevità del tempo e l'essere esso stato un poco ammalato, non gli hanno permesso far di più.
Son molto afflitta del vostro noto male, fatte di tutto per scacciarlo, la mutazione d'aria sarebbe un gran rimedio, sarei felice se questa fosse giudicata efficace, ma lo spero. La Mariuccia e la Mena Vi rammentano come di un bene perduto, io non meno ne ho ragione Ma!
Sono ansiosa del buon esito di questi giovani, ma siamo in un Paese dove non mancano insidie per la Gioventù.
Addio Sono Vostra Amica di cuore
Teresa Studiati

Pisa 12 Aprile




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Busta 278 lettera della giovane pisana Maddalena Studiati.

Anche in questa lettera due parole; “tanto Comuni” pongono l'accento su un rapporto credo più stretto fra la ragazza e il maturo uomo Giovanni.

Carissimo Amico Pisa 20 Febbraio 1804

Essendo grata alla memoria che Voi conservate di me, ardisco darvi le mie nuove, con descrivervi i miei divertimenti carnevaleschi, i quali non sono stati molti, ma per una ragazza che l'anno scorso, in vece di divertirsi, passò il Carnevale in Letto con la Rosolia, ancopra i pochi sono significanti, Ho goduto il Veglione dell'ultima Domenica che fù bello assai, e dove ballai moltissimo, come pure feci la sera dopo di una festa di ballo data da alcuni Associati in una bella sala in via S.ta Maria la quale fù molto brillante, Mi sono Mascherata tre volte, una sera per girare i palchi al Teatro, la seconda di giorno colla Marietta, ed altre, Elsa faceva da Procaccina, dispensava delle lettere, piacevolmente pungenti, adattate ai soggetti, io facevo da Maga, predicavo la Buona e la Cattiva Sorte, l'ultima sera andai al Caffè, in Maschera a fare disperare i curiosi, e così terminai le follie del Carnevale per assumere quelle di tutto l'anno. Che direte di tutte queste frivolezze che io vi scrivo? Dite pure che non ho altra mira che d'invitarvi a dirmi in ritorno di queste delle cose graziose a voi, tanto comuni.
Quando venite a Pisa? Potevi bene venire a mascherarvi, e a ballare con noi, Ricordatevi almeno che siamo sempre memori e grati delle vostre bontà che io mi confermo con verace stima
Vostra Aff.ma Amica
Maddalena Studiati

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Busta 278 lettera di Rosa Stuard di Roma a Giovanni Fantoni

In questa lettera la parola interessante è “tuttavia”, in questa parola sono concentrate tutte le amarezze di un probabile rapporto con Labindo.

Signor Conte

Dice il proverbio che è meglio tardi che mai, convinta di questa verità ardisco presentarmi al Conte affidata ancora sopra il di Lui buon cuore sempre pronto a scusare e perdonare gli Amici. Come spero ancora che non verrà contato da voi questo mio ritardo, a discapito nella più minima parte di quella amicizia che vi ho professata e , che , tuttavia vi professo. Ho sentito da Sforza che siete tutto mio nelle braccia della vera amicizia, cioè a dire a Fosdinovo sicuramente sarete felice. Se l'amicizia basta per ora al cuore del Conte Fantoni, vi prego ad essere persuaso, che, di vero cuore, vi desidero ogni bene. Io poi non posso ringraziarvi abbastanza della amicizia, che, mi avete procurata di Sforza assicuratevi che stimo moltissimo le ottime qualità del suo cuore, Sono per me di molta soddisfazione le ore che passo in sua compagnia, e vorrei che fosse a vicenda.
Vi prego non prendete il mio esempio e non vogliate punirmi con troppa severità onde attendo vostre lettere.
Ricevete i complimenti di mio marito, Carlottina, che, vi presenta i suoi saluti si fa grande. Di qui a poco mi sarei nonna, vorrei che fosse domani quando fosse per il suo bene. Odoardino è sempre il medesimo, e se mai una ombretta più cattivo, ma che volete farci, così vuole chi deve rispettare. Vi saranno pervenuti tutti gli orrori della Francia, che massacri, che vasta materia a formare dei poemi!
Scrivendo al Conte Cerati presentateli i miei rispetti. Confessatemi la vostra Amicizia e credetemi piena di rispetto.

Roma 22 Agosto 1789

Vostra Serva e Amica
Rosa Stuard

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Busta 279

Lettera di Domenico Taca a Labindo ove si parla del Vescovo di Tiene confessore della Regina di Napoli, che era poi la sorella di Maria Antonietta, regina di Francia, e che fece quella brutta fine che tutti abbiamo appreso dai libri di scuola.


Mons. Don Antonio Gurtler vescovo di Tiene e confessore della Regina di Napoli, e Sicilia, essendoli stata conferita da S.M. La Badia di San Bartolomeo con l'investitura di due vassallaggi, egli ha istituita una scuola di educazione per le figlie femmine delle case popolore, avendosi spedire da Napoli maestre ben equipaggiate e con appuntamento non indifferente.
Ha istituite due scuole di religione, una per i contadini e l'altra per le contadine, avendovi sicurati con buonissimo stato, due preti, che hanno l'obbligo d'istruire quella povera gente ogni sera, dopo ritornata dalla campagna, e particolare una scuola generale tiene le giovani di festa. E considerando, che spezzati dalla fatica difficilmente sarebbero indotti ad andare ogni sera a scuola, egli ha stabiliti sei premi di 30 denari l'uno, da distribuirsi ogni anno, dopo un esame, ai tre contadini, e alle tre contadine, che avranno meglio prefinato nel corso dell'anno alla suddetta scuola.
Saranno ormai cinque anni da che gli fu conferita detta Badia, la quale rende circa 5000 Ducati l'anno, egli non solo non ha ricevuto ancora un quattrino, ma vi ha mandato anzi altro denaro, e ve ne manda spesso da Napoli, perché tutto si lascia in aiuto delle famiglie povere, in tanti doti per Donzella, e per aloro opere di pietà,.
Finalmente dovendo quei paesi andare ben lontano, particolarmente in tempo d'estate ad attingere acqua in qualunque uso di casa, e per bere, l'ottimo Prelato s'è fatto portare a forza di acquedotti ed archi da un monte tre miglia lontano, ed ha speso finora, per questa grand'opera, circa 12 mila ducati.
Ecco, Mio Veneratissimo Sig. Conte, la sana filosofia con cui si regola il Confessore della mia Graziosissima Sovrana. Io adoro le sue virtù, e vorrei, che tutto il mondo facesse lo stesso, nella sicurezza che tutto il mondo allora, diventerebbe virtuoso.
Vi abbraccio con tutto il mio cuore, e mi ripeto
Dev.mo e obblig.mo S. e Amico
Domenico Taca

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Busta n. 279


Lettera del fivizzanese Francesco Tenderini Adami abitante nella Villa di Pescigola, ma studente a Pisa.
C'è una nota sarcastica e pungente su Zuccherino, cioè l'avvocato Tomei , filo-austriaco e nemico della famiglia Fantoni.

Mio caro Amico

Pisa 24 Xbre 1803

Ricevo da voi in questa posta delle nuove consolanti. Spero che non avrete da pentirvi di esservi interessato per il nostro ritorno in Pisa. I Fivizzanesi dovranno mordersi le dita di rabbia. Rendete i miei cordiali saluti a Crespina, ed a Geppe Vecchi.
Il pettine d'acciaio ve lo manderò quanto prima, bello, e del minor costo che si possa trovare.
Circa la Pittura guarderò di farla entrare anch'essa fra le molte altre mie occupazioni.
La Studiati vi saluta, sempre più vi ringrazio di averci ad essa indirizzati.
Godo della vostra salute e sono di cuore

Vostro Aff.mo Amico
Francesco Tend. A.


Zuccherino deve passare in breve da Massa con la sua Sposa. Mettetevi in abito di gran gala, e andate a complimentarlo, tanto più che sarà insignito dell'ordine di S.Stefano. Povero Zuccherino, torna a casa con due Croci, una peggio dell'altra. I saluti di mio fratello. Addio.

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Busta 279

Lettera n.9 di Francesco Tenderini Adami a Labindo

Al Suo Amico Giovanni Fantoni
Francesco Tenderini

L'ultima vostra lettera mi ha consolato, ma ho di che lamentarmi di voi, eccovene la cagione. Voi date del tu, a mio fratello, ed a me nò. Perché questa parzialità? Non credo di aver fatto cose da non meritare la medesima confidenza di mio fratello. I Lunigianesi si morderanno le dita sicuramente. Mio Fratello ha spediti i Piccioni. I conti, che volete, li abbiamo mandati alla Mamma, e non ho tempo di rifarli. Mi rincresce al sommo l'incomodo tormentissimo della amabile Crespina, e darei metà del mio sangue per guarirla, se fosse in mio potere. Fate i miei cordiali saluti alla medesima, e a tutti gli Amici. Rendeteli a Madama Salvioni . Mi rincresce al sommo la poca riuscita di Domenichino, ma non saprei cosa farci perché viene da razza di donnaioli.
I Salutati vi salutano, e sono in fretta, pregandovi di amarmi, e comandarmi
Il Vostro Aff.mo Amico

Francesco Tenderini Ad.
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Busta 279

Lettera di Antonietta Tommasini da Parma a Labindo.

Illustre Italiano e mio buon Amico

Parma 14 Gennaio 1807

Non rispondo a Labindo, perchè sono degnata con lui avendomi egli punita di un delitto, che tale non era, quando egli doveva anzi darmi un maggior diritto all'amicizia sua. Scrivo invece a voi Fantoni, siccome a colui che è amico di Labindio e mio, perché vogliate incaricarvi di fargli vedere quanto torto egli abbia avuto di togliermi il piacer di leggere le sue subblimi poesie, che egli aveva pure a me promesse. Voi che siete uom giusto, voi a cui è dato un animo capace di sentire i diritti altrui. Spero che vorrete in questa occasione mostrare l'amicizia che avete per me, inducendo Labindo a porre riparo al male che ha fatto, col mandarmi le sue poetiche composizioni. Ditegli ancora che questo è l'unico mezzo di riconciliazione che potrà farmi dimenticare tutto, e ritornarmi lla primiera amicizia. Attendo intanto riscontro da voi. Ditemi se per quell'immemore Labindo io debbo richiamare in mio cuore quel sentimento d'amicizia che conserverò eternamente per Voi.

Atonietta Tommasini

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Busta 279 Lettera di Tonetti Michel Angelo a Labindo



Amico Carissimo

Carrara 11 7bre 1793

Un mio Patriota ha una punta di pecore sotto la custodia di un pastore di Vesica, da questo viene avvisato, che in 8bre non le potrà ricondurre, atteso un bando sortito costì proibitivo l'estrazione delle bestie anche forestiere. Pregovi dunque dirmi quale strada si potrà tenere per recuperare le dette pecore.
Voi che avete molte aderenze, potreste farmi un favore di cui vi supplico, ed è: di procurarmi da qualche lato una commendatizia per la Sig.ra Carolina Danti., che va a Palermo per fare l'attrice in quel Teatro di S. Cecilia.
Mi premerebbe di potere giovare a questa Signora, di civile estrazione, anche le sue circostanze l'hanno portata a calcare le Scene, perché mi è stata raccomandata da diversi amici, e perché è piena di talento, e di merito. Spero dall'Amicizia Vostra un simile favore, e disposto ad esservi grato in similiari, ed altre occasioni, passo a confermarmi

Aff.mo Amico
Michel Angelo Tonetti

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Busta 279 lettera n. 4 a Labindo

E' un intimo amico che scrive da San Casciano (Fi) a Labindo a Massa. Il tono è molto confidenziale, (in una lettera successiva si rivolge a Labindo con questi epiteti: “ gaudente, poltrone, pisano” ) Non la riporto interamente ma solo questo passaggio:

“ .....Sò che ti godi una bella Cameriera; so che nel passato Carnevale fosti direttore di rappresentanze teatrali e belle ragazze, e bravi giovani; so che vai meditando un' Ode sopra un Tema interessante, sò, e sò.... non ostante la nostra visagine, e il tuo silenzio.
Salutami, abbracciami, baciami il buono e caro Agostino. Se la bella Cameriera, le Muse, e le altre tue occupazioni ti danno un momento di riposo, rammentati di fare le tue nuove al tuo amico Aff.mo

L. Trassi

S.Casciano 30/3/1803”


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Busta 279 lettera n. 1

Troviamo qui una lettera di Pietro Turchetti che da Cattognano, frazione dell'attuale Comune di Comano, scrive a Labindo e parla di tasse prediali esagerate applicate agli abitanti di Varano. Chiede quindi l'intercessione a Giovanni Fantoni per avere l'esenzione di Lire Milanesi 968.8 pretese quale retratto degli anni 1802 e 1803. E scrive:
“...Impossibilità di pagare la medesima somma da questi miserabili cittadini, che la maggior parte vivono con le proprie braccia, consistendo la loro raccolta in poche Castagne ed in pochissime Granaglie.”

segue quest'altra missiva:

Repubblica Italiana

Varano 14 Aprile 1804

Al Cittadino Giovanni Fantoni
Il Cittadino Pietro Turchetti Agente municipale.

Si io, che tutti i cittadini della sezione di Varano, le siamo infinitamente tenuti, ed obbligati dai favori compartiteci, per aver tanto cooperato in nostro favore appresso questo Vice Prefetto, per la diminuzione dell'Imposta prediale, e per isconto degli arretrati, e siccome il predetto prefetto nell'ultima sua diretta alla Municipalità di Fivizzano si lagna solamente della sezione suddetta, allegando di non aver essa adempiuto a quanto aveva promesso: questo è più che vero, avendo promesso di spedirne al Vice Prefetto Lire Duecento Milanesi incirca entro la prima settimana d'aprile, in pagamento dell'imposta prediale, ed essendo di più trascorso il detto termine, ci riprende nella suddetta lettera, di menzionarvi a tal uopo si ricorre nuovamente alle sue comunità, ed ancora che mentre per me, e per questa Miserabile Sesione a voler dimostrare a questo vice Prefetto, che questo ritardo non è dovuto per colpa nostra; ma bensì per riguardo di questi miserabili possidenti, che fino al giorno d'oggi non si sono potuti indurre al pagamento delle suddette 800 Lire, e si è potuto arrivare a questo fine mediante l'energia della Forza Nazionale, e con queste verità insolubili mi do a credere, che resterà persuaso il Vice Prefetto della nostra premiera e sollecitudine che si è notata per arrivare nel sud. Scopo, e che siamo degni d'un begnigno compatimento se abbiamo tardato tanto ad adempiere al nostro dovere. La prego in secondo luogo a voler accompagnare, oppure diriggere il latore di questa mia dal Vice Prefetto, ad uditarsi il mezzo che deve tenere per ottenere dal sudd.to un migliore riscontro, nella quale vi fosse espresso, ed approvasse, che la sezione di Varano ha perfettamente adempiuto a quanto è di dovere con aver pagata tutta tutta l'imposizione prediale del 1804 computatevi ancora gli arretrati dall' 1801 1802 1803 esistendovi in questa sezione una quantità di Boni o spese fatte in mantenimento delle Truppe Francesi che formeranno in tutto in circa Due Milla Lire, le quali si dovrebbero sgravare......” (segue una pagina poco leggibile)

Pietro Turchetti


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Busta 279

Veneratissimo Sig. Conte

Quantunque S.E. Il Marchese vada ogni giorno migliorando di salute, non si trova però in grado di fissarsi lungamente a tavolino per scrivere, ed è perciò ch'io godo il vantaggio di dare le di Lui ottime nuove al Sig. Conte Veneratissimo, e presentarli insieme i di lui distinti, ed affettuosi saluti. M'incarica nel tempo stesso di pregarla a volersi informare di un certo Morescalco, o sia Professore di veterinaria di codesto Paese, che un anno fa circa guarì dal cimorro un Cavallo al Marchese del Ponte, mentre sofrendoli di ritrovare quello che precisamente che fece questa cura fortunata , avrà la bontà di mandarlo qui a Fosdinovo per qualche giorno, alfine di curare la cavalla baja, che è attaccata dallo stesso male di cimorro, raguagliando però il Professore medesimo, che il male è stato trascurato, e che senza un pronto efficace rimedio si teme possa produrre delle cattive conseguenze.
Presenterà a nome del Detto S. Marchese i più distinti rispetti alla Sig.ra Contessa Radicati, e ad ogni altro della di Lei Casa, e onorerà me de i Pregiatissimi di Lei Comandi in qualunque occasione potessi avere la sorte di servirla, mentre sono con vero ossequio
Div.mo Obbligatissimo Servitore
Domenico Uccelli

Fosdinovo 14 Agosto 1793
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Busta 279 – Scrive a Labindo l'amico Pier Filippo Uguccioni

Contiene una notizia molto riservata e forse nuova sulla salute di Labindo,

Firenze 8 Maggio 1787

Il dì 8 di maggio ricevo una lettera vostra del primo d'Aprile, come diavolo va quest'affare, credo sicuramente che sia stata portata da una testuggine che abbia impiegato quasi quaranta giorni da Napoli a Firenze, e se dopo due settimane che avevi scritto la lettera dovevo ricevere i tre spallini commestivi, li dovevo avere in casa da quindici giorni in qua, ma per ora non li ho visti, così stò attendendoli perché mi sono stati richiesti. Non so capire perché non siano arrivati i Cappelli per la Tolve , ed ho notizia sicura da Livorno che Otto Franch ve gli ha spediti fino da gran tempo. Se in mare ci fossero le Dogane, direi che sono stati fermati, o frodati; ma sapendo che non vi sono devo supporre o che la nave che gli portava sia andata al fondo, o che qualche Corsaro Algerino si sia impadronito di questa ricca spesa, ma spero che in breve saprete da Contler che sono arrivati. Appunto ieri sera mi disse la Scaccera ( ?) che voi eri stato a Roma in compagnia del Colonello Mistel , e che poi vi siete restituito in Napoli, sento con piacere che vi siete ragionevolmente rimesso in salute dalla malattia da me supposta Venerea, se seguitate a F. (segue svolazzo, ma la parola è ben chiara!) al solito, ci rimetterete solamente la pelle, pensateci, e poi decidete.
E' vero che nel mese di Aprile ho ricevuto una lettera di D.a Raffaela, ma non sò se sia quella mandatami da voi, ne includo una per lei, la quale mi farete il piacere di spedire a Taranto, Che è quanto ho da repetervi nell'atto che sono immancabilmente

Vostro Aff.mo Amico
Pier Filippo Uguccioni

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Busta 279

Altra lettera molto confidenziale sempre di Filippo Uguccioni a Labindo, in quel tempo a Napoli

Amico Carissimo

Firenze 22 Maggio 87

Regna in voi un perpetuo silenzio, da che cosa depende? Non ho luogo soltanto di lamentarmi del silenzio, ma dipiù della commissione datavi, che non vedo ancora eseguita da tanto tempo che vi ho dato l'incombenza, spero che a quest'ora La Tolve avrà ricvevuto quei famosi Cappelli che hanno fatto sicuramente il Giro dei Poli. Ditemi dunque se ne è stata contenta.
Siete Voi ancora impiegato? Continuate a trattenervi a F. (segue svolazzo!) in specie la vostra cara Camerista la quale vi condurrà, una volta ad un impiego in codesta città!
Sentite; il canale della F. (segue svolazzo) è stato molte volte vantaggioso a vari Soggetti, così speratene bene.
Chiape a parte, godete voi buona salute? e state voi tranquillo? Ditemi qualche cosa affinché mi possa congratulare con voi. Addio
Amatemi, Comandatemi, e Credetemi
Vostro Aff.mo Amico
Pier Filippo Uguccione


Ps Vi prego di spedire a Taranto l'acclusa lettera.

