OSSERVATORIO LETTERARIO 

*** Ferrara e l'Altrove ***

 

ANNO VIII – NN. 37/38   MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2004   FERRARA

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DIARIO DI LETTURA & PRESENTAZIONI

Galleria Letteraria & Culturale Ungherese

 

Prosa Ungherese

 

 

Dezső Kosztolányi


UN RAGAZZO DI PUDAPEST*)

(Budapesti gyermek)

 

 

   Il ragazzo, il ragazzo di Budapest, il pallido ragazzo di Budapest stava nella sua camera senza fare assolutamente nulla.

   La sua stanza aveva l'aria d'un laboratorio chimico.

   Mi sono avvicinato a lui, gli ho carezzato il capo e chiesto perché non giocasse. Mi ha risposto garbato:

   — Quando sono da solo preferisco riflettere. Ad ogni modo gioco anche, circa un'ora al giorno; mezz'ora con la scatola delle costrizioni davanti a mio padre giacché lui vorrebbe fare di me un ingegnere, mezz'ora alla presenza di mia madre con un aeroplano perché è ciò che la diletta. A me, per dirla franca, non diverte nessuna delle due cose. So però quanto io debba a loro. Al giorno d'oggi un ragazzo è l'unica gioia degli adulti. Essi infatti si trastullano quando si trastulla il loro ragazzo. Lascia dunque almeno che essi giochino con me che quel gioco lo faccio solo tanto per fare. Ti prego, non sorridere del fatto che sono così disilluso e distaccato. Voi una volta potevate trastullarvi con facilità. Se vi si conduceva a teatro e l'occhio vi cadeva su una lampada rosa facevate tanto di bocca e fantasticavate su di quella per una settimana. Se ricevevate in dono uno stipetto musicale che produceva tre noterelle sottili come un filino di cotone sentivate venire da esso la musica degli angeli. La nostra condizione è più difficile. Noi siamo nati nel fatato mondo della tecnica. Ne siamo ormai avvezzi, vi abbiamo sinanche fatto le ossa. Quando la bambinaia mi portava in carrozzina per strada i miei occhi d'infante già si beavano delle luci pubblicitarie, bicchieri di spumante dalla dorata effervescenza, entrate di cinema giallo arancio, serpeggianti scintille lilla di tram. Quando sono stato più grandicello dal mio letto telefonavo di sera a mio padre che si trovava a Parigi. Più tardi sintonizzavo io stesso la radio con Barcellona, Dresda e Tolosa. Il mondo intorno a voi era grigio. Intorno a noi il mondo è come le mille e una notte. Allora giocavate voi. Oggi giocano i grandi. Il vostro secolo era il secolo degli adulti ed accanto a loro voi siete cresciuti al vostro posto sottomessi e felici. Noi ci sentiamo molto male su questo trono. Un solo desiderio abbiamo, che cioè ci togliate dal trono e non vi curiate tanto di noi. Ameremmo fare una volta il bagno in un'acqua di cui non abbiate preventivamente misurato la temperatura, ci piacerebbe mangiare una volta non solo vitamine ma zucchero a manate e farne indigestione di santa ragione, ci piacerebbe fare una volta una trombetta col picciolo d'una zucca, far volare aquiloni senza l'ostacolo di fili elettrici, prendere un lucherino, raccogliere un sasso di cui ci accorgiamo. Lasciate perdere la tecnica e la scienza. Non costringete a fare anche noi gli stessi vostri giochi. Lasciateci vivere la nostra vita. Voi che così tante cose avete scoperto scoprite anche questo, scoprite per noi la natura.

 

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*) Dal quotidiano "Pesti Hírlap", 25 dicembre 1929.

Traduzione © di Mario De Bartolomeis

 

 

Éva Janikovszky (1925-2003)

A ME SUCCEDE SEMPRE QUALCOSA

 (Velem mindig történik valami)

- Frammenti (2) -

 

 

E il Gábor che ha il banco dietro di me, anche lui è proprio vivace, e vuole sempre far solletico sul collo degli altri, ma arriva soltanto fino al mio.

 

La Ester, che ha il banco davanti a me, non è un ragazzino vivace, ma solo perché è una ragazza, però è brava a dare calci anche all’indietro.

 

Dopodiché mio papà ha ribadito che non gli interessa affatto cosa fanno i bambini degli altri, ma comunque si è vergognato tantissimo davanti alla maestra.

 

Mi dispiace tanto per mio papà che si è vergognato al posto mio, perché davanti alla maestra ormai sono capace di vergognarmi anche da solo, soltanto a disegnare cerchi belli e grossi non ci riesco da solo.

