OSSERVATORIO LETTERARIO 

*** Ferrara e l'Altrove ***

 

ANNO VII/VIII – NN. 35/36    NOVEMBRE-DICEMBRE/GENNAIO-FEBBRAIO 2003/2004     FERRARA

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A PROPOSITO DI UN'ALTRA SORPRESA…

 


  Come nell'editoriale ho anticipato, il 5 ottobre scorso ho ricevuto una e-mail dalla signora Júlia Ránki,  reporter e redattrice delle trasmissioni radiofoniche della Radio Magiara Nazionale per invitarmi al collegamento telefonico on-line durante una trasmissione del programma intitolato «Il giorno radiofonico delle culture europee» del 12 ottobre in cui partecipavano 91 radio provenienti da varie nazioni europee. Il mio ruolo sarebbe stato di brevemente presentare la città di mia residenza, Ferrara, ai radioascoltatori ungheresi e parlare delle mie esperienze personali. Proprio quest'ultimo è stato il motivo per cui ho saggiamente rifiutato la mia partecipazione durante la conversazione telefonica seguita dopo la corrispondenza telematica…

   Avrei accettato volentieri soltanto la presentazione generale della mi città di residenza, ma nemmeno per sogno il discorso delle mie esperienze personali.   Su questo tema avrei disegnato un quadro molto scuro. Perciò siamo rimaste d'accordo che la collaborazione radiofonica l’avremmo rimandata ad un'altra volta se sarà mai…

   Se avessi accettato non avrei potuto dire nient'altro che le cose seguenti:

 

   «Buona sera! Saluto tutti i radioascoltatori compatrioti della Radio Petőfi da Ferrara, città della regione di Emilia-Romagna di circa 150.000-153.000 abitanti, capoluogo dell'omonima provincia, posta a 9 metri sul livello del mare, nella pianura alla destra del Po. È composta di un nucleo medievale e di una parte cinquecentesca, aggiunta da Ercole I d'Este, caratterizzata da vie ampie e rettilinee fiancheggiate  da superbi palazzi.

    Quando s'avvolge  nel suo mantello di nebbia inevitabilmente mi vengono in mente i misteriosi cavalieri di nebbia del nostro grande scrittore Gyula Krúdy. A partire dall'inizio del XIX sec. sobborghi e quartieri periferici si sono dilatati in ogni direzione oltre l'antica cinta di mura. Fuori da Porta Po e da Porta Catena è in atto la saldatura con la zona industriale che si espande a nord-ovest  verso Pontelagoscuro. L'economia cittadina si fonda essenzialmente sull'agricoltura, l'allevamento e le industrie connesse (alimentari, meccaniche, chimiche, tessili, cartarie e del mobile).

   Sorta nell'alto Medioevo. Secondo un  antico documento memoriale il 15 agosto 698: a causa della persecuzione da parte dei bolognesi e ravennati la gente fuggì in queste parti attraversando l’antico fiume  Po con l'aiuto di un ponte costruito dalle barche di Acarino D'Este, così Ferrara il 15 agosto di quest'anno ha compiuto 1305 anni. La città poi passò alla Chiesa nel 774 dopo essere stata ducato longobardo. Contesa a lungo tra gli Estensi ed i Salinguerra, toccò nel 1240 ai primi, che la tennero nonostante i vari tentativi dei papi di impadronirsene. Raggiunse il massimo splendore tra la seconda metà del Quattrocento e la prima metà del Cinquecento e divenne in tale periodo uno dei maggiori centri culturali europei (la fondazione della sua università risale al 1391), splendido cenacolo di poeti, scrittori e artisti di ogni genere, sede di una famosa manifattura di arazzi. (Arazzi di Ferrara: tessuti a Ferrara dall'inizio del Quattrocento al 1580 ca. sotto la direzione di maestri fiamminghi  —Andrea de Flemalia, J. Mille, G. e N. Karcher—, furono spesso eseguiti su cartoni di pittori famosi, come C. Tura, Giulio Romani, il Garofalo e G. Arcimboldi.)

