Quindici marzo

 

Stasera sono ripiombato nel passato. Ho acceso la televisione ungherese e improvvisamente mi sono accorto: domani è il 15 marzo, festa nazionale in Ungheria! Come potevo dimenticarla? Forse non l’ho nemmeno dimenticato, al massimo, lo nascosto dietro a tanti problemi quotidiani, magari anche dietro a un risentimento personale, dietro a quei comportamenti irrazionali che sempre più sovente stiamo esercitando.

Domani è grande festa, festeggiano nuovamente l’inizio della rivoluzione contro gli Asburgo, là lontano, nella terra dove sono nato anch’io. Talvolta rischio di dimenticarla.

Ora ricordo; era il 1948, il centenario dell’evento e noi piccoli studenti eravamo pieni di entusiasmo nell’attesa del giorno più importante della nostra storia. Da allora abbiamo un altro di simile, sempre intriso di sangue soffocato sotto il tallone dello straniero occupante, chi da ovest, chi dall’est, domani chissà chi sarà di turno – lo vuole il destino magiaro – forse siamo già di nuovo sotto ma non ce ne accorgiamo. Sarà come sarà, non è ancora successo che in qualche modo non fosse successo, dice l’antico proverbio ungherese – forse non tutti lo capiranno, e non sarà l’unica cosa misteriosa.

Io ero il caposquadra nel preparare e affiggere le decorazioni, la nostra classe era piena di fotografie di Kossuth, di Petőfi e di Táncsis, gli eroi di quella che sfociò in guerra di indipendenza. Preparavamo delle scritte con lettere cubitali, inchiodandole sui muri con gli spilli sottratti a mia madre sarta. Non le dispiaceva, lei amava visceralmente la patria e tranquillamente si sarebbe immolata per difenderla, altro che una manciata di spilli. Io tredicenne, gustavo la storia un po’ di riflesso: erano i nostri che l’hanno scritta, io sarei stato un degno discendente per ricordarla. Nulla mi faceva pensare che non molto tempo dopo mi sarei trovato io sulle barricate per cacciare lo straniero, per mettere fine alla tirannia. Meno che mai avrei creduto di essere dimenticato o peggio, taciuto di invenzione. Io veneravo gli antichi eroi, ingenuamente credevo che avrei ricevuto anch’io la mia riconoscenza. Qui, dove vivo, non sanno anzi, non vogliono sapere ma non sarebbe meglio nemmeno se ritornassi. Sarei il vecchietto sorpassato che vive nei ricordi.  

Domani è grande festa e se mi ricordo, mi metto anche la coccarda tricolore. Mi guarderanno credendomi impazzito, ma io sarò contento: io so cosa ho fatto, il mio conto è a posto.

Ivan Plivelic

Ferrara

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 La primavera dei popoli 1848/Népek tavasza 1848

 

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