 

Mia mamma, quando viene qualcuno a farci visita, prepara un caffè e chiude la porta della nostra stanza, perché è meglio se non ci guardano dentro.

 

Ma purtroppo la maestra già in anticipo ha fatto dire a mia mamma di non prenderla per un’ospite, perché lei vuole soltanto far conoscenza con la famiglia.

 

Così mia mamma ha pulito le porte e ha tirato via i cappotti e le scarpe dall’anticamera. Mio papà ha incollato la gamba della poltrona e ha sostituito due lampadine del lampadario.

 

 

La Bori ha tolto dal muro i poster degli attori, e io ho portato sul balcone i miei ippocastani.

 

Quando c’era un ordine mai visto prima, allora abbiamo mandato Pacitaci dai vicini, perché lui non poteva sapere che la maestra non era un’ospite e così avrebbe potuto rosicchiarle le scarpe come faceva di solito con gli ospiti.

 

La maestra si è fermata da noi solo per una mezz’oretta, eppure ha fatto conoscenza con la famiglia proprio bene, visto che nel frattempo sono arrivati anche gli zii da Érd, e poi i vicini del piano di sotto ci hanno avvertiti urlando che gli ippocastani sono caduti giù dal balcone, mentre i vicini di fronte hanno cacciato via Pacitaci, perché lui non sapeva che anche nella loro cucina non si può fare la pipì.

 

Ma io ero contento lo stesso, perché così la maestra almeno ha visto che noi anche a casa di solito siamo abbastanza vivaci.

 

Móra Ferenc Könyvkiadó, Budapest, 1998 © Janikovszky Éva

Traduzione © di Éva Gács

- Tavagnacco (Ud)

 

 

Melinda Tamás-Tarr — Ferrara

FIABA DELLA SERA: ILONA FATABELLA  ED ÁRGYÉLUS

 (Esti mese: Tündérszép Ilona és árgyélus)

 

Dov'era, dove non era, c'era una volta un re che aveva tre figli. Questo re possedeva anche un albero di mele. Non era però un albero qualsiasi: pensate, aveva i frutti d’oro! Era proprio straordinario: la notte fioriva e poi nascevano  le mele d’oro. Così il patrimonio del re sempre aumentava:  egli era il sovrano più ricco di tutto il mondo!

 Una mattina il re uscì, come ogni mattina, nel suo splendido giardino per fare una passeggiata. Che cosa era successo? Egli non trovò alcuna mela d’oro! Così fu anche il secondo ed il terzo giorno.

  Il re invitò immediatamente tutta la corte a riunirsi ed annunciò:

 «Se riuscirò ad incontrare un uomo che potrà sorvegliare l’albero di mele d'oro impedendogli di perdere i suoi frutti, gli regalerò la metà del mio regno!»

 I guardiani si misero subito sotto l’albero per sorvegliarlo. Ma purtroppo non riuscirono a rimanere svegli, a mezzanotte in punto si addormentarono. Trascorse  appena un quarto d’ora e le mele d’oro sparirono dall’albero. Così, quando si  svegliarono, non ne trovarono alcuna. Dopo questo insuccesso i tre principi, i figli del re, decisero di tener loro sott'occhio l’albero durante la notte.

 Il principe più anziano sorvegliò l’albero per  primo. Ma anche a lui successe la stessa cosa dei guardiani.

 Non ebbe un risultato migliore neanche il secondo principe.

 Alla fine il principe più giovane, Árgyélus, decise di sorvegliare l’albero per evitare la sparizione delle mele d’oro. Prima di tutto egli  mise nella sua tasca una scatoletta d’oro piena di tabacco, poi si sistemò sotto di esso.

  Il chiaro di luna illuminava il viso del principe Árgyélus. Egli cominciò a sentire un gran sonno. Per evitare di addormentarsi annusò il tabacco della scatoletta d’oro, si grattò gli occhi e starnutì parecchio. Di nuovo poi lo annusò anche una seconda volta e si strofinò gli occhi, così riuscì a rimanere sveglio. Per fortuna! Ad un tratto Árgyélus avvertì un mormorio. Guardò verso il cielo… Che cosa vide? Tredici corvi che volavano proprio verso l’albero di mele. Árgyélus riuscì a catturare la zampa del tredicesimo corvo che era la loro guida e gridò:

 «Eccoti, tu sei il ladro!»

 Appena finì di pronunciare questa frase, tra le sue braccia giacque una splendida ragazza con ricci capelli d’oro che coprivano le sue spalle bianche.

