— Assaggio —
VÖRÖSMARTY-TOLDY-BAJZA
I—III.
VÖRÖSMARTY - TOLDY - BAJZA (*)
I.
MIHÁLY
VÖRÖSMARTY
(1800-1855)
- A cura di
Melinda Tamás-Tarr -
*) N.B.: Per la redazione del presente articolo si č tra
l'altro consultato, e per larghi tratti testualmente riportato, quanto
sull'argomento scritto da Pál Ruzicska nella sua "Storia della letteratura
ungherese", Nuova Accademia Editrice, Milano, 1963.
Tra i discepoli e successori di Ferenc (Francesco) Kazinczy (1759-1831),
Ferenc Kölcsey (1790-1838) e Károly (Carlo) Kisfaludy (1788-1830) (vedasi su
quel periodo anche l'articolo Panorama della letteratura ungherese, 3a
parte, nel nostro doppio numero
9/10 del 1999), ruolo di preminente
importanza aveva man mano conquistato nella vita letteraria magiara una triade
composta da Ferenc (Francesco) Toldy (1804-1875), da Mihály (Michele) Vörösmarty (1800-1855)
e dal cognato di questi József (Giuseppe) Bajza (1804-1858) sulle pagine di un periodico, il
cosiddetto almanacco letterario Aurora ideato dal succitato Kisfaludy
per conquistare alla causa della letteratura un piů vasto pubblico di lettori.
Questo periodico era infatti riuscito con articoli su molteplici interessi a
realizzare, educandolo, un felice compromesso tra i diversi gusti del pubblico ed una non meno felice sintesi
tra diverse correnti letterarie. Grazie all'Aurora lo scettro della vita
letteraria era gradatamente scivolato dalle mani di Kazinczy a quelle di
Kisfaludy ed il centro
gravitazionale di essa si era spostato da Széphalom a Pest. Non si era
perň trattato d'una detronizzazione bensě d'un passaggio di testimone
intelligentemente preparato da amici comuni. Accogliendo il Kisfaludy sin da
imberbi questi tre autori ed altri minori nella bella cerchia dell'Aurora aveva reso questo periodico un vero
fuoco d'artificio di produttivitŕ.
MIHÁLY VÖRÖSMARTY maggiore di nove
fratelli (cinque maschi, quattro femmine), nacque nel 1800 da una famiglia di
fattori. Compě gli studi presso i cistercensi di Székesfehérvár e gli scolopi
di Pest (Nb. a quei tempi Buda e Pest erano ancora distinte). A diciassette
anni perse il padre. Compiendo dapprima studi filosofici e poi giuridici all'universitŕ di Pest
assunse parallelamente l'educazione di tre ragazzi Perczel, figli di un ricco
latifondista. L'amore represso per una componente di quella famiglia, Etelka
Perczel, lasciň tracce profonde nella sua poesia. Nel 1824 divenne avvocato, ma
scelse di non esercitare e di dedicarsi completamente alle lettere. Nel 1828
gli fu affidata la direzione della rivista Tudományos Gyujtemény (Raccolta
scientifica) e del suo allegato
letterario Koszorú (Serto). Vinse diversi premi letterari e nel 1830
venne nominato membro stipendiato dell'Accademia d'Ungheria la cui fondazione,
dovuta al conte István Széchenyi
cinque anni prima, era stata sancita il 7 luglio 1830 dal re Francesco I
d'Asburgo (1792-1835) (siamo nell'era della Monarchia Austro-Ungarica). Nella storia
letteraria ungherese, dopo i falliti tentativi di Mihály Csokonai Vitéz e
Károly Kisfaludy il primo a vivere esclusivamente, seppur modestamente, della
propria penna fu proprio Vörösmarty. All'etŕ di 43 anni egli sposň Laura
Csajághy di diciassette anni, la
stessa etŕ che aveva Etelka Perczel quando il poeta le aveva dovuto rinunciare.
Nel 1848 partecipň attivamente ai moti
politici e dopo la catastrofe conseguitane dovette darsi alla latitanza.