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La presente lettera contenuta nella Busta 280 è inviata a Massa al Conte Giovanni Fantoni Labindo da parte dell'amico Baldassar Vetri, Ingegnere e Matematico a Pisa.
L'amico si complimenta dell'invenzione di una macchina da scrivere fatta da Agostino.
Caro Labindo

Pisa 29 Maggio 1802

E' inesprimibile la gioia e la sorpresa che mi hanno arrecato i vostri desiati caratteri, partecipandomi l'ingegnosissima invenzione del tanto caro al mio cuore Agostino. Io non ho possuto frenare il mio trasporto di tenerezza, di ammirazione, e di amicizia all'annunzio di una così utile scoperta, ed è convenuto per appagare il mio cuore, ch'io li scriva rallegrandomene seco. V'accludo la lettera, acciò voi gliela mandate per un mezzo più sicuro di quello che potrei impiegare io. Mandategliela, e ditegli che mi scriva qualche volta.
Fortunato Labindo! Io veggo a poco a poco compiersi il vostro più tenero voto, quello di rivivere nel Vostro Nipote. Voi piangevi di tenerezza un giorno ch'io assiso alla vostra tavola, mentre Agostino era a Livorno, mi narravate le cure veramente paterne che avevi impiegate per esso nella sua prima infanzia. Eccone i Frutti! Egli si è reso caro e memorabile all'umanità, e voi gettando uno sguardo di compiacenza sul vostro allievo, ricevete il premio delle vostre vatighe. Quanto è giusto il vostro amore per esso! E quanto se né egli reso meritevole!
La tenera amicizia che mi lega a Piazzini e Daniello, sarebbesi accresciuta alle vostre insinuazioni, s'ella ne fosse stata suscettibile, ma è da gran tempo che non lo è più. Togliamo quanto amarli posso e nin'altro frequento che loro. Piazzini poi è il mio tutto, Son felice quando posso esser seco, e vo studiando tutte le maniere di essergli caro.
Spero in lui riguardo alle Mattematiche. Voi ne conoscete il merito, e son certo che ne approvate la scelta. Ma Caro labindo, anche la Poesia mi sta a cuore e vorrei, potebndo coltivarla con profitto. Io qui interrogo adunque quella sincerità con la quale vi pregiate di parlare ai vostri amici nel fondo della vostra lettera, per sapere da voi candidamente s'io posso, studiando con regola, riuscirvi. Voi potete giudicarmi. Dipendo adunque intieramente dalla vostra decisione.
Mi parlate dell'Edizione delle vostre Odi. Io ne bramerei una copia. Avvisatemi della spesa. I libri che ho letti sono veri, questi in particolare, L'Emilio di Rosseau, il Belisario di Mamontel, e il Telemaco di Fenelon. Siccome la materia di cui trattano è la stessa, se non in quanto differisce nella diversa applicazione che ne fanno, ho procurato di trarne delle massime generali di Educazione, non restringendomi al solo compendiarle servilmente come vi dissi. Ho procurato ancora di leggere con particolare riflessione La Logica di Condillac, per fare dipoi tutto il corso di studi del medesimo. Conosco, o mio caro Labindo, tutto il valore della tabella, e l'utile che può derivare da un tale studio, ma, con estremo mio rincrescimento non mi rimane tempo per applicarmici. Un lavoro che mi occupa dalla mane alla sera, e quelli studi che vi additai nell'altra mia lettera, occupano tutto il mio tempo.
La notte però doppo aver rivedute le mie lezioni e letto qualche buon libro, procurerò mentalmente di fare lo studio della Tabella., riepilogando le azioni del giorno, le buone e le cattive, e dividendole come mi insegnaste. Credo che per un uomo come me, le di cui occupazioni sono così monotone, basterà questa piccola riflessione serale, e che se non intieramente otterrò l'intento che può sperare chi fa l'intiero studio della Tabella, ne otterrò almeno quella parte, che basterà a correggermi nelle azioni più importanti della mia vita, e a ricondurmi sul retto sentiero quando ne fossi traviato.
Amatemi sempre, non cessate di aiutarmi con i vostri saggi consigli e di credermi sempre il più vero e il più tenero dei vostri amici.
Baldassar Vetri
Pisa 29 maggio 1802.
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Busta n. 280

La busta contiene numero novantasei lettere d'amore di Leonella Valenti ( Sarzanese sposata con Bernardo Valenti) inviate a Labindo dal 27/12/1790 al Settembre 1791.
Labindo ha 35- 36 anni ed è nel pieno delle forze e come sempre non disdegna i rapporti sofferti e clandestini.

La lettera n. 7 è un trattato sull'arte dell'adulazione femminile!

“...invece martedì sera il marito si mise a una di quelle finestre nell'alcova vicino alla mia e che guarda appunto nel letto ove eravamo a petinarsi , sentì, e vide tutto ciò che si fece , appena ve ne fosti andato principiò un serio, e giusto ragionamento , che se messo non avessi in opera tutto ciò che poteva destarle compassione, non sarebbe andata assolutamente a finire bene. Che non feci, che non dissi, pregai, piansi . Le dimandai mille volte perdono, non seppi ragione, mi finsi svenuta, e al fine lo intenerij , e mi promise di non parlar mai più di tale affare, mi abbracciò e mi ridiede tutta la sua tenerezza. Veniamo al tuo proposito. Mi disse che voleva scriverti, io lo dispersi a farlo promettendole che non ti avrò mai più parlato, ma poi tirando avanti il discorso a poco a poco lo feci riflettere che avrebbe dato da sospettar a Sarzana, se tu non fossi più venuto da me, e al fin si concluse che Lui non doveva dimostrarsi consapevole di nulla, ed io regolarmi con della disinvoltura. Vedi quanto t'adoro anima mia, in costernazione non sai tutto ieri, per poterti scrivere, e informarti del successo non te lo posso descrivere, il marito non mi abbandonò mai un momento, credendo forse, come non s'ingannava ti potessi scrivere, che me lo ha proibito espressamente, e mi ha punto col metter tutto sotto chiave, carta penna calamaio, ma tutto si trova quando si ama.”

(il foglio è isolato e Leonella Valenti non lo firma) i




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Busta 280 parte di lettera n. 26

Lettera di Leonella Valenti a Giovanni Fantoni che la perseguitava con lettere di gelosia


Sarzana 24 Aprile 1791

(tralascio la prima parte poco leggibile)

......Può essere che Giovedì mattina passi da voi, perché meterlo in dubbio merita forse la sua L. che la trati così malamente, abbastanza mi hai posta in un inferno con le tue lettere, senza metermi in dubbio la tua venuta per farmi morire. Io non so se posso vivere che per te, ti darò tutte le discolpe, conoscerai la tua L. se può tradirti, vorrei che meglio tu mi conoscessi, che sarei sicura che non prendessero altri voli li tuoi soggetti, ne mi condanneresti così senza ragioni! Di me godi forse in tormentarmi, dimelo che allora non mi sarano tanto sensibili i tuoi rimproveri, ma conoscendo non meritarli mi affligono a segno che mi riducono alla disperazione; se fosse vero quello che tu mi figuri che mi dovrebbe premere a me di guastarti, te ne compenserò il danno con un altro, ma no Caro G. troppo mi sta a cuore la tua persona, e non sarò d'altri che di G. quando dovessi ancora sacrificare la mia pace, a vedermi con altra in confronto, saprei godere a metà la Sua corrispondenza, e serbandomi sempre io di te sola.
Dimani ti aspetto, subito che sarà andato il marito in campagna potrai venire altrimenti mi troverai fuori di porta come altre volte s'era concertato a voce, ti dirò molte cose. Scaccia dalla mente quei falsi sospetti che avvelenano la nostra quiete , credimi che la tua L. non è che di G.
Addio a m.




Altra lettera n. 76 di Leonella a Giovanni sempre in Busta n. 280.
Leonella da un appuntamento ai bagni d'acqua: non si sa se di mare o di fiume, comunque in luogo confortevole e intimo.

Anima mia

Alle ore due e mezzo arrivai tra la braccia del Marito che mi sarebbe stato di maggior piacere ancora essere tra le tue.
Ieri sera andiedi alla festa di ballo, che non fu data altrimenti a Palazzo, non so per qual accidente, ma ben sì in casa Mascardi, e fu una bella veglia: mi regolai con la massima disinvoltura, tratando egualmente tutti, come con la tua maniera avrai campo di sapere,
Non ti posso scriver di più perché è tardi, Ama la robba tua, che lo stesso fo io, e ti aspetto Domenica, se pure dimani il tempo non lo permette ad essere ad aqua
Addio

Busta n. 280 lettera n. 91 di Leonella a Labindo (alla fine del passionale rapporto durato poco meno di un anno)


Così mi abbandoni, di quale colpa son rea, è forse stato il cattivo umore di cui ero Domeniche che và fatto prendere l violenta risoluzione di non più vedermi?
Se tu fossi stato nel caso mio avresti fatto peggio di me, perché ore prima che tu venissi in casa io avevo risposto fortemente a che devo tutta la mia subordinazione, con dirle ch'io sono padrona di me, e che in avenire io volevo sortire tutti li giorni, e con chi mi pare e piace, e perché dare queste risposte se non per goderti e per dirti mille cose con libertà. Tu l'hai presa in sinistra parte , ma almeno per carità torna in quest'oggi che ti dirò in voce quello che non posso scriverti , fa che li nostri nemici non s'abbiano a ridere di noi, credendo di aver vinto con le loro ciarle. Ti giuro che se tu non vieni entro d' oggi dimani scrivo al marito che mi venga a prendere così almeno ti sarò lontana, potrò con libertà sfogare il mio dolore, sono due giorni che non fo che piangere, e la notte con le convulsioni, da cagione del mio pene che ci pensi, e nulla ti preme di doverti sapere.
Vieni che ti voglio fare un mondo di carezze, e con queste compenserò se ti avessi dato dispiacere con la mia Luna, addio ti abbraccio e mi dico tutta tua . E fedele a G.



Busta 280, ecco una delle ultime lettere di Leonella a Giovanni
La sigla A d a m, mi è sconosciuta, ma è sicuramente un pseudomino concordato fra i due amanti. Quel “amo” con “h” davanti è comunque un campanello d'allarme fra due mondi culturamente lontani.

A d a M

E come puoi tu condannarmi continuamente, rimproverandomi di poca tenerezza, io ti assicuro, che ti son fedele che non penso che a te, e mi pare ognora mille che tu ritorni fra queste Braccia : non hamo, non penso a nessuno fuor che al mio caro G.
Conoscerai la tua L., vedrai qual La ritrovi al tuo ritorno.
Caro non mi sgridare, non posso continuarti a scrivere perché viene Battaglini che m'insegna a Sonare il Cimbalo. Amami conservati mio, e credimi che son tutta tua,
Addio
A d a M

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Busta 280 lettera di Leopoldo Vaccà da Pisa a Labindo

C (ortese) A (mico)

Pisa 4 Giugno 1794

La tua lettera mi ha veramente consolato. Già dicevano pubblicamente che tu eri stato arrestato. Io non lo credevo e siccome vi era chi voleva scometter di sì, cercai di legar le scommesse, ma nessuno volle poi scommettere vedendo la mi fermezza. Ti dirò che ho avuto molti incontri per sostener la tua reputazione lacerata. Se io ti ho difeso lo sa tutta Pisa. Ma le inquietitudini che ho avute sono state tali, che sono stato sul punto di sputar nuovamente sangue, e ho dovuto prevenire il trabocco che mi sovrastava, con una nuova cavata di sangue assai copiosa. Ora sono sufficientemente tranquillo. Penso d'andare presto in campagna, e di lasciare per qualche mese questo paese iniquo, dove non si conosce né onestà né buon senso.
Tito ti saluta cordialissimamente.Si è pensato che egli non può senza far male a sé a quelli che dovrebbe difendere accusare la nostra causa. Qua la persecuzione è all'eccesso. De Coureil è esiliato con qualcun altro. Tito è preso molto di mira, io non gli parlo di me, e di mio fratello. Si direbbe, che l'avvocato professa gli stessi principi de' clienti , e ciò non potrebbe che nuocere. Tito che si è interessato infinitamente per te, come hanno fatto i pochi uomini onesti che sono in questo paese, si offre per dare tutte le memorie che potessero bisognare purché non si sappia che le ha scritte lui.
Non posso dirti come seppi la Spedizione a Fivizzano, è possibile che la lettera sia aperta e non conviene compromettere persona che mi ha fatto dei gran servizi, permetrtimi che mi riserbi a dirtelo in voce.
Amami e credimi tuo vero amico
Leopoldo Vaccà

Soprattutto scrivimi ogni ordinario perché la mancanza delle tue lettere
m'affliggerebbe estremamente in queste circostanze.

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Busta 280 lettera di Carlo Vecchi da Turlago al Conte Giovanni Fantoni

Ill.mo Sig. Conte Colendissimo

In mancanza del posto di Siena (come avrà inteso da mio trascorso foglio) si è stabilita orma la mia partenza verso Pisa, la quale, facilmente seguirà il dì 6 o 7 del prossimo mese, onde in questa occasione sono a pregare V.S. Ill.ma a voler felicitare il mio viaggio con i suoi desiderevoli comandi, ma meglio spero venirli a ricevere nel passo che io farò di costì.
Credo che a quest'ora avrà ricevuto quel paio di piccioni che consegnai la settimana scorsa a Giuseppe.
Intanto gli devo appresentare i rispettevoli ossequi della mamma,Zij e tutta mia casa, ed io bacciandogli affettuosamente le mani, bramo occasione di poterla servire.
Di V: S: Illma
Obblig.mo Servitore
Carlo Vecchi

Turlago 30 8bre 1792


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Busta 280 lettera di Carlo Vecchi da Turlago diretta a Giovanni Fantoni
Non sappiamo quale birbonata abbiano commesso i Fivizzanesi (forse per la nomina del medico di condotta), certo è che dalla lettera si evince un'astio verso i Cittadini Fivizzani diffuso, come sempre, in tutto il Contado


C.A.

Turlago 8 Aprile 1803


Le birbonate, e le prepotenze usate dai Fivizzanesi nell'affare del Med. hanno urtato quasi tutti i Contadini. Non potete credere il fermento che esiste in Contado. Tutti i buoni sono impegnatissimi in questo affare e vogliono assolutamente tentare tutte le strade per far annullare il partito. Io veramente non mi volevo imbarazzare in queste cose ma sono stato costretto dai molti amici a farlo. Ho fatto due rappresentanze del fatto, una al Presidente del Buon Governo, e l'altra a l Soprasindaco che ho mandato colla posta. Voi che siete Amico del Ministro Francese, e di Cortellini che è impiegato nella Camera delle Comunità vorrei che mi facesse il piacere di raccomandargli quest'affare. E' interesse di noi tutti che i Fivizzanesi non si avezzino a vincere tutte le cose a forza di prepotenze. Ora che per la seconda volta hanno preso questa strada seguiteranno sempre a fare lo stesso. Io hò dei testimoni buoni, e se si farà il processo come chiesto al Presidente spero di provare molto. Una vostra raccomandazione però può fare molto onde vi prego a farla con calore. Agostino potrebbe pregare suo Padre a maneggiarsi in quest'affare. Già io non ho più nessuna mira alla condotta, ma faccio questo per contentare gli amici, e per vendicare le birbonate del più infame paese che esista.
Fate tanti cari saluti al caro Agostino, ed a mio fratello comandatemi, e credetemi di cuore

Aff..mo Amico
C.V.
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Busta 280 lettera di Carlo Vecchi da Turlago a Giovanni Fantoni
Vecchi invia le mele rotelle di Turlago e/o Spicciano al Conte Giovanni a Massa


C.A.
Turlago 5 Xbre 1803

Vi spedisco la frutta che con tanto calore mi raccomandaste. Queste sono delle migliori che abbia trovato onde mi lusingo che il vostro amico non ne rimarrà scontento. Il peso delle medesime è di etti 225 e le ho pagate quattro barboni il conto. Riguardo al porto non ho fissato niente onde ve lo potreste intendere col Vetturale quale son sicuro che non sarà indiscreto.
Le cornici non sono ancora all'ordine ma mi prendo tutta la premura per farle ultimare e mandarle al più presto.
Vi mando 8 etti di Cioccolatta quale vi prenderete la pena d'inviare a Pietrasanta colla prima occasione.
Scrivo di volo. Datemi qualche nuova se ne avete. Salutatemi mio fratello, comandatemi e credetemi coi soliti invariabili sentimenti.
Vostro Aff.mo Amico
Carlo Vecchi

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Busta 280 lettera di N.N. al Sig. Conte Giovanni Fantoni in Fosdinovo.

E' una lettera non firmata, senza data, ma siamo intorno all'anno 1791, ed è inviata a Labindo da una Donna poco acculturata, ma molto pratica e concreta.


A.C.

La vostra partenza da me inaspettata fa sì che v'incomodi con la presente.
Permetetemi che vi parli con quella libertà , che la permesso l'amicizia già che m'avete onorata di darmi tal nome, ed io mi fò gran pregio d'elegerla, e ha questa, se non voglio molto occultare , onde scusate se dico ciò che non devo dire.
Le scarpe che mi favoriste è impossibile che io me le metta perché oltre essermi longe , mi fanno un garbo che pare ch'io abbia il Piede Storpio. Onde io ho pensato una cosa in primo luogo, vorrei sapere se nessuno di Vostra Casa l'hanno vedute, e quanto costano, che non viste da nessuni posso provare di mandarle in vendita, e voi me le riprovederete dello istesso colore, col pagarle io, e costì l'averò dalle vostre mani, ma vi darò io la scarpa per me sicura.
O pure se il mercante che la fatte le rivolesse, potreste provare, ma se non si troverà da esitarle a Fivizzano, a Sarzana vè da trovare di certo.
Io farei in questa maniera, ma mi rimetto al vostro saggio pensare.
Parlatemi chiaro, se ve ne dovete offendere, non ne farò nulla, le terò come sono , e v'assicuro, che se non avessi conosciuto quanto siete spregiudicato, e altretanto compiacente, non avrei mai azardata con chi, che sia la mia proposizione.
Vi darò le nuove di quella Persona che vedeste la letera, e compiangervi lo stato di questa. Per dirvi tutto, sapiate l'erore, andarono due, che sanno il male che patisce e biberno tanto Veleno per loro divertimento, che ne vedeste disfatto, e dopo qualche giorno andarono a dire che era stata fatta la loro invenzione, e di pari li avevano narrato ed ha fatti mille giuramenti che il rossore d'averne trascorso è incolpata l'inocenza. E' statto un Castigo il più fiero che si possa, ma non ostante non v'era molto da rallegrarsi perche dai discorsi fatti sempra però L'Alessandro Nell'Indie.
Divertitevi anche per me e confermatemi un piccolo guado della vostra amicizia, che spero mi troverete degna, e credetemi con tutto lo spirito quale mi protesto
Vostra Obb.ma Serva Amica
CHI SAPETE


Dopo aver letta la presente lettera ove una Donna pone domande sul tema delle scarpe, vedasi più sotto la lettera di Chiarina a Labindo che tocca ancora lo stesso tema..




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Busta 280 lettera di Giorgio Viani di La Spezia a Labindo
L'amico Luigi è il fratello del poeta, ammalato e in camera a Noletta.