 «Chi sei tu, splendido ladro?» chiese il principe «Non ti lascerò mai!»

 «Sono Ilona Fatabella» rispose la bella ragazza «e questi corvi sono le mie sorelle. Per divertimento tutte le notti siamo venute qua per raccogliere le mele d’oro. Ma devo confessarti che non posso rimanere da te, nonostante tu sia una persona che non potrò mai dimenticare… Devi sapere che amo soltanto te!»

 «Resta da me!» chiese Árgyélus alla ragazza.

 «Non posso…» rispose Ilona Fatabella «ma ti prometto che da oggi in poi tutti i giorni ritornerò qua…  e non porterò via le mele d’oro. Stai sempre qui se vuoi vedermi!»

 Dopo di ciò i tredici corvi volarono via con gran rumore.

  Il giorno successivo tutta la corte si meravigliò perché le mele d’oro erano rimaste intatte. Il re per riconoscimento baciò la fronte del suo figlio più piccolo. Árgyélus non disse nient’altro: soltanto chiese al padre il permesso di rimanere d’ora in poi sotto l’albero per sorvegliarlo. Così Árgyélus tutte le notti si recò dall’albero per vedere Ilona Fatabella.

  Ma nella corte del re viveva anche la Vecchiastrega che controllava sempre il principe Árgyélus. Anche il re cominciò ad essere curioso: perché ad Árgyélus piace tanto fare la guardia sotto l’albero? Perciò il re chiamò la Vecchiastrega e le disse:

 «Vedo che tieni sott’occhio Árgyélus. Osservalo di nascosto quando egli farà la guardia all’albero!»

 La Vecchiastrega obbedì. Quando Árgyélus uscì, la Vecchiastrega si nascose dietro ad un cespuglio. La mattina presto del giorno successivo comunicò al re:

«Ho   spiato  il  principe  Árgyélus.   L’ho  visto seduto sotto l’albero di mele d’oro insieme con una meravigliosa fanciulla dai capelli d’oro: ella quando è arrivata era un corvo. Fermandosi sull’albero il corvo è diventato questa splendida ragazza.»

 «Sei bugiarda, Vecchiastrega! Non è vero!» rispose il re.

 «Ma è così, Maestà! Se lei vorrà, domani le fornirò le prove per dimostrare ciò che le ho raccontato.»

 La notte del giorno successivo Árgyélus ed Ilona Fatabella di  nuovo si erano divertiti insieme. Improvvisamente, senza accorgersene, s'erano addormentati entrambi. In quel momento la Vecchiastrega s'avvicinò e tagliò una ciocca dai capelli d’oro della ragazza, poi se ne andò.

 Ilona Fatabella si svegliò e cominciò a piangere disperatamente. A causa del suo pianto si svegliò anche Árgyélus.

 «Che cosa hai mia cara?»

 «Ahi, ahi, Árgyélus! Che tu sia felice, ma io non potrò più vederti, non potrò più rimanere con te… Nella tua casa vivono dei ladri… Guarda: qualcuno ha tagliato una ciocca dei miei capelli.»

  Abbracciò Árgyélus, poi tolse  un anello dal suo anulare e glielo diede:

 «Te lo do» disse «così ti riconoscerò in qualsiasi luogo.»

  Fece un battito di mani, si trasformò immediatamente in corvo e volò via.

 La mattina successiva la Vecchiastrega mostrò la ciocca di capelli al re. Egli si meravigliò molto e chiamò subito il principe Árgyélus.

 «Mio caro figlio, ho già fatto sposare i tuoi fratelli… È arrivato il momento anche per te, ti ho cercato una ragazza ricca, spero che non t’opporrai.»

 «Caro padre, io non mi sposerò, oppure lo farò soltanto se io stesso potrò scegliere la mia sposa. L’ho già trovata. Ilona Fatabella sarà mia moglie!»

  Al re non piacque questa risposta e insistette perché il figlio cambiasse idea, ma non c’era niente da fare. Il principe Árgyélus prese la sua spada e se ne andò per cercare Ilona Fatabella. Tutta la corte si rattristò: si aveva l’impressione che fosse in lutto per il principe.

  Árgyélus girovagò in tutto il mondo, ma purtroppo non trovò tracce di Ilona Fatabella.

 Camminò, camminò, era già molto stanco quando finalmente arrivò ad una casetta in cui viveva una vecchietta. Egli la salutò secondo le regole delle buone maniere. La vecchietta stava seduta sulla sua antica e consumata sedia e chiese ad Árgyélus con sincera sorpresa:

 «Come mai ti trovi in questo luogo in cui non arriva neanche un uccello?»

