OSSERVATORIO
*** Ferrara e l'Altrove ***
ANNO VII/VIII – NN.
35/36
NOVEMBRE-DICEMBRE/GENNAIO-FEBBRAIO 2003/2004 FERRARA
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A PROPOSITO DI UN'ALTRA SORPRESA…
Come nell'editoriale ho anticipato, il 5 ottobre scorso ho
ricevuto una e-mail dalla signora Júlia Ránki, reporter e redattrice delle trasmissioni radiofoniche della
Radio Magiara Nazionale per invitarmi al collegamento telefonico on-line
durante una trasmissione del programma intitolato «Il giorno radiofonico delle
culture europee» del 12 ottobre in cui partecipavano 91 radio provenienti da
varie nazioni europee. Il mio ruolo sarebbe stato di brevemente presentare la
città di mia residenza, Ferrara, ai radioascoltatori ungheresi e parlare delle
mie esperienze personali. Proprio quest'ultimo è stato il motivo per cui ho
saggiamente rifiutato la mia partecipazione durante la conversazione telefonica
seguita dopo la corrispondenza telematica…
Avrei accettato volentieri
soltanto la presentazione generale della mi città di residenza, ma nemmeno per
sogno il discorso delle mie esperienze personali. Su questo tema avrei disegnato un quadro molto scuro.
Perciò siamo rimaste d'accordo che la collaborazione radiofonica l’avremmo
rimandata ad un'altra volta se sarà mai…
Se avessi accettato non avrei
potuto dire nient'altro che le cose seguenti:
«Buona sera! Saluto tutti i
radioascoltatori compatrioti della Radio Petőfi da Ferrara, città della regione
di Emilia-Romagna di circa 150.000-153.000 abitanti, capoluogo dell'omonima
provincia, posta a 9 metri sul livello del mare, nella pianura alla destra del
Po. È composta di un nucleo medievale e di una parte cinquecentesca, aggiunta
da Ercole I d'Este, caratterizzata da vie ampie e rettilinee fiancheggiate da superbi palazzi.
Quando s'avvolge nel suo mantello di nebbia
inevitabilmente mi vengono in mente i misteriosi cavalieri di nebbia del nostro
grande scrittore Gyula Krúdy. A partire dall'inizio del XIX sec. sobborghi e
quartieri periferici si sono dilatati in ogni direzione oltre l'antica cinta di
mura. Fuori da Porta Po e da Porta Catena è in atto la saldatura con la zona
industriale che si espande a nord-ovest
verso Pontelagoscuro. L'economia cittadina si fonda essenzialmente
sull'agricoltura, l'allevamento e le industrie connesse (alimentari, meccaniche,
chimiche, tessili, cartarie e del mobile).
Sorta nell'alto Medioevo. Secondo
un antico documento memoriale il
15 agosto 698: a causa della persecuzione da parte dei bolognesi e ravennati la
gente fuggì in queste parti attraversando l’antico fiume Po con l'aiuto di un ponte costruito
dalle barche di Acarino D'Este, così Ferrara il 15 agosto di quest'anno ha
compiuto 1305 anni. La città poi passò alla Chiesa nel 774 dopo essere stata
ducato longobardo. Contesa a lungo tra gli Estensi ed i Salinguerra, toccò nel
1240 ai primi, che la tennero nonostante i vari tentativi dei papi di
impadronirsene. Raggiunse il massimo splendore tra la seconda metà del
Quattrocento e la prima metà del Cinquecento e divenne in tale periodo uno dei
maggiori centri culturali europei (la fondazione della sua università risale al
1391), splendido cenacolo di poeti, scrittori e artisti di ogni genere, sede di
una famosa manifattura di arazzi. (Arazzi di Ferrara: tessuti a Ferrara
dall'inizio del Quattrocento al 1580 ca. sotto la direzione di maestri
fiamminghi —Andrea de Flemalia, J.
Mille, G. e N. Karcher—, furono spesso eseguiti su cartoni di pittori famosi,
come C. Tura, Giulio Romani, il Garofalo e G. Arcimboldi.)
