Penisola Arabica e Golfo Persico

La presenza militare nordamericana

 

RELAZIONE DEL CENTRO STUDI SULL'AFRICA E SUL MEDIO ORIENTE DI CUBA AL CONVEGNO SULLE BASI MILITARI STRANIERE

 


A partire dalla seconda Guerra Mondiale, la regione del Golfo Persico e della Penisola Araba ha occupato, sempre più, uno spazio maggiore all'interno della politica estera degli Stati Uniti.

La zona con enormi giacimenti di petrolio e di gas (70% della riserva globale di petrolio e 30% di gas naturale), si è decisamente incorporata alla grande economia mondiale come fornitore di prodotti energetici e come pilastro importante della finanza internazionale.

Durante vari anni la strategia nordamericana per la regione è andata disegnando ed applicando politiche alternative, avendo come obiettivo principale quello di garantire un maggior accesso alle risorse energetiche della zona, sostituire la Gran Bretagna come principale attore strategico, e, a partire da una politica estera fondata sulla Dottrina del Sostegno, evitare l'influenza o possibili penetrazioni strategiche sovietiche nella zona.

Per garantire l'accesso alle fonti energetiche, aspetto considerato come interesse vitale, interesse nazionale, o componente chiave del modello di sicurezza nazionale dei vari paesi occidentali e degli Stati Uniti in particolare, Washington ha concepito una prima tappa la chiamata "Twin-Pillar Policy" che proponeva di difendere questi interessi mediante l'appoggio alle monarchie dell'Arabia Saudita e dell'Iran; proposta questa avanzata nel caso di Teheran (con la breve interruzione del Governo di Mossadeg); ma che poca implicazione ha avuto nel caso Saudita per le evidenti debolezze ed incapacità di strategia da parte di Riyadh.

Questo comportamento ha favorito la conversione dell'Iran fin dal principio degli anni '60, nel grande alleato strategico regionale della politica nordamericana, concezione che sarà rinforzata ancora di più negli anni '70 con la cosiddetta Dottrina Nixon che ha propugnato la ricerca di gendarmi regionali, e la necessità di creare in Iran un certo contrappeso al processo basista iracheno. Ovviamente, il trionfo della Rivoluzione islamica in Iran nel 1979 romperà con questo schema strategico nordamericano per la regione.

Il Golfo, come centro di ciò che Brzezinski, definirà l"'Arco di Crisi", complicherà ancor più con l'inizio della guerra tra Iran e Iraq e con l'espansione militare sovietica in Afghanistan.

Di fronte a ciò l'amministrazione Carter opterà per recuperare le concezioni ed i meccanismi di una strategia di spiegamento rapido, di cui le sarà imprescindibile contare con un livello maggiore di accesso locale diretto in caso di conflitto, per questo si intensificherà il dialogo strategico con le monarchie del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG). La nota dottrina Carter affermava che qualsiasi tentativo fatto fa forze straniere per guadagnare il controllo della regione del Golfo sarà considerato come un assalto agli interessi vitali degli Stati Uniti, e sarà rifiutato con tutti i mezzi necessari, compresi quelli militari.

L'amministrazione Reagan in buona misura ha dato continuità a questa ipotesi strategica per la regione e allo stesso tempo giocando d'equilibrio con i poteri regionali: da una parte esortò le monarchie del Golfo (principalmente Kuwait e Arabia Saudita) ad appoggiare l'Iraq, nello sforzo bellico, contro la minaccia sciita rivoluzionaria iraniana, mantenendo anche un costante canale di dialogo e di interscambio economico con l'Iraq attraverso la vendita di equipaggiamenti ad uso civile e militare (i cosiddetti "grey area items"); dall'altra parte utilizzò invece un linguaggio aggressivo contro l'Iran, accompagnato però da transazioni strategiche occasionalmente dirette come quelle rivelate nel famoso scandalo Iran-contras.

L'interesse di rafforzare la sua presenza militare nella regione si ritrova all'interno delle proposte politiche della Relazione Ikle, data a conoscere alla fine dell'amministrazione Reagan: "Gli Stati Uniti continueranno ad aver bisogno di basi poiché continuerà ad esistere la necessità di dissuadere o sconfiggere aggressori in luoghi distanti, d'oltremare.( ... ) la sfida che abbiamo di fronte è quella di ottenere un certo accesso".