Qui visse per un periodo Torquato Tasso, qui nacque Ludovico Ariosto. Celebre il rifiuto di quest'ultimo di seguire a Buda [N.d.R. la capitale magiara d'allora, e non esisteva ancora la capitale odierna Budapest: quest'ultima nacque con la unificazione di Buda Antica, Buda e Pest soltanto nel 1873.] il cardinale Ippolito d'Este, fratello del duca Alfonso I d'Este, quando questi sarà stato nominato vescovo di Buda. Noi magiari non dimentichiamo mai sottolineare la presenza del nostro Ianus Pannonius (János Csezmiczei) anche in questa città, considerato il padre della cultura ungherese, che venne a Ferrara come allievo del celebre e grande umanista Guarino Guarini. Esiste anche una strada di Ferrara che porta il nome del grande poeta umanista magiaro. Un anno fa, in occasione dell'Anno della cultura Ungherese a Ferrara si svolse un convegno su Ianus Pannonius di cui abbiamo dato puntualmente notizia [v. NN. 29/30 NOVEMBRE-DICEMBRE/GENNAIO-FEBBRAIO 2002/2003, PP. 65].

   È da evidenziare la sua famosa  scuola di pittura dove troviamo i nomi  dei seguenti celebri pittori: Cosmé Tura, Francesco del Cossa, Ercole Roberti, Lorenzo Costa, Rosso Rossi.

   Tra i monumenti e le opere d'arte di cui Ferrara è particolarmente ricca, vanno ricordati lo splendido Castello Estense, iniziato nel 1385 da Bartolino da Novara e terminato nel 1570, e il duomo (1135), con la facciata romanico-gotica, i portali scolpiti da Maestro Nicolò e il campanile attribuito a L. B. Alberti. A Biagio Rossetti sono dovuti, oltre al piano regolatore della città, eseguito per Ercole d'Este (Addizione Erculea): la  chiesa di S. Francesco (1494-1515); in parte il palazzo Schifanoia, al cui interno si trovano i celebri affreschi della Sala dei Mesi, eseguiti da F. del Cossa e dalla sua scuola; il palazzo di Ludovico il Moro ed il palazzo dei Diamanti (1493; compiuto nel 1555).

   Nel 1458, con l'inserimento della città negli Stati della Chiesa s'iniziò il periodo di decadenza. Poi occupata dall'Austria tra il 1847 ed il 1859, entrò nel Regno d'Italia nel 1860.

     Il castello imponente nel cuore della città ci fa ricordare il passato remoto e con i suoi bastioni è il grave «ornamento» del dispotismo. A questo ricordo è degno l'orrore del 15 novembre 1943: in quel giorno i fascisti  fucilarono vari patrioti proprio accanto al fossato del castello. Sono passati 60 ani da quella lunga notte, quando undici ferraresi vennero barbaramente fucilati dalle squadre fasciste delle brigate nere di Ferrara, Verona e Padova. Una targa affissa  sul muretto del delitto ricorda di continuo i martiri abbattuti lungo la strada che collega il  castello al duomo.

   Un forestiero trascorrendo un po' di tempo in città nota subito un ambiente chiuso e rigido… Quest'atmosfera  poco calorosa ha radici profonde, storicamente sono spiegabili. Si dice che i ferraresi abbiano molto in comune con gli olandesi: la terra non l'hanno avuta da madre Natura, ma l'hanno strappata, metro per metro, al mare e alle paludi che un tempo accerchiavano la città estense, sempre sotto il pericolo delle alluvioni del Po che seminavano miseria, fame e morte. Giorgio Gandini nel suo libro intitolato «La notte del terrore» narrando la tragedia di 60 anni fa sopraccitata  dice dei ferraresi:

 

    «…I ferraresi, forse, sono solo ferraresi; con un carattere simile agli olandesi, puro come il pane che hanno dovuto strappare ad una terra sepolta dalle acque; oppressi da un clima sempre nebbioso, freddo, umido o torrido; soffocati dal dispotismo di signori che amavano cortigiani, e bestie quanto odiavano gli uomini desiderosi di libertà.

   La Natura non è stata generosa coi ferraresi. Ed è forse per questo che il loro carattere è duro, indipendente e insofferente alle ingiustizie. Per questo, nel secolo scorso, trovarono terreno fertile i movimenti anarchico, socialista e antimilitarista. Troppo volte li avevano ingannati. Così, quando dopo la guerra del '15-'18 tornarono alle loro case e ritrovarono la fame e le ingiustizie di sempre e, per giunta, l'epidemia "spagnola", si ribellarono con lotte e scioperi dettati più dall'odio che dalla ragione.