 «Cara vecchietta» disse Árgyélus « lei mi saprebbe dire dove abiti Ilona Fatabella?»

 «Purtroppo no, caro figliolo, ma forse se ritornerà mio marito, il Sole… Egli manda i suoi raggi ovunque, forse egli saprà dirtelo. Ora però nasconditi, altrimenti ti mangerà se si accorgerà di te!»

 Árgyélus si era appena nascosto quando il Sole entrò in camera e disse subito:

 «Puah!, puah! Vecchietta, la carne dell’uomo puzza! Puah!»

 Árgyélus sentendo il lamento del Sole si scoprì uscendo  dal suo nascondiglio che si trovava sotto il letto e lo salutò con gran cortesia.

 «Sei fortunato ad avermi  salutato cortesemente» disse il Sole «altrimenti ti avrei mangiato! So che cerchi Ilona Fatabella… Non so niente di lei, ma forse mio fratello Luna potrà aiutarti.»

 Árgyélus andò alla casa di Luna, ma non ebbe fortuna. Luna l’indirizzò dal Vento. Il principe andò a trovare anche lui per avere notizie di Ilona Fatabella.

 «Io» gli rispose il Vento «non so niente di lei, ma non lontano da me, là, in quel bosco vive il Re degli Animali, forse lui saprà esserti utile.»

 Árgyélus riprese la strada, camminò, camminò fino a quando fece buio. Non vedeva niente, perciò s’arrampicò sulla cima di un albero sperando di trovar qualche traccia di luce lontana. Infatti, vide un sottile filo di luce proveniente dalle finestre di un castello, che distava ancora poco. Quando finalmente arrivò al castello bussò alla porta. Essa si aprì ed Árgyélus si trovò di fronte un gigante che aveva soltanto un occhio sulla fronte.

 «Buonasera, Maestà!» lo salutò Árgyélus «Sapresti dirmi qualcosa di Ilona Fatabella? Dove abita?»

 «Hai fortuna ad avermi salutato come si deve, altrimenti saresti diventato figlio della morte! Io sono il Re degli Animali. Forse qualcuno tra i miei sudditi saprà dirti qualcosa.»

 Il Re degli Animali emise un fischio e tutto il palazzo si riempì. Il re chiese notizie di Ilona Fatabella ma nessuno poté rispondere. Alla fine si presentò un lupo zoppo:

 «Io» disse il lupo «so qualcosa. Vive oltre il Mar Nero, proprio dove mi hanno rotto la zampa.»

 «Allora conduci là questo povero principe!» gli ordinò il Re degli  Animali.

 Il lupo zoppo si fermò davanti al principe chiedendogli di sedersi sulla propria schiena. Così girarono cento ed ancora altri cent’anni. Ad un tratto il lupo mise giù Árgyélus dicendo:

 «Non posso portarti oltre. Adesso anche tu riuscirai a trovare la casa di Ilona Fatabella: non è più tanto lontana… Devi ancora camminare per cent’anni!» poi salutò il principe e se ne andò zoppicando.

 Il principe continuò la strada da solo. Ad un certo punto vide una valle che era circondata da tre montagne. In questa valle tre diavoli lottavano. Il principe li avvicinò e chiese:

 «Perché lottate?»

 «Nostro padre è morto e per eredità ci ha lasciato un mantello, una frusta ed uno scarpone. Indossando questo mantello e questi scarponi puoi trovarti dove vuoi. Devi soltanto scoccare questa frusta e dire: “Opplà-opplà, desidero essere là dove voglio!”- ed in un attimo ti troverai proprio in quel luogo dove desideri arrivare! Ma noi non sappiamo decidere di condividerli.»

 «Allora, non vi preoccupate. Io risolvo questo vostro gran problema e divido questi oggetti. Uno di voi vada sulla cima di quel monte di fronte, l’altro invece su quello di sinistra, e tu più piccolo su quello di destra. Quando ritornerete vi riferirò la mia decisione.»

 I tre diavoli fecero come Árgyélus suggerì loro. Nel frattempo il principe indossò il mantello, infilò i piedi negli scarponi, fece scoccare la frusta e disse:

 «Opplà, opplà, desidero trovarmi dove voglio! Desidero essere subito da Ilona Fatabella!»

 Appena pronunciò questa frase egli si trovò di fronte ad un meraviglioso castello di cristallo. Una damigella di Ilona Fatabella guardò da una finestra poi subito corse da lei:

 «Árgyélus sta arrivando!»