Fu l'allora amministrazione Bush che ebbe l'incarico di dimostrare con chiarezza l'importanza della regione del Golfo Persico e della Penisola Araba per la strategia contemporanea degli EEUU.. La crisi del Golfo, generata a partire dall'occupazione e dall'annessione irachena del Kuwait, ha propiziato gli Stati Uniti permettendogli di mettere in pratica i piani elaborati per anni, dallo spiegamento di forza rapida ai conflitti di bassa e media intensità.

Per la prima volta si sono concentrate nella zona un quantitativo enorme di equipaggiamento militare; si è ottenuto la formazione di un ampia coalizione legittimata internazionalmente e subordinata al comando strategico nordamericano. Così come si è sviluppata un ampia azione militare contro l'Iraq, erigendosi Washington come il principale responsabile della sicurezza delle monarchie del Golfo.

La soluzione bellica alla crisi decisa dagli Stati Uniti, non ha solamente risposto all'ipotesi di dipendenza energetica nordamericana della regione (poiché gli indici erano relativamente bassi, il 12%), ma ha offerto la possibilità a Washington di mostrarsi come l'unico garante reale della sicurezza energetica e finanziaria del mondo sviluppato ma con livelli di dipendenza da questa regione molto maggiore (vedi Europa 29%, Giappone 63%).

Ciò nonostante ha cercato di ottenere nuovi compromessi di carattere commerciale, finanziario e tecnologico con i suoi concorrenti europei e giapponesi che favorirebbero in una certa misura gli obiettivi economici e strategici degli Stati Uniti nella nuova congiuntura internazionale.

Nel piano della geopolitica mondiale, anche l'occasione è stata propizia per sottolineare il ruolo statunitense come unica super potenza militare e come attore politico, protagonista centrale, nella nuova fase del dopo guerra-fredda.

Con la fine della guerra fredda si è considerata terminata la tappa della contesa, per cui nel campo teorico-concettuale si iniziano a sviluppare in questi ultimi anni diverse interpretazioni e proposte di dottrine e politiche che stimolano attualmente intensi dibattiti e contengono idee tali come "il fine della storia", lo scontro della civilizzazione" e l"'espansione della democrazia", tra le altre.

Si potrebbe parlare nell'attualità anche di un certo vuoto dottrinale strategico, come dire, qualcosa di simile a ciò che è stato qualificato dall'Istituto Internazionale degli Studi Strategici (I.I.S.S.) di Londra come una "artrosi strategica" di cui soffrono le principali potenze occidentali ed in particolare gli Stati Uniti. O secondo ciò che pensa Henry Kissinger:

"Oggi siamo in un mondo in cui non esiste una chiara minaccia ideologica. Non esiste nessun concetto nitido sulla geopolitica o geostrategia nel pensiero nordamericano ( ... ) pertanto, ci troviamo attualmente in una transizione tra un periodo di conflitto ideologico ed un altro che si converte in un processo con finale aperto, senza un punto terminale chiaro e sul quale non siamo realmente arrivati a nessuna conclusione".

Nonostante, indipendentemente da questa carenza di nuova dottrina strategica che guidi l'agire generale della politica estera nordamericana, per la regione del Golfo in particolare, si mantiene ben definito il proposito centrale statunitense di continuare ad avere un accesso sicuro e stabile alle fonti energetiche dello stesso.

Se già è sparita in gran parte la "minaccia sovietica" sulla regione, adesso la politica nordamericana tratterà di conservare il suo ruolo centrale al di sopra di ogni altro concorrente in area come l'Europa ed il Giappone, presterà attenzione ai tentativi di recupero della politica russa nella regione, e tenterà anche di frenare qualsiasi sfida strategica proposta da qualche attore regionale.

L'amministrazione Clinton ha prestato ugualmente una costante attenzione alla regione del Golfo Persico e alla dinamica particolare del conflitto. La politica verso questa regione ha preso corpo nella sua dottrina, durante gli anni 1993-1994 con la proposta di affrontare con una "Doppia Contesa" i cosiddetti "Backlash States" (Stati in retrocessione, fuori legge) in cui nella regione vengono identificati con l'Iraq e l'Iran.