Amico carissimo

Ricevo lettera da un amico in Firenze, il quale mi dice che nel tempo della sua permanenza in Lunigiana ave ricevuta commissione dalla Contessa Galli, dovendosi portare in Fivizzzano, di chiedervi a suo nome un libretto delle vostre Poesie; ma siccome a cagione dei tempi cattivi, e delle sue giuste premure ha dovuto ritornare alla Dominante prima di potervi vedere in Patria, m'incarica presentemente di notificarvi l'avuta commissione, acciò mandiate alla surriferita Dama l'indicato Libretto.
Bramerei mi significaste quando parte il Procaccino per Firenze, avendo somma premura di spedire un pacco in quella Città. Sentirò altresì volentieri se avete ancora indirizzato a Bologna Lo speditovi involto.
Il nuovo vostro Volume Poetico sarà ormai sotto il torchio, sentironne volentieri qualche particolarità, prendendo un giusto interesse, ne' vostri vantaggi, ed alla vostra gloria.
La mia Glicera , se potrà vincere qualche ostacolo, uscirà alla luce col nuovo anno: conterà essa 16 componimenti brevissimi, e sarà destinata a perpetuare la memoria di una persona tanto a me cara.
L'amico Luigi continua ad essere incomodato, quantunque il suo male non sia di conseguenza, pure si rende assai noioso perché lungo, e perché lo costringe a guardare la Stanza.
Vogliatemi bene, comandatemi liberamente e credetemi con tutta la più sincera e cordiale amicizia.
Vostro Aff.mo Amico
Giorgio Viani

La Spezia 5 Dicembre 1784


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Busta 280 lettera della moglie di Giorgio Viani cioè Chiarina Carbonara che scrive a Labindo, con una calligrafia da stampa, molte lettere amichevoli fra cui la presente:

Carissimo Amico

Mi rincresce assai, che non siete rimesso ancora in salute, e che questi doloretti di viscere vi tormentino di continuo. Egli è pure ostinato questo vostro incomodo. Ma esaminate bene se alle volte provenisse dai cibi, o da qualche altra causa, che fosse facile rimediare e mi direte un poco se quest'acqua di Monzone vi ha giovato, e datemi notizie sincere dello stato di vostra salute. Fate benissimo ad aver tutta la cura di questa, anzi ve la raccomando, e vi assicuro, che preme moltissimo a tutti i vostri amici non solo, ma a quelli, che hanno la fortuna di conoscervi. Troppo sono le belle qualità che vi distinguono per non aver premura della vostra felicità.
Già sapevo ancor io la vostra giusta discolpa per esser troppo corso nella scesa di Arcola: anzi la colpa è tutta nostra che per il piacere di godervi di più, abbiamo ritardato di troppo la vostra partenza: ma da qui innanzi vedrete che sapremo privarci della vostra compagnia, per non esporvi più ad alcun rischio.
Io sento tutta la riconoscenza che si può avere per l'interesse, che prendete di me: le vostre lettere tutta cordialità amichevole, e piene di savi suggerimenti le rileggo più volte per dar piacere a me stessa, e per imprimermi bene quei punti, che possono essere di mio vantaggio. Se volete anche lontano potete contribuire, non dico alla mia perfezione, perché non posso sperar tanto, ma ad essere un poco meglio con continuare nelle vostre graditissime a dirmi tante cose utili, che io terrò come precetti. Quel, che vi prego è a bandire da qui innanzi le lodi; vi assicuro, che avrei tutta la ragione di lusingarmene, perché partono da voi, ma troppo conosco la bontà del vostro cuore particolarmente per gli amici ; voi li vedete come dovrebbero essere, ed io conosco che non sono quale voi vi figurate, ch'io sia: non crediate già che questo sia un tratto di quella umiltà, che mi rimproverate, ma fatemi grazia di credere, che dico schiettamente quello che capisco. Sovente parliamo di voi e particolarmente con mia Suocera ne abbiamo tenuti lunghi discorsi. Accetto volentieri la commissione che mi date di rispondere per voi, e vi prometto di farlo sempre, ma con tutta la mia soddisfazione ognuno vi rende quella giustizia che meritate di avere da tutto il mondo.
Per appagare la vostra curiosità vi dico che il Sig. Camillo Picedi è partito solo. Il Sig. Mimo questa sera viene alla Spezia per via di Lerice, ho piacere per altro, che vi serva a rammentarvi il cordone da orologio, che ho tutta la premura di mandarvi, ma che non ho ancora potuto terminare.
Ieri ebbi il piacere di sentire vostre notizie da persone che vi hanno veduto di presenza, e che il giorno innanzi erano state a Fosdinovo.
Vi ringrazio della lunga lettera che mi avete scritta, non ostante le molte, che avevate da spedire. Ringraziate per me la Vostra Sig.ra Madre , il Sig. Marchese, ed il Sig. Odoardo Vostro fratello della bontà che hanno di sovvenirri di me, e di questo ne ho tutta l'obbligazione a voi, fatemi il favore di procurare loro i miei rispetti e voi accettate quelli di mio Padre e dei miei fratelli.
Giorgino che è presente vi porge i più cordiali saluti e mio suocero vi fa ancora molti cordiali complimenti. Gradite di buon cuore la sincerità con cui mi fo gloria di rassegnarmi. Obbligatissima Amica
Chiarina Carbonara Viani
La Spezia 29 Luglio 1789

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Busta n. 280 lettera n 15 di Chiarina Carbonara Viani a Labindo

Interessante è una domanda posta alla fine della lettera; domanda che mostra la tipica avarizia dei liguri.

Amico Carissimo

Avete veduto nell'ultima mia che mi faccio premura di dimandarvi nuove di vostra salute, il vostro silenzio mi faceva sospettare ed ho sentito con sommo dispiacere che i vostri incomodi vi hanno nuovamente tormentato. Datemi sempre le vostre notizie così sincere, che così almeno non sospetterò più. Spero che adesso starete meglio, e che cessato il contrasto cesseranno le convulsioni ma siete pur cattuivo di voler comandare a voi in questa maniera, da far soffrire tanto il vostro fisico! Bisogna, che il delitto sia grande, e chi sa, che il delinquente sia il vostro povero cuore che mi pare, da qualche tempo sia decaduto dalle vostre grazie; il motto del cordone almeno me lo ha fatto pensare. Siate un poco più Discreto, più Dolce verso di lui, e studiatene il prezzo. Sovvenitevi di quello, che vi ho scritto a questo proposito Domenica pp , che a meraviglia starebbe bene qui : ma non lo scrivo di nuovo perché sarebbe un replicare inutilmente. Spero, che sentendo migliori notizie di vostra salute, sentirò altresì che avete moderato il vostro rigore, e, che godrete un poco più di tranquillità. Non mi fate tener tanto buona col dirmi, che apprezzate quei lavori che ho fatti per voi: non ho mai impiegato così bene la mia opera, e questa è la mia ricompensa; il gradirli è poi un effetto del vostro buon cuore, quale finoché non abbiate vinto si manterràò cosi anche in tempo del contrasto.
Godo moltissimo che vostro Padre stia meglio, perché è una persona che vi appartiene e perché era persuasissima che dovesse soffrire molto la vostra sensibilità.
Io non sono andata a S. Venerio bensì a Portovenere ; mi rallegro con voi che siate così informato dei nostri divertimenti.
Mi dispiace che non facciate più nemmeno da burla da Enrico , quanto mi pare che questa parte fosse adattissima a voi, e dovreste cercare di non perderla : anche l'illusione a volte giova alle nostre idee .
Scrivetemi vi prego in tutto vostro comodo a dirmi un poco come si fa il verde colle foglie di cavolo nero; mi pare che diceste che si mette in una piccola ampolla, ma non mi sovviene più altro, scusate se ve lo dimando di nuovo, ma questo è un effetto della mia poca memoria, e vedete che non ci ho colpa.
Le notizie di mondo le avete da Giorgino, le particolari dal Sig. Luigi, sicché stimo cosa inutile ripeterle. Ve ne dirò una, alla quale forse non avranno pensato, ed è che il Detto Sig. Luigi si è provveduto di una bella elegantissima parucca, fatta a guisa di Riccione, e lo fa comparire più bello. Se mai volete dirle qualche cosa su questo non mi nominate.
Ho fatto i vostri complimenti a tutti i miei di casa, ed essi ve li restituiscono con vicendevole cordialità. Ringraziate per parte mia la vostra Sig.ra Madre, ed il Sig. odoardo vostro fratello della bontà, che hanno di rammentarmi, e fate loro gradire i miei ossequi: anche mio Padre, ed i miei fratelli mi dicono sempre di riverirvi in loro nome.
I nostri giornali divertimenti poco più poco meno sono i soliti: alla sera poi vado da mi cognata, ove vi è la solita nostra conversazione. Il Priore de' morti è un poco malinconico, perché gli sono venuti i conti da Roma di una lite, che ha sostenuta contro le monache della Spezia, e ascendono alla somma di 100 scudi di francia, piccola somma per moltissimi ma per la sua borsa non indifferente.
Sono già molti giorni che mi Suocera è tornata in casa, perché come sapete si tratteneva ad assistere Antonietta: Potete immaginarvi il mio piacere, tanto più, che conosceva, che aveva bisogno di un poco di riposo Voi conoscete il suo naturale, l'amore per la figlia, le aveva fatto dimenticare affatto se stessa; io era in ansietà per lei, ed infatti la sua salute cominciava a soffrire qualche piccola alterazione, ma grazie al Cielo adesso sta molto bene, ed è allegra; cosa per me di molta consolazione.
Vorrei sapere se con una scarpa da donna, potrebbero farne una da uomo che andasse bene allo stesso piede.
Io sto bene di salute. Siate persuaso, che sono sempre, e che desidero di essere per tutto il tempo di mia vita
Vostra Obblig.ma Aff.ma Amica e Serva
Chiarina Carbonara Viani

La Spezia 26 Agosto 1789
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Busta n. 280 lettera n 17 di Chiarina Carbonara Viani a Labindo

La Sig.ra Chiarina mostra un temperamento saldo e fermo, e sa rispondere con tono alle accuse del letterato Labindo. Per prima, nomina quell'inquietitudine che accompagnerà il Poeta per tutta la vita.


Amico Carissimo

Non capisco come possiate dire ch'io “pargoleggi graziosamente” sui vostri incomodi, e sulla malinconia dell'Abate, non ho mai fermato il minimo pensiero di ridere delle disgrazie altrui, e non so con quale fondamento possiate dirlo.
Quel che vi ho detto della parrucca del Sig. Luigi è piuttosto una burla, che mi pare che fra amici non disdicesse. Ma adesso comprendo che voi avete delle idee tragiche, e che altro, che cose malinconiche non ponno piacervi. Mi date graziosamente il nome di Apatista; sarebbe per me un acerbo rimprovero se lo meritassi, ma conoscendo, che non mi conviene, potete dirlo senza punto alterarmi. Quel che mi dispiace è di scorgere nella vostra lettera un'inquietitudine, un cattivo umore; ma forse la malattia di Vostro Padre ne sarà la causa; io vi compatisco: sono certe circostanze, che troppo ci abbattono; mi confermo però sempre più nella buona opinione, che ho sempre avuta di voi.
Vi ringrazio della compiacenza che avete avuta in rispondere alle mie commissioni, occorendo mi prevalerò della vostra gentilezza.
Aspetto vostre notizie per sentire come state dei vostri incomodi, e anche come sta il Vostro Sig. Padre. Vi prego dei miei rispetti alla Vostra Sig.ra Madre, ed al Sig. Odoardo.
Tuttio quelli che mi avete nominati vi restituiscono i vostri graziosi complimenti, compreso anche mio Padre ed i miei Fratelli, che nella lettera che ho ricevuto da loro Lunedi mi danno una tal commissione. Termino desiderosa di essere per sempre
Vostra Aff.ma Amica e Serva
Chiarin Carbonara Viani

La Spezia 2 Settembre 1789




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Busta n. 280 lettera di Andrea Zucchini che scrive da Fivizzano al Conte Giovanni Fantoni ospitato a Fosdinovo.

Ill.mo Conte Colendissimo

La necessità che ho di ritornare a Firenze mi ha fatto sollecitare la mia gita per la Lunigiana Toscana, e perciò provo il dispiacere di non poter ossequiare V.S. Illustrissima qui a Fivizzano, e di aver l'utile e ottima compagnia tanto Sua che del Suo Sig. Fratello Luigi. Ho già vedute e considerate le due Buche d'Equi e di Tenerano con altre cose spettanti ai bizzarri capricci della natura, ma sopratutto però mi è piaciuto di considerare il fisico di quella parte che ho fin qui traversata , e considerarlo relativamente all'agricoltura e all'economia. A dir vero sono contento. Il mio viaggio giacché vedo una campagna dotata dalla natura d' un buon terreno, di buon'aria, e di salubri acque. Doni sono questi che non così facilmente si trovano compartiti insieme. L'agricoltura non è poi così malmenata come è fama fuori di qui. Vedo bene che potrebbe farvi maggiori progressi, quando maggiori Lumi avessero gli agricoltori. Dio voglia che questo paese sia favorito di migliori strade, e poi naturalmente a questi bisogni la Provincia risentirà ogni bene per l'aumento dei suoi prodotti e per altre circostanze di commercio!
Io posso obbedirla in Firenze, si degni di comandarmi con libertà, e se vorrà le Piante Botaniche per la Sig.ra Marchesa di Fosdinovo basta solo che me ne dia un cenno.
Le porgo i complimenti del Sig. Volpi mio compagno di viaggio, e con molta stima ho l'onore di protestarmi.
Di Vostra Ill.ma
Andrea Zucchini

Fivizzano 4 Ottobre 1791


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Busta 280 altra lettera del botanico Andrea Zucchini al Conte Giovanni Fantoni

Ill.mo Sig. Conte Colendissimo

Ho tentato ogni mezzo per acquistare i semi di piante botaniche a forma delle mie promesse, e secondo la nota che V.S. Illustrissima si è compiaciuto trasmettermi con una gentilissima sua del 31 Xbre 1791, ma non solo qui in Firenze mi è stato possibile di poterne avere i semi, come ancora da altri orti botanici d'Italia, essendo assai rare le piante che si richiedono. Non essendo io fortunato nel poterla obbedire come botanico, voglio tentare la mia sorte da vero puro georgico. Riceverà pertanto alcune piante , o frutti ortensi ch'Ella potrà gustare alla sua tavola.
Fu qua il suo Sig. Fratello Conte Luigi, ed io essendo in campagna non ebbi la sorte di ossequiarlo. L'ottimo Sig. Conte Serristori mi diede un esemplare della bella sua XX (2 parole illeggibili) che ammirai al pari di ogni altro.
In questo punto sò che vi è il procaccia di Fivizzano, onde sollecito .
Scrivo la presente, e in tutta fretta mi protesto con vera stima di V.S. Illustrissima

Firenze 2 Maggio 1792.

Ps Al Sig. Poggi ho dato una fine di fagioli di Levante per il Sig. Luigi.

PS Il Padre Reverendissimo Adami è morto. Con lui la Letteratura sentì degli altri colpi mortali. Io lo piango perché perdo un'amico che rispettavo.

E' giunta la dichiarazione della guerra intimata dai Fanatici Francesi al Corpo Germanico. Venne ieri la Notizia.

Andrea Zucchini

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Busta 280 lettera non firmata inviata al Cittadino Giovanni Fantoni a Massa.

E' una nota di un contadino inviata al Conte Giovanni.


Sig. Giovanni Stimatissimo

Mando Antonio Mariani a bella posta per nopotere trovare nessuno che venga. Adesso il tempo contrario e le Bestie servano a macinare le Castagne. E dal medesimo riceverà some 3 Vino due di Montevallese per il Padrone e some 2 altro vino per la servitù. Pesi 64 farina di castagne e una secchia castagne secche di pesi 57, n. 3 Viglie, una brocca di rame, n. 5 pani burro di pesi 6, un fastello di n. 24 Sedani, n. 8 telai mandatemi dal Sig. Vechi, un paro Capponi del mezzadro di Anticcione, e tutti gli altri ne hanno al solito un paro. Siamo dietro con il Conte Agostino à fare i conti e ricopiare il tutto per mandarle tutti i conti.
Ho pagato a Eugenio paoli 38. io solo dove cavare denaro per pagare lestimo e vetture
Se non vendo qualche cosa, Presto vedrà le note della farina e dell'olio vecchio rimasto inessere. Dia da mangiare à Antonio che mando apposta. E con tutto l'ossequio e stima sono ai suoi comandi .
Rimandi sacchi e una taschella dove sono le castagne.
Di V.S. Illustrissima

Fivizzano 5 Gennaio 1803


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Busta 280 foglio di lettera di N.N. A Labindo da cui si evince che ha appreso dal Poeta della orrenda fine del Re Luigi XV.

P.S. Mentre era per sigillare questa lettera mi sopraggiunse l'ultima sua, che mi fu talmente cara, che dopo averla letta, la dovetti rileggere, e non potrei trattenermi dallo sparger qualche lacrima la qual cosa mi lasciò in uno stato di languore inesprimibile. Povero Re! Poveri Francesi! Sia Benedetto Lamourette e tutta l'Assemblea! Dio voglia che cessino una volta le guerre, e che tutti gli uomini si riconoscano per fratelli. Bramo di leggere più presto che sia possibile codeste gazzette.
Ma Lei non si dispone a far niente? Le raccomando quel secondo discorso ; adesso è il tempo.
Ell'abbia pazienza riguardo al resto. Agostinetto è buono e il suo silenzio non può esser che un comando.
Non v'é dunque altro rimedio, che di fuggire questa razza d'uomini, e d'armarsi contro di loro, quando ci molestano, solo per difendersi, come fanno i bovi, e le vacche contro il lupo.
Addio di nuovo mi ami e mi creda tutto suo.



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Busta 281 Lettera dichiarazione di Ballotta inviata a Odoardo per avere il saldo di un debito lasciato inevaso dal Conte Giovanni ormai deceduto.


IMPERO FRANCESE

Io sottoscritto Maire della Comune di Lerici dietro l'attestato giurato di padron Gio Tarabotto del fu Agostino che si segnerà a piedi del presente, e del Padron Ginesio faridone del fu Domenico, che dichiara non saper scrivere ambedue di Lerici da me appieno conosciuti, e degni di fede, Certifico qualmente il detto Padron Gio Tarabotto nell'anno 1800 – 1801 imbarcò in Genova sulla sua filuca una carrozza di spettanza del fu Conte Gio Fantoni di Fivizzano, che gli fu consegnata dal Sig. Giuseppe Canezza mediante il nolo di lire quaranta, perché la portasse in Lerici, e la consegnasse al Fù Angelo Bartolomeo Ballotta da cui gli sarebbero state pagate lire 40 e che tutto ciò seguì e fù convenuto in presenza di detto Padron Ginesio Faridone che pure era in Genova, e che anzi dovea egli imbarcare detta Carrozza, e finalmente certifico che il detto Padron Tarabotto portò di fatti detta carrozza in Lerici, e la consegnò al detto fù Sig. Angelo Bartolomeo Ballotta, da cui gli furono pagate lire quaranta di nolo come sopra fissato.

Dalla maire di Lerici 22 marzo 1808
IL MAIRE FIORI


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Busta 281. Lettere di Paolo Bargigli tutte indirizzate al Conte Odoardo Fantoni.


Paolo Bargigli fu l'architetto, amico di Odoardo, che disegnò e costruì il Teatro a Fivizzano. (oltre a quello degli Impavidi a Sarzana). Gli scenari furono dipinti da Luigi Facchinelli di Verona, mentre il Sipario fu dipinto da Xaverio Salvioni di Massa. Il Teatro, voluto dagli accademici Imperfetti di Fivizzano ( Segretario Cav. Agostini), poteva contenere 600 posti a sedere e restò attivo fino al terremoto del 1920 che ne lesionò il tetto. Nel 1938 furono demoliti i palchi ed il vestibolo, abbassato l'edificio il tutto per far posto ad una banca e a un cinema.


