Afghanistan
UN PAESE OFF LIMITS
Fino
a pochi giorni fa ben poche persone erano a conoscenza della situazione
politica, militare e storica di un paese sperduto nel cuore dell'Asia
centrale: l'Afghanistan. Un po' più famosi al grande pubblico erano i
talebani, i giovani studenti coranici che dal 1996 hanno fatto ripiombare
l'Afghanistan al Medioevo. Ma chi era in grado di dire da dove venivano,
chi erano, dove andavano? Pochissimi.
Dopo i lugubri e ignobili attentati alle torri gemelle di New York e al
Pentagono (centro nevralgico della difesa e della "intelligenza"
americana) che hanno causato la spaventosa morte di circa 5mila persone
innocenti (le cifre sono ancora incerte), non si fa altro che di parlare
di talebani, del presunto responsabile degli attentati Osama bin Laden e
di Afghanistan. Tanto che quel luogo, per un probabile quanto terrificante
intervento militare americano che provocherebbe una guerra, è diventato
"off limits" per chiunque. Le frontiere con i paesi confinanti
(Cina, Iran, Tajikistan, Turkmenistan e Uzbekistan) sono chiuse. Solo il
Pakistan (che confina per ben 2.430 chilometri e che ha, insieme alla sola
Arabia Saudita, riconosciuto il governo dei talebani) ha mantenuto le
sbarre alzate, irrigidendo però tutte le misure di sicurezza.
Dall'Afghanistan, in sostanza, non si entra e non si esce. Ma perché? Gli
americani sono convinti, e con loro gran parte dei governi e dell'opinione
pubblica mondiale, che l'Afghanistan stia dando ospitalità a Osama bin
Laden, il nemico numero uno dell'Occidente, presunto responsabile
tralaltro di una sterminata serie di attentati ai danni degli Usa. Pur di
prenderlo ("vivo o morto", come ha dichiarato lo stesso
presidente statunitense George Bush) gli Usa si stanno preparando alla
loro prima guerra del secolo, richiamando anche 50mila riservisti
dell'esercito. L'obiettivo della loro terrificante potenza di fuoco pare
essere proprio l'Afghanistan, una terra devastata da venti anni di
conflitti (iniziati nel 1979 con l'invasione dell'ex URSS) e abitata da 26
milioni di abitanti che non saranno in grado di sopportare un ulteriore
conflitto sulle loro teste.
Ecco allora una mini-guida a un paese in cui non si deve, e non si può,
andare.
L'Afghanistan è un paese poverissimo. In media ogni abitante vive con un
milione e 600mila lire all'anno (4mila lire al giorno). La sua gente ha
vissuto più di venti anni di conflitti che hanno causato, a partire
dall'invasione sovietica del 1979, oltre un milione e mezzo di vittime. Il
paese è poi infestato dalle mine. Si calcola che attualmente ce ne siano
sotterrate e ancora attive da cinque a sette milioni. Un'altra guerra, che
provocherebbe l'esodo di centinaia di migliaia di profughi, sarebbe
devastante.
INFORMAZIONI GEO-POLITICHE DEL PAESE
La capitale è Kabul e conta 700mila abitanti. Il territorio si estende su 652.225 kmq (due volte l'Italia).
26 milioni sono gli abitanti, con una densità media di 36 ab. per kmq.
Il regime talebano è al potere dal 1996.
Paesi
islamici nel mirino degli Usa
In Sudan, Yemen, Algeria, Iran e Azerbajdzhan i segni della presenza di Bin
Laden
. Pochi indizi contro Saddam.
WASHINGTON - Gli uomini delle Forze speciali americane sono sul
terreno non soltanto in Afghanistan, ma in un secondo paese musulmano che
sarà, con l'Afghanistan, obiettivo della prima azione militare ordinata
da George W. Bush. Lo riferiscono fonti qualificate vicine
all'amministrazione, interpellate da Repubblica. Il secondo
obiettivo degli Usa è ancora top secret, ma non sarà l'Iraq. In questo
primo avvio della risposta militare di Washington all'attacco dell'11
settembre contro le Torri del World Trade Center e il Pentagono, il
"partito dei falchi" che voleva colpire anche Baghdad, a quanto
pare, è stato sconfitto.
Troppo esili, se non insignificanti, le prove che coinvolgono Saddam
Hussein nell'attacco terroristico. A quanto si sa, il Pentagono anche
sulla base dei dossier raccolti dall'intelligence negli ultimi tre anni ha
selezionato una vasta gamma di obiettivi sensibili.