Qui visse per
un periodo Torquato Tasso, qui nacque Ludovico Ariosto. Celebre il rifiuto di
quest'ultimo di seguire a Buda [N.d.R. la capitale magiara d'allora, e non
esisteva ancora la capitale odierna Budapest: quest'ultima nacque con la
unificazione di Buda Antica, Buda e Pest soltanto nel 1873.] il cardinale
Ippolito d'Este, fratello del duca Alfonso I d'Este, quando questi sarà stato
nominato vescovo di Buda. Noi magiari non dimentichiamo mai sottolineare la
presenza del nostro Ianus Pannonius (János Csezmiczei) anche in questa città,
considerato il padre della cultura ungherese, che venne a Ferrara come allievo
del celebre e grande umanista Guarino Guarini. Esiste anche una strada di
Ferrara che porta il nome del grande poeta umanista magiaro. Un anno fa, in occasione
dell'Anno della cultura Ungherese a Ferrara si svolse un convegno su Ianus
Pannonius di cui abbiamo dato puntualmente notizia [v. NN. 29/30 NOVEMBRE-DICEMBRE/GENNAIO-FEBBRAIO 2002/2003, PP. 65].
È da evidenziare la sua
famosa scuola di pittura dove
troviamo i nomi dei seguenti
celebri pittori: Cosmé Tura, Francesco del Cossa, Ercole Roberti, Lorenzo
Costa, Rosso Rossi.
Tra i monumenti e le opere d'arte
di cui Ferrara è particolarmente ricca, vanno ricordati lo splendido Castello
Estense, iniziato nel 1385 da Bartolino da Novara e terminato nel 1570, e il
duomo (1135), con la facciata romanico-gotica, i portali scolpiti da Maestro
Nicolò e il campanile attribuito a L. B. Alberti. A Biagio Rossetti sono
dovuti, oltre al piano regolatore della città, eseguito per Ercole d'Este
(Addizione Erculea): la chiesa di
S. Francesco (1494-1515); in parte il palazzo Schifanoia, al cui interno si
trovano i celebri affreschi della Sala dei Mesi, eseguiti da F. del Cossa e
dalla sua scuola; il palazzo di Ludovico il Moro ed il palazzo dei Diamanti
(1493; compiuto nel 1555).
Nel 1458, con l'inserimento della
città negli Stati della Chiesa s'iniziò il periodo di decadenza. Poi occupata
dall'Austria tra il 1847 ed il 1859, entrò nel Regno d'Italia nel 1860.
Il castello imponente nel cuore della città ci fa
ricordare il passato remoto e con i suoi bastioni è il grave «ornamento» del
dispotismo. A questo ricordo è degno l'orrore del 15 novembre 1943: in quel giorno
i fascisti fucilarono vari
patrioti proprio accanto al fossato del castello. Sono passati 60 ani da quella
lunga notte, quando undici ferraresi vennero barbaramente fucilati dalle
squadre fasciste delle brigate nere di Ferrara, Verona e Padova. Una targa
affissa sul muretto del delitto
ricorda di continuo i martiri abbattuti lungo la strada che collega il castello al duomo.
Un forestiero trascorrendo un po'
di tempo in città nota subito un ambiente chiuso e rigido… Quest'atmosfera poco calorosa ha radici profonde,
storicamente sono spiegabili. Si dice che i ferraresi abbiano molto in comune
con gli olandesi: la terra non l'hanno avuta da madre Natura, ma l'hanno
strappata, metro per metro, al mare e alle paludi che un tempo accerchiavano la
città estense, sempre sotto il pericolo delle alluvioni del Po che seminavano
miseria, fame e morte. Giorgio Gandini nel suo libro intitolato «La notte del
terrore» narrando la tragedia di 60 anni fa sopraccitata dice dei ferraresi:
«…I ferraresi, forse, sono
solo ferraresi; con un carattere simile agli olandesi, puro come il pane che
hanno dovuto strappare ad una terra sepolta dalle acque; oppressi da un clima
sempre nebbioso, freddo, umido o torrido; soffocati dal dispotismo di signori
che amavano cortigiani, e bestie quanto odiavano gli uomini desiderosi di
libertà.
La Natura non è stata generosa
coi ferraresi. Ed è forse per questo che il loro carattere è duro, indipendente
e insofferente alle ingiustizie. Per questo, nel secolo scorso, trovarono
terreno fertile i movimenti anarchico, socialista e antimilitarista. Troppo
volte li avevano ingannati. Così, quando dopo la guerra del '15-'18 tornarono
alle loro case e ritrovarono la fame e le ingiustizie di sempre e, per giunta,
l'epidemia "spagnola", si ribellarono con lotte e scioperi dettati
più dall'odio che dalla ragione.