Stimatissimo Sig Conte

Carrara 26 Febbraio 1806

Da quanto rilevo dalla sua corrispondenza mi sembra che i Sig. Soci pieni di fiducia in me solo desiderano che mi porti in Fivizzano per le preventive necessarie disposizioni.
E siccome altro non desidero che meritare presso di lei e del rispettabile consenso, prova di che sarà non avere tralasciato nelli scorsi giorni quantunque preso dalla gotta che ora grazie al cielo va meglio d'impiegarmi a stabilire il scomparto per la pittura della Volta e de' Palchi, che porterò meco e si stabilirà contratto anche per la suddetta X?, pertanto se lo credo più economico mandami lunedì o martedì prossimo il Cavallo quale arrivando di buon mattino partirò sabato per Fivizzano, arrivando la sera partirò la mattina seguente di buon' ora, sarò in conseguenza ad avere il piacere di servirli.
La prego dei miei rispetti all'adorabile Famiglia, ed al Sig. Cav. Agostini e Soci e pieno di stima mi dico
Suo Aff.mo Serv. Ed Amico
Paolo Bargigli

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Stimatissimo Sig. Conte

Carrara 26 Marzo 1806

Sono a ringraziarla delle ricevute attenzioni, e a significarle essere felicemente giunto in Carrara ove attendo il momento per nuovamente essere a Fivizzano a fare lo spicco dei muri divorando con il desiderio una Fabbrica che vedo, e che spero sarà di loro contentamento, e di mia soddisfazione.
Partecipi al suo Sig. Fratello Conte Luigi che già si lavorano l'ornamenti del Tripode Apollineo, e che voglio lusingarmi non le dispiaceranno.
Saluti il Sig. Agostini e le dica che sono presso a farle il (parola illeggibile per foglio lacerato) dell'ingresso della Sua Villa.
Lo Zio Conte Giovanni ha bestemmiato il non arrivo del Nepote ma le (foglio lacerato) che non si dia pene di ciò, mentre a me costa che la sua venuta dopo Pasqua farà l'effetto medesimo al suddetto. Lò consegnate tutte le lettere niuna eccettuata .
La prego di dire infinite cose all'adorabile Famiglia, e credermi

Aff.mo Amico
Paolo Bargigli

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Stimatissimo Conte
Carrara 4 Luglio 1806

Mi pesa assai assai il silenzio generale sull'andamento al Teatro, che essendo un debole mio prodotto, niente mi è di più grato che sapere continue e dettagliate notizie.
Quanto poi alle necessarie decorative voglio sperare che la raggione prevalerà nella testa dei Soci che prego di riverire, e si persuaderanno che niuna fabbrica ha più necessità di decorativa di quello che sia un Teatro, e voglio sperare che essa si farà a seconda dei miei pensieri. Che questa poi la faccia Antonioo Giovanni non interess a me basta che sia fatta bene: io nel proporre ho cercato la loro economia ed il buon servizio, l'esperienza farà conoscere il suo.
Ieri Saverio mi ha consultato sull'idea già disposta del sipario, é bella e degna di lui, e nulla ho trovato a ridire in massima, fuor che pochi dettagli.
Mi saluti il degnissimo Sig. Cav.re Agostini e tutta la famiglia, e mi creda Suo Affmo Amico
Paolo Bargigli




§§§§§§§
Stimatissimo Sig Conte
Carrara 21 Ottobre 1806

Principio dal darle conto dell'ottimo viaggio che feci nel ritorno, dove per debolezza del mio Buffalo fui contratto alla metà della montata che si fa dopo la Pepiola a discender e pazientemente fare il viaggio pedestre, con un poco d'acqua la quale mi rinfrescava, basta finalmente giunsi sano e salvo, consegnai la lettera, la porcina e le bisami al Conte Gio.
Desidero dalla di lei bontà qualche notizia relativa al muro che ordinai di fianco l'arco della sala dell'Accademia, come desidero sapere come piace la curva, e se il Muratore l'abbia di già spiccata, voglio sperar che ne siano contenti, ma in caso contrario sia persuaso che quando sarà ultimata mi lusingo che sarà imitata, e piacerà.
A seconda del concerto preso dal Sig. Cav. Agostini a cui farà i miei saluti ho stabilito con lo scultore di Plastica Trentanove, egli verrà a fare tutto il lavoro necessario, e li passeranno Otto Paoli fiorentini al giorno, e da dormire, mi creda che mi ringrazieranno per tutti li riflessi.
Non ho mancato eseguire quanto egualmente fu concertato col Predetto Sig. Cav.re relativamente al Sig. Xaverio Salvioni, ed esso alla fine del cor.vo si porterà meco a Fivizzano per prendere l'Ara della ittà e fissarne unanimamente le massime su la composizione del Sipario.
Sono ora a pregarla per fare un piacere alli Sig.ri Pisani Miei Padroni di casa, di far pagare per conto de' medesimi scudi quattordici a un tale di cui non ricordo il nome ma che è ben noto al Zecchinelli ritirandone ricevuta di saldo qual somma io pagherò al Trentanove con cui ho de' conti, e questi in scomputi di lavori e giornate da farsi restandone io malevadore, Desidero in amicizia se puole favorirmi a termini da me indicati.
Mi saluti Facchinelli tanto, e poi tanto e le dica che ancora rammento la notturna discesa del Cauliano Colle.
Faccia tanti saluti alla degnissima Famiglia e col desiderare il suo riscontro e di presto abbracciarla sono
Suo Aff.mo Amico
P. Bargigli


§§§§§§
Stimatissimo Sig. Conte

Carrara 13 Dicembre 1806

Ho ricevuto dal maestro Rocchi i necessari dettagli e sono ben contento di sentire che tutto va bene, ma piano cosa annosa a tutti mi creda. Ricevo dallo stesso Rocchi i disegni per l'armature del Cielo, che del Palco scenico sede del Sig. Facchinelli e mi sembra vadino ottimamente. Vedrò solo se in quello del Palco scenico vi fosse luogo a qualche economia, per quello del Cielo è necessarissima per la maniera con cui viene ad essere montato il scenario. Anzi la prego salutare Facchinelli e dirle che ho recapitato tutto ciò che mi ha mandato e che al prossimo incontro avrò il Nero di seppia e che attendo la pianta del Casino del Conte Luigi, pregandolo a non mancarmi.
Il sig. Xaverio la riverisce e ringrazia.
Mi saluterà tanto la signora ringraziandola della canapa ottima, e che non ho mancato pagare filippi tre al Fattore di Munk desiderando anch'io poterle mostrare in fatti la gratitudine.
Per carità faccia che nell'invernata si prepari il bisognevole, i ritardi sono dannosi a tutti.
Se valgo mi comandi, pregandola infine di salutare l'adorabile Sig. Agostino, il Buon Vicario, con tutta l'anima sono
Suo Aff.mo Servo e Amico
Paolo Bargigli


§§§§§§

Stimatissimo Sig. Conte
Carrara 27 Maggio 1807

Sembra che la fabbrica del Teatro di Fivizzano incominciata e proseguita per del tempo con i più lusinghieri auspici per me, ora sia diventata tutt'altro e tradirei la mia naturale sincerità se tacessi.
Principio nel dolermi d'una mal considerata lentezza, tanto per l'interesse dei Soci quanto per il buon andamento d'ogni ben regolato edificio.
In seguito si tace che fino su Pattuali disposizioni di lavoro, e spero che la cosa sia presa nei termini giusti, ma hò la disgrazia di non vedere neppure una righa, la quale m'indichi ove si lavora, cosa si lavora e come camini il lavoro, più esamino la mia condotta e meno intendo una tal procedura.
Credo non offenderà l'amicizia uno sfogo depositato appunto in seno dell'amicizia medesima, e sono intimamente e sicuramente certo che nulla proviene da lei.
Spero ottenere una sua risposta la quale mi tranquillizzi, e la prego salutare i miei Buoni Padroni, e Amici, e specialmente la famiglia , e li Sigg. Soci e mi creda
Suo Aff.mo Amico
Paolo Bargigli

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La presente lettera non è datata ma credo sia del Novembre 1807. Il professore Bargigli prenderà poi il posto avuto da Labindo quale Segretario Dell'Accademia Delle Arti di Carrara.


E' inutile le descriva la mia desolazione, e quella della mia famiglia per la perdita del caro, vero e prezioso Amico Labindo, io lo giuro scrivo su questo argomento dolente, e quanto dolente per il mio cuore, ed ancora mi lusingo sia un sogno, vedo che però le lusinghe è vane e che ho pur troppo perduto un Amico la di cui esistenza e grande ragione interessava l'Italia. Una dura necessità ci obbliga a chinare la testa e fra tanta desolazione non ci resta che la certezza dell'immortalità del suo nome.
Il Corpo Accademico prepara una sagra funzione funebre, ed io sono incaricato per il tumulo, e l'apparato come anche non solo il Sudd.to Corpo Accademico, ma la più colta Cittadinanza è pronta ad esigerli del proprio una memoria sepolcrale nel Santuario Delle Arti Belle col quale mostrare il loro attaccamento ad un Uomo sì chiaro per le qualità letterarie e tanto benemerito per le premure si è dato a favore dello Stabilimneto Accademico. Il Direttore della Banca Elisiana, e del Museo dell'Accademia Eugeniana ha in anticipazione dati l'ordini opportuni per onorare la di lui memoria.
Benché non tranquillo di testa non dovendo, ne volendo mancare al mio dovere troverà qui accluso un piccolo disegno per il Vestibolo avanti il Teatro , e precisamente sopra all'Ingresso che mette ai sotterranei , ed ecco la descrizione del medesimo, e le raggioni per cui si è da me trattato nel modo che viene espresso.
Volendosi servire delle colonne che esistono in Fivizzano delle quali mi si manda le misure dal Maestro Rocchi, trovo che conviene poggiare la base sul piano delle scale, ed eccone le raggioni, tralasciando quella della punta dello stile, il quale impone quando non vi sia necessità di non inalzare colonne sopra piedistalli, perdendo di molto della loro imponenza, esse sono poste al piano indicato senza piedistalli, mentre nel caso che si fossero adoprati i piedistalli sarebbero giunte con la loro altezza al piano della Sala, e conveniva fare un arco piano, d'una estensione, e d'una larghezza troppo grande, e riprovato da tutti quelli che vogliono costruire con vera ragione d'arte, mentre un arco piano di quest'estensione in costruzione non regge, e lasciandolo con un trave affine si sostenga, sempre è un'operare senza senso, e che fa pena a chi lo vede. Al Contrario, tenendo le colonne al piano indicato nel disegno, vi resta luogo di voltare sopra i capitelli un Arco un poco sciemo, ma che può resistere, essendovi però necessità di una solida costruzione.
Delle catene segnate in disegno sotto lettera A e così egualmente di fiancho, il parapetto peraltro sarà necessario sia di ferro come anche quello delle due scale, come si vede Seguito lett B il che fa più eleganza e più leggerezza anche all'occhio e non impedirà che trionfino, come vuole il dovere dell'Arte , le Colonne che portano l'Archi ed il Terrazzo al Piano della Sala, per ornare poi un poco il Prospetto medesimo, e procurare che la Fabbrica da se medesima s'innalzi per l'uso a cui è destinata, massima che dovrebbe osservarsi sempre, si potrebbe sul vivo delle Colonne porre La Tragedia e La Commedia simboleggiate in due maschere sceniche, come nel mezzo del parapetto superiore sarà bene cavarvi di un piccolo oggetto come è indicato nel disegnino, una piccola lapide con analoga iscrizione.
Tutto ciò è quanto mi sembrerebbe convenire adattandosi al luogo, e alle Colonne, se poi il mio pensiero, che è pensiero di Uomo, non piacesse sarò a farne dell'altri , mentre un Architetto deve servire l'Idea de' suoi Principali, assoggettandole alle severe massime dell'Arte sua e nulla più.
Se poi piace l'esecuzione è ben facile molto più sotto le loro savie direzioni e sotto l'intelligente e diligente Maestro Rocchi, al quale professai sempre molte obbligazioni, e in tal sopradetto caso ho il piacere d'annunziarle essere questa l'ultima mia relativa al Teatro come Architetto, ora incomincerò come pittore, e ho già preparati i pensieri per l'arrivo del Sig. Fachinelli, per cambiare il tutto assieme, augurandomi che questa fortuna mediante la loro gentilezza e bontà che ho incontrato, l'edificio possa incominciare la decorativa. Io lo desidero e può credere se lo desiderio di cuore.
E pregandolo finalmente de' miei complimenti al Sig. Cav. Agostini ed al Vicario passo a confermarmi
Vostro Aff,.mo Amico Vero
Paolo Bargigli

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Stimatissimo Sig Conte Odoardo
Carrara 12 Novembre 1807
Sono sempre in vera ansietà di sapere le nuove dell'ottimo ed eccellente fratello Giovanni, che prego Lei salutarmi cordialmente, e gli accludo due lettere che sono al medesimo dirette. Ieri ricevetti lettere dal Facchinelli in cui mi protesta di non dubitare di me ma mi dice esservi stata persona che ha posto in dubbio la sua abilità., e le sue forze pittoriche per eseguire il lavoro in questione, del che mi sembra che se ne dolga, e credo abbia ragione, mentre i suoi talenti in arte sono più che sufficienti per il lavoro suddetto, infine conclude di venire presto.
Io travaglio per i pensieri della pittura,avendo ultimati quelli d'architetto meno il pensiero dello ingresso, per fare il quale stò attendendo le misure del Maestro Rocchi, spero di riuscirvi di successo anche come Pittore.
La prego di dire al Rocchi che si rammenti di darmi le notizie che le richiesi per il Teatro di Sarzana, come quella della partenza del figlio mio.
Mille saluti alla famiglia, al sig. Vicario, e al suo Sig. Collega.
Lei poi mi creda qual mi protesto ad ogni incontro

Suo Aff.mo Serv. E Amico
Paolo Bargigli

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Stimatissimo Sig. Conte

Carrara 25 Maggio 1808

Sono persuaso che avrà ricevuta altra mia per mezzo del Corriere di Fivizzano nella quale erano espressi de' sentimenti leali come mi convengono e che prevedevano quello che poi ho verificato di fatto nella venuta del Capo Maestro Rocchi, il quale mi ha portata una sua corrispondenza datata 24 corrente.
Lei in essa mi dice che dal detto M. Rocchi sentirò l'andamento del Teatro, perché non me l'abbia scritto il Cav. Agostini, il Predetto Sig.re nulla mi scrive, ma sento dal Rocchi che dal medesimo nulla si è voluto eseguire dell' ultimi appunti che io lasciai, dell'esecuzione dei quali lei stesso m'assicura e che non intendo perché ci si debbono trovare dell'opposizioni per parte del Sig. Cav. Colla non polita espressione di dire non voglio fare un C:°
Caro Sig. Conte Amico, e Padrone per il quale ho avuto ed avrò una eterna deferenza, non si trattano così degli Artisti, un qualche merito, la cui opera spesa corrisponde a quell'oppinione potevano avere di me. Io ne sono ferito nel cuore, non so dissimulare, e posso e voglio rendere conto del mio operato a tutti, e far toccare con mano che le piccole condiscendenza da me usate siano state tutte suggeriti, ed inciclopedici capricci del Sig. Cav. Per opporsi ad un Artista, che non è né muratore né legnaiuolo. Non basta essere un intendente o inciclopedico e mi lusingo di fare toccare con mano che nella fabbrica nulla vi è errato, benché un Teatro sia un edificio dei più difficili, che tutto è calcolato e che seguendo le massime di Vitruvio posso di tutto dare buon conto, anche a chi possiede l'arte per principio.
Io nella Settimana Santa tempo di vacanze per l'Accademia, verrò a Fivizzano, per l'ultima volta per quello che spetta al Teatro, non occorrendovi altro sicuramente. Porterò anche li disegni della Casa contigua che vanirò volendo in quel giorno che avrò il bene essere ospite dell'Aurea Famiglia Fantoni a cui conserverò sempre il mio cuore, come spero ottenere il loro, ed in tal epoca la prego quanto si è in capo di graziarmi d'una convocazione del Corpo delli SS Accademici, per ringraziarli e dare esatto conto di mie operazioni, delle variazioni suddette.
Quanto al Cippo nulla ho ricevuto dal Degnissimo Sig. Conte Luigi ed attenderò con piacere i suoi comandi, Non mancai subito di far premura anche presenti il Sig. Direttore, ed il Prof. Dermarait al Sig. Landini per la nozione delle medaglie ma ne sono tuttora privo, spero averle prima parta il Rocchi.
Il detto Rocchi poi mi domanda in suo nome se lo Scultore di plastica Trentanove è avanti con il lavoro della fame, ma come può essere se nella sua ultima mi dice che il Sig. Cav.re si è riservato di ricorrere altrove per l'economici dettagli, onde dipende dalla loro decisione il proseguire il lavoro suddetto.
Mi è rincresciuto che il Facchinelli non sia passato per Carrara, avendomelo comunicato il comune amico Saverio Salvioni, a cui ha scritto di Livorno il med.mo Sig. Fachinelli. Anzi il suddetto Saverio Salvioni m'impone salutarla, e siamo combinati per trovare fra me e lui una nuova idea del Sipario.
Il Sig. Professore Dermorait la ringrazia della memoria e le torna i suoi complimenti, ed io mi protesto eternamente.
Suo Affmo Serv. e Amico
Paolo Bargigli

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Stimatissimo Sig. Conte
Carrara 14 Luglio 1808

Nell'intima persuasione che ella mi creda sinceramente attaccato alla Casa Fantoni può in conseguenza misurare la dolorosa impressione abbia fatta in me la morte del Bravo Conte Luigi. Intendo che tutti dobbiamo soccombere, ma sento che l'umanità sensibile soffre in vedersi strappare le persone più care.
Rassegnazione mio caro Sig. Odoardo e procuriamo nel mentre mai si scordano certe perdite, di renderci la vita meno amara.
La prego di fare le parti di condoglianza al suo Sig. Nipote e con tutta la famiglia
e dire al medesimo se ha ricevuta una mia con un disegnino per la memoria sepolcrale del aureo Conte Giovanni.
Desidero sapere se come è piaciuto il Teatro al Prefetto, e se camina al suo termine. I miei complimenti al suo Cav. Agostini e Sig. Soci e con sincero attaccamento passo a protestarmi

Suo Aff.mo amico e Servo
Paolo Bargigli

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Il SEGRETARIO DELL'ACCADEMIA DELLE ARTI DI CARRARA
PAOLO BARGIGLI PROFESSORE D'ARCHITETTURA

Carrara 17 Giugno 1809

Al Sig. Conte Odoardo Fantoni

Avrei prima risposto alla carissima sua del 3 Giugno se la mia vita non si fotte trovata all'ultimi periodi per una orribile colica nervosa sedata finalmente da una azzardata porzione d'opio, Basta, vivo e scrivo alli Padroni, e agli Amici.
Godo che il Teatro vada al suo fine, e desidererei che anche la sala dell'Accademia venisse al suo termine con eleganza, onde attendo qualche suo riscontro su di ciò, come converrà risolvere alla parte ornativa de' pilastri della bocca d'opera, ed allo stemma accademico.
Da questa occasione prego lei di chiedere al Maestro Rocchi in mio nome che non so perché non mi ha data risposta su li disegni e scandagli per l'Altare della Madonna di Soliera non sembrandomi ciò regolare.
Mi è improvvisamente giunto in permesso il figlio dalla Spagna ma inabilitato ad agire per la perdita quasi totale d'una mano, e con 16 cicatrici indosso, Basta si è distinto, vivo e sono contento.
Mille saluti alla rispettabile famiglia, e nuovamente mi protesto.
Suo Obblig.mo Serv. E Amico
Paolo Bargigli

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Busta 282 lettera di Luigi Facchinelli al Conte Odoardo Fantoni

Amabilissimo Conte Odoardo

26 Maggio 1810 Firenze

Questi Signori Accademici, hanno fissato la loro apertura alli 7 di Luglio hanno poi ben calcolato se il loro teatro sarà in ordine, mi immagino che le Telle per le nuove scene sarano già in Fivizzano, che l'imboccatura sarà terminata per detto tempo. Bisogna poi che Lei si presenti, che l'indecisione in cui siamo stati fino ad ora di apprire o nò, mi lasciava un voto imensso né miei interessi, se non avessi lasciato di fare qualche altra scena alla Pergola, posto che si apre l'Estate. Al presente bisogna riflettere che non sono al mio comando, ma al servizio di un Pubblico, e mercoledì prossimo si va in scena con l'ultimo Ballo per cui è indispensabile la mia presenza. Stralciando dunque tutto quello che avevo fissato per cui; non potrò partire , al più presto che li dieci di Giugno . Avevo detto di essere a Fivizzano alla fine di maggio, e per una caduta del Primo Ballerino si è tardato ad andare in scena, con quest'ultimo ballo. Tutte cose che bisognav calcolare prima di fissare quest'apertura. La sola buona volontà non basta dove deve agire la persona converrà che passi di Livorno per prendere il Vitticcio già fatto, e chi eseguirà gli altri in sì breve tempo? Credo che si farà senza, che così si farà di tutto quello che non si potrà fare a meno; circa il Sipario passerò da Salvioni, il quale converebbe lui prevenisse, essere indispensabile che si porti a Fivizzano, e che spedendo prima la tela, al mio passaggio partirà meco, con questa strozzatura prodotta non da altro, che dalle interrotte trattative, e che Dio mandi buona quest'ultima dacciò corrisponda a quel decoro che è necessario in tal occasione. Io in quindici o sedici giorni potrò sistemarle il Ballo e l'Opera; Basta che al solito al mio avviso non manchi nulla di legname, di tele, e dell'occorrente. L'illuminazione è passata a Pistoia perchè l'occasione del vetturale per Sarzana non vi era dovendola spedire per terra, e poi conviene che Lei si ramenti quanto hanno dovuto fatticare a passarla dalle Porte di livorno senza cedere in frodo nell'espresso, e inesplicabile vigore su questi generi; ecco il motivo del ritardo, L'essere stata pagata non la poteva di certo farla partire , ad onta di tutti gli impegni, fedi, attestati della provenienza della latta di Francia. Si ricordi di far scrivere al Casicoli vetturale, anche sollecitare la venuta della cassa, acciò sull'esempio dei dodici piccoli lumi, che contiene, ne faccino fare almeno altri sessanta, parlo di quelli che non sono all'Inglese,. O poi non trovo per la mia parte altre proviste se non che dei colori e penelli. Facino situare e fare i Lumi necessari ai Coritoj de Palchi, infine tutte quelle cose che possino avantaggiare. Spero che il Simonelli avrà finito i tagli del palcoscenico a seconda dell'ultimo concertato con il Rocchi, il quale suppongo già in Fivizzano, perché se si è fissata l'apertura per il 7 di luglio tutte queste operazioni in cui io non sono più necessario sarano fatte almeno al mio arrivo. Tutto il mio interesse è che vada bene ogni cosa; ma prevedo , Pittori, Prove di balli, falegnami, tutto in un monte......Se andavano, le trattative di qui sapevo che i Virtuosi venivano alla Piazza concertati. Basta tutto andrà bene per quanto potrano le mie forze, e l'attività, non però disaprovo l'ecconomioa cercata, basta che quell'onore, che si perdeva nel non aprire il Teatro, non si perda aprendolo così alla rinfusa, avendo poca fiducia, che la Compagnia sia buona, basta vedremo.
Desidero che tutto vada a seconda dei miei voti, e pregandola rassegnare il mio rispetto a tutti questi Signori Accademici, Lei mi creda costantemente.
P.S. Paolino verrà meco, e la riverisce distintamente unito a tutti di casa, il che la prego di fare da mia parte ancora, Alla contessa Maddalena, che la vernice si farà alla nostra venuta,