Alla fine nel 1850 si costituě e venne in seguito graziato, ma si ritirň poi a
vita privata dedicandosi alla produzione del tabacco e della vite nel villaggio
natale, a Kápolnásnyék. Una grave forma di malinconia e l'edema polmonare
stroncarono la sua esistenza e morě nel 1855 a Pest, ove si era recato per
farsi curare. Ai suoi funerali parteciparono ventimila persone che colsero
l'occasione della morte del poeta nazionale per protestare contro il governo
oppressore. Una pubblica sottoscrizione per provvedere alla vedova ed ai tre
orfani venne vietata da Vienna, ma l'iniziativa personale dello statista Ferenc
Deák - che sarŕ nel 1867 il principale fautore della riconciliazione tra
dinastia asburgica e nazione magiara - riuscě ugualmente a raccogliere fondi
sufficienti.
Vörösmarty č considerato il piů grande poeta del Romanticismo magiaro
e, tra i grandi della letteratura mondiale, va collocato sullo stesso piano di
Byron, Shelley, Victor Hugo, Mickiewicz, Puškin. Ciň nonostante la sua lirica
non č paragonabile a quella dei poeti sopraccitati, non puň essere considerata
come la loro corrispondente ungherese: egli č «il poeta dell'universale
compassione lirica» [János Horváth]. La sua lirica era
alimentata non dall'influenza delle correnti letterarie ma dalle regole interne
del suo talento che lo portarono ad esprimere la sua vita e la sua epoca ai
livelli di un grande genio poetico.
Nella sua poetica si fondono il vate e il bardo, proprio come
nel suo primo componimento di maggior respiro, il poema eroico La fuga di
Zalán (Zalán futása, 1825) in cui si uniscono la tradizione
omerico-virgiliana e la moda ossianica. A decretare la sua grande popolaritŕ fu
questo poema, considerato la corona dell'epica nazionale, l'epopea della
conquista della patria dei Magiari. Vörösmarty fu poeta lirico, epico,
drammatico, narratore in prosa, critico teatrale e traduttore, ma la sua
fondamentale ispirazione č lirica. Ciň non significa semplicemente che le parti
piů belle anche dei suoi poemi epici e dei suoi drammi siano quelle liriche né
significa mancanza di pregi
costruttivi nella sua narrativa e nel suo teatro, ma comporta addirittura
l'impostazione e la strutturazione di tutti i suoi lavori in obbedienza a
criteri lirici. La fuga di Zalán obbedisce a tutti i requisiti del
«genere» del poema eroico, ma la sua impostazione č lirica, l'avvio e la fine
dell'intreccio sono momenti lirici. Infatti il poema inizia con le paure e le
ire di Zalán, con le impennate del suo orgoglio e le prostrazioni delle sue angosce, con la sua visione
di Árpád, principe degli eserciti invincibili. Č su questa base lirica che si
innesta l'enumerazione epica degli
eserciti stessi. E il poema finisce ancora con Zalán in rotta che mentre si
immerge nell'oscuritŕ della notte che avanza, guarda indietro per vedere con
dolore ciň che fu suo. Il poema, giŕ per natura dell'argomento, č pieno di
scene di guerra; č addirittura inconcepibile con quanta ricchezza di invenzione
il Vörösmarty riesca a rappresentare assalti e duelli, uccisioni e morti; ma
con altrettanta abilitŕ riesce ad insinuare in tutti gli episodi cruenti una
nota di compassione, sia per bocca dei morenti, e qualche volta anche dei
vittoriosi uccisori, sia per la pietŕ delle situazioni, sia ancora per la
scelta stessa dei paragoni o, almeno, degli aggettivi. Dopo i dieci canti della
Fuga di Zalán nessun altro componimento epico del poeta raggiunse tale
estensione come ad es. Colle del cerro (Cserhalom,) e Valle
dei fati (Tündérvölgy), L'isola del sud (Délsziget), Eger,
Széplak (1828) e La rovina
(A rom), I due castelli vicini (A két szomszédvár), Il
trionfo della fedeltŕ (A huség diadalma), etc.