Il flusso di risorse energetiche in volume e prezzi accettabili per la strategia statunitense continua ad essere, secondo la definizione di Richard Falk un "interesse strutturale di lungo termine" e perciò ha definito che le forme che verranno impiegate dagli Stati Uniti per difendere questi interessi potranno variare a causa di innumerevoli fattori di politica internazionale, regionale o interna nordamericana, mentre gli interessi per se stessi perdureranno indipendentemente dall'amministrazione al potere.

Un aspetto importante del Golfo del dopo guerra (1991-1996), sono state le gestioni nordamericane per partecipare alla conformazione di una nuova struttura strategico militare con i paesi del CCG. È utile ricordare che la repentina invasione del Kuwait e la conseguente minaccia della sicurezza dell'Arabia Saudita e degli altri membri del CCG, hanno fatto sì che questi rispondessero positivamente alle petizioni statunitensi di tenere accesso alle diverse installazioni militari, e ad utilizzare il territorio per sviluppare azioni contro obiettivi in territorio kuwaitiano ed iracheno.

Questi avvenimenti hanno favorito nuovamente l'apparizione, in alcune analisi di politica internazionale, di argomenti che risaltano l'identità quasi automatica tra gli interessi politici delle monarchie del Golfo e la politica regionale nordamericana.

Ciò nonostante, questa è una erronea percezione che non prende in considerazione né l'esperienza storica né quegli interessi particolari delle monarchie che non coincidono esattamente con quelli degli Stati Uniti.

Sebbene le monarchie del Golfo si sono appoggiate in buona misura agi Stati Uniti per il loro sviluppo bellico in momenti di crisi sono state favorevoli ad una maggior coordinazione tramite piani nordamericani, non possiamo non tener conto che fino a poco prima della Guerra del Golfo, questi paesi avevano rifiutato proposte che li vincolavano troppo apertamente, preferendo "mantenere a distanza" le forze statunitensi.

Spiega in buona misura questa posizione, il fatto che una identificazione aperta con le politiche degli Stati Uniti, o peggio ancora, di permettere una presenza militare diretta nel suo territorio, sarebbe un elemento di impatto contundente con i modelli socio-culturali islamici che dirigono la vita quotidiana di questi paesi e che supportano le basi di legittimità ai poteri delle monarchie locali.

Secondo l'analisi del professor Thomas Mc Naugher: (questi paesi) fanno un bilancio tra i benefici che ottengono dai loro vincoli più stretti con gli Stati Uniti ed il costo che rappresentano questi vincoli.

Data l'ubicazione geografica e le dinamiche politiche interne e regionali che affrontano i dirigenti di questi paesi, le loro percezioni sui costi-benefici sono considerevolmente differenti da quelle degli strateghi militari nordamericani.

I risultati della guerra del Golfo hanno permesso ai membri del CCG di avere, oggi, posizioni più flessibili che in passato, ciò ha facilitato l'avanzamento lento di vecchie e rinnovate proposte strategiche nordamericane. In alcuni casi come quello del Kuwait, l'associazione strategica ha mostrato considerevoli avanzamenti; in altre si è sollecitato discrezione e si è optato per un processo più dilatato nel tempo, anche se alla fine si è giunti alla firma degli accordi della difesa bilaterale (Bahrein, Qatar, Emirati e Oman); mentre, eccezionalmente, l'Arabia Saudita è stata l'unica che si è opposta alla firma di un accordo di difesa formale bilaterale con Washington, anche se in realtà va avanti negli altri aspetti della concertazione strategica con gli Stati Uniti.

L'Oman era l'unico paese del CCG che aveva firmato un accordo di difesa con gli Stati Uniti prima della crisi del Golfo e permetteva alle forze statunitensi un utilizzo periodico della base dell'isola Masirah.

