OSSERVATORIO
*** Ferrara e l'Altrove ***
ANNO VII/VIII – NN.
35/36
NOVEMBRE-DICEMBRE/GENNAIO-FEBBRAIO 2003/2004 FERRARA
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120 ANNI FA NACQUE GYULA JUHÁSZ ©
- A cura di Melinda Tamás-Tarr -
Nella primavera di quest'anno si
č celebrato il 120° anniversario
della nascita e il 66° della morte di un grande poeta magiaro: Gyula
(Giulio) Juhász (Szeged, 3 aprile 1883
– Szeged, 3 aprile 1937).
Qui, in
Italia, per me č sempre un momento emozionante ricordare un poeta o scrittore ungherese:
appartiene a me, alla mia tradizione culturale, alle mie origini che mi legano
alla mia Patria e terra natia. Ed oggi ancora di piů perché recentemente, nella
tarda primavera - inizio d'estate,
ho scoperto di essere una lontana parente di questo grande poeta magiaro
che con il suo talento poetico ha donato tanto alla cultura ungherese. Č una
sensazione straordinaria, anche perché nella parentela pochi avevano conosciuto
questo legame. Č vero che Gyula Juhász non ebbe famiglia, non si sposň e morě
66 anni fa suicida. La mia lontana
parentela č tramite il ramo della mia bisnonna materna. Grazie ad internet ho
anche scoperto un giovane ricercatore in genealogie lontano neoparente che pure
scoprendo la mia strepitosa notizia si č messo in contatto con me ed ora
insieme indaghiamo mettendo in comune
i risultati delle nostre ricerche che ci hanno giŕ portato ad un risultato piů che soddisfacente. Ho
scoperto un ramo di parentela sconosciuta che ufficialmente non sapevano
neanche gli studiosi, neppure lo studioso di genetica che analizzň l'albero
genealogico di Juhász Gyula a proposito del grave stato di salute del poeta che
alla fine si suicidň.
Gli avi
materni del poeta discendono originariamente dalla famiglia nobile, ma
impoverita, Kálló dell'Ungheria settentrionale e sono rintracciabili fino al
regno del re Mattia del Quattrocento.
Padre
Illés Juhász, madre Matild Kálló.
Era una famiglia molto estesa con tantissimi figli in ogni rampo di
parentela. Proprio a causa di questa vasta ramificazione non sono riuscita a
scoprire alcuni altri parenti discendenti degli Ományi Kálló fino alla mia scoperta la quale č stata confermata da un mio
lontano parente, da poco
telematicamente conosciuto. Una
famiglia di cui ha origine anche il famoso martire arciprete Ferenc
Ományi Kálló, cugino del Dr. Antal
Kálló, famoso medico primario e scienziato anamotopatologo dell'ospedale St.
János (S. Giovanni) - a sua volta cugino
del padre di Gyula Juhász - ucciso barbaramente dai fascisti. [Vedasi l'articolo dell'«Osservatorio
Letterario ANNO III NN. 9/10 LUGLIO-AGOSTO/SETTEMBRE-OTTBORE 1999.] Lo zio Feri, il Piccolo - cosě fu
nominato in famiglia - era primo cugino della mia nonna materna.
Gyula Juhász fu professore, poeta e giornalista. Era un uomo molto silenzioso, introverso, impacciato, ma
dietro questo suo atteggiamento c'era l’anima di un uomo che non scendeva mai a
compromessi, un uomo che restava fedele alle sue sacre idee, e che
riappacificava in sé l'umile fede ereditata dalla famiglia e la sua visione del
mondo presente nella sua anima e
nella sua lirica.
In tutta la generazione del periodico letterario «Nyugat»/«L'Occidente» oltre ad Endre Ady
forse fu lui il piů vicino alle idee del socialismo oltre ad essere anche il
piů religioso. La sua vita non fu nient'altro che una lunga serie di affanni e
disgrazie, la felicitŕ dell'amore gli fu sempre negato e ciň nonostante Gyula Juhász divenne
il piů grande lirico d'amore della poesia ungherese. Apparteneva alla categoria
della gente estremamente sensibile di cui si suol dire: «non č adatto per
questo mondo». Di ciň egli ne fu consapevole, tentň piů volte di uscire dalla
sua vita finché un giorno ci
riuscě…
Quantitativamente la sua attivitŕ poetica non fu tanto ampia quanto
quella dei suoi colleghi coetani piů famosi, ma nella profonditŕ delle
emozioni, nell'intimitŕ del cuore nessuno puň raggiungerlo, nessuno puň essere
messo davanti a lui!
Nacque
in una famiglia di piccola borghesia molto religiosa, era un ragazzino esile,
goffo, la sua gioventů la trascorse a leggere e a fantasticare. Studiň dai
preti e volle diventare tale. Da Szeged andň a studiare a Vác nel convento dei
novizi degli Scolopi. Frequentava ancora il liceo quando suo padre morě.
