Scenari
Così cambia la visione del mondo


Un attacco senza precedenti. Che lascerà il segno nei libri di storia. E che già ora ha costretto Washington a riscrivere bilanci, riorganizzare i servizi segreti e trovare nuove alleanze

di Alessandro Politi*

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Il blitz terrorista eseguito l’11 settembre contro obiettivi-chiave dell’immaginario politico, economico e strategico globale è stata un’operazione che resterà purtroppo famosa negli annali della guerra non convenzionale e del terrorismo.

Pianificata assai probabilmente da molto tempo (almeno 4-6 mesi), sostenuta da una rete logistica che lascia supporre mezzi superiori a quelli disponibili persino al famigerato bin Laden, innervata da una struttura di reclutamento ed indottrinamento di prim’ordine, questa operazione è destinata a lasciare tracce molto più durature della scossa psicologica inflitta agli Stati Uniti.

Le prime conseguenze del quadruplice attentato si verificheranno ai livello alti e medi dell’amministrazione statunitense. I membri del quartetto presidenziale, cioè Colin Powell (Dipartimento di Stato), Condoleeza Rice (Consiglio nazionale di sicurezza), Donald Rumsfeld (Dipartimento della difesa), Paul Wolfowitz (vice segretario alla Difesa), dovranno rivedere le proprie posizioni politiche ed i loro programmi di spesa.

È ovvio che la lotta al terrorismo è salita in cima all’agenda politica interna ed estera, ma questo impone delle scelte non sempre facili. Come sostenere la necessità assoluta di una difesa antimissile quando lo spazio aereo è stato violato da comuni aerei commerciali? Cosa fare se alcuni Paesi a lungo messi sulla lista nera si rivelano essere stati estranei agli attentati e se invece alcuni alleati si sono dimostrati negligenti?

La priorità terrorismo richiederà molto probabilmente un’altra estenuante tornata di ricerche di responsabilità, lezioni apprese e riforme nel settore dell’intelligence. Le scelte sulla nuova intelligence cambieranno letteralmente il modo in cui l’amministrazione vedrà il resto del mondo.

Un’altra conseguenza dell’attentato sarà visibile nei rapporti con gli alleati. Al termine del NAC (North Atlantic Council), il segretario generale della NATO, lord Robertson of Port Ellen, ha dichiarato che la lotta al terrorismo riceverà un nuovo impulso. Quanto cambierà la strategia di sicurezza di un’alleanza che da un nemico esterno militarmente visibile sposta l’attenzione ad un dominio prettamente d’intelligence e di polizia?

Più cauta è stata, al momento di andare in stampa, la reazione dell’Unione Europea perché, tra l’altro, essa dispone di strumenti particolarmente penetranti come il sistema Schengen ed Europol per la lotta al terrorismo. Nel giro dei prossimi mesi però si presenterà il cruciale dilemma di come bilanciare le risorse tra l’emergenza attuale e la minaccia permanente del crimine organizzato transnazionale.

È immaginabile che, in nome dell’antiterrorismo, nuove collaborazioni si possano sviluppare tra Usa, Russia e Cina, mettendo in ombra alcuni contrasti più recenti, ma sarà interessante vedere come si riallinearanno Paesi come Iran, Pakistan ed India, ognuno con i suoi punti forti e deboli in materia. La posta in gioco resteranno le reti energetiche tra Caucaso ed Asia Centrale, per le quali è già stato versato molto denaro e molto sangue.

Infine, nello scacchiere mediorientale, tre Paesi potrebbero sembrare rafforzati a breve termine nelle loro posizioni inflessibili riguardo alla gestione interna del trinomio politica-società-terrorismo: Algeria, Israele e Turchia. Tuttavia, a meno di non tornare a scenari da Guerra Fredda, potrebbero scoprire che un maggiore coinvolgimento statunitense nell’area potrebbe indurli a cercare soluzioni più politiche e meno basate sulla forza.

* Alessandro Politi è analista strategico

12.09.2001


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