Di qualsiasi forma, piani massimalisti pensati dagli Stati Uniti, in epoche anteriori che pretendevano ottenere nuove basi militari come uniche forme per garantire la presenza permanente di truppe in terra, e ottenere parallelamente una certa dipendenza strategica unilaterale da parte delle monarchie del CCG, sono state riadattate nell'attuale fase trattando di raggiungere gli stessi obiettivi con strategie differenti. Tanto i patti di difesa firmati ufficialmente, come le relazioni strategiche "di fatto" sviluppate in altri casi, hanno contemplato:

1 - Accesso in circostanze eccezionali;

2 - celebrazione di esercitazioni e manovre congiunte;

3 - immagazzinamento o collocazione dello svariato equipaggiamento militare;

4- nuovi contratti per la vendita, mantenimento, costruzione e consiglieri militari;

5- incremento della presenza navale degli Stati Uniti nella zona.

Nonostante si siano firmati patti difensivi dal contenuto simile con altre potenze come la Gran Bretagna, la Francia e la Russia, i paesi del CCG indeboliscono la pretesa dell'esclusività strategica statunitense e tentano di costruire uno schema di sicurezza regionale basato in alleanze multiple o complementare, non è meno certo che in tutta la fase del 1991-1996, il protagonismo di Washington sia stato molto marcato nella zona.

La riadattabilità della strategia nordamericana nel Golfo cerca quindi di garantire una presenza militare costante che si rinforza in determinate congiunture, senza ricorrere però al tradizionale meccanismo di impiantare una base militare di tipo formale.

In realtà, gli Stati Uniti hanno ottenuto di mantenere truppe e consiglieri durante tutto il dopo guerra del Golfo in Arabia Saudita e Kuwait fondamentalmente, utilizzando come argomento principale le possibili minacce che possono provenire da attori regionali come l'Iraq e l'Iran. Le congiunture ideali per il rafforzamento notevole dei contingenti militari e di armamenti statunitensi nella zona, sono state quelle derivate dall'intensificazione ciclica del conflitto tra Washington e Bagdad.

In queste occasioni, oltre alle installazioni saudite e kuwaitiane, sono in aumento l'utilizzo di altre in territorio del Bahrein e Qatar.

Questa permanenza militare si è vista favorire dalla celebrazione delle esercitazioni bilaterali periodiche con quasi tutti i paesi del CCG, sia terrestri, aerei, navali o generali, così come per i contratti di consiglieri tecnici che ha accompagnato le voluminose vendite belliche realizzate da Washington ai paesi della zona.

Un complemento importante di questa strategia è stato un unico costante sforzo in favore della pre-collocazione dello svariato equipaggiamento militare in questi paesi per essere impiegati in successivi contingenti di forze nordamericane.

Nonostante tutto ci sono alcuni paesi che hanno mostrato una certa resistenza a questa variante ed è ancora insufficiente la quantità di materiale bellico immagazzinato per essere utilizzato in eventuale contese future.

In questi casi, Washington ha cercato di trovare una diversa alternativa mediante l'incremento delle vendite belliche verso gli stessi.

Variante che risulta essere più di beneficio dal punto di vista economico per gli Stati Uniti, e alle monarchie garantisce maggior legittimità interna, tanto da farlo apparire come uno sforzo indipendente a favore della loro difesa e sicurezza nazionale, non compromessa apertamente con Washington; anche se sappiamo che questi armamenti potranno essere perfettamente utilizzati dalle stesse truppe statunitensi in caso di contesa.

Questa posizione è corrispondente con la nuova dottrina militare nordamericana degli anni '90, che cerca di ricavare maggior efficienza, velocità di dislocamento, maggior potere di fuoco e rapido accesso, con meno forze e meno basi, minor preventivo e armi più adeguate.

Secondo quanto dichiarato dall'ex segretario statunitense, Les Aspin: nell'era post sovietica le minacce sulla sicurezza nordamericana saranno più ampie e diverse e l'ambito della sicurezza sarà più ambiguo, ombroso e fluido. Nonostante ciò dobbiamo disegnare la struttura della nostra forza a partire da un'analisi chiara delle minacce che stiamo affrontando (... ). Per molti aspetti la regione del Golfo Persico risulta essere l'area di maggiori tensioni per le azioni militari degli Stati Uniti. Il mantenimento dell'epicentro di crisi nella regione, unito a questa logica strategica, ha permesso che, contrariamente a ciò che si andava speculando durante i mesi di crisi e di guerra nel Golfo, il dopo guerra regionale abbia avuto come uno dei suoi principali obiettivi il riarmo dei paesi dell'area.