Diventando orfano, conoscendo le gravi difficoltŕ della sopravvivenza, il suo
desiderio di diventare prete divenne ancora piů forte e quando concluse gli
esami di maturitŕ divenne novizio. Perň presto scoprě di non avere la vocazione,
che quella vita non era per lui. Lasciando i preti a 19 anni si iscrisse alla
facoltŕ di lingua e letteratura ungherese e latina all'Universitŕ di Budapeste
per la formazione dei professori e divenne tale. All'universitŕ incontrň
un'ottima compagnia: fece amicizia col futuro dotto poeta nyugatiano Mihály
(Michele) Babits e Dezső (Desiderio [?]) Kosztolányi. Partirono insieme per
diventare poeti e scienziati. Loro tre furono le grandi speranze della
generazione nyugatiana. Nel 1905 fece conoscenza con la poesia di Ady nella quale riconosceva subito lo
spirito del secolo. Lui rimase il piů fedele, anche al suo ricordo, tra tutti
gli altri autori contemporanei del periodico. Riconobbe in Ady non soltanto il
rivoluzionario della lirica, ma capě e comprese anche il contenuto sociale
delle sue poesie.
Dopo la
laurea di professore di ungherese e di latino trovň lavoro nel liceo di una
localitŕ isolata e lontanissima dall'attiva circolazione intellettuale. Non ebbe
compagnia adatta, cosě fu priva d'eco la sua attivitŕ poetica. Da questo
momento iniziarono i primi sintomi della malattia nevrotica trasmessa dal
padre. Soffrě di continui e forti cefalie e cominciň a pensare al suicidio
nonostante la stima e la considerazione dei compagni poeti; finché grazie ad
uno di loro e nella sua cittŕ natia, a Szeged nel 1907 uscě il suo primo volume
di poesia. Per sua fortuna lo trasferirono per sostituire un collega a Nagyvárad (Oradea nella Romania attuale) dove
finalmente si trovň in un attivo e vivace centro intellettuale, fece parte
della redazione del periodico «A Holnap»/«Il
Domani» tramite il
quale ebbe grande fama nazionale, assieme ad Ady e Babits. In seguito nacque
anche il giŕ sopraccitato
periodico «Nyugat» di cui fu collaboratore dal primo
numero.
La sua
poesia si sviluppň lentamente. Durante gli ani degli studi liceali lo
influenzarono le poesie di Gyula Reviczky, del poeta allora di gran moda Emil
(Emilio) Ábrányi, le liriche di
József (Giuseppe) Kiss che erano nuove e melodiose e che lasciarono
profonde impronte sull'intera generazione. Durante gli anni universitari
assieme ai suoi compagni scoprě le ereditŕ di Jenő Komjáthy e conobbe la
moderna poesia simbolista - impressionista - decadente dell'Europa Occidentale.
Nagyvárad fu
una cittŕ importante sia nella vita che nello sviluppo poetico del Juhász. Qui
egli incontrň l'amore disperato
per cui creň le stupende liriche ispirate da Anna, con la quale non ebbe un rapporto duraturo. Ma
l'Anna idealizzata delle sue liriche non c'entra assolutamente nulla con la
vera dama mondana di Nagyvárad. Il poeta che visse sempre di piů in solitudine
scrisse le liriche emozionalmente sempre piů profonde, sempre piů penetranti.
Poi lo trasferirono di nuovo in un lontano e sepolto luogo di campagna,
isolato dal vivace centro intellettuale, un episodio da cui nacque uno
straordinario romanzo psicologico dove descriveva la vita sepolta dalla polvere intitolata «Orbán lelke»/«L'anima di Orbán». Ma
vivendo in quel mondo non riusciva a sopportarlo e nell'inverno 1914 tentň di
suicidarsi, ma lo salvarono in estremis. Vi riprovň anche altre volte con vari
metodi, ma riuscirono a salvarlo di nuovo.
Unico sereno periodo della sua vita fu l'anno 1919: in questo periodo visse
di nuovo a Szeged avendo incarichi sociali importanti. Fu sereno, ottimista,
pieno di attivitŕ, i problemi nevrotici sembravano scomparire definitivamente.
Divenne direttore del Teatro di Szeged, organizzň programmi rivoluzionari. Ma
tutto fině con il fallimento della
rivoluzione e di conseguenza non poté piů fare neanche l'insegnante. Mentre gli
altri autori nyugatiani cercarono di fare dei compromessi con il governo
antirivoluzionario, Gyula Juhász fu irremovibile: rimase fedele al suo passato rivoluzionario per tutta la sua
vita senza mai negarlo.
Avendo esperienze di umiliazioni, nel suo grande sconforto cresceva in
lui la sua profonda religiositŕ, divenne solidale con gli operai e fu anche il
poeta dei proletari, degno erede di Ady e fu predecessore di Attila József.
Nello stesso periodo divenne il portavoce anche dei gravi problemi dei
contadini impoveriti.