Lo scontro frontale fu
inevitabile: da una parte masse lavoratrici affamate, che vivevano in
condizioni di mortificante indigenza, con rapporti di sudditanza caratteristici
della più arretrata condizione feudale. Gente che in quei giorni non sognava la generosità
della Provvidenza, ma il socialismo dei soviet.
Dall'altra parte il capitalismo
agrario (con un'industria appena nascente) che voleva sfuggire alla
inarrestabile decadenza delle sue basi economiche e politiche, per riuscire a
mantenere la legge del massimo sfruttamento per il massimo profitto, "A
tutti i costi!"
Questo "costo" era il
fascismo, nato anche dalla protesta, dal bisogno di cambiare. Un
"costo" che fu altissimo: la perdita della libertà, della democrazia;
l'instaurazione della dittatura mussoliniana, la guerra, la rovina del Paese…»
Adesso però viviamo in
pace, ma non senza difficoltà e molti gravi problemi. La sopravvivenza,
l'assicurazione del pane
quotidiano, per molta gente è purtroppo un grosso problema quotidiano. E
Ferrara non offre granché nel mondo del lavoro. I più fortunati l'hanno
piuttosto trovato altrove in altre città di provincia o addirittura in altre
regioni.
20 anni fa sono arrivata in
questa città architettonicamente ed artisticamente splendida, ma del resto
opprimente come il suo clima.
Avrei potuto fare per la
trasmissione radiofonica quindi questa
presentazione e volevo fermarmi qua. Parlare invece delle mie personali e sfortunate
esperienze di vita quotidiana non sarei riuscita. Perché avrei dovuto parlare
soltanto dei tentativi inutili di trovare un lavoro dignitoso che avesse potuto
garantire una indipendenza economica, dei massimi sfruttamenti dei miei 20 anni di permanenza ferrarese. E se
penso che ho lasciato dietro le mie spalle una esistenza finanziaria
indipendente e dignitosa, e proprietà ed immobili, e che sposandomi e
trasferendomi ho perso tutto quello che avevo appena costruito nella mia Patria
d'origine… — mi vengono dei brividi…—,
e che qui non sono riuscita ad ottenere alcuna soluzione soddisfacente,
ma soltanto delle briciole occasionali
non sufficienti per una vita dignitosa ed indipendente, mi sento
veramente molto amareggiata. Quel po’ di lavoro trovato a Ferrara è del tutto
precario e saltuario: ci sono lunghi mesi privi di
commissioni. Allora non si lavora, e non si guadagna e si deve subire lo status
di minorenni: essere mantenuti. Eppure in questi lunghi due decenni non sono
rimasta con le braccia incrociate: ho prodotto un mare di curriculum, ho
partecipato ai corsi d'aggiornamento professionale, ho seguito vari corsi
universitari e tanti altri
lasciando le impronte dei miei lavori professionali per dimostrare le
mie competenze. Non è servito niente!
Perché ho deciso di fondare l'«Osservatorio
Letterario»? Ecco la risposta:
Nell'ottobre 1997 ho fondato e
realizzato questo periodico, proprio motivata dai rifiuti continui che ho
subito in ogni sfera intellettuale fin dal momento del mio arrivo (dic. 1983),
ufficialmente dal 1986 marzo, cioè dall'ottenimento della cittadinanza
italiana. Perché in questo periodo della mia vita per le mie richieste di
collaborazione —oltre ad altre mie richieste lavorative— ho ricevuto dalle case
editrici e da tutte le testate nazionali, regionali, provinciali e locali il
rifiuto con le seguenti “motivazioni” anche dopo i notevoli riconoscimenti e
testimonianze delle mie capacità intellettuali (non si dimentichi che sono laureata ed abilitata
praticamente in cinque discipline
letterarie inclusa anche la preparazione pedagogica e psicologia!)—: «…a nome
del Direttore La ringraziamo per la Sua offerta di collaborazione che terremo
in evidenza per il futuro…», «… il direttore La ringrazia per la Sua lettera
con l'elenco delle connotazioni professionali e la proposta di collaborazione.