Il Suo Aff.mo Amico e Servitore
Luigi Facchinelli


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Carrara 12 Giugno 1810
ACCADEMIA EUGENIANA DELLE BELLE ARTI DI CARRARA
PAOLO BARGIGLI SEGRETARIO E PROFESSORE D'ARCHITETTURA

Al Sig. Conte Odoardo Fantoni
Il Capo maestro Rocchi mi ha mostrata una lettera del Sig. Cav. Agostini con la quale lo richiama all'ultimazione del Teatro, avendo loro Signori stabilito di fare l'apertura nelli primi del prossimo Luglio , e tutto ciò va in regola, e mi fa molto piacere nella lusinga che si possino trovare contenti dell'opera mia.
Nella medesima lettera le dice di trovarle qualche lavorante di stucco per fare l'ornati, e le fame che vanno alla Bocca d'Opera, lavori troppo necessari ad una parte tanto interessante, che è assolutamente ferma da cornice del quadro, ma delli Stucchini nelli nostri paesi non ve ne sono, ed il povero Trentanove morì sarà un mese o poco più, e se doveranno staccare un lavorante di stucco in ornato, e Scultura dalla Toscana le costerà moltissimo, il miglior compenso sarà di supplire con le Pitture, e se saranno dipinte con forza ed effetto l'accerto che si otterrà lo stesso intento ed anche più armonia, onde mi farà una grazia indicarmi la loro risoluzione su di ciò, per darle i sentimenti su ciò che vi si deve fare.
A me sono restati come ha veduto il maestro Rocchi i piccioli modelli fatti per detto lavoro dal Trentanove, che eseguì appena le passai scudi otto se non erro pagatimi dalla Accademia per tale effetto, qual lavoro non essendo stato poi eseguito sono a rispondere io per il defonto della indicata picciola somma. Infine si Lei Stimatissimo Sig. Conte, come il Suddetto Cav. Agostini, che mi riverisce, sanno che sono a loro comandi per quanto crederanno aver bisogno di me. Mille complimenti alla rispettabile famiglia nel mentre che con vera stima ed attaccamento sono
Suo Obb.mo Serv. Ed Amico
Paolo Bargigli

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Sulla stessa carta intestata troviamo questa lettera con la quale l'architetto del Teatro si lamenta perché la sua prestazione viene liquidata allo stesso prezzo di una pittura di un telone di sipario.

Carrara 18 Aprile 1811

Al Sig. Conte Odoardo Fantoni
L'Unica grazia imploro dalla bontà sua, e da quella della sempre per me rispettabilissima famiglia Fantoni si è di recapitare l'acclusa alli Sig.ri componenti il corpo delli Accademici Imperfetti, può ben essere certo che io soffro moltissimo nel dovere esprimere de sentimenti a cui la mia educazione ripugna, ma come fare allorquando uno vi è assolutamente costretto dalla necessità, mi spiace.
Primo io credo abbiano assolutamente equivocato, non posso altrimenti credere, mentre farei un torto troppo chiaro a delle persone colte, e distinte nel vedermi quasi pareggiato alla pittura a tempera, e a prezzo come suole dirsi d'un semplice telone, ne appello allo stesso Pittore che lo ha fatto, e se esso non riderà, voglio perdere quanto ho percepito, e devo per ogni legge di giustizia perseguire ancora; cosa servivano a questi Signori le loro pitture tutte, le loro orchestre, le loro opere, se la fabbrica era cattiva, non solida, non comoda, non armonica. Infine questi Signori vogliono darmi meno di quello che mi ha dato Sarzana, per cui pende la mia causa avanti il Tribunale, e si ha di più il piacere di corteggiarmi Otto Filippi che mi furono pagati per il fu Trentanove, acciò faresse le forme delle fame, quali denari esiste la di lui famiglia, e possano sapere se realmente le furono da me pagati avendone tal ordine dalli Rappresentanti il Corpo Accademico, ed in prova deve esistere il picciolo modello in creta di detta fame presso l'Accademia avendoglielo io rimesso , se poi per economizzare hanno creduto sospendere il lavoro, non so se per tale raggione, per altro chi ha faticato presso un legale ordine, debba essere defraudato, ed io perché mi sono preso l'incomodo di essere l'immaginatore della cosa, devo pagare per loro, ripeto io credo vi sia equivoco, o vi sia del malinteso certo.
A fronte del fin qui esposto, io non voglio essere venale, essendo state queste le mie prime espressioni, e non voglio mai infine vantarmi, se li Signori Accademici prendendo un trionfante X una Scatola infine il valore di tanti Venticinque Zecchini più meno, e questa accompagnata con una lettera secondo crederanno meriti io assicuro Lei mi chiamerò contentissimo, e dover fare dei progetti io me lo faccio con persona che mi ha sempre mostrata della bontà fuori di questo se si tratta denaro, non riceverò mai altro che quello è di giusto, e per meglio conoscere se i miei sentimenti sono basati sull'equo avrà la bontà leggere e dar corso all'acclusa.
La prego quanto si è posto di prendere parte per me, e di darmi una sollecita risposta per mio governo, mentre è ora di sapere il fine di un affare di tanti anni, molto più che non mi sembra avere de rimproveri a farmi, essendo certo chi Fivizzano si distingue nel suo materiale per il Teatro, che vale poi cinque Zecchini più d'un Telone.
Nell'ansietà di suoi riscontri, pregandola de miei complimenti alla adorabile e rispettabile famiglia mi dico
Suo Aff.mo Amico e Servo
Paolo Bargigli




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Carrara 17 Giugno 1811

ACCADEMIA EUGENIANA DELLE BELLE ARTI DI CARRARA
Paolo Bargigli Architetto onorario LL AA II e RR
Il Principe e la Principessa di Lucca e Piombino
Professore d'Architettura e Ornato, e Segretario di detta Accademia


Al Conte Odoardo Fantoni,
Tutto ciò che io scrivo, e bene lontano dal sentire la più piccola idea d'adulazione, in conseguenza la prego del seguente piacere e mi spiego.
Io non ho mai neppure pensato di fare la più piccola lagnanza su l'irregolarissima condotta dei Sigg. Imperfetti, dal qual numero nell'attuale caso sicuramente escluso la sua degnissima persona e famiglia a cui professo eterne obbligazioni.
Ormai per altro la convenienza, non parla l'interesse d'un onorato Artista, è lesa in tutta l'estensione del termine, mentre li Signori Accademici per far compita l'opera non si sono degnati di darmi ne pure una riga di risposta alla mia, che credo fosse scritta in tutti i termini della possibile onestà. Io ho taciuto fin qui mentre lei nel suo particolare si degnò scrivermi. Saranno due mesi almeno che l'Accademia aveva voluto farmi un regalo, ed infatti non poteva trattarmi meglio di quello credendo le mie ragioni, e lettera neppure degne di risposta, Gran disgrazia conviene lo dica è la mia, e pure l'Artisti hanno avute ed avranno l consolazione di non essere l'oggetto del disprezzo neppure da Principi, ed io sono stato trattato peggio del più vile fra gli Uomini, e le giuro troppo doloroso è per me tal procedere.
In conseguenza volendo sempre dipendere da una famiglia a cui conservasi eterne l'obbligazioni per le gentili maniere per le quali sono stato trattato, mi onori di una risposta, che mi chiarisca su una condotta di tale indiscretezza, e che mi indichi definitivamente lo stato delle cose per regolarmi in conseguenza, questo è il favore che per quanto vi è di sagro fra l'oneste persone io le chiedo e che voglio sperare non vorrà negarmi, attendo la di Lei risposta con la più grande impazienza pregandola a scusarmi de lo disturbo, e pregandola dei miei più cordiali e rispettosi complimenti all'adorabile famiglia, ho l'onore di confermarmi
Suo Obblig.mo Servo e Amico
Paolo Bargigli

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Sulla stessa carta intestata è la seguente lettera:
Carrara 10 Agosto 1811

Io sono l'Uomo più disgraziato della terra mentre non so perché mi sia perfino tolto il modo di sapere in qual posizione io sia relativamente all'Affari Teatro, Sono poi doppiamente infelice, vedendomi costretto a tediare una persona che senza la minima esagerazione stimo ed amo infinitamente.
Lei non potrà negarmi che il non degnarmi neppure d'un rigo di risposta alle proposizioni fatte son già dei mesi, e un tratto da parte dei Sigg. Accademici poco urlano.
Infine la prego per quella bontà che tanto lei che la sua famiglia si è compiaciuta avere per me di dirmi quale è la situazione delle cose, per non far dormire un affare ormai ridotto ad un termine che è dispiacente.
Mille cose si compiaccia di dire per me alla stimatissima famiglia, ed in attenzione di suo riscontro che comploro con ansietà ho l'onore di confermarmi
Suo Obbl. Servo e Amico
Paolo Bargigli

§§§§§§§§

Ma l'anno successivo l'Architetto ha dei problemi anche con Gli accademici di Sarzana e sempre sulla stessa carta intestata scrive a Odoardo la seguente lettera:


Carrara 7 Aprile 1812

Le mie circostanze relativamente alla questione devo sostenere con l'Infami Deputati del Teatro di Sarzana mi obbligano d'incomodarla al fine che ancor lei mi voglia graziare d'interporsi presso il Sig. Carlo Pinelli Architetto alfine che il medesimo voglia compiacersi d'assumere l'incarico d'essere uno dei periti per esaminare la mia Opera fatta del Teatro di Sarzana, e quindi stabilire quella giusta mercede che crederà, quanto sia disgregante l'operato di questi individui di Sarzana, è inutile il ripeterlo facendo veramente rabbia. Prego pertanto l'esperimentata di lei bontà a voler passare l'acclusa al Sudetto Sig. Pinelli ed interessarsi a ciò che voglia sostenermi in tutto ciò crederà giusto.
Perdoni la libertà mi sono presa, ma conoscendo quanto ella è buono, mi lusingo d'ottenere un benigno compatimento. Tanto io che mia moglie la preghiamo di fare i nostri doveri con la rispettabile famiglia, e con i costanti sentimenti della mia stima, e rispetto passo a protestarmi

Suo Umilissimo Servitore e Amico
Paolo Bargigli

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Busta 282 Lettera di Marietta Ferroni da Parma a Odoardo. E' a i parenti di Parma che Odoardo si è rivolto per avere all'inaugurazione del nuovo teatro una buona orchestra.


Ringrazio la combinazione che si è data di dovere comporre l'Orchestra per il Teatro di Fivizzano, perché questo mezzo mi ha procurato il piacere una sua a me carissima lettera, appena dunque letta questa , Drea si è data la premura di impegnare alcuni di questi Professori a venire costà, e per quanto ho sentito sono di già tre, che questi veranno sicuramente, e sono, il mio Maestro di piano, e forte, un Signore che suona benissimo il corno, e una viola; le dico una verità che vedendo quanto è grande la sua bontà, e sapendo d'altronde che vi è continuamente gente a pranzo, e che in conseguenza una bocca di più, non le sarebbe riuscita d'incomodo, volendolo io raccomandarlo a Lei, avea lusingato il mio Maestro che sarebbe forse stato in casa sua, ma avendo sentito pochi momenti sono da Ghezzi che alloggia l'Architetto, e Pittore, capisco che il maestro le potrebbe riuscire d'incomodo, onde mi raccomando a Lei, perché le trovi un alloggio b del quale ne possa esserne contento, scusi la libertà che mi prendo, ma trattandosi del mio Maestro mi preme moltissimo, ed altro che a suo riguardo lo avrei ceduto, riguardo ai Professori non le dico altro, perché sentirà le cose chiare da Ghezzi che per quanto credo avanti che quest'oggi parta i Professori saranno tutti fermati. Le sono infinitamente tenuta del grazioso invito che Lei mi fa di venire costà per l'apertura del Teatro, e se non si oppone la mia salute al desiderio cge ò d'abbracciare tanto Lei che la Mamma verrò sicuramente. Dreà che m'impone di farle i più cordiali saluti mi dice che verrebbe volontierissimo ancora lui, ma non sa di certo se i suoi affari gne ne permetteranno, gli altri tutti della mia famiglia le fanno i suoi complimenti, ed io la prego credermi quale con il più rispettoso attaccamento mi vanto d'essere

La sua Affezionatissima Nipote
Marietta Ferroni

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Busta 282 Lettera dell'altro Nipote Andrea Ferroni da Parma allo zio Odoardo.
Da essa ricaviamo che incontro dell'Orchestra di Parma con Fivizzano fu ottimo.


Carissimo Sig. Zio

Parma 3 Agosto 1810

Dopo averle già scritto giorni sono ritrovo per caso ancora la lettera sul mio tavolino confusa con altre carte questo inconveniente é dovuto all'inavveduto mio portiere incaricato particolarmente della spedizione delle lettere. Replico perciò la presente in risposta alla ultima Sua. I suonatori arrivarono tutti salvi da qualunque infortunio ma tutti spaventati, perché i loro condottieri mal pratici della strada deviarono di notte tempo, e invece di venire alla volta di Langhirano andarono per lungo tratto di via alla volta di Corniglio, e quel che peggio ancora pugnati dalla più terribile burrasca e se non avessero eccitata la compassione di un Pastore, che ne tanti le grida da lontano sarebbero tutti involti dallo spavento almeno. Il fatto sta che il pastore li condusse nella di lui capanna e con latte e cara polenta li ristorò alla meglio. Io ne feci un po' di comedia come si fa sempre al momento della temuta sventura altrui.
Essi sono stati poi contentissimi di Fivizzano, e segnatamente dell'urbanità e cordialità degli abitanti.
Le carrozze che mandai a Langhirano per condurli costano sei Filippi, come la prima volta. Di questi sei Filippi Lei passerà lire ventura di Parma al mio cognato Agostino residuo rimastomi sulla somma lasciatami da spendere per di lui conto. Il rimanente me lo farà avere giacché non potrà più rimetterlo né a Marietta né a mio fratello Cristoforo.
Ella farà sentire a Codesti signori che fu grande la mia compiacenza di servirli come lo farò sempre in qualunque altra circostanza. Faccia i miei cordiali saluti a tutti della sua famiglia, e quando io posso servirla mi comandi liberamente. Questa sera abbraccerò la mia Marietta che vado ad incontrare a Puglianella per anticiparmi il piacere di rivederla. Mi voglia bene e mi creda sempre
Il Suo Aff.mo Nipote
Andrea Ferroni


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Busta n. 282 Lettera al Cittadino Odoardo Fantoni da parte del fratello Giovanni (Labindo)


Mio Caro Edoardo

Torino 3 Gennaio 1801

Son qui giunto da 24 ore con un mio Carissimo Amico ben chiuso in carrozza caminando di giorno, e di notte senza, che mi succeda alcuno inconveniente. Sto bene egualmente che Teresa, che ti saluta cordialmente, e che spera di avere presto il piacere di rivederti. Gli affari della guerra hanno preso la migliore presa, e dopo la seconda vittoria dell'Inn, ed i vantaggi riportati al Mincio, spero che saremo tranquilli, e potremo goderci un poco, tantopiù che le ulteriori operazioni militari debbono essere eclatanti e condurci ad una pace onorevole.
Regolatevi con la solita prudenza godendo però la compagnia dei buoni, senza temere né urtare i cattivi. Spero presto d'essere a Genova, di dove ti scriverò prima di prendere la via di Toscana, e di passare ad abbracciarvi. Avrai a quest'ora ricevuta l'altra mia, in cui ti dicevo le intenzioni del Governo Toscano a mio riguardo, e l'obbligo, in cui mi trovo di ritornare in Toscana. Su ciò ci concerteremo al mio ritorno. Fa aggiustare intanto le due stanzine superiori a Caugliano, acciò tu possa in una metterci l'Annina, che cederà per qualche giorno la sua alla Teresa, giacché vuole venire a trovarti ed ha preparate mille Galanteriole per tutte di casa. Spero, che faremo un viaggio comodissimo, e sicuro con Lei, e che potremo abbracciarti con Agostino, e con la famiglia senza timore di cosa alcuna. Dì al fattore che gli raccomando sempre la vendita del noto orto, e che se la farina di castagne a Gennaio monta a 100 Bast.ni può venderne 30 some, e tenere a mia disposizione il denaro. Dì mille cose per me ad Agostinetto, a cui comunicherai questa stessa lettera.
Spero che Petrucci avrà costasù ristabilito l'ordine; vorrei che Notari si mostrasse bene egualmente, non sapendo capire come sia con Belatti. Riflettete dunque, e segnategli senza mettervi avanti. Raccomandate spesso a Luigi anche la mia parte, ogni reazione sarebbe fatale......
Seguono due righe illeggibili
Il tuo Giovanni


Mio Caro Odoardo

Massa 4 Agosto 1802

Circa gli Agrumi desidero che non ti patiscano, ma vogliono servitù in codesto clima, ove la vera primavera può contarsi ai primi di Maggio. A quelli che ti pare che abbiano patito, metti della terra ben vergine intorno e avere eguali per qualche giorno, un dì si e un dì no, con un poco d'acqua di concio ben smaltito; forse si riprenderanno. Abbi cura tenere dentro gli altri quando vuole tirare molto vento in particolare d'Alpe, che anche qui fa loro molto danno. Se accartocciano le foglie è segno sicuro, che hanno patito. Hai fatto bene ad accettare la carica di Priore, bisogna che Il Colonna accetti anche la sua. Se Gio. Francesco Agnini non è dominato da T. potete fare del bene, altrimenti impedire il male , non ti ho detto di non fare il tuo dovere, accettando, ma di non mostrarti, e non comparire in certe occasioni. L'uomo onesto non è solo quello che si adopera per fare il bene, ma anche quello che si cela a tempo per ovviare il male, acciò i più e cattivi non si allarmino. Tu sai meglio di me che Summum Jus, summa injuria e che Tacito dice parlando di Agricola : ( seguono tre righe di citazioni in latino per me difficilmente traducibili in modo giusto) Ti ho detto questo perché fare il il mestiere del “Buon Uomo” in certe circostanze è utilissimo, e lascia mettere al fatto di molte cose che non si saprebbero altrimenti, e profittare delle circostanze senza contrasto. Dal piccolo al Grande ricordati di fare come Janis Roneto ?, e vedrai che non farsi temere si fece in appresso stimare, e fece il bene del suo paese. Condona all'amicizia che ho per te un mio consiglio; non parlare mai in casa, né del fatto, né di quello che hai da fare, senti le proposizioni dei nemici con affabilità, ed eseguisci quelle degli amici, mostrando in pubblico di non sentirle. Eccoti questo è il mezzo di fare il bene, né credere che sia fingere, ma solo schivare le insidie, e per non fare la buona causa Framklin il più virtuoso uomo dell'America dice nelle sue opere, che teneva questo sistema, ed aggiunge che l'arte per cui ha trionfato sempre con l'opinione nel congresso è stata quella di lasciare parlare tutti prima di non oppugnare mai l'altrui oppinione, e proporre la propria con un rimedio nell'altrui contrastare. Se accaderà qualcosa in appresso così almeno sarai in caso di giovare. Sopratutto non fidarti di alcuno, n'esternare anticipatamente la tua opinione. Può giovarti in questo momento la necessità , che hanno di volere parere di riunirsi. Sopratutto proponi qualche cosa di ben pubblico in generale, che non sia stato fatto da altri, ti guadagnerai l'opinione, e si dirà sempre che a tempo tuo è stata fatta. Se hai tempo comunicami qualche cosa che possa farsi, io ti dirò liberamente il mio parere. Fa pulizie a tutti, Amicizia con alcuno, cerca di familiarizzarti col Cancelliere, ma sappi per tua regola, che ho informazioni di questa Toscana che non bisogna indisporlo ma non fidartene. Scrivo al cancelliere Grandetti che sei stato eletto , e che hai accettato col riflesso, che un occasione potrai far caso del suo consiglio, e della sua assistenza. Così avrai un appoggio, e darai una remora a chi volesse contrastarti. Ti avviserò in seguito dell'altro che occorre.
Non importa che costà non si creda la pace, crederanno in seguito anche il resto, ma allora cercheranno di comandare, ma è bene che troveranno chiusa la strada.
Non abbiamo nuove che di movimenti di truppe in Germania, e di ripristinazioni nella Svizzera. Il velo non è ancora squarciato, quello ch'è certo è che alcuni uomini vorrebbero far videnza alle cose, ma le cose più presto, ò più tardi lo fanno agli uomini.
Ti abbraccio, fa avere l'acclusa a Gigio, e a Linoli . Sono cuore il tuo
Giovanni