In Sudan, due campi di addestramento sono stati individuati a Wadi Hamid,
a nord di Khartoum. Organizzati dall'Islamic National Front, con il pieno
sostegno del governo sudanese, i campi sono in parte finanziati da Bin
Laden e nel 1998 sono già stati obiettivi dei Cruise degli Stati Uniti,
in risposta alle stragi nelle ambasciate di Nairobi e Dar er Saalam. A
nord di Sana'a, nello Yemen, è il quartier generale del principale gruppo
terroristico del paese. Si tratta dell'esercito di Mohammed e della Forza
di deterrenza islamica. Anch'essi sarebbero finanziati da Osama Bin Laden
e i loro campi sono stati già indicati dalla Cia come le basi logistiche
del commando che colpì la Uss Cole nel porto di Aden, uccidendo 17
marinai. In Algeria, due le sigle incluse, con i loro campi, nella lista
dei target: il Gia e il "Gruppo Salafita per la chiamata e il
combattimento".
In Iran, i campi di addestramento sono stati individuati a sud e a est di
Teheran. Al confine con l'Azerbajdzhan, sono stati identificati quattro
possibili obiettivi. Si tratta di campi di addestramento con istruttori
ceceni. In Iraq, infine ma come detto l'opzione è per il momento
congelata l'intelligence ha segnalato il campo di AlDawrah, trenta miglia
a ovest di Baghdad. Nei suoi sotterranei un ampio laboratorio per la
confezione di armi batteriologiche. Agenti nervini anche nei depositi di
AlKindl, 30 miglia a sudest della capitale irachena, AlFadhaliyah, 29
miglia a nord di Baghdad, e AlQayem, 50 miglia dal confine con la Siria,
nei laboratori diretti dal figlio di Saddam, Qusay. Due campi di
addestramento, invece, sono stati individuati al confine settentrionale
con l'Iran: nei dintorni di Karbalah e Halabjah.
Gli uomini del Pentagono considerano la fase di ricognizione dei commandos
delle forze speciali in Afghanistan "conclusa". "Siamo
nella fase della cosiddetta "window opportunity". I nostri
uomini sono pronti a passare alla fase di combattimento sul terreno non
appena sull'obiettivo sarà inquadrato un bersaglio sensibile spiegano a
Repubblica fonti vicine all'amministrazione Non tutti i campi danno segni
di vita e di attività e dunque nessuno vuole impegnare un missile contro
una tenda vuota o un rudere disabitato. Anche per questo la rosa dei
target è larga".
Nell'elenco dei bersagli, ricostruibile in questa fase, figurano in
Afghanistan, oltre alle basi dell'esercito regolare taliban e alle piste
di decollo della loro modestissima forza aerea, Khowst, cento miglia a sud
di Kabul, dove nelle settimane scorse è stato individuato movimento di
centinaia di reclute di Al Qaeda. Murgha, vicina al confine pakistano, è
stata in passato un deposito di armi utilizzato per i rifornimenti
clandestini provenienti dal Pakistan. L'intera area sarebbe stata già
"sigillata" dalle forze speciali. Bailugh, a sud di Kabul, un
campo utilizzato come base di partenza per i "martiri di Allah"
destinati ad operazioni in Occidente.
Il primo obiettivo degli Stati Uniti resta Osama Bin Laden.
Contrariamente, a quanto dichiarato da Tony Blair, le prove in possesso
dell'amministrazione del suo coinvolgimento diretto nell'attacco dell'11
settembre non sarebbero "definitive". "Sono prove
circostanziali che, per la loro quantità, giudichiamo significative e più
che sufficienti a motivare un attacco militare all'opinione pubblica
americana" ma, riferiscono le fonti di Repubblica, "non
siamo ancora in possesso di informazioni specifiche che possano dimostrare
la sola responsabilità diretta di Osama Bin Laden e dunque convincere le
opinioni pubbliche dei paesi arabi moderati. O, per meglio dire, in grado
di convincere principi e regine di quei paesi a presentarsi davanti alla
loro gente per avallare la risposta americana".
Secondo informazioni che non trovano, come è naturale, nessuna conferma o
smentita, Osama Bin Laden si nasconderebbe nella catena montuosa di
Qala-al-Babikir, difeso da un esercito tra le 3 e le 4 mila unità armate
con un arsenale convenzionale potenziato da ciò che resta dei missili
Stinger forniti dagli americani durante il conflitto con i sovietici.
L'attesa di queste ore è dettata anche dalla scelta finale dell'opzione
politica che accompagnerà la risposta militare. "Arrivati a questo
punto colpire un fabbrica chimica non avrebbe alcun senso politico. Tra
gli obiettivi selezionati dal Pentagono si sceglierà quello di maggior
peso per l'opinione pubblica, tale da mettere la Casa Bianca al riparo da
critiche di inconsistenza". Un secondo problema è invece tutto e
soltanto militare. "Ridurre il tempo che normalmente trascorre tra
l'allarme di inizio attacco e il momento in cui i missili raggiungono il
bersaglio. Normalmente parliamo di due ore. Ma lo abbiamo visto nel 1998
due ore possono essere troppe. Dunque, stiamo lavorando per ridurre il
tempo di una possibile reazione del nemico".
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