Purtroppo i programmi editoriali della ns. testata non prevedono al momento un
allargamento dell'organico e pongono anche qualche limite al ricorso a
collaborazioni esterne in quanto il nostro staff è completo…»
Grandi sacrifici, tante ore di
lavoro e spese, guadagno niente. Incluse tutte le mie attività occasionali da
libera professionista — anche
quelle degli impegni familiari — il mio orario di lavoro continuo, senza
sosta, è dalle 7 alle 24 e qualche volta oltre.
Unica soddisfazione ho che
grazie al lavoro svolto e documentato dal 2000 ufficialmente appartengo
all'Ordine dei Giornalisti Italiani ed in veste di giornalista pubblicista — accanto alle altre prestazioni professionali
e per questo non aspiro allo stato di giornalista professionista — posso praticare il giornalismo
letterario tenendomi regolarmente occupata e così ritardare il processo della
senilità provocata dalla sforzata
inattività intellettuale. Spero che il mio status di giornalista-pubblicista non
venga minacciata dopo che finalmente sono riuscita ad ottenerlo: appartengo
all'Ordine dei Giornalisti Italiani che ha 40 anni, cioè dieci anni in meno
della mia età anagrafica…
Ma se non avessi fondato la
rivista, e non avessi trovato il mio Direttore Responsabile iscritto
all'Ordine —senza tale figura non
si può fondare alcuna testata— fino ad ora avrei collezionato soltanto le
risposte standard sopra citate!… Non mi ha favorito nell'anno 1992 neanche il
giudizio comparso nel periodico
«Giornalista oggi» ( N. 37) col titolo evidenziato «Anche una professoressa di
letteratura ungherese ha voluto fare la giornalista» che ho ricevuto per il
pezzo di prova inviato alla redazione tra migliaia di altri aspiranti: «Tra i
tantissimi esercizi che ci sono arrivati, pubblichiamo anche quello di una
signora che insegna lingua e letteratura, storia e musica ungherese. La sua
prova naturalmente è più che soddisfacente… La signora scrive indubbiamente
bene, ci mancherebbe altro, e crediamo che non dovrebbe avere difficoltà a
trovare un giornale che ospiti i suoi pezzi.» Mi sentivo al settimo cielo:
anche in Italia, per me in una lingua straniera, ero riuscita a dimostrare
quelle mie capacità giornalistiche già dimostrate nel 1977 in Ungheria durante
gli anni universitari (fui tra i finalisti nella gara giornalistica nazionale
bandita dall'Ordine dei Giornalisti Ungheresi d'allora e di conseguenza ho
potuto esercitare il praticantato presso il quotidiano regionale della mia
città di residenza). Che gioia e soddisfazione ho sentito! E poi? In Italia,
non mi è stato di aiuto né il «Premio Dante» (1993) come prima
classifica, né gli altri due premi «Dante» - terza classifica - degli anni
successivi (1994, 1995) ricevuti dalla «Società Dante Alighieri» di Ferrara per
i miei lavori di analisi e critica letteraria… Né altri premi per articoli
giornalistici… La stessa disavventura professionale vale anche per le altre
possibilità di impegni di lavoro… Sì, perché stranamente io sono rimasta
ovunque respinta nonostante l'istruzione universitaria, le buone referenze di
pubblicazioni in alcuni quotidiani nazionali e provinciali —ma gratuiti — e la cittadinanza
italiana, mentre altre persone
—naturalmente più giovani e
rampolli di conosciutissimi mamma e papà con le giuste conoscenze ed
amicizie— hanno ottenuto la possibilità di praticantato retribuito presso le
testate provinciali, poi i più fortunati vennero anche assunti con regolare
contratto. L'istruzione
universitaria assieme alle esperienze lavorative non mi erano aiuto: avevo
troppa alta istruzione; nascondendo e dichiarando una scolarità minore non era
sufficiente… Quindi non mi è mai
andata bene: l'istruzione era considerata o troppo elevata o troppo
bassa per gli impegni in questione…, ed in più l'età anagrafica… inoltre tante
altre scuse per non assumermi… Così in vent'anni sono arrivata ai miei
cinquant'anni che compierò in dicembre se il buon Dio lo vorrà… Le prestazioni
professionali occasionali le ho ottenute lottando da leonessa con le autopromozioni inviando i
curriculum ai sette venti. Ma quest'attività non garantisce neanche una