   Lo scontro frontale fu inevitabile: da una parte masse lavoratrici affamate, che vivevano in condizioni di mortificante indigenza, con rapporti di sudditanza caratteristici della più arretrata condizione feudale. Gente che in quei   giorni non sognava la generosità della Provvidenza, ma il socialismo dei soviet.

   Dall'altra parte il capitalismo agrario (con un'industria appena nascente) che voleva sfuggire alla inarrestabile decadenza delle sue basi economiche e politiche, per riuscire a mantenere la legge del massimo sfruttamento per il massimo profitto, "A tutti i costi!"

   Questo "costo" era il fascismo, nato anche dalla protesta, dal bisogno di cambiare. Un "costo" che fu altissimo: la perdita della libertà, della democrazia; l'instaurazione della dittatura mussoliniana, la guerra, la rovina del Paese…»

 

    Adesso però viviamo in pace, ma non senza difficoltà e molti gravi problemi. La sopravvivenza, l'assicurazione  del pane quotidiano, per molta gente è purtroppo un grosso problema quotidiano. E Ferrara non offre granché nel mondo del lavoro. I più fortunati l'hanno piuttosto trovato altrove in altre città di provincia o addirittura in altre regioni.

   20 anni fa sono arrivata in questa città architettonicamente ed artisticamente splendida, ma del resto opprimente come il suo clima.

   Avrei potuto fare per la trasmissione radiofonica quindi questa  presentazione e volevo fermarmi qua. Parlare invece  delle mie personali e sfortunate esperienze di vita quotidiana non sarei riuscita. Perché avrei dovuto parlare soltanto dei tentativi inutili di trovare un lavoro dignitoso che avesse potuto garantire una indipendenza economica, dei massimi  sfruttamenti dei miei 20 anni di permanenza ferrarese. E se penso che ho lasciato dietro le mie spalle una esistenza finanziaria indipendente e dignitosa, e proprietà ed immobili, e che sposandomi e trasferendomi ho perso tutto quello che avevo appena costruito nella mia Patria d'origine… — mi vengono dei brividi…—,  e che qui non sono riuscita ad ottenere alcuna soluzione soddisfacente, ma soltanto delle briciole occasionali  non sufficienti per una vita dignitosa ed indipendente, mi sento veramente molto amareggiata. Quel po’ di lavoro trovato a Ferrara è del tutto precario e saltuario:   ci sono lunghi mesi privi di commissioni. Allora non si lavora, e non si guadagna e si deve subire lo status di minorenni: essere mantenuti. Eppure in questi lunghi due decenni non sono rimasta con le braccia incrociate: ho prodotto un mare di curriculum, ho partecipato ai corsi d'aggiornamento professionale, ho seguito vari corsi universitari e tanti altri  lasciando le impronte dei miei lavori professionali per dimostrare le mie competenze. Non è servito niente!

   Perché ho deciso di fondare l'«Osservatorio Letterario»?  Ecco la risposta:

   Nell'ottobre 1997 ho fondato e realizzato questo periodico, proprio motivata dai rifiuti continui che ho subito in ogni sfera intellettuale fin dal momento del mio arrivo (dic. 1983), ufficialmente dal 1986 marzo, cioè dall'ottenimento della cittadinanza italiana. Perché in questo periodo della mia vita per le mie richieste di collaborazione —oltre ad altre mie richieste lavorative— ho ricevuto dalle case editrici e da tutte le testate nazionali, regionali, provinciali e locali il rifiuto con le seguenti “motivazioni” anche dopo i notevoli riconoscimenti e testimonianze delle mie capacità intellettuali  (non si dimentichi che sono laureata ed abilitata praticamente  in cinque discipline letterarie inclusa anche la preparazione pedagogica e psicologia!)—: «…a nome del Direttore La ringraziamo per la Sua offerta di collaborazione che terremo in evidenza per il futuro…», «… il direttore La ringrazia per la Sua lettera con l'elenco delle connotazioni professionali e la proposta di collaborazione. Purtroppo i programmi editoriali della ns. testata non prevedono al momento un allargamento dell'organico e pongono anche qualche limite al ricorso a collaborazioni esterne in quanto il nostro staff è completo…»   

   Grandi sacrifici, tante ore di lavoro e spese, guadagno niente. Incluse tutte le mie attività occasionali da libera professionista  — anche quelle degli impegni familiari ­ — il mio orario di lavoro continuo, senza sosta, è dalle 7 alle 24 e qualche volta oltre. 