 Ilona Fatabella pensò di essere presa in giro, perciò le diede uno schiaffo. Ma venne subito un’altra damigella, poi la terza, la quarta ed infine  la tredicesima: ma tutte quante ricevettero uno schiaffo come la prima.

 Árgyélus bussò alla porta. Una signora anziana la aprì. Guardò con gran meraviglia, il principe poi con calorose manifestazioni di gioia gli disse:

 «Che bello che tu sia qui, Árgyélus, così potrai liberare Ilona Fatabella! Ora non puoi recarti da lei, il crudele Mago la tiene sequestrata in compagnia delle tredici accompagnatrici. Soltanto intorno a mezzanotte Ilona Fatabella può girare liberamente. Allora tu devi baciarla tre volte, così il Mago non avrà più potere su di lei. Sei arrivato in tempo, per fortuna egli ora non si trova a casa, altrimenti saresti già figlio della morte!»

 «Io non ho paura, combatterò con lui!» Árgyélus rispose.

 L’anziana signora fece entrare Árgyélus, gli cucinò una cena squisita e preparò il letto con la biancheria di seta, poi disse:

 «Ogni mezzanotte Ilona Fatabella viene qua, non addormentarti!»

 Ma quest’anziana signora apparentemente gentile non era nient’altro che la cattiva strega: la Vecchiastrega! Ella aveva un fischietto, vi soffiava dentro e riusciva ad ottenere tutto quello che voleva. Fece così anche dopo che Árgyélus finì la cena. Egli immediatamente s’addormentò. A mezzanotte arrivò Ilona Fatabella, trovando il suo fidanzato gridò:

 «Svegliati caro! Se mi bacerai tre volte, sarò liberata dall’incantesimo!»

 Ma Árgyélus dormiva come un sasso. La mattina la strega gli disse:

 «Ilona Fatabella era qua, ma tu hai dormito come un sasso.»

 Successe la stessa cosa anche il secondo ed il terzo giorno.

 Dopo questi tre giorni d’insuccessi la Vecchiastrega però, chissà come, s’addormentò. Árgyélus scoprì il fischietto intorno al suo collo, lo sciolse, poi dalla curiosità vi soffiò dentro. Vide che a causa del suono tutta la servitù si era addormentata e così scoprì che anche la Vecchiastrega aveva fatto la stessa cosa con lui e per questo che non riuscì a rimanere sveglio. Si legò il fischietto al collo ed ogni volta che la Vecchiastrega cominciava a svegliarsi egli emise un fischio. Così fece fino a mezzanotte.

 A mezzanotte, puntualmente, arrivò Ilona Fatabella. Árgyélus la baciò tre volte ed in quel momento tutto il castello s’illuminò, tutte le porte s’aprirono  e la Vecchiastrega sprofondò: il suolo la inghiottì. C’è da accennare che prima di baciarla per la seconda volta Árgyélus le diede tredici schiaffi e disse:

 «Ti ho dato tredici schiaffi perché tu hai ripagato così la sincerità delle tue accompagnatrici!»

 «Lo merito» sussurrò Ilona Fatabella.

 Árgyélus indossò di nuovo il mantello e gli scarponi, prese in braccio Ilona Fatabella e fece scoccare la frusta:

 «Opplà, opplà, desidero essere là dove voglio. Desidero trovarmi nel castello di mio padre!»

 Immediatamente si ritrovarono a casa del padre del principe. Árgyélus succedendo a lui divenne un re grande e potente ed Ilona Fatabella la più grande fata. Si sposarono, condussero insieme il loro regno con autentica giustizia. I cattivi maghi e le streghe, i diavoli e tutti quelli che vivevano soltanto per far male agli altri vennero cacciati all’Inferno. Ilona Fatabella ed Árgyélus insieme con il popolo vissero felici e contenti: nel loro impero non vi furono più sintomi di cattiveria e di violenza perché qui tutti volevano bene al prossimo. La chiave della loro felicità fu sempre: il rispetto, la bontà, la comprensione e la disponibilità ad aiutare i bisognosi… Vi assicuro che era così, anch’io c’ero nel loro regno. Se non mi credete, fate pure una ricerca!*

 

* Versione riveduta, quella precedente già pubblicata nel volume: «Da padre a figlio» di Melinda Tamás-Tarr Bonani, C.Q.L.N., Ferrara, 1997 (manoscritto). Illustrazioni è dell'Autrice.

 

Elaborazione italiana © di Melinda Tamás-Tarr

 

 

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