Il teatro di
Vörösmarty č, almeno nelle intenzioni del poeta, un'applicazione dei moduli,
delle soluzioni, delle atmosfere shakespeariane (ed in misura del dramma
romantico francese) su temi soprattutto della storia ungherese: Czillei és a
Hunyadiak (I Czillei e gli Hunyadi), Hunyadi László, Marót bán (Il bano marót),
Salamon (Salomone), Zsigmond (Sigismondo) si ispirano, soprattutto gli
ultimi due, ai drammi reali di Shakespeare, mentre l'influsso del Sogno di
una notte di mezza estate sul dramma fiabesco in cinque atti Csongor és Tünde (Csongor [ Si pronuncia: 'Ciongor' N.d.A.] e Tünde) č minimo. Quest'ultimo
č la creazione piů originale, nel campo del teatro di Vörösmarty, che
deriva il suo intreccio dal cinquecentesco Principe Argiro di Albert
Gyergyai. Ma con l'introduzione di alcuni personaggio supplementari e
conferendo a quelli mutuati significati tipici e simbolici, Vörösmarty trasforma la «bella storia» del
Gyergyai in un dramma filosofico L'intreccio consiste principalmente nella
peregrinazione del principe Csongor alla ricerca di Tünde che č una fata, alla
ricerca cioč della felicitŕ, ma ad un certo punto, cioč al cruciale crocevia
Csongor, incontra i tre personaggi nuovi: il mercante, il principe e il
filosofo, che hanno ciascuno una loro via propria verso la felicitŕ che
intendono insegnare a Csongor. Ma tre atti piů in lŕ l'incontro si ripete al
trivio allorquando quei tre personaggi tornano delusi, dopo aver esperimentato
il fallimento delle proprie ricette: ricchezza, potenza, sapere. Questo secondo
incontro avviene dopo l'apparizione di un altro personaggio nuovo: la
personificazione della Notte che dapprima in un monologo rivela una
pessimistica concezione della storia che ritorna nel nulla, e poi commenta,
beffarda, la decisione di Tünde di abbandonare il suo stato soprannaturale di
fata per soddisfare il desiderio di un uomo mortale. Il tessuto dell'intreccio
č arricchito, la ricerca della felicitŕ č resa piů complessa dal fatto che, il
Vörösmarty mette a servizio di Csongor Balga e al seguito di Tünde ordina Ilma.
Non si tratta di semplici contrappesi drammatici o di ancoraggi nel realismo:
anche Balga ed Ilma sono alla ricerca uno dell'altra e viceversa e servono per
rendere piů larga la gamma dei sentimenti e dei tipi umani e per mettere al
poeta un procedimento a contrappunto che, aggiunto alle bravure timbriche,
soprattutto nelle scene dei genietti e dei diavoletti, conferisce a tutta la
fiaba drammatica una stupenda musicalitŕ. Nonostante la delusione dei tre
viandanti e la filosofia pessimistica della Notte, il dramma ha lieto fine:
Č mezzanotte, la notte č fredda e triste,
il cielo si
copre di lutto:
Vieni,
caro, a gioire nella notte con me,
l'unico a
star desto č l'amore.
All'inizio ho accennato che nel Vörösmarty epico e drammatico
predominava il lirico lasciando per l'ultima la sua lirica. All'inizio di essa,
se prescindiamo dai cosiddetti
tentativi scolastici, sta un'elegia Per la morte di un fanciullo
(Kisgyermek halálára - un bimbo della famiglia Perczel -) dove il frequente
modulo del parallelismo conferisce
al lutto una intensa solennitŕ:
«Hai finito i tuoi piccoli giuochi, caro fanciullo: troppo presto
hai finito… hai portato con te anche il sorriso dei tuoi genitori: hai portato
con te il boccio delle speranze piů serene… Dormirai e non avrai sogni:
Dormirai e non avrai altri mattini…»
(Traduzione di F. Tempesti)
La poesia sepolcrale č frequente in Vörösmarty e non č soltanto
moda dell'epoca: egli č un «parente della morte». Al principio di questa poesia
sepolcrale sta la tomba del fanciullo, alla fine la tragica visione
della tomba della nazione tutta quanta nell'Appello (Szózat, 1836).
Questa odeprofezia, che ha un'intima parentela coll'Inno (Himnusz) di
Kölcsey - che č l'Inno Nazionale Ungherese musicato da Ferenc Erkel (1810-1893)
e viene cantata in grandi feste nazionali e religiose -, č infatti il secondo
inno ufficiale della nazione e la nominano anche la «Marseillaise Magiara».