Dal momento del suo ritorno a Szeged, la sua vita s'intrecciň con la
cittŕ dove fece anche per bravissimo tempo il giornalista. La sua prosa
pubblicistica, ed anche quella delle belle lettere, hanno uno stile molto
ricercato e poetico. Qui fa amicizia anche con Ferenc (Francesco) Móra chi vive
in questa cittŕ, intorno a lui si svolge una vivace vita culturale, che perň
non attenua quel senso di solitudine che porta sempre dentro di sé.
Unica sua consolazione era la poesia. La sua arte si era sviluppata al massimo. Il suo mondo
poetico era costituito dai problemi sociali, dall'amore disperato, del piacere
delle bellezze d'arte, la fede religiosa profonda e cosě cercava di sfuggire
dall'enorme peso della realtŕ. Le sue liriche hanno una voce dal tono basso,
sono indirizzate all'anima, sono finemente sfumate e limate degne di un poeta dotto. Scisse molti
sonetti utilizzando con molta sicurezza
le forme antiche della versificazione. Si percepisce qualcosa di trasognante in
tutta la sua lirica.
Perň mancava
il riconoscimento ufficiale della
sua poesia. Solo i poeti dell’«L'Occidente»
lo riconoscevano come uno di loro. Non aveva neanche problemi finanziari,
perché vinse il Premio Baumgarten ben tre volte, e la somma corrispondente al
Premio gli assicurava un livello di vita dignitoso. Ma nel vuoto del secolo non
trovň nessuna valida ragione. Non ebbe mai la felicitŕ della vita privata,
sempre portava dentro di sé il pessimismo originato dai problemi dei
nervi. Dall'etŕ giovanile tentň
piů volte di uscire dalla vita, non aveva niente che lo dissuadesse, che lo fermasse. Era il
poeta della tristezza. Ed alla fine, proprio nel giorno del suo 54°
compleanno riuscě a togliersi la
vita. Ora riportiamo alcune
sue liriche:
ANNA UTÁN Ez szomorú ősz
lesz. Hol vagy Anna? Milyen
volt a csókod? Bánatórák, ó az én
időm ez, Bágyadt rózsák, ez
szomorú ősz lesz! Csókolom a lelked. Hol vagy Anna? Milyen volt a könnyed? Régi könnyek, te már elfeledted, De én értük csókolom a lelked! Látni szeretnélek. Hol vagy Anna, vezet-e út hozzád? Visszatérjek? Ó be nagyon félek, Megölnétek százszorszép emlékek! MILYEN
VOLT… Milyen volt szőkesége, nem tudom már, De azt tudom, hogy szőkék a mezők, Ha dús kalásszal jő a sárguló nyár, S e szőkeségben újra érzem őt. Milyen volt szeme kékje, nem tudom már, De ha kinyílnak ősszel az egek, A szeptemberi bágyadt búcsúzónál Szeme színére visszarévedek. Milyen volt hangja selyme, sem tudom már, De tavaszodván, ha sóhajt a rét, Úgy érzem, Anna meleg szava szól át Egy tavaszból, mely messze, mint az ég. SZAVAK Szavak, csodálatos szavak. Békítenek, lázítanak. Eldöntenek egy életet. Följárnak, mint kisértetek. Szárnyalnak, mint a gondolat. Görnyedve hordnak gondokat. Világokat jelentenek. Meghaltál, ha már nincsenek. Dalolnak és dadognak ők. Gügyögnek, mint a szeretők. Ölnek és feltámasztanak. Szavak, csodálatos
szavak. |
DOPO ANNA Questo sarŕ un
autunno triste. Dove sei Anna?
Com'era il tuo bacio? Ore tristi, o, il
mio tempo č questo, Rose assopite, sarŕ
un autunno triste! Do un bacio alla
tua anima. Dove sei Anna?
Com'era il tuo pianto? Pianto remoto, da
te giŕ scordato, Ma per esso bacio
la tua anima. Io desidererei
vederti. Dove sei Anna, che
via guida da te? Devo ritornare? O,
che spaventi! Ricordi stupendi,
mi uccidereste! DI CHE… Di che biondo ella
fosse ormai non so, Perň i campi sono
biondi, se il caldo Viene con ricca
messe d'oro, lo so, E l'avverto
un'altra volta in quel biondo. Giŕ non so di che
azzurro era il suo sguardo, Ma negli squarci di
cielo autunnale Nell'addio languido
di settembre Al color dei suoi
occhi ancora approdo. Di che seta era la
voce neppure so, Ma in risveglio il
prato se sospira, La calda voce di
Anna pare giunga Da
primavera remota come il cielo. PAROLE Parole,
meravigliose parole. Placano, istigano
alle rivolte. Quelle sentenziano
una vita. Danno tormento come
un fantasma. Aleggiano come i
pensieri. Inchinate portano i
dispiaceri. Palesano un intero
universo. Sei morto privo del
loro possesso. Quelle cantano e
sono balbuzienti. Vezzeggiano quanto
fanno gli amanti. Uccidono e fanno
resuscitare. Parole,
meravigliose parole. Traduzioni Ó di Melinda Tamás-Tarr |