    Unica soddisfazione ho che grazie al lavoro svolto e documentato dal 2000 ufficialmente appartengo all'Ordine dei Giornalisti Italiani ed in veste di giornalista pubblicista  — accanto alle altre prestazioni professionali e per questo non aspiro allo stato di giornalista professionista  — posso praticare il giornalismo letterario tenendomi regolarmente occupata e così ritardare il processo della senilità  provocata dalla sforzata inattività intellettuale. Spero che il mio status di giornalista-pubblicista non venga minacciata dopo che finalmente sono riuscita ad ottenerlo: appartengo all'Ordine dei Giornalisti Italiani che ha 40 anni, cioè dieci anni in meno della mia età anagrafica…

   Ma se non avessi fondato la rivista, e non avessi trovato il mio Direttore Responsabile iscritto all'Ordine  —senza tale figura non si può fondare alcuna testata— fino ad ora avrei collezionato soltanto le risposte standard sopra citate!… Non mi ha favorito nell'anno 1992 neanche il giudizio  comparso nel periodico «Giornalista oggi» ( N. 37) col titolo evidenziato «Anche una professoressa di letteratura ungherese ha voluto fare la giornalista» che ho ricevuto per il pezzo di prova inviato alla redazione tra migliaia di altri aspiranti: «Tra i tantissimi esercizi che ci sono arrivati, pubblichiamo anche quello di una signora che insegna lingua e letteratura, storia e musica ungherese. La sua prova naturalmente è più che soddisfacente… La signora scrive indubbiamente bene, ci mancherebbe altro, e crediamo che non dovrebbe avere difficoltà a trovare un giornale che ospiti i suoi pezzi.» Mi sentivo al settimo cielo: anche in Italia, per me in una lingua straniera, ero riuscita a dimostrare quelle mie capacità giornalistiche già dimostrate nel 1977 in Ungheria durante gli anni universitari (fui tra i finalisti nella gara giornalistica nazionale bandita dall'Ordine dei Giornalisti Ungheresi d'allora e di conseguenza ho potuto esercitare il praticantato presso il quotidiano regionale della mia città di residenza). Che gioia e soddisfazione ho sentito! E poi? In Italia, non  mi  è stato di aiuto né il «Premio Dante» (1993) come prima classifica, né gli altri due premi «Dante» - terza classifica - degli anni successivi (1994, 1995) ricevuti dalla «Società Dante Alighieri» di Ferrara per i miei lavori di analisi e critica letteraria… Né altri premi per articoli giornalistici… La stessa disavventura professionale vale anche per le altre possibilità di impegni di lavoro… Sì, perché stranamente io sono rimasta ovunque respinta nonostante l'istruzione universitaria, le buone referenze di pubblicazioni in alcuni quotidiani nazionali e provinciali  —ma gratuiti — e la cittadinanza italiana, mentre altre persone  —naturalmente più giovani e  rampolli di conosciutissimi mamma e papà con le giuste conoscenze ed amicizie— hanno ottenuto la possibilità di praticantato retribuito presso le testate provinciali, poi i più fortunati vennero anche assunti con regolare contratto.  L'istruzione universitaria assieme alle esperienze lavorative non mi erano aiuto: avevo troppa alta istruzione; nascondendo e dichiarando una scolarità minore non era sufficiente… Quindi non mi è mai  andata bene: l'istruzione era considerata o troppo elevata o troppo bassa per gli impegni in questione…, ed in più l'età anagrafica… inoltre tante altre scuse per non assumermi… Così in vent'anni sono arrivata ai miei cinquant'anni che compierò in dicembre se il buon Dio lo vorrà… Le prestazioni professionali occasionali le ho ottenute lottando da leonessa  con le autopromozioni inviando i curriculum ai sette venti. Ma quest'attività non garantisce neanche una esistenza economica, è soltanto una specie di 'sabadina'… Se  mio marito non mi mantenesse assieme alla nostra figlia  —che è un miracolo al giorno d’ oggi, quando  tanti lavoratori hanno perso il loro posto di lavoro  —potrei appartenere ai senzatetto… E pensate che dai 24 a 30 anni in Ungheria — subito dopo essermi laureata ed abilitata all'insegnamento —  anche se non  pagata da magnate,  avevo la mia cattedra fissa, il mio appartamento arredato autonomo, insomma un'esistenza indipendente!  C’è veramente da riflettere!… (Per poter seguire il mio marito italiano ho dovuto rinunciare a tutto, perché lo Stato Ungherese d'allora mi ha letteralmente spogliato, mi ha privato di tutti i miei beni e potevo portare con me solo le cose più indispensabili entro un certo valore prestabilito… Questa è già un'altra storia con tante procedure umilianti per poter uscire definitivamente dall'Ungheria a causa del matrimonio con un cittadino occidentale!… A due mesi del compimento dei trent’anni, con le rassicurazioni ricevute da più parti per il mio inserimento nell'ambiente di lavoro, ero fiduciosa e piena di progetti, sentendo un'aria tanto diversa, l'aria della libertà, delle possibilità maggiori ho affrontato il grande passo di cambiare Patria…). Dopo gli innumerevoli ed umilianti rifiuti ho fondato senza alcun soldo questo periodico proprio per assicurare l'allenamento mentale, l'attività creativa ed intellettuale per non subire la demenza mentale che avviene inevitabilmente in caso di inattività del cervello…