Questo processo ha visto crescere i rispettivi eserciti ed in alcuni casi, come l'Arabia Saudita o il Kuwait, perseguire il proposito di duplicare o perfino triplicare la sua dimensione rispetto alla fase precedente la Guerra del Golfo. Allo stesso tempo tutti i paesi della zona hanno deciso di acquistare nuovi strumenti bellici, di ammodernare i propri eserciti e raggiungere maggiore efficacia e disposizione combattiva.

In alcuni casi ciò implica enorme spese finanziarie (Arabia Saudita, Emirati, Kuwait), altri paesi prevedono acquisti più modesti, oltre che acquisizione di equipaggiamento già usati e a basso costo (Bahrein), ed altri ancora mettono in pratica una politica di acquisti selettivi che le permetta, a basso costo, di influire nella dinamica strategica regionale (Iran con l'acquisto di submarini, programma di missili, aviazione reattiva con potere offensivo a lunga portata, blindati e materiali vari).

Tali somministrazioni verso la regione si vedono favoriti non solo per le abbondanti risorse finanziarie che possiede la maggior parte dei paesi della regione ma anche per il mantenimento della competitività tra i grandi produttori mondiali di armi.

Per esempio, mentre per le economie francese, russa e britannica le loro produzioni ed esportazioni militari continuano ad avere un importanza chiave, la grande economia nordamericana, che sta cercando di sviluppare un grande processo di riconversione industriale, deve obbligatoriamente continuare a dipendere in buona misura dalla produzione del cosiddetto Complesso Militare Industriale, tanto per il suo apporto finanziario come perché assicura il mantenimento di migliaia di posti di lavoro in questa fase di transizione economica.

Il disegno strategico statunitense per il Golfo del dopo guerra ha fatto i conti anche con un altro elemento chiave per garantire la sua presenza diretta nella zona: l'incremento delle sue forze navali. Perciò che in luglio 1995 è stato deciso di ricostruire la Quinta Flotta per operare specificatamente nelle acque del Golfo; tale flotta era stata distrutta al termine della Seconda Guerra Mondiale.

Questa Flotta ha oggi il suo centro di comando nel Bahrein e conta sulla facilitazione di accesso ai vari porti della zona.

Anche se i dettagli precisi di questo accordo non sono comunemente divulgati ed inoltre oscillano in base alla fase congiunturale, si stima che durante il primo semestre del 1996 vi erano nelle acque del Golfo, in modo quasi permanente, circa 35 imbarcazioni statunitensi, compreso una portaerei con 100 equipaggiamenti, un gruppo anfibio per un totale di 10 mila marines e personale della marina, uno e, a volte due, sottomarini nucleari con decine di missili incrociatori, così come 15 navi d'assalto ed altri mezzi di combattimento per 5 mila marines e 5 mila soldati.

Tutto questo spiegamento militare nordamericano nella regione è stato ripetutamente utilizzato per attaccare l'Iraq in varie occasioni durante gli ultimi anni (992-1993 e 1996), imponendo l'illegale "Zona Libera da Volo", violando la sovranità irachena; convertendosi inoltre in una costante pressione strategica contro l'Iran.

Riassumendo, l'attuale strategia militare nordamericana per la regione del Golfo, incontra nel prolungamento della sua presenza militare, nel rafforzamento congiunturale delle sue forze, nella pre collocazione di voluminosi arsenali, nelle vendite militari, nella celebrazione periodica di manovre belliche e nella ricostruzione della sua presenza navale permanente, un importante alternativa strategica di accesso che sostituisce la tradizionale concezione della base militare.

Questa nuova pratica, derivata da interessi marcatamente egemonici ed unilaterali, oltre che violatori della sovranità nazionale, rifiutata con forza crescente dai popoli della Penisola araba e del Golfo Persico, poiché vedono in essa un meccanismo per la perpetuazione del conflitto regionale e per il deterioramento costante delle loro rispettive realtà economiche e sociali.

 


Articolo tratto da "Bollettino di Informazione Antimperialista" gennaio / marzo 1997

Bimestrale dell'Associazione di informazione internazionale a cura del Comitato per la Pace e la Solidarietà tra i Popoli.

Sede: c/o Ass. Culturale Il Geranio, via dei Rododendri 15, 00171 Roma


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