esistenza economica, è soltanto una specie di 'sabadina'… Se mio marito non mi mantenesse assieme
alla nostra figlia —che è un
miracolo al giorno d’ oggi, quando
tanti lavoratori hanno perso il loro posto di lavoro —potrei appartenere ai senzatetto… E
pensate che dai 24 a 30 anni in Ungheria — subito dopo essermi laureata ed
abilitata all'insegnamento — anche
se non pagata da magnate, avevo la mia cattedra fissa, il mio
appartamento arredato autonomo, insomma un'esistenza indipendente! C’è veramente da riflettere!… (Per
poter seguire il mio marito italiano ho dovuto rinunciare a tutto, perché lo
Stato Ungherese d'allora mi ha letteralmente spogliato, mi ha privato di tutti
i miei beni e potevo portare con me solo le cose più indispensabili entro un
certo valore prestabilito… Questa è già un'altra storia con tante procedure
umilianti per poter uscire definitivamente dall'Ungheria a causa del matrimonio
con un cittadino occidentale!… A due mesi del compimento dei trent’anni, con le
rassicurazioni ricevute da più parti per il mio inserimento nell'ambiente di
lavoro, ero fiduciosa e piena di progetti, sentendo un'aria tanto diversa,
l'aria della libertà, delle possibilità maggiori ho affrontato il grande passo
di cambiare Patria…). Dopo gli innumerevoli ed umilianti rifiuti ho fondato
senza alcun soldo questo periodico proprio per assicurare l'allenamento
mentale, l'attività creativa ed intellettuale per non subire la demenza mentale
che avviene inevitabilmente in caso di inattività del cervello…
Ora ho 50 anni ed anche le minime
speranze di venti e di dieci anni fa sono svanite. Ero considerata vecchia — ed hanno trovato tutte le altre più
svariate scuse— per darmi un impiego adatto e dignitoso già vent'anni fa. Ora
sono da seppellire viva per non respirare l'aria davanti agli altri, davanti ai
giovani… Ora toccherà a mia figlia diciottenne: come andranno le cose quando
finirà gli studi? Ora non ci sono neanche per lei grandi speranze!
Questa è una vita da essere
allegri e fiduciosi?!…
Un giorno mia figlia ci
raccontò a tavola, durante la cena, di aver parlato tra le amiche dei modi meno
dolorosi del suicidio. Sono rimasta folgorata: a me non era venuto in mente
l'argomento neanche nel periodo più crudele della persecuzione comunista in
Ungheria! Alla mia domanda allarmata m'ha risposto così: «Sì mamma e papà, è
da tempo che ci penso. Se per caso
voi dovreste mancare improvvisamente, io rimango qua da sola… che ci farò qua? A
chi posso rivolgermi, a chi
appoggiarmi? A nessuno, non ho nessuno! Dei parenti non posso contare!…»
Questo pensiero io l’ho avuto già
dal momento del mio arrivo in Italia, per questo ho cercato di darmi da fare
tanto. Allora avevo ancora la speranza… Poi non ci sono riuscita. Ed ha ragione
mia figlia: non ci sono persone su cui contare. Questi lunghi vent'anni ne sono
i testimoni: come se fossi stata da sola, come se fossi stata ragazza madre. Il
marito — l'unica sicura fonte
economica della famiglia — tutti
giorni fuori città per lavoro. La gestione della famiglia, tutte le altre
attività ed interessi pesavano sulle mie spalle. Non potevo permettermi neanche
di ammalarmi. Ma se mi capitava, dovevo andar avanti come sempre… Neanche un
telefono di cortesia… Ha squillato soltanto, quando gli egregi parenti avevano
bisogno dell'aiuto di mio marito. Altrimenti no! Se i parenti sono così, cosa
c'è da aspettarsi dagli estranei? Niente. Su questo aspetto non ha purtroppo
torto mia figlia… Eh, sì: sono
ferraresi… Non rimane altro che pregare e sperare che non succeda una temibile
disgrazia… Certo, non è una grande prospettiva di vita… e possiamo ringraziare
la Provvidenza che non
apparteniamo ancora ai poveri senza tetto…
Ancora oggi ho purtroppo la stessa
sensazione espressa nella mia poesia scritta originariamente in italiano nel
1995 :
OH, FERRARA...
Città-Estense, oh, Ferrara
tu, Bella addormentata
della pianura padana
adottami, non essere spietata...
Tu sei rigida, crudele
con la gente non ferrarese
come me che cerca di essere
una tua figlia degna di te...