Dopo un esordio - «Incrollabile alla patria, / resta fedele, magiaro: / essa ti
č culla e sarŕ tua tomba, / essa ti protegge e ti ricoprirŕ. // In questo vasto
mondo, all'infuori di essa / non c'č posto per te, / in buona e in avversa
sorte, / qui vivere, qui tu dovrai morir…» («Hazádnak rendületlenul / Légy híve, oh magyar; / Bölcsod
az s majdan sírod is/ Mely ápol s eltakar. // A nagy világon e kivul / Nincsen
számodra hely; / Áldjon vagy verjen sors keze:/ Itt élned, halnod kell.») -
anche qui segue una rassegna storica. Siamo nel 1836, ma l'estrema sensibilitŕ
del poeta giŕ prevede gli sviluppi tragici della troppo rapida ascesa della
nazione, e all'alternativa di un'epoca migliore evoca la visione della morte:
Oppure verrŕ, se dovrŕ venire la morte grandiosa, quando ai funerali assisterŕ tutto il paese in sangue. Tutta la nazione sprofonderŕ nella tomba, circondata da popoli interi, e negli occhi di milioni brilleranno
lagrime di lutto. |
Vagy joni fog, ha joni kell, A nagyszeru halál, Hol a temetkezés fölött Egy ország vérben áll. S a sírt, hol nemzet
sulyed el, Népek veszik körül, S az ember millióinak Szemében gyászköny ül. |
Di pari importanza č
anche l'ode A Francesco Liszt (Liszt Ferenchez).
Quasi tutta
la lirica amorosa di Vörösmarty č di
intonazione pessimistica, piena di gridi disperati o pervasa di
amara malinconia come si legge nella poesia Fallace (Ábránd):
Soltanto con la poesia che diede in regalo di nozze a Laura
Csajághy, A colei che č perduta nel fantasticare (A merengohöz) il suo
amore si rasserena e si permea di un lirismo piů controllato ed equilibrato.
Abbondano nella sua poesia i verbi come «merengeni» (trasognare, sognare),
«borongani» (oscurarsi/trasognare tristemente, rattristare), «derengeni»
(albeggiare/ricordarsi vagamente), che sono verbi fatti dalle diverse
condizioni del cielo, sereno, coperto, riferiti perň agli stati d'animo umani
nel loro continuo mutare e formarsi, e quindi, sono di contorni incerti,
traducibili solo con circonlocuzioni. Il Vörösmarty, comunque, non vede le cose
con contorni nitidi, vede la luce e come la luce bagna le cose o si riflette in
esse. Spesso i contrasti di colori rappresentanti
dello stato d'animo nelle sue liriche sono violenti, ma l'equilibrio della luce
e dell'ombra non si spezza se non nell'ultima fase, quando egli vede crollare
tutte le speranze della nazione, e sue, che della nazione era consapevolmente
il vate. Nascono allora quelle poesie che rasentano, nel dolore, la pazzia,
addirittura come il grande critico e poeta dotto, Mihály Babits afferma
addirittura concepite nella pazzia, come In un album di ricorsi
(Emlékkönyvbe), Proemio (Eloszó), Scemano i tuoi giorni (Fogytán van a napod…)
Il vecchio zigano (A vén cigány). Finché la nazione era in ascesa il poeta
esigeva un canto di Ferenc Liszt (l'ode A Ferenc Liszt/Liszt Ferenchez),
allora apice della sua gloria internazionale. Ma quando tutto č crollato basta
il canto dello zingaro, consolatore della gente qualunque. Questo zigano č lo
stesso poeta, che, in questa sua ultima fase, ha abitudine di parlare a se
stesso in terza parola. Ecco alcuni passi nella traduzione del Tempesti:
Forza, zigano: hai giŕ bevuto il prezzo della sonata. … T'insegni a cantare la tempesta sonora: la tempesta che strepita geme ulula piange sradica gli alberi, spezza le navi, schianta schianta la vita ed uccide uomini e bestie. C'č guerra, di nuovo, nel mondo: giů nella Terra Santa ora trema il sepolcro di Dio. Forza, zigano, finché puoi suonare. … … … Forza, zigano - ma no: lascia in pace le corde: ci sarŕ un'altra volta nuova festa nel mondo. Quando stanchi saranno e odio e rabbia, quando ormai si saranno dissanguate le liti nelle [guerre, allora sě, allora tu potrai suonar di nuovo con piů [ardente slancio sě che pure gli dei godranno del tuo canto…
|
Húzd rá cigány, megittad az
árát. … Tanulj dalt a zengo
zivattartól, Mint nyög, ordít, jajgat,
sír és bömböl: Fákat tép ki és hajókat
tördel, Életet fojt, vadat és embert öl: Háború van most a nagy világban. Isten sírja reszket a szent honban. Húzd, ki tudja meddig húzhatod,… … … … Húzd, de mégse, - hagyj békét a húrnak. Lesz még egyszer ünnep a világon; Majd ha elfárad a vész haragja, S a viszály elvérzik a csatákon, Akkor húzd meg újra lelkesedve Istennek teljék benne kedve… |
1) Continua
Dall'«Osservatorio Letterario»,
Anno VI NN. 27/28 Luglio-Agosto/Settembre-Ottobre 2002.