Lettera dettata da Labindo ad altra persona per il fratello a Fivizzano:

Mio caro Odoardo
Massa 9 Febbraio 1805
Ti scrivo in altro carattere, perché sono sempre al solito tartassato dal mio reumatismo, che mi ha attaccato un braccio, e la testa; il mio raffreddore però va un po meglio,
e rifacendosi i tempi in questo clima più dolce voglio provarmi a fare del moto per vedere se posso traspirare. Sta bene, che ricevesti i limoni e gli aranci per Pellegrino; il Felici ti ringrazia dei saluti, e creda, secondo quel che si dice, che ti avrà scritto per la posta, io cerco le occasioni che mi capitano da Castelpoggio per scrivere e per risparmiarvi di avere le mie lettere bruciate e di farle leggere a Sarzana.
La morte della povera sposa Campi, interessando il Barberi e parentela avrà forse sospesi gli spettacoli, o vi avrà fatto ricorrere al ripiego di recitare il Sig. Tonino Bella Grazia , o altre, dove essi non recitano.
Sono stato a puntino a tempo, rivenendo in giù, a mandare a prendere a Pietrasanta le tue bottiglie , una delle quali trattandosi di doverle portare di notte a scanso dote, si è rotta, per il che invece di mandartene sei te ne mando quattro, due di Artack e due di Rum. Sono a letto e non posso trovare sul momento il conticino da me pgato al carli di tutte sei le bottiglie, consitente in paoli fiorentini trentadue, cioè Paoli 8 di bottiglie Arrack, e Paoli 4 di bottiglie Rum. Defalcherai dai detti 32 Paoli, Paoli 8 importate della bottiglia Rum, che si è rotta, e d'una che tengo presso di me, e i restanti paoli 24 coll'importare degli agli e cipolle che ti trasmisi, mi pagherai quando te ne darò avviso, alla Felicina Adami. Dette 4 bottiglie le consegno a Tonino della Camilla di Soliera perché te le recapiti in proprie mani sicuramente. Qui abbiamo una mediocrissima compagnia comica , e i dilettanti hanno rifatta la Pianella che è riuscita assai bene.
Il Teatro era così pieno che non si capiva un Grano di miglio, Ti dico ciò per relazione, giacché io non vi ho potuto andare, fuorché un momento una sera in cui la tosse mi obbligò a tornare a casa.
Si aspetta tutti gran novità circa il Destino d' Italia, per il ritorno di Melzi, la venuta di Napoleone Buonaparte a Milano col Papa, e suo fratello Giuseppe che le gazzette predicano Re d'Italia, ed alcuni vogliono Statolder di una Federazione Italiana, a cui ammettono ancora il Papa. Tutta la Guardia Italiana che era a Parigi, a quest'ora sarà rientrata in Italia, e forse anche il ministro Taleran , che si dice , che precederà a Milano l'Imperatore. Ciascuno suppone le cose a suo modo, quello che si è certo, si é, che siamo allo sviluppo delle nostre cose, e che sui ha da vedere ai primi di Marzo, su che fondamenti si fabbrica.
Non scrivo ad Agostino, perché sto così, questa servirà èper tutte e due. Abbraccia la cognata, le ragazze e saluta gli amici.
Tuo Affezionatissimo Fratello
Giovanni

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Busta 282 Lettera di Giovanni a Odoardo. Si parla ancora del Sipario.

Mio Caro Odoardo
Massa 8 /3/1806

Bargigli che ti recapita questa mia mi mandò la tua con l'altra del fattore, a cui consegnai le accluse. Quello che ti porta il disegno del soffitto e dei palchi ch'è oltremodo semplice e bello, e piace molto a Saverio che vorrebbe sapere quali siano le vostre intenzioni per il telone; giacchè vorrebbe fare il bozzetto , o se volete lasciare a lui la libertà della scelta, o volete che la combini meco, giacchè vorrebbe un Soggetto veramente pittorico e di suo Genio, per fare un lavoro che meriti.
Ti accludo due lettere del prete Felici, una per te, l'altra per il fattore . Egli è molto raffreddato e teme che voglia avere una forte grippa. Mi scusasti nell'ultima tua che aspettavi nella posta di un cosa di premura che m'avevi scritto; io non so quale sia, giacchè ho sempre risposto a tutto......... (continua ma senza importanza)

Giovanni

Busta 282 Lettera a Odoardo da parte sempre di Giovanni

Mio Caro Odoardo
Massa 23/3/1806
La tua pigrizia ti fa temere. Io leggerò la tua lettera all'Accademia come l'ho letta a Ficozzi, che ti saluta cordialmente. Lavora, e pensa che hanno scali per essere utili: ho passata l'altra tua lettera ufficiale all'Accademia che ha sommariamente gradite le tue annenze; fa che Luigi risponda anco lui al più presto, cose che hanno fatte ancor gli altri. Abbiamo fra i Soci il Marchese Aldo Malaspina per la Nautica, ed il vecchio Cancelliere Possini per l'Economia Pubblica. Vorrei in risposta sapere se a Pontremoli, e a Sarzana vi è qualche persona di mente, e a Bagnone; ma non si vuole bindoli; e si vuole gente Apuana, e di Buoni principi morali. Bargigli è stato da me, ma non ha trovato Saverio ch'era al Cinquale. Egli vorrebbe per il Sipario un Soggetto semplice e forte: farà di tutto, e con impegno.
Fà avere l'acclusa al Vicario.
Butino che ti saluta con la famiglia ha avuto il denaro consegnato a Bargigli. Dallo al Vicario, e salutalo con la Chiara che Dio liberi in questi momenti specialmente dalla cattiva compagnia.
La Lucrezia ti fa i suoi complimenti. Ti ringrazio delle attenzioni usate a Peraldi, ch'é un ottimo uomo; e di sani principj.
Saluta la nipote, e la cognata, amami e credimi di cuore
Tuo Aff.mo Fratello
Giovanni

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Busta 282 – Lettera di Giovanni al fratello Odoardo scritta per inteposta persona.

Mio Caro Odoardo
Massa 12 Giugno 1806

E' giunto il Mezzadro del Borri, spedito dal fattore, ma è giunto senza la Chiarina, che ha avuto l'impertinenza, dopo essersi fatti dare altri nove barboni dal fattore, di lasciarlo a Posara trovando la scusa che si sentiva male e andandosene a Fivizzano. So che costassù ha fatto mille miracoli e che tu le hai fatto una predica . Ma certa gente credono di poter fare del male impunemente; onde previeni da mia parte Bertini, a cui scriverò l'occorrente per la prima occasione, giacché non ho tempo per la posta.
Salutalo intanto con Grazzini e con gli altri amici.
Scansami con Marnetta giacché io non voglio raccomandare Fivizzanesi abbastanza pentito del passato; aggiungi che raccomandai un Adami all'amico Pignotti, e mi rispose, che avrebbe fatto di tutto, ma che Dipendeva il posta da un esame, che nuovamente si era fissato.
Darò le tue informazioni circa il Pacetti e ti scriverò se lo prendono al Servizio, come credo. Circa le notizie nulla vi è di preciso di quanto mi dici. Scrivono unito all'Italia il Parmigiano fino al Po' e questi Paesi fino al canale che scende dalle Cento Croci fra Sestri e Chiavari: noi abbiamo notizie officiali d'ingrandimento, ma senza alcuna individuazione.
Salutami subito il Vicario e digli, che non posso rispondergli cosa alcuna di preciso su quanto mi chiede, ma che lo farò quanto prima.
Si è contrassegnata da Genova una squadra di 60 vele che faceva rotta a Levante e si vuole Inglese. Suppongono che siasi diretta a Napoli o a Malta. Vedremo.
Si vocifera che un Ministro Russo venga in Italia per l'ultimato della Guerra o della Pace.
Consegna l'acclusa al fattore, amami e credimi di cuore
Tuo Aff.mo Fratello
Giovanni


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Busta 282 Labindo scrive a Odoardo a Fivizzano e lo mette in guardia perché a Sarzana si spia leggendo tutte le lettere. Lo consiglia di poetare ma di non leggere pubblicamente.


IL SEGRETARIO PERPETUO DELL'ACCADEMIA DELLE ARTI
DI CARRARA
GIOVANNI FANTONI cognominato LABINDO

Massa di Carrara 11 Dicembre 1805

Ti scrivo in questa carta per assenza dell'altra carta da lettera, che aspetto al momento da Pescia. Io non ti ho scritto da qualche tempo si è perché la posta costa l'osso del collo e a Sarzana si legge tutto. Ho scritto ad Agostino e gli ho sempre detto che ti cominichi le medesime, e ti dia le nuove. ....... (lunga lettera ove si parla di avvenimenti politici e poi prosegue così:)
...Ho letto il tuo sonetto, vi è qualche espressione buffa specialmente nell'ultima 3na ed un poco di stento. Scrivi quello che vuoi ma non leggere pubblicamente ora certe cose, che a nulla servono in terra di ciechi.
Massena montato per la Gorizia pare impegnato ad acciuffare l'Arciduca Carlo, che però è l'unico che si è portato bene. Agostino ha anche scritto per necessità per la posta ti avrà già date le nuove.
Nulla di più posso dirti
Tuo Aff.mo fratello
Giovanni

Busta 282. Lettera di Giovanni al fratello Odoardo in Fivizzano.
E' l'ultima lettera scritta al fratello.
A leggerla oggi, questa ha il sapore amaro del destino. Labindo spesso si è lamentato dei suoi malanni nelle sue missive, ma in questa, stranamente, dice di stare “ottimamente”.
Forse è il “bene della morte”, che arriverà per lui 18 giorni dopo la presente nella casa paterna di Fivizzano.

Mio Caro Odoardo

Massa 12 8bre 1807
Sento con piacere che tu sei ritornato felicemente, e che tu stia bene. Il muoversi giova, lo svagarsi dalla monotonia lunense anche di più. Venerdì sera sarò costà, Mi fermerò a desinare da Luigi in Noletta; e la sera sarò a Fivizzano di dove si scriverà al buon Ravanello per quanto abbiamo concertato, e subito terminati i miei affari partirò per Lombardia.
La Lucrezia ti fa i suoi complimenti, e tutti gli amici e in particolare Berti. Io sono grato alla dimostrazione della famiglia Muccari; che vedrò volentieri a Modena, e contento che la famiglia Neggio e i Ferroni a Parma stiano bene. Io stò ottimamente.
Ci rivedremo al mio arrivo; se hai da fare a Caugliano non distrarti per me.
Amami e credimi. Abbracciandoti di cuore
Tuo Affezionatissimo Fratello
Giovanni


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Busta 282 Lettera a Odoardo di partecipazione al lutto per la scomparsa di Labindo.


Sig. Conte Stimatissimo

Sebbene fossi stato anteriormente prevenuto della morte del caro Labindo, Facchinelli me ne ha fatta per di lui ordine la funesta partecipazione. Penetrato dal più profondo dolore per la perdita fatale d'un Uomo sì raro, quali maggiori elogi potrò io tributare alla di lui memoria di quelli che l'intiera Società gli comporta? Filosofo senza ostentazione, Poeta senza presunzione di se stesso, erudito senza avarizia dei suoi talenti a prò de suoi simili, e specialmente poi della studiosa gioventù, doviziato senza fasto, come meglio poteva parlarsi dell'ottime qualità, che l'ornavano, se non col linguaggio con cui un dì si parlava delle più belle statue della Grecia.
La morte lo ha rapito all'amore de' suoi, all'affezione degli Amici, alla stima del mondo intiero. La memoria che conservano di lui tanti esseri mi è sempre caro il nome di labindo; coronerà di poetici allori le di lui ceneri, sfrattanto il solo consolante pensiero, che Egli vive ancora nel cuor degli Amici, ponga un vel di filosofica rassegnazione su quel dolore da cui oppresso ritrovasi un amoroso Congiunto, un fedele Amico, un Estimatore dei suoi pregj qual é.

Livorno 12 9bre 1807


Suo Dev.mo Servitore
Gio. Ginesi
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Un foglietto trovato in ARCHIVIO FANTONI, non sappiamo da chi fu scritto, nella busta n. 226 ci dice:

“ Il Conte Giovanni Fantoni cognominato Labindo avendo determinato di trasferirsi in una Villa poco distante da MODENA detta Corticella su le rive del Panaro, ed abbandonato MASSA cui aveva domiciliato vari anni, proseguì il di lui desiato viaggio passando quindi per Fivizzano di lui patria è stato assalito da una terribile malattia di TIFO maligno per cui ha dovuto soccombere alle ore sette della sera del primo novembre 1807.
Dalla sua famiglia è stata fatta una solenne Funzione funebre, accompagnata di dolore e pianto universale dai suoi Amici, indi è stato trasportato il di lui Cadavere, al convento di Fivizzano, e tumulato presso la Chiesa ove riposano le ceneri di alcuni suoi Celebri Antenati. Circa fra sei mesi dalla Propria Famiglia sarà inalzato un monumento sopra le ceneri del medesimo per conservare la rimembranza alla Posterità di tanto Celebre e raro Talento.”

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Busta 282 Carlo Antonio Conti di Agnino, frazione di Fivizzano, scrive a Odoardo Fantoni
Prima di dare corso ad un proprio affare vuole il benestare del Conte per non interferire con gli interessi della potente famiglia. Singolare il modo di scrivere di un paesano, ma tipico di quei tempi. L'uso improprio delle doppie è tipico di chi parlava in dialetto.

Ill.mo Sig. Sig. Conte Colendissimo

In occasione che si prese l'incomodo di scrivere al Suo Sig. Frattello, circa la mia pretensione sopra la possessione d'Agnino, sono a pregarla di notificarmi se ha ancora hauto riscontro, perché mi sarebbe necessario sapere ò in un modo, ò nell'altro, e so che V. S. Illustrissima non è interessato in quest'affare, ma per Sua bontà la supplico haver cura di farmi avvisato, che senza di lui non voglio mover passo, e se gh'é possibile in breve me me lo aditi, che li sarò molto tenuto, e bramando l'onore dei suoi veneratissimi comandi pieno di stima mi ripetto.
Di V.S. Agnino 15 8bre 99


Affez.mo Servo
Carl'Antonio Conti

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Busta 282 Il Conte Luigi al fratello Giovanni-Labindo.
Parole bellissime, ma in definitiva Luigi cerca nel fratello un buon appoggio contro i nemici comuni, cioè i Fivizzanesi filo-tedeschi.


Carissimo Fratello

Firenze 21 Gennaio 1800


La Tortorella geme sola nel silenzio dei bagni; ma nella mia afflissione, hò un fratello che la divide. L'amico il più tenero non cerca che a consolare il mio dolore ; il mio fratello lo sento come me, se lo fa suo proprio. Si comunica egli la sua felicità con i suoi congiunti? La presenza d'un fratello l'aumenta. Le feste le più aggradevoli son quelle in cui vedo il mio caro, il festino più delizioso è quello, in cui egli è assiso à miei fianchi. La sua presenza deliquia la mia anima, io la veggo tutta intera nel suo seno. L'amistà fraterna ha tutte le tenerezze dell'amore. Una sforza amabile, e virtuosa c'inebria delle dolcezze dell'imenèo, dei figli degni di Voi colmano i vostri desideri. Volete Voi assicurare la vostra felicità? Che l'amistà fraterna si riunisca ad assodarla.
Con tali espressioni io vi mostro lo stato passato, e presente de' miei sentimenti per voi.
Io sorto da que' patimenti, e da quell'oppressione che de' sordi e perversi nemici con le loro segrete cabale e manovre mi hanno procurato, abbeverando l'anima mia di amarezze non meritate. Molto per altro si vuole inanzi che mi si ripristini l'antica quiete, e tranquillità. Provvedete Voi, e Agostino a una famiglia con tanto accanimento battuta, e depressa. Quel bravo, affabile, ed onesto il Sig. Barme Comandante Tedesco , non vi sarà sempre.
Tenete per certo che i delitti, e le finzioni ricominceranno ben presto ne' nostri astuti, e malvagi avversari, vere maschere, e imputabili più di qualunque altro che costì vi sia, in ogni genere. Prendiamo una risoluzione degna di noi, e mettiamoci in sicurezza.
Vi abbraccio con tutto il cuore il vostro sfortunato, ma innocente Aff.mo Fratello , che è a purgarsi, e rastinarsi (?) nel crogiolo dell'oro, e della verità.
Il vostro Luigi Fantoni

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Busta 282 Luigi al Fratello Odoardo dopo la morte di Labindo.
Anche in questa lettera Luigi mostra un poco di egoismo perché la spesa la vuole dividere per tre, ma l'opera marmorea la disegna solo lui.