Ma tu non mi prendi,
neanche consideri,
e anno dopo anno
mi umili soltanto...
Sei una duchessa vanitosa,
e dalla superbia anche cieca,
priva di sentimenti,
posseduta da secoli
dai provinciali gelidi...
P.S. In Italia, nel Paese dei raccomandati io no ho mai
avuto nessuna raccomandazione,
soltanto le mie referenze professionali, i «prodotti» delle mie prestazioni di
lavoro. Purtroppo non erano sufficienti in sé… Ecco un po' di assaggio come
stiamo attualmente in questo Paese secondo l'articolo intitolato «Nel paese dei raccomandati», firmato da
Walter Passerini sul supplemento «Corriere
Lavoro» del quotidiano «Il
Corriere della Sera» (31 ottobre 2003):
«C'è ne ricordiamo
ciclicamente: in Italia oltre i tre quarti dei posti di lavoro viene trovato
grazie alle raccomandazioni. La cosa non ci stupisce, se anche in televisione
una delle trasmissioni più viste in assoluto si intitola proprio «I
raccomandati» (su Rai Uno, il giovedì sera, viene vista da più di 6 milioni di
persone [N.d.A. Io non appartengo
a queste persone].
Sì, lo sappiamo,
questa trasmissione vuole essere scherzosa, un gruppetto di cosiddetti Vip
"raccomanda" alcuni concorrenti, che devono essere capaci di ballare,
cantare e altro ancora. Un pretesto per fare varietà, per famiglie, in prima
serata, che ha il torto di chiamarsi con quello che è uno stereotipo nazionale
ma anche uno degli "sport" più praticati e invocati.
La
"raccomandazione" andrebbe per la verità distinta dalle segnalazioni,
che sono una pratica forse un po' meno mafiosa, ma sempre al limite dell'etica.
Così, come le referenze, che spesso ci fanno ripiombare nel dominio delle
raccomandazioni.
Siamo un "Paese di raccomandati e
di favori", un Paese post-industriale che ragiona come i peggiori Paesi
agricoli, fermi alla preistoria del mercato, con una "merce", le
persone, scambiata come le vacche o il grano.
A quando il vero
mercato del lavoro, basato su trasparenza, competenza e professionalità? Quando
gli strumenti professionali conquisteranno terreno nei confronti di altre
pratiche rudimentali? Quando si chiederanno risorse umane e non "protetti
& padrini" nel vecchio gioco del "do ut des"?»*
Io chiedo questo già da vent'anni!…
* Evidenziata
da me.
Melinda Tamás-Tarr
______________________________
RICEVIAMO - PUBBLICHIAMO
ECO:
-----Messaggio Originale-----
Da: R.F.
A:
Osservatorio Letterario
Data invio: lunedì 10
novembre 2003 12.39
Oggetto: terze
bozze
Caro Supermegadirettore,
[…] Il pezzo biografico (+
poesia) è forse troppo sbilanciato — per un estraneo che legga — verso il più
nero pessimismo (e i mille incontri che hai fatto in questi anni e che ti hanno
arricchito [?], e i più recenti convegni e gli incontri a cui hai partecipato
[?], e gli attestati di amicizia e stima che hai ricevuti innumerevoli dai
lettori dell'OL sparsi nel mondo [?] —
non parlo di me, tanto sai come la pensa il tuo braccio destro —)...
Però, però, però... a pensarci bene queste tue pagine non sono soltanto
uno sfogo, un umanissimo sfogo personale, sono molto di più (in caso contrario
bisognerebbe toglierle: a chi vuoi che interessino i tuoi fatti personali?)...
dico che sono molto e ben di più: sono la testimonianza viva, bruciante,
macerata in lunghi anni di sofferenze e angustie della condizione odierna di
tutti gli "invisibili" che sono tra noi schiacciati dalla
indifferenza generale (intendo le autorità e le istituzioni soprattutto locali
— non tanto le singole persone con
le quali più o meno occasionalmente è ancora possibile instaurare
rapporti di amicizia— )... Dunque bene, cara Melinda, hai scritto con
efficacia, amara efficacia, le tue sono le pagine di un diario ferrarese
dell'insensibilità che dovrebbero far arrossire un sacco di persone se
potessero leggerle...
Ciao, aspetto tue nuove!
Renzo