VÖRÖSMARTY-TOLDY-BAJZA
II—III.
FERENC TOLDY (1804-1875)—JÓZSEF BAJZA
(1804-1858)
- A cura di Melinda Tamás-Tarr
-
FERENC TOLDY (1804-1875) — Colui che nella critica delle opere
letterarie ungheresi fece per primo ricorso ai valori estetici introdotti dal
romanticismo tedesco fu un'amico di József Bajza sin dai tempi della gioventů, Ferenc (Francesco) Toldy. Era
questi legato da paterna amicizia con Benedek (Benedetto) Virág, corrispondeva
con Ferenc Kazinczy, conosceva personalmente Károly (Carlo) Kisfaludy ed era
anche stato presentato al grande István (Stefano) Széchenyi.
Dopo alcuni brevi scritti, con il titolo «Isokrates Erkölcsi
intelmei»/«Le ammonizioni morali di Isocrate», uscě nel 1822 un suo
libro con cui dimostrava in pratica a se stesso che non come autore di belle
lettere ma come critico letterario avrebbe reso immortale il suo nome nella
storia della letteratura.
Motivo di grande dilemma era stato a lungo per lui il suo dividersi tra letteratura e scienza medica.
Egli pubblicava infatti anche diversi studi di medicina ed una sua
dissertazione intitolata «La fisiologia del polso»/«Physiologia pulsus»
(Pest, 1829) aveva riscosso
vasta eco in diversi periodici di medicina. Dal 1831 al 1833 egli aveva persino
dato vita con Pál (Paolo) Bugát alla redazione di un periodico intitolato «Bollettino
di Medicina».
Toldy avrebbe trovato comunque piů tardi la sua vera vocazione
professionale nell'attivitŕ storico-letteraria e, con la sua feconda opera
storiografica e critica, sarebbe rapidamente divenuto il «padre della
storiografia letteraria ungherese». La sua attivitŕ in tal senso era stata
giudicata dalla pubblica opinione come iniziatrice d'una «epochenmachend»,
una nuova epoca, per dirla in tedesco. Toldy, che era di origine e formazione
culturale tedesca (aveva egli voluto mutare in Toldy il suo originario
cognome Schedel), aveva prima
studiato medicina divenendo professore in tale disciplina all'Universitŕ degli
Studi di Budapest, aveva in seguito diretto la Biblioteca Universitaria ed era
infine divenuto professore di storia della letteratura ungherese, letteratura
che lo aveva attratto sin da giovane. Contrariamente alle sue stesse
pessimistiche previsioni era stato favorevolmente accolto dal pubblico il suo
articolo critico del 1827 sui poemi epici di Mihály (Michele) Vörösmarty in
cui, con grande sensibilitŕ, coglieva le varie e particolari manifestazioni del
romanticismo di quel grande poeta. Quasi contemporaneamente Toldy aveva
pubblicato in tedesco il suo primo importante lavoro di storia letteraria
intitolato «Hanbuch der Ungarischen Poesis (1827-1828), un'antologia in
due volumi con cui intendeva dimostrare alle nazioni al di lŕ dei confini
magiari che anche gli Ungheresi avevano una la loro propria letteratura. In
base ai propri concetti storico-letterari Toldy attribuě una posizione centrale
nella letteratura ungherese antica a Miklós (Nicola) Zrinyi, indica la traccia
d'una nuova corrente letteraria nei nomi di Ferenc Kazinczy, Károly Kisfaludy,
Mihály Vörösmarty e sminuisce l'importanza letteraria di poeti quali Mihály
Csokonai, Dániel (Daniele) Berzsenyi e Ferenc Kölcsey per nulla considerando, inoltre, József (Giuseppe) Katona.