Carissimo Fratello

Noletta 7 Marzo 1808

Vi accludo la lettera per Agostino. In ordine allo Schizzo frettolosamente si vede fatto, e trasmessomi da parte del Sig. Bargigli per una lapide sepolcrale per il defunto nostro Fratello, si sarebbe combinato meglio se ci fossimo un momento abboccati, e comunicateci le nostre idee.
Il suo disegno non presenta che un Cippo, elegante, tranne la corona d'alloro, non ha niente di singolare , e può esser comune a qualunque sepolcro, e per la quantità e lavoro maggiore del marmo, è più costoso d'una semplice sottile lapide statuaria cortornata d'una fascia in quadro, liscia, e senza cornice a uso di specchio di base, o piedistallo, a quello proporzionata per empire il vacuo, e della quale il Sig. Facchinelli stesso potrebbe definirne le misure, dipendente ciò dall'Architettura che noi con la minor spesa possibile diamo un'idea d'un deposito più grandioso, e adatto alla celebrità di Labindo, in somma che facciano un monumento vivo, e parlante, che fermi lo Spettatore, e il forestiero che lo vede, empiendo con la lapide, e la pittura tutta la Lunetta che sovrasta al luogo dell'inumazione. Ma è necessaria la figura d'una Fama alata seduta, e giocata sopra un'urna dipinta che con una mano tenga un Ovatto rizzato sul dorso dell'urna, e con l'altra finisca d'incidervi queste parole = A LABINDO= Per la figura si manda a prendere a Massa il Sig. Saverio, il resto cioè quello che è architettonico lo può eseguire il Sig. Facchinelli.
Nella Chiesa di Santa Croce di Firenze dove sono i Depositi de' più Grandi Uomini, ve ne sono tanti che non hanno altro in marmo che un'Iscrizione, il resto viene ajutato dalla Pittura, e tali monumenti appaiono belli, e maestosi assai. Anco nel caso si dovesse tramutare per una fatalità il Deposito, si butta poca spesa a male a dover rifare l'istessa pittura in altro spazio di luogo.
Sono 4 mesi che il Fratello è morto, c'inoltriamo verso la stagione buona, e fa torto se capita un forestiero che ne ricerca che la famiglia non ci abbia anche pensato.
Io per me tengo al 3zo di tutta la spesa per tal decorazione sepolcrale. La mia iscrizione latina è piaciuta a molta Gente e anche di fuori; posso mandarla a Firenze a farla meglio limare. Io ve la lessi, ad Agostino piacque. Se volete che si incida, si fa presto a dare la commissione, che assumerò io volentieri.
L'idea che mi date delle mutazioni politiche, è la stessa e sempre che mi comunicò il defunto Fratello. Sono abbracciandovi il Vostro Aff.mo Fratello
Luigi Fantoni






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Busta 283 Lettera di Caterina Millanteri Alberici da Fosdinovo al Conte Odoardo

Stimatissimo Conte Odoardo e Amico Preg.mo

L'esibitore della presente sarà Paolo Spadoni di Fosdinovo mio Mezzadro . Egli si reca costì nella speranza di ottenere a credito dalla di Lei famiglia quattro o cinque secchie di farina di castagne.
Se V.S. Può corrispondere alla di lui richiesta io l'assicuro che detto mio Mezzadro sarà puntuale al pagamento alla scadenza del tempo essendo possidente e responsabile e per vieppiù assicurarla garantisco io del dovuto pagamento.
Li affari di mio marito vanno bene. Egli saluta distintamente V.S. E tutti della di lei famiglia; io pure faccio lo stesso con tutto il mio cuore e pieno di stima e amicizia mi do l'onore di rassegnarmi

Caniparola 9 Giugno 1807

Caterina Millanteri Alberici


Busta 283 lettera di Ferdinando Negri

Pregiatissimo Signore

Dall'egregio Cavalire il sig. Co. Azzolino Malaspina ebbi le care notizie del mio Labindo ch'Ella favorì comunicarmi. Nel mentre che starò ansiosamente aspettando di Ella accresca un fregio all'Italiano Parnaso col dare in luce le poesie postune di quel sommo Poeta bramerei leggere gli elogi funebri intessutigli dall' Abate Gio. Landini e dal Sig. Lazzaro Brunetti, o saper almeno se questi sono impressi e dove. S'Ella potesse dunque aggiungere al ritratto di Labindo inciso dal Salvioni e alle composizioni in suo onore , l'uno o l'altro, o anche tutti e due questi elogi, io gliene sarei infinitamente tenuto.
Non creda che questa mia avidità di quanto a Labindo appartiene, nasca da progetto mio di fare una edizione delle sue cose. Non ardirei accingermi a simile impresa senza far cosa degna di lui, e dal poter ciò son ben lungi. Una giusta stima pe' versi dell' Orazio Italiano a ciò mi trasporta.
Esprimerle non lo so quanto io senta la gratitudine verso la di lei cortesia, né saprò mai dimenticarmi la amorevolezza e la compiacenza sul mio riguardo.
S'io valgo a servirla in guisa alcuna, riceverò i suoi comandi per favori che mi han luogo a contestarle la stima, e i sentimenti con cui mi pregio d'essere
Di Lei amabilissimo Sig. Conte

Mantova 6 Febbraio 1810

Dev. Obb.mo Servitore

Ferdinando Negri

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Questa che segue è la giustificazione o meglio difesa preparata dal Conte Luigi dall'accusa di essere stato un Giacobino e dalla parte dei Francesi. La trascrizione della lunga memoria si trova in Archivio Fantoni alla Busta n. 228.



MEMORIA APOLOGETICA
del Conte Luigi FANTONI
Patrizio Fiorentino e Mantovano
scritta da lui medesimo
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I nemici che in sostanza si riducono a pochi, ma potenti nel raggiro, e nella fazione dominante Fivizzano, sono i miei mascherati accusatori.
Questi nemici hanno portato in trionfo le insegne repubblicane, e padroni del Popolo da loro sedotto, ne vanno impuniti.
Questi immaginandosi venire alla disposizione della mia famiglia, mi hanno accusato di pretesa Genialità Francese, allegando, e facendomi imputare.

- Primo- berretto e livella messa in Chiesa.
-Di aver fatto una difesa alla Comunità di Fivizzano con uno scritto che essi malamente chiamano Progetto, ma che non è che una esposizione ad una legge francese; intitolato Esposizione di rapporti topografici e politici per la Comunità di Fivizzano nell'idea di annetterla nella Municipalità di Pontremoli.
Finalmente di aver scritto una lettera ad un certo Mommi in occasione dell'innalzamento del terzo albero, di aver fatto le iscrizioni e un discorso in tal funzione.
Rispondo al primo: che l'accusa è sventata e si riduce a mera calunnia, come costa dall'attestato giurato del maestro milanese (A) e da altri che occorrendo possono aversi non avendo mai avuto che fare in mettere il Berretto, e le livelle in Chiesa; anzi l'istesso maestro Milanese d'averci in avanti fatta lavorare soltanto l'Arme sovrana,.
Rispondo al n. 2: è verissimo che esiste uno scritto con la mia firma, intitolato: Esposizione di rapporti topografici, e politici per la comunità di Fivizzano nell'idea di annetterla alla Municipalità di Pontremoli, ma questo scritto fu disteso da me, per ordine e commissione del magistrato e cancelliere comunitativo, siccome giustifica il Partito del 20 aprile 1799 che si dà annesso (B) . La sostanza della deliberazione del magistrato era di rilevare il paese dai mali ed inconvenienti insoliti, ai quali andava soggetto secondo il piano francese sulla distribuzione delle Municipalità, e per la sua dipendenza negli affari. Economici da Pontremoli. Questo era allora uno dei progetti più cari e grandi del mio paese,. Mi fu universalmente raccomandato, con un impegno straordinario e per dettaglio esso soggiungere.
Che giammai lavoro pubblico ho intrapreso a fare con più acclamazione, e impegno del Magistrato, del Cancellire e degli abitanti,
Il capo della Comune CAMPI , ed il presidente di allora Dott. TESTA, diranno le premure grandi che me ne fecero. Il cancelliere sulla voce che io non volevo più accudire a fare tal lavoro, lasciò frettolosamente , ed ansante il Convento dei PP di San Francesco, distante un quarto di miglio da Fivizzano, e venne con il suo aiuto a scongiurarmi che non lasciassi di farlo per bene al pubblico, come a Lui, e suo aiuto medesimo possono e devono darsi le posizioni giurate, Se ciò è vero? E come gli proverei per altri versi se negasse altri del Popolo tanto di dentro, come di fuori di Fivizzano me ne parlarono con impegno, e benché operavasi mistero per ragione degli emuli Pontremolesi , io promisi corrispondere alle loro aspettative. La nuova di dover star soggetta la Comunità nostra alla municipalità di Pontremoli aveva così afflitto gli animi di tutti , che universalmente ne esternavano il dispiacere, e nel cantarsi pubblicamente nelle strade alcune canzoni popolari, si sentivano frammischiati gli intercalari: “Morte ai Pontremolesi”, fra quali il gobbo Vincenzo Lemmi fù sentito dirlo.
E' da notarsi che questo lavoro voluminoso, delicato, e difficile fù da me condotto a termine in soli due giorni. Lo passai al Magistrato che dopo averlo letto, ed esaminato, Lo approvò pienissimamente, ricoperse di lodi l'autore, e deliberò che fosse autenticato con la firma del Suo Confaloniere Sig: Carlo Campi; Secondo che si rileva con una maggior estensione di dettaglio dal Partito del 27 aprile 1799, che si dà pure annesso (C).
In seguito lo scritto suddetto fù trasmesso a Firenze ai Deputati della Comunità. Ma portatomi quasi subito alla Capitale, tenni alle pratiche con i Deputati suddetti,( nota sul margine: uno dei Deputati era il Dott. Jacopo Serafini) e arbitrando sulla loro commissione , e sulla loro facoltà lo ritirai dalle loro mani, prima che li fosse stato dato corpo; e siccome ne esisteva una copia nella cancelleria della Comunità, incombenzai con lettere in seguito il Rev.do Don Angelo Tonelli di darsi tutte le necessarie premure per sopprimere anche questa copia.
Vedi (E) Dimodoché dunque il mio lavoro non ebbe effetto alcuno attese queste mie particolari disposizioni. Si capirà bene che la difesa suddetta essendo diretta agli Agenti di un Governo Repubblicano, e per ottenere un gran bene alla mia Patria, io dovetti adoprare uno stile adattato alla loro maniera di trattare gli affari, e che potesse meritare la loro accoglienza senza offendersi dell'opposizione. Quindi mi sfuggirono de concetti di frasario Repubblicano, et altri artificiosi giri di discorso creduti argomenti convenienti, e buoni per le circostanze, che potei anche poco valutare nella fretta del lavoro, ed appunto per tale ragione meglio considerata in seguito la cosa, ne procurai la soppressione perché non si prendesse giammai da ciò motivo di dubitare della Lealtà dei miei sentimenti verso la Causa del mio Principio.
E' uno scritto che mutati i tempi ora è supervacaneo, anzi da me stesso ripudiato, ma che un avvocato non avrebbe fatto che per molti zecchini, io donai gratuitamente ad un Pubblico che io ho servito sempre con il massimo affetto, zelo, e attaccamento, ed ora alcuni maligni osano farmi un delitto di quello che lui stesso ha voluto! Come! Non dovevano tutti quelli della Popolazione istessa scusare, e difendere le mal'augurate circostanze impellenti a così scrivere, piuttosto che darmi una paga di sciagure, di guai, di disastri, a me , alla mia Famiglia dalla quale sono otto mesi che volontariamente ne sono staccato? Si saprà almeno qual paga dia Fivizzano a chi difende i suoi diritti? Le sue immunità, i suoi politici vantaggi, i suoi privilegi?
E' ancora rimarchevole l'immorale carattere degli Accusatori per questo caso.
Rispondo al n. 3:
Che è verissimo appartenere a me la lettera, e composizioni che mi si addebitano, salva però sempre la recognizione da me da farsi alla loro legittimità, e necessari confronti, ma il tutto aver operato per ordine del Comandante Francese , e Magistrato , come da sua deliberazione del 2 aprile 1799 (D) per la quale restai incaricato dell'innalzamento del terzo Albero, giacché altri due erano stati piantati , uno nella Piazza Grande della Fonte, l'altro nella Piazza dell'Ospedale detta il Campo. Da altre persone volontariamente avanti la venuta dei Francesi, e questo fù il primo coattivamente piantato . Ma è necessario riportare l'istoria fedele dei fatti.
La sera del primo Aprile di questo climaterico anno 1799, arrivò il Capo battaglione Francese
Desportes con molta truppa francese, ligure, e cisalpina a democratizzare Fivizzano, e venne a dimorare in casa mia con un suo aiutante, un segretario e altri Francesi. L'istessa sera alla fine della cena per ringraziamento mi fece una molta risentita paternale, dicendomi che ero un aristocratico, come possono deporre tutti quelli che erano a quella cena.
All'indomani, dì 2 aprile, sapendosi già in un piccol luogo che io aveva dirette con applauso, allorché venne il Granduca, le Feste pubbliche ( testimonio il Vicario Filippo Cercignani) disse che voleva che io presedessi a far seguire l'innalzamento di detto terzo albero, e succedaneo al posto del primo, e verso sera ordinò al Magistrato il Partito che se ne vede.
Da un Francese aveva sentito la proposizione in questo medesimo tempo, che la Toscana non sarebbe più uscita dalle mani loro, perché in ogni caso La Francia per assicurarsene, oltre il tenervi una forza presidiale, avrebbe levato da tutti i Paesi degli ostaggi delle meglio famiglie.
In seguito avendosi da altri dato l'esempio di abbattere per il Paese gli Stemmi, si sussurrò dal Popolo perché non buttava giù la mia Arme prontamente, onde in fretta mi convenne, essendo assai grande, e di marmo, drizzare degli stili, e spendere circa quattro Zecchini per tirarla giù dalla cantonata della mia Casa, che conservai, peraltro, con molta cura, e speranza in una stanza terrena in detta mia Casa. Fra tutti questi riflessi, il timore, la prudenza, la rabbia, e altre passioni
Così feci, e per il 5 preparai il nuovo albero, suoi annessi, macchine per l'illuminazione, iscrizioni,
discorso, che feci prima del Vicario Regio Riccieri, e del Comandante stesso. Io posso fare deporre per la verità che la notte precedente fui agitato, che punto dalla rabbia, e tinto in viso di mal umore feci eseguire la festa senza nemmeno desinare, come faranno fede de' Forestieri stati a pranzo in Casa mia, né il Popolo benché gli leggessi il discorso, mi vide punto lieto in viso, come alcuno fra esso notò.
Ecco ne' primi cinque giorni della democrazia nostra come seguì la festa per detto terzo Albero.
Si noti poi il mio patimento dall'aver veduto da Francesi di pulire gli Stivali con la biancheria fine damascata, in seguito lo strazio de' mobili de' quartieri buoni, delle grasce che avrebbero potuto nell'altro anno mantenere la mia Famiglia, Saccheggiarmi la Villa, con la baionetta sfondarmi il casino d'un calesse quasi nuovo, tutte cose da non avermi affezionato poco, ne molto al partito loro.
Ma torniamo ai soggetti d'imputazioni fattemi per i primi istanti di questa invasione.
Quando al Mommi scrissi la lettera era io già commissariato dal Magistrato. Era essa, una risposta ad una missiva di detto Mommi, che ritroverò farò vedere quanto era propenso a favorirmi l'Albero.
Io abbondai di lodi e di frasi Repubblicane, e d'inviti (questi voluti dal Comandante Francese) per incoraggiarlo, e tentarlo a farne un dono alla Comunità, ma in fondo attaccato più al suo interesse preferì questo alla generosità di donarlo, ed anzi feci una riduzione a quel di più che domandava nel prezzo. FF il curato Vannucci di Debicò presente li esamini poi il Moro della Bianca, il Jacomelli figlio della Gragnana, ed altri che diranno che asenza che io li scrivessi, detto Mommi non voleva dar nulla, onde nell'assegnatomi breve termine di due giorni, nel quale spazio avendo molta gente su per i monti, il tutto con spesa grande del Pubblico, a cercar detto albero, per finirla mi dovetti prestare a scriverli. La lettera, che si dice da lui, non so con quanta lode messa in Processo.
Circa le iscrizioni del piedistallo dell'albero io le feci la sera del dì 4, e sono un'imitazione di quelle che su i fogli pubblici si legge vanno fatte in Torino. Le scrisse su la tela il pittore Francesco Malloni. Il Comandante le vide avanti e le approvò perché voleva esser lodato: non sono contro la buona morale, ne contro la Monarchia, ne offendono alcuno.
Quanto al discorso è certo che lo feci per comando e presso del Comandante Francese Desportes, avendolo dettato io l' istessa mattina del dì 5 Aprile, conferma ne potrà avere la Fede dell'Amanuense stesso, ma essendoli parso poco energico, vi aggiunsi per compiacere detto Comandante le espressioni postillate di mio carattere. E' un'animosa calunnia il dire che vi aggiungessi dell'altro a braccio. Chi mi conosce sa che quanto veloce, e abbondante con la penna , altrettanto sono incapace di usare facondia estemporaneamente. Se il discorso brevissimo, in statera juventus est minus habens, viene per la ragione, che le cose lette altrui, e recitate = Segnius irritant animos demisa paures, quam quae sunt oculis subiecta fidelibus..........Onde questa minor sensazione non deve farmi inventare malignamente altri addebiti, ed esso discorso stà tal quale è scritto, e poterà trovarsi nelle recondite stanze della mia Casa, ne nulla ha di contrario alla Chiesa , e al Principe. Ma non parendoli assai il mio brevissimo discorso, il Comandante Francese obbligò il Vicario Regio Sig. Luigi Riccieri a farne uno subito dietro al mio, ma non contento di questi due, Egli stesso salì sopra a farne un terzo, che bene non fù inteso.
Tutte le suddette erano funzioni volute de plans, e a me addossate, d'ordine e di commissione come consta, al Comandante Francese, e Magistrato, in un Popolo di 1200 anime solito ricorrermi , e ne primi 4 giorni dell'invasione, onde i suddetti come Mandanti sono tenuti a rilevarmi indenne, ne io non ho colpa nelle sopradette imputazioni, perché era un mero esecutore degli ordini, e tal operato mirava al bene pubblico, che si conseguì, mentre il Paese fu messo in grazia al nuovo Governo, lodato, e risparmiato, per quanto in un sistema rapinatore si poteva ottenere. E non è questa un'ingratitudine di fare dell'ubbidienza da me alle Autorità prestata, del bene ricevuto una ritorsione a mio danno?
Ma prescindendo da tutto questo se si vuole andare dietro alla cattiva impressione che mutata era le circostanze, siasi fatto un brevissimo discorso a un Pubblico, scrutiniamo nella sostanza.
Ho fatto io di capriccio e di volontà nulla? Nò.
Vi era nulla contro il Principe? Nò
Vi era nulla contro la Religione? Nò
Dunque mi deve il Governo piuttosto esser grato, d'averlo fatto io più d'un altro; operché non lo so se uno che non avesse avuto la mia educazione, si sarebbe contenuto senza offendere nulla la persona del Principe, e la Religione. So che ho adempiuto al mio dovere, ma si è evitato nel mio luogo l'esempio di un mostruoso scandalo. Oh vi erano delle espressioni Repubblicane! Bisognerebbe castigare gli Arcivescovi di averne usato nelle loro Pastorali!
Ma se così odiose sono le persone, che hanno fatto discorsi in tal sorta di funzioni, devono distinguersi i volontari da coatti, ed inoltre, quanto me, dovrebbe castigarsi il Vicario stesso Riccieri , abbenché mio Processante, il Proposto Solferini, che predicò per l'albero eretto in Fivizzano dai Pollacchi, che fù il 4° ed ultimo; dovrebbe castigarsi il degno Pievano d'Asciano, che nell'erezione dell'albero fù obbligato dalle autorità Francesi a predicarvi. Ora se questi vanno impuniti, io pure devo andarvi.
Dunque nel Processo non mi vengono addebitati fatti spontanei, e costando la mia innocenza, avanti la venuta de Francesi, e dopo la loro partenza, ne essendovi alcuna cosa ne contro il Principe , ne contro la Religione, tutto si riduce a delle pure apparenze, e dimostrazioni, che gli ordini delle Autorità Francesi, e di Magistrati, le circostanze, o la Prudenza, o la forza hanno potuto, e potevano in quei tempi imperiosamente esigere.