   Ora ho 50 anni ed anche le minime speranze di venti e di dieci anni fa sono svanite. Ero considerata vecchia  — ed hanno trovato tutte le altre più svariate scuse— per darmi un impiego adatto e dignitoso già vent'anni fa. Ora sono da seppellire viva per non respirare l'aria davanti agli altri, davanti ai giovani… Ora toccherà a mia figlia diciottenne: come andranno le cose quando finirà gli studi? Ora non ci sono neanche per lei grandi speranze!

   Questa è una vita da essere allegri e fiduciosi?!…

    Un giorno mia figlia ci raccontò a tavola, durante la cena, di aver parlato tra le amiche dei modi meno dolorosi del suicidio. Sono rimasta folgorata: a me non era venuto in mente l'argomento neanche nel periodo più crudele della persecuzione comunista in Ungheria! Alla mia domanda allarmata m'ha risposto così: «Sì mamma e papà, è da  tempo che ci penso. Se per caso voi dovreste mancare improvvisamente, io rimango qua da sola… che ci farò qua? A chi  posso rivolgermi, a chi appoggiarmi? A nessuno, non ho nessuno! Dei parenti non posso contare!…»

   Questo pensiero io l’ho avuto già dal momento del mio arrivo in Italia, per questo ho cercato di darmi da fare tanto. Allora avevo ancora la speranza… Poi non ci sono riuscita. Ed ha ragione mia figlia: non ci sono persone su cui contare. Questi lunghi vent'anni ne sono i testimoni: come se fossi stata da sola, come se fossi stata ragazza madre. Il marito  — l'unica sicura fonte economica della famiglia —  tutti giorni fuori città per lavoro. La gestione della famiglia, tutte le altre attività ed interessi pesavano sulle mie spalle. Non potevo permettermi neanche di ammalarmi. Ma se mi capitava, dovevo andar avanti come sempre… Neanche un telefono di cortesia… Ha squillato soltanto, quando gli egregi parenti avevano bisogno dell'aiuto di mio marito. Altrimenti no! Se i parenti sono così, cosa c'è da aspettarsi dagli estranei? Niente. Su questo aspetto non ha purtroppo torto  mia figlia… Eh, sì: sono ferraresi… Non rimane altro che pregare e sperare che non succeda una temibile disgrazia… Certo, non è una grande prospettiva di vita… e possiamo ringraziare la Provvidenza che non  apparteniamo ancora ai poveri senza tetto…

   Ancora oggi ho purtroppo la stessa sensazione espressa nella mia poesia scritta originariamente in italiano nel 1995 :

 

 

OH, FERRARA...

 

Città-Estense, oh, Ferrara
tu, Bella addormentata
della pianura padana
adottami, non essere spietata...

Tu sei rigida, crudele
con la gente non ferrarese
come me che cerca di essere
una tua figlia degna di te...