L'attivitŕ di Toldy era caratterizzata da incredibile diligenza ed
energia. Oltre ad essere attento alla letteratura occidentale, grande
attenzione ebbe egli anche per la letteratura slava scrivendo per primo in
ungherese sulle opere di Puškin e di Mickiewicz e non tralasciando neppure gli
scrittori slovacchi. Soprattutto dopo la guerra d'indipendenza del 1848/49
Toldy dedicň la parte preponderante delle sue forze a ricerche per una storia
organica della letteratura ungherese. Lo scopo prefissatosi superava evidentemente le sue energie e
le gradi opere di Toldy sulla storia della letteratura rimasero purtroppo
incompiute: «A magyar nemzeti irodalomtörténet»/«Storia della letteratura
nazionale ungherese» (1851) va solo fino al 1856 ed «A magyar költészet
története»/«Storia della poesia ungherese» (1854) arriva fino a Sándor
(Sandro) Kisfaludy. La monografia «Kazinczy e la sua epoca», lavoro
molto importante per la sua compiutezza e per l'influsso che ha esercitato
sulla vita intellettuale della nazione, fu pubblicata dal Toldy nel 1860,
mentre nel 1864 egli pubblicň i due volumi della «Storia della letteratura
nazionale ungherese dai tempi piů remoti all'etŕ contemporanea, in esposizione
concisa» che tratta la materia fino al 1848. Quest'opera, cui nel 1867 fu
assegnato il gran premio dell'Accademia d'Ungheria, raggiunse la quarta
edizione nel 1878 e nell'articolazione degli argomenti, nella nomenclatura dei
termini tecnici, nei giudizi critici, sopravvive piů o meno in tutte le storie
successive sino ai giorni nostri. Divenuto ordinario di letteratura ungherese
nel 1861, Toldy concluse l'attivitŕ didattica con i cinque volumi del «Manuale
della poesia ungherese dalla catastrofe di Mohács fino all'etŕ contemporanea»
che, usciti postumi un anno dopo la sua morte nel 1876,
sono un'antologia corredata da biografie, variante piů ampia del suo giovanile «Handbuch».
Si č piů volte paragonato Toldy a De Sanctis ed a
Sainte-Beuve, ma in entrambi i casi l'accostamento č del tutto occasionale non
essendovi fra loro affinitŕ se non per il ruolo che hanno ricoperto nelle
rispettive storiografie. Per concludere possiamo dunque affermare che il Toldy,
dato che la materia da trattare per i primi cinque secoli mancava o scarseggiava,
utilizzň secondo il suo metodo tutto quello che trovava, genuino e falso,
artistico e scientifico e —ove nulla fosse reperibile— era lui stesso a
crearne. Per rimediare allo squilibrio talora causato dalla scarsitŕ di
materiali egli fece ricorso anche ad un'eterogeneitŕ di metodo offrendo una
vera e propria storia letteraria per i secoli piů recenti e spostandosi per
quanto riguarda i primi secoli verso una storia culturale. Toldy riuscě a dare un certo ordine alla
materia presentata prima d'allora da altri come caotico accavallarsi
d'avvenimenti, seppe accomunare scrittori di analoghe tendenze, individuň e
riconobbe le idee dominanti delle singole etŕ e seppe seguire le tracce del
logico evolversi delle idee. Svolgendo questo immane lavoro di sistemazione
egli ebbe anche la perseveranza e la fortuna di raccogliere una quantitŕ davvero ingente di dati di
cui si sarebbero giovati gli studiosi venuti dopo di lui.
JÓZSEF BAJZA* — József (Giuseppe) Bajza (Szücsi, 31. 01. 1804. – Pest, 03. 03.1858.) poeta, critico, redattore,
pubblicista, membro dell'Accademia Ungherese delle Scienze, padre del pure poeta Jeno Bajza. Una figura di guida della vita
letteraria dell'epoca della Riforma. Figlio di una famiglia di proprietari
terrieri della regione di Heves. Studiň a Gyöngyös e dagli scolopi di Pest,
dove suo compagno di studi fu oltre e Mihály (Michele) Vörösmarty e Ferenc
(Francesco) Toldy anche Lajos
(Luigi) Kossuth. Gli studi giuridici li fece a Pest e a Pozsony (Posonio, l'attuale Bratislava) concludendoli con
gli esami di avvocatura ma non la esercitň ma si dedicň piuttosto alla
letteratura vivendo a Pest delle entrate delle sue terre. Le sue prime poesie
romantiche furono pubblicate sull'Aurora e sull'Aspasia. Il suo
primo importante lavoro critico: La theoria dell'Epigramma (Tud.