Oltre le riferite Giustificazioni che fanno vedere il mio operato essere stato tutto forzato e niente volontario, io posso aggiungere delle ragioni comprovate dai fatti, circostanze e seguenti riflessioni.
Se si riguarderà l'epoca de' fatti che mi concernono, si vedrà che entro il primo mese dell'invasione tutti sono accaduti.
Ne' Paesi piccoli tutto si fa per gara, e per fazione. Io era astiato da quella che dominava il mio dispoticamente, sicché doveva correr pericolo in tanti rovesciamenti di cose, e di avvenimenti, a meno non fossi sortito del mio Paese, non dopo il primo mese, come ho fatto, ma sull'ingresso stesso in Toscana delle Truppe Francesi.
Io, l'avrei fatto, se non avessi temuto fatti più gravi.
Io l'ho fatto peraltro ai primi di maggio vedendo di compromettere la mia persona e mi portai alla dominante per non esser più coartato ad intrigarmi negli affari del tempo e per non esser Testimone della dilapidazione del Patrimonio Pubblico, del quale ero de maggiori contribuenti, e che si faceva da alcune sanguisughe nazionali, che ora ne godono pacificamente il frutto.
Ognuno rifletterà che mi sono allontanato dalla Patria in un tempo, che se fossi stato attaccato al Partito Francese, avrei potuto cacciare, perché di quel tempo essi dominavano in forza le cime degli Appennini, e tutta la provincia di Lunigiana, che hanno evacuata più tardi, e con più disastro del resto della Toscana.
Io non sono mai sortito dai confini della medesima.
Dai Francesi non sono stato trattato come amico, e loro corrispondente, poiché ho sofferto danni nella Casa di abitazione, Villa , Grasce, e Poderi e contribuzioni forzose e fatte in poche ore.
I miei Contadini si sono in Moncigoli, e Posara armati contro i Francesi. Ciò si prova con il saccheggio loro dato, e con la violenza e lo stupro alle loro femmine.
Io gli avea indotti avanti, come volontarj, a militare a mie spese sotto il Nostro Legittimo Sovrano, come costa dalle note date.
Io doveva nonostante per la perfidia, e malignità de' miei nemici, soccombere come vittima o al partito Francese o Austriaco, motivo per cui agitando i Legionari per ogni verso il Popolo, ho dovuto tenermi anche lontano dalla Patria.
Entra tra questi modi la maniera di aver fatto sussurrare fino de' primi giorni il Popolo, perchè buttassi giù la mia Arme gentilizia, assai enorme, come puossi vedere, onde mi convenne frettolosamente drizzare degli stili, onde formare il palco per levarla, e così acquietarli.
Nel lungo soggiorno fatto in Fivizzano della Guarnigione Polacca, fù fatto supporre che nella mia Casa vi fossero nascoste delle Coccarde Imperiali, onde si dovette subire una rigorosa perquisizione, e fù arrestato il mio Agente e Cavaliere Domenico Guidotti, e posto in carcere, come pure si voleva arrestare il mio Fratello Conte Odoardo, che a gravi suppliche, e impegni fù liberato.
Mia moglie per lettera chiedeva carte di sicurezza per tutta la Famiglia, che era seco, e nelle nostre assenze hanno tentato di farci passare per emigrati dirimpetto a Francesi.
Non contenti i malevoli di queste persecuzioni hanno incitato de' birbanti a farmi degli altri turbamenti, e violazioni di proprietà, per le quali cose mi riserbo fare gli opportuni ricorsi, implorando l'assistenza più speciale.
Alla loro doppiezza io ho opposto la mia schiettezza. Non ho negato, e velato quello che mi si è fatto fare. E perché eglino velano, e cuoprono, poiché affettano zelo i miei delatori, le azioni, non coatte, ma volontarie, e le dimostrazioni giacobiniche date pubblicamente dagli altri? Come dunque si è voluto involgere nelle imputazioni, ed astiar me coatto, e lasciar altri volontario?
Nell'accusare dunque il preteso Popolo si è mostrato parziale, meco ingrato, ingiusto, e in conseguenza fazionario, e gli sarà pienamente creduto? Non è già quella la miglior parte del Popolo, mentre nessuno de' galantuomini si é mosso contro di me. Ma alcuni pochi alla faccia della plebe più viziosa, e piena di tare, ed alcuni sedotti contadini, agitati dai capi della fazione del luogo a me contraria, e inimica. E' facile dimostrarlo de' miei accusatori, e testimonj contrari, dal vederli partigiani, e satelliti de' primi, e più fieri miei nemici, che ritenendo la maschera gli hanno fatti segretamente agire, e avendoli scelti birbanti, ancorché lo confessassero, si smentirebbero vituperandoli.
I Capi di questa infernale Fazione, sono già quindici anni, grande spazio dell'umana vita, che mi perseguitano, attraversando tutti i miei fisici, e mortali vantaggi, essendo un continuato sistema di diffamazione, e di calunnie.
L'odio non è tanto contro la persona mia, quanto contra tutta la Casa. La carcerazione del Fattore o Cassiere mio per le supposte nascoste Coccarde Tedesche lo fa vedere; l'arresto che si voleva fare contemporaneamente del conte Odoardo mio fratello, l'essersi anch'egli allontanato quando meditavano di farlo prendere ostaggio; l'accasamento impedito a mio figlio d'una Dama erede , per poche ha avuto quattro mesi, e mezzo di malattia e di disgusto, e a me di spesa a farlo viaggiare, e divagare. Sono tutte ragioni che provano il livore grande de' miei nemici, e persecutori.
Io sosterrò con animo forte per quanto la sensibilità e l'educazione Nobile mia potrà reggerlo, il funesto dono delle sciagure, onde mi hanno caricato, e coperto.
Mi duole abbino aspettato a farlo in un tempo, in cui può il Governo medesimo accreditar le loro oppinioni, e menzogne, ma lo prego, e scongiuro a separar dalla Pubblica causa, e da un simulato zelo, il privato rancore, la bassa invidia, le particolari vendette, e calunnie sopra di me.
E non gli si affaccierà altamente, come si è potuto accusare uno che non s'immischiava in affare alcuno se non cercato? Uno che per non immischiarsi più in nulla se ne era andato via, e s e ne viveva lontano, ora è il 9° mese staccato già dalla sua famiglia, ne mai ha brigato di cacciare, o di figurare? Chi ama più di ogni altro la sua quiete, e di vivere, e tornare sotto le Leggi Sante del suo Principe, cui, e al Pubblico ha date in tante occasioni riprova di zelo, e di attaccamento? Chi per 15 mesi all'anno almeno, attendeva ad eseguire delle coltivazioni, senza taccia di menzogna, le meglio intese, e più belle del Paese? Chi per il Rango più distinto sopra gli altri, e anche per la qualità delle proprietà che occupa, ha più interesse di coltivarle? Ma questa è la posta delle persone oneste quando vengono circuite, perseguitate e calunniate dai Malvagi, come sono tutti i miei nemici.
Dopo la privata si esamini la mia pubblica condotta.

( I )
Si vedrà l'onestà mi comprovata nelle pubbliche Deputazioni, sostenute avanti due Sovrani Leopoldo e Ferdinando III , come pure in quegli anni che ho esercitato le funzioni di Giudice dell'Appello, con non lasciarmi corrompere da regali, con le suppliche avanzarono spontanee alla Regia Consulta perché io dessi le cause compromissorie con taglio e stralcio. Veddi atti civili Grassi e Ghirlanda. Non vi è uno Stabilimento utile moderno, stò per dire, al quale io non abbia dato mano. Prova la memoria che fece, pregato dai Deputati del Paese, quando venne il Granduca Leopoldo, e che passò sotto l'approvazione del Vicario allora Filippo Cercignani di Pisa, il quale si può sentire.
Si vedrà essere stato io quello, che non ultroneamente ma pregato, ha diffeso molte memorie sopra strade, estimi, scuole, Vescovo, Moneta e Commercio in vantaggio di un Paese beneficato, di cui alcuni individui, profittando del momento, mi fanno oggi una guerra così atroce.
Fra i tratti che meritano di essere rilevati dell'odio di alcuni miei Compatrioti contro di me è quello del discorso tenuto nel Pubblico Tribunale di Fivizzano, cioè: che sebbene i miei progetti li ritenessero vantaggiosi al Paese, se gli faceva contro, perché non ne acquistassi considerazione.
Si vedrà ancora che fedelmente e con gratuito zelo ho servito i miei Sovrani Granduchi in diverse occasioni , e Ferdinando III, fino agli ultimi momenti, in cui ha lasciato la Toscana, mediante un carteggio continuato sopra una memoria a me ordinata per i Sali di Lunigiana, Stata applaudita da suoi Ministri.
Potrei umilmente, ma con franchezza dire al Governo: Io non ho con voi dei demeriti, ma de reali meriti. Mostrate di avermeli ricompensati? Dunque abbiate almeno de' riguardi, Se non volete comparire mostruosamente ingrato a chi vi ha con amore, e generosamente servito.
Finalmente tutti sanno come ne' miei Opuscoli, nelle Iscrizioni, Cippi, ed elogi Stampati ho fatto conoscere al Pubblico la felicità della Toscana governata da suoi legittimi Principi.
E un uomo che ha manifestato con i fatti i più luminosi un'attaccamento alla Persona del Suo Principe e alla sua Causa poteva egli mentire, quando non era nella situazione di comprare il favore della Corte a prezzo di una bassa adulazione? Nò : il Cuore animò sempre la sua condotta.
Se la mia penna anche in que' pochi scritti, commissionatimi ne' primi giorni dell'invasione , comparisse energica qualche volta, è perché non si può scrivere per un Pubblico, pur sovrano, oggetti grandi senza riscaldarsi, è perché in que' primi giorni della democratizzazione non ebbi in mira che il bene Pubblico del mio Paese, che avrei voluto mettere nel Ciborio stesso per renderlo più rispettato.
E giacché trattasi di soli scritti miei e contro di me devolti, io provoco la più rigorosa censura sopra l'universalità, e moltiplicità de' medesimi, perché tutti amminicolano la mia costante condotta, i miei astanti sentimenti, e si vedrà che Pubblico, e Sovrano sono stati in ogni tempo due idoli, verso i quali ho prodigato tutto il mio affetto, incensi, lodi, e voti.
E si darà l'esempio alla posterità di aver castigato tali nobili disinteressati sentimenti!!
Ma lo sollecitano pochi e vili nemici, che non mostrano il loro viso che con quello di sedotti idioti.
Contadini, o di alcuni della feccia della plebe, che sono forse i più iniqui brigati della terra. Mi accusano stranamente per l'operato in circostanze, in cui la popolazione con li Magistrati li comandavano, la popolazione che vilmente si prostrava a corteggiare, e adulare i Francesi.
E poi vogliono mostrar paura de' miei sentimenti? Temo più de' loro, che ho più da perdere , e vi ho maggior interesse nella conservazione delle cose mie; e per la loro parte vi furono de' giorni che non riconoscevano ne Ordini, ne Vicario, e se non era il bravo Comandante Tedesco Luone(?) Avrebbero eseguito una demagogia peggiore di quella perseguitano ne' Francesi.
Ma volete, o Giudici assicurarvi de' miei sentimenti, vi ho dimostrato con prove coidenti quali sono.
Resulta dunque, che io sono stato, e sono un buon suddito in confronto di quelli che volontariamente perversi si lasciano impuniti.
Resulta ancora che io, e la mia famiglia battuti, diffamati da de' Scellerati, non abbiamo altro delitto, che i loro dannevoli misfatti.
Oltre tutto le persone probe del Paese che invoco a deporre su la mia Condotta, e carattere si possono far interloquire i seguenti Sigg Stativi in Ufficio:
Sig Vicario Giubbilato Pietro Mortari di S. Sofia
Sig. Podestà de' Bagni, Sive
Sig: Podestà de Bagni e S. Giuliano, Natale Pagni
Sig. Vicario Giubbilato Filippo Cercignani di Pisa
Sig: Vicario Zannoni
Sig. Vicario Luigi Patani
Sig. Notaro Criminale Matteo Poggi
Sig. Vicario Claudio Masini
Sig. Notaro Civile giubbilato Luigi Braccini
Sig: Notaro Civile Luigi Ugolini
Sig. Cancelliere Carlo Guarducci
Sig: Cancelliere Francesco Mini
Sig. Cancelliere Dott. Francesco Pasquini.



Analisi
della mia difesa
Le resultanze del processo portano: che le calunnie si sono così smaccate, che cadono da sè.
Tutto il seguito a volontà d'altri, non è di ragione imputabile a me. L'ubbidienza prestata alla forza ne' primi giorni dell'invasione s'appoggiava ad una Legge, e aveva per base non questo timore, come risulta se si esaminerà la mia condotta, e i fatti che si allegano a mia difesa.
Dunque “ quod vi, metuque quisque gesavit” per le Regole Ricevute, va assoluto, ne incorre in pena.

Devotissimo CONTE LUIGI FANTONI


%%%%%%%%%%%%%%%


Trascrizione di manoscritto, contenuto nella busta n.230 dell'archivio Fantoni da me visionata in data 14/02/08 .Estensore del componimento è il Conte Agostino Fantoni con la collaborazione della sorella Anna divenuta cieca. Il componimento fu inviato per una visione critica allo zio Giovanni.

L'INVERNO

Minacciate dall'orride tempeste
Brevi son l'ore dei gelati giorni
E delle lunghe notti. Or tardi io veggo
Spuntar l'aurora e dopo lei dal monte
Sorgere il Sole , splendido ma fiacco
E poco ardente è il suo calore che forza
Di distrugger non ha l'acqua ghiacciata
E le rompe appena allorché in mezzo
Splende dal ciel il suo più caldo raggio;
Ma lentamente al suo sparir di nuovo
S'agghiacciano più forte i monti tutti
Che, in torno né circondano coperti
Di bianca neve, sembrano annunciarci
che ancor noi sotto i previ presto l'avremo.
Altro non mostra l'orrida campagna
Che nudi tronchi, ed alberi spogliati.
Si veggion solo al calcio loro le proprie
foglie ingiallite che cadute dai rami
Lasciò cadenti la natura stanca.
L'orbaco, il leccio, il bosso , l'alloro
Sol mantengono il verde, e i frutti inutili
Mai dell'olivo la preziosa pianta
Mantien con grossa foglia utili bacche
Che spesso svelte da furiosi fulmini,
Ali grave danno dai cultori di queste
Giaccion nei campi orde di queste, e mentre
Il prinque umore che in lor stà racchiuso
Lieto splenderà alle lunghe notti
E necessario condimento ai cibi
Cauto il cultore colla sua famiglia
Stassi a raccorle tutto il dì tenendo
Curva a terra la vita, e frà i cioppurgli
Pruni, e la strinata erba Lei cerca
né risparmia fatica anche allorquando
Più acuto è il freddo, e con le proprie dita
Assiduo tenta dalle terra trarle.
Ove fra l'acqua, e il gel confitte stanno,
né avaro di sudor, né i dì miglior
D'arar cessa la terra, onde alimenti
Se la famiglia, e il meritevol bue.
Sull'imbrunir poi della sera riedono
Tutti dal freddo intirizziti, e stanchi
Alla lor casa affumicata, e tosto
Pensano a ristorar le vuote membra
E con la sposa, e i cari figli incerchio
Siedono al fuoco, e semplici vivande
Avidamente mangiano tranquilli.
S'affaccia il vecchio padre alla finestra
All'aria aperta contemplando il tempo
E se in vece del suo color ceruleo
Tutto ingombrato il ciel vede di bianco
Mesto prevede la vicina neve.
Sdraiati poi sul loro duro letto i loro
Stanchi corpi abbandonano nel sonno
Che aver puossi più placido e profondo
Ma né superbi tetti il ricco intanto
Sedendo dove splende d'oro ed altro
da ben connesse poste, in stanza chiusa
Del rigid aere al penetrante soffio
Per lui pigre ad ingannar cerca la notte
E dentro sculti marmi il fuoco assiduo
D'aride legne alimentando, appresso
D'ozio, e di noia tacito sbadiglia
invano il suon di tremanti corde
Di metalli e di percossi, o dolci canti
O pinte carte per cui mal godute
L'impallidi volti additan l'oro
Cercano destar l'ilarità smarrita
Colà mendace Signoreggia intanto
L'adulzion bilinque, e la calunnia
Che coi mantici suoi l'invidia incita
Sopra i difetti altrui maligna ride
Poi di noia satollo, e d'ozio stanco
Nel riscaldato và morbido letto
Ma sdraiata con lui l'ingiusta cura
Langue tutt'ora e tiene aperti i lumi
Intorbida vigilia, e per il letto
Volger spesso li fa l'inquieto fianco
Oh quanto dorme più di lui tranquillo
Chi al lavor de' campi attese il giorno
Cui fatica condì la parca cena
E il duro letto spiumacciò stanchezza
Ma lasciar vuò in oblio l'ozioso ricco;
Dell'utile cultor meglio, è ch'io canti
Ch'vrà più gloria e onor il canto mio
Appena spunta l'alba egli al lavoro
La sera prima destinato pronto
In piedi s'alza, e s'incammina sopra
Le spalle sue recando grave inarca
Campestri arnesi i necessari ferri
Lieto del suo tugurio apre le porte
Mai schiuse appena con stupor rimira
Della aspettata neve ricoperta
Tutta la Terra, né però s'attrista
Che al buon cultor non manca mai travaglio
Dal tergo giù traendoli rimette
Al loro posto i ferri, e alla famiglia
Ordini intanto, e lavorii dispensa
Che degli armenti a ripulir le stalle
Chi dessi a rassettar rurali arnesi
A tesser giunchi e le sdrucite vesti
Rassetta, e ad or ad or corrono al fuoco
A sdormentar l'interizzite mani
ma in quell'orridi dì che e d'alta neve
tutta la terra è ricoperta i miseri
Smarriti augelli cercano avviliti
Rifugio in grembo a più folte macchie
E ne i luoghi più cupi, e quai che.......
Possono sopportare più lunga fame
L'atroce pena del bisogno aspetti
S'attardano a venir sopra le nostre
Finestre stesse, e con ingenua fede
Anche dentro le stanze, onde cercare
Necessario alimento. Ahi gli infelici
Noi si andrà rinchiuderli, e privarli,
Senza pietà, dell'innocente vita.
A quei che canti più rondano intorno
Le nostre case con la tesa nati
Occulti lacci, ed altri astuti inganni
Barbara morte gli si dà per farne
Gustosi arrosti in uno spiedo infitti.
Ma appena torna a dileguar la neve
Del sole il raggio, quei che salvi, e illesi
Restano a sorte dell'insidie nostre,
E dell'acuto freddo in ogni parte
Saltellano scherzando, e batton l'ali
Con gioia spiumacciandosi col becco,
E con il canto applaudono giulivi
Alla serenità che fa ritorno
Gode alla soglia della sua capanna
Sedendo il vecchierel di starsi al sole
Escon gli armenti ed aggiogando i bovi
Guida l'aratro a rivoltar la terra
Il provido cultore Ahi dell'Inverno
Breve è il seren come l'estiva pioggia!
Di tempesta foriera, ecco di nuovo
Aggira il vento le volanti foglie,
Ecco che rigonfiando inanzi spinge
Di densissime nubi oscura notte.
Ecco rapido lampo abbaglia gli occhi
E poi lo segue fragoroso il tuono
Che tremar fa la terra, e nella valle
Il decrescente mormorio prolunga
Squarcianti i fianchi delle nubi, e d'alto
Senti scrosciar precipitosa pioggia.
S'empiono i fiumi intanto, e torba scorre
Con un cupo fragor tumida l'onda.
E giù precipitandosi dal monte
Va rotolando smisurati sassi
L'urlante forza dei torrenti alpini.
Già s'intanan le belve, e ai loro asili
costretti furon di ritornar gli augelli,
Solleciti all'ovil dalla pastura
Tornar gli armenti coi Pastori ansanti,
E i tardi bovi stimolando a casa
Giunse d'acqua grondante il buon cultore
Siegue la pioggia intanto, e il vento infuria
Dalle capanne su gli stridenti tetti
Nel dabbio giorno orrida folta nebbia
Circonda il mondo di continua notte
E ricuopre di un vel l'orrida scena



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DISEGNO DEL VASARI in PALAZZO VECCHIO
A Firenze che rappresenta Fivizzano
PALA ordinata da BERTULI DE AGNINO
Pala rappresentante S. NICOLA DA TOLENTINO, ordinata da una famiglia di AGNINO al pittore fiorentinoZANOBI MACCHIAVELLI nato nel 1418 e morto nel 1478 che il VASARI dice allievo di Benozzo Gozzoli a sua volta allievo del GHIBERTI e del BEATO ANGELICO. E' il più bel dipinto che possiede il COMUNE DI FIVIZZANO.
interno Convento Agostiniani ora sede Biblioteca
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pila battesimale con il simbolo dei cavalieri del TAU
Foto fonte battesimale con il simbolo dei CAVALIERI DEL TAU, che erano frati ospedalieri di ALTOPASCIO che hanno avuto il loro massimo spendore nel secolo XIII.
Opera sita nella chiesa propositurale di Fivizzano.
In questo caso il simbolo del TAU che richiama il bardone dei pellegrini sia la croce è accompagnato dall' immagine di San Giacomo ed è quindi un simbolo del pellegrinaggio lungo la Via FRANCIGENA che conduceva da ROMA alla FRANCIA e a SANTIAGO DI COMPOSTELA.
Lo stesso simbolo fu ripreso poi anche da altri ordini religiosi come fece l'ordine Francescano o come l'ordine ospitaliero di Sant' Antonio che sulla veste portavano cucito il simbolo del TAU o croce a forma di T
il poeta LABINDO
Giovanni FANTONI nato a FIVIZZANO nel 1755 e morto nel 1807(ora sepolto nella chiesetta delle carceri) Fu poeta ARCADICO con il nome di LABINDO. Ebbe vasta fama in vita per le sue opere poetiche e patriottiche.
FONTANA MEDICEA DI NOTTE A NATALE
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campanile Chiesa di S. Giovanni
campanile CHIESA DI S. GIOVANNI distrutta dal terremoto del 1920
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Altare  della prepositurale
Concerto della banda musicale diretta dal maestro Rossi
FIVIZZANO visto da sud-est con sfondo Monte
TERGAGLIANA
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lunetta affrescata nel CONVENTO DEGLI AGOSTINIANI
http://it.wikipedia.org/wiki/fivizzano
http://www.lunigiana.net/fivizzano/default.htm
http://gruppostorico-fivizzano/indexaa.html
http://xoom.virgilio.it
http://xoom.virgilio.it
http://xoom.virgilio.it
FONTANA MEDICEA
Fontana di PIAZZA MEDICEA a Fivizzano.
SECOLO XVII.
UNA DELLE PIù BELLE FONTANE PUBBLICHE IN ITALIA, DOVE FERRO, MARMO E PIETRA SI FONDONO IN UN DISEGNO MIRABILE
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