Ma tu non mi prendi,
neanche consideri,
e anno dopo anno
mi umili soltanto...

Sei una duchessa vanitosa,
e dalla superbia anche cieca,
priva di sentimenti,
posseduta da secoli
dai provinciali gelidi...

 

P.S.   In Italia, nel Paese dei raccomandati io no ho mai avuto  nessuna raccomandazione, soltanto le mie referenze professionali, i «prodotti» delle mie prestazioni di lavoro. Purtroppo non erano sufficienti in sé… Ecco un po' di assaggio come stiamo attualmente in questo Paese secondo l'articolo intitolato «Nel paese dei raccomandati», firmato da Walter Passerini sul supplemento «Corriere Lavoro» del quotidiano «Il Corriere della Sera» (31 ottobre 2003):

 

   «C'è ne ricordiamo ciclicamente: in Italia oltre i tre quarti dei posti di lavoro viene trovato grazie alle raccomandazioni. La cosa non ci stupisce, se anche in televisione una delle trasmissioni più viste in assoluto si intitola proprio «I raccomandati» (su Rai Uno, il giovedì sera, viene vista da più di 6 milioni di persone [N.d.A.  Io non appartengo a queste persone].

   Sì, lo sappiamo, questa trasmissione vuole essere scherzosa, un gruppetto di cosiddetti Vip "raccomanda" alcuni concorrenti, che devono essere capaci di ballare, cantare e altro ancora. Un pretesto per fare varietà, per famiglie, in prima serata, che ha il torto di chiamarsi con quello che è uno stereotipo nazionale ma anche uno degli "sport" più praticati e invocati.

   La "raccomandazione" andrebbe per la verità distinta dalle segnalazioni, che sono una pratica forse un po' meno mafiosa, ma sempre al limite dell'etica. Così, come le referenze, che spesso ci fanno ripiombare nel dominio delle raccomandazioni.

   Siamo un "Paese di raccomandati e di favori", un Paese post-industriale che ragiona come i peggiori Paesi agricoli, fermi alla preistoria del mercato, con una "merce", le persone, scambiata come le vacche o il grano.

   A quando il vero mercato del lavoro, basato su trasparenza, competenza e professionalità? Quando gli strumenti professionali conquisteranno terreno nei confronti di altre pratiche rudimentali? Quando si chiederanno risorse umane e non "protetti & padrini" nel vecchio gioco del "do ut des"?»*

   Io  chiedo questo già da vent'anni!…

 

* Evidenziata da me.

Melinda Tamás-Tarr

 

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RICEVIAMO - PUBBLICHIAMO

 

ECO:

 

 

-----Messaggio Originale-----

Da: R.F.

A: Osservatorio Letterario

Data invio: lunedì 10 novembre 2003 12.39

Oggetto: terze bozze

 

 

Caro Supermegadirettore,

 

   […] Il pezzo biografico (+ poesia) è forse troppo sbilanciato — per un estraneo che legga — verso il più nero pessimismo (e i mille incontri che hai fatto in questi anni e che ti hanno arricchito [?], e i più recenti convegni e gli incontri a cui hai partecipato [?], e gli attestati di amicizia e stima che hai ricevuti innumerevoli dai lettori dell'OL sparsi nel mondo [?] —  non parlo di me, tanto sai come la pensa il tuo braccio destro —)... Però, però, però... a pensarci bene  queste tue pagine non sono soltanto uno sfogo, un umanissimo sfogo personale, sono molto di più (in caso contrario bisognerebbe toglierle: a chi vuoi che interessino i tuoi fatti personali?)... dico che sono molto e ben di più: sono la testimonianza viva, bruciante, macerata in lunghi anni di sofferenze e angustie della condizione odierna di tutti gli "invisibili" che sono tra noi schiacciati dalla indifferenza generale (intendo le autorità e le istituzioni soprattutto locali —  non tanto le singole persone con le quali più o meno occasionalmente  è ancora possibile instaurare rapporti di amicizia— )... Dunque bene, cara Melinda, hai scritto con efficacia, amara efficacia, le tue sono le pagine di un diario ferrarese dell'insensibilità che dovrebbero far arrossire un sacco di persone se potessero leggerle...

 Ciao, aspetto tue nuove!

Renzo

 

 

 

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