Gyujt./Raccolta Scientifica, 1828) sollevando la sua prima vera polemica
letteraria. Nel 1830 iniziň la pubblicazione della serie della collana La
scena Straniera ma fu edito soltanto un volume. Sempre in quest'anno iniziň
una polemica letteraria a proposito dell'Enciclopedia Conversations uscendo
vincitore e venne ancor piů consolidata la sua fama di critico letterario. In
queste polemiche si fece portavoce delle idee dell'imborghesimento contro il rispetto all'autoritŕ
feudale. Collaborň alla fondazione della Societŕ Kisfaludy. Dirigesse i periodici Kritikai Lapok/Fogli
Critici (1830-36), l'Aurora (1831-37), Társalkodó/Salotto (1832-37). Redattore assieme al
Vörösmarty e Toldy dell'Athenaeum (1837-1838), poi l'estate del 1838
divenne direttore del Magyar Színház/Teatro Ungherese (che poi sarŕ chiamato Nemzeti
Színház/Teatro Nazionale), primo teatro stabile in Ungheria che esiste tuttora.
Nello stesso anno sposň Julianna Csajághy. Bajza fu eccellente anche come
critico drammaturgico; significative furono le sue critiche pubblicate nella
rubrica Cronaca del Teatro dell'Athenaeum e riuscě a mantenere i programmi su un
livello abbastanza alto, compito difficile, dato che all'inizio l'appassionato
pubblico dei drammi era poco numeroso. Nel 1844 fu redattore della serie
intitolata Biblioteca Storica poi prese parte ai movimenti politici
riformistici. Nel 1847 all'estero fu redattore del Circolo dell'Opposizione e
del Controllore, il suo libretto politico che fu pubblicato raggirando
la censura in Ungheria.
Durante la
guerra d'indipendenza prese la direzione del giornale di Lajos Kossuth e di
conseguenza nel 1849 fu costretto di darsi alla latitanza assieme al
Vörösmarty. Visse in queste condizioni fino al 1851. La vita vagabonda, la
miseria, la preoccupazione per la sorte dei figli e soprattutto il crollo di
tutti gli ideali per i quali aveva lavorato gli confondono la mente. Il critico
dalla luciditŕ mentale incomparabile, colui che non conobbe sconfitta in alcuna
delle sue polemiche, visse cinque lunghi anni in un buio completo, senza
riconoscere i suoi.
Oltre ad una grande
quantitŕ di critiche e recensioni relative ad opere concrete hanno un grande
merito anche i suoi studi di carattere teorico sull'epigramma (Az epigramma
teóriája/La teoria dell'epigramma, 1828), sul romanzo (A
román-költésrol/Sulla composizione romena, 1831), sull'arte degli attori (Szükséges
magyarázatok…/ Necessarie spiegazioni…, 1836), sulla redazione delle
riviste (Gondolatközlés és annak eszközei/La comunicazione dei pensieri ed i
suoi mezzi, 1837), sulla politica teatrale (Szózat a Pesti Magyar
Színház ügyében/Appello per l'interesse del Teatro Ungherese di Pest,
1839), su nazionalitŕ e lingua (Nemzetiség és nyelv/Nazionalitŕ e lingua, 1846).
Nella formulazione teorica dei suoi problemi il Bajza subě l'influsso di
Lessing e di Herder, ma l'esemplificazione testimonia un esame storico
approfondito dei generi e delle condizioni ungheresi.
Fu forse l'esperienza di critico teatrale, quella capacitŕ di immedesimarsi nei piů disparati personaggi per controllare la riuscita degli autori nel rappresentarli, che influě anche sulla sua lirica, una parte cospicua della quale č lirica «di situazione»; il poeta parla cioč in prima persona ma nelle vesti di personaggi immaginari, spesso femminili, ad