"Abbiamo versato tutte le lacrime della nostra tristezza",
disse il Presidente quella mattina ormai remota di martedì 11
settembre in Florida nell'apprendere le prime notizie della strage
di Manhattan. Ora egli sta comunicando da due giorni agli americani
e al mondo intero, amici e nemici, che è arrivato il "dies
irae" dell'America, "l'inverno del nostro
malcontento": quaranta miliardi di dollari, tutte le risorse
militari degli Stati Uniti sul piede di guerra, cinquantamila
riservisti richiamati alle armi, le divisioni corazzate pronte a
partire in volo, una lunga campagna che si svolgerà
contemporaneamente su molti fronti, un obiettivo che comprende gli
autori materiali della strage, i loro mandanti diretti, gli Stati
che li hanno protetti e tuttora li proteggono.
Insomma, l'immensa forza dell'Impero è pronta e tesa come una
gigantesca molla; scatterà da un momento all'altro e nessuno può
fermarla né contenerla perché è il popolo americano che lo vuole,
convinto di compiere un atto di giustizia in nome proprio e in nome
di tutto il mondo civile. Gli alleati del popolo americano dal canto
loro si sono schierati al suo fianco fin dalle prime ore di quel
maledetto 11 settembre. Non solo il governo, ma i popoli o perlomeno
la grande maggioranza dell'opinione pubblica dell'Occidente. La
ferita di Manhattan riguarda l'intera comunità occidentale nel suo
profilo morale che va al di là del semplice dato geografico. La
ferita di Manhattan ha compattato tutte le province dell'Impero.
Nessuno chiede vendetta, tutti chiedono giustizia; nessuno vuole
aggredire popoli e culture diverse, ma tutti reclamano che i
colpevoli siano puniti e i demoni scacciati dalla faccia della
terra. Non ci avevano pensato coloro che hanno scatenato il terrore?
Non l'avevano messo nel conto gli Stati che li hanno ospitati,
protetti e probabilmente incoraggiati? Come è stato scritto da
molti commentatori, i terroristi si sono dunque sparati sui piedi e
hanno firmato la loro definitiva condanna?
Bisogna pensare tutto daccapo, ha scritto ieri Adriano Sofri ed ha
perfettamente ragione. Bisogna, come prima cosa, entrare nella testa
dei capi terroristi che hanno a mente e sangue freddo scatenato
l'inferno. Si sono sparati sui piedi oppure sta esattamente
accadendo ciò che essi volevano lucidamente che accadesse?
In un mondo che sta celebrando da dodici anni la fine delle
ideologie o meglio il trionfo di un'unica ideologia, nasce
improvvisamente un'ideologia alternativa dotata d'una forza
contundente tremenda: la rivolta dei poveri del mondo, la ribellione
degli esclusi, la volontà di potenza dei deboli. Il terrorismo
islamico si appella al suo Dio con un'interpretazione unilaterale e
feroce dei testi coranici, non condivisa ed anzi condannata da molti
correligionari; ed hanno perfettamente ragione tutti quelli che ci
ricordano che l'Islam è una realtà culturale non violenta e
profondamente intrecciata con le origini della civiltà occidentale.
E' così. E' stato così fino a quando la civiltà islamica ha
percorso e in certi tratti perfino anticipato la civiltà
cristianooccidentale nel cammino della modernità. Ma è pur vero
che da un certo momento in poi una parte dell'Islam si è separata
dalla modernità o ne è stata respinta ai margini. Lì comincia il
dramma, da quel momento cala un'immensa cortina che cela nel buio e
nel silenzio il distacco che ora esplode con le bombe umane di
Manhattan coniugando insieme il massimo del furore arcaico col
massimo della tecnologia del nuovo millennio.
Bin Laden se ne infischia probabilmente dei poveri del mondo; i
guerrieri della sua "Spectre" non sono indottrinati alla
lotta di classe; le masse arabe e le popolazioni musulmane dell'Asia
centrale, dell'India, dell'Indonesia, non sono mai state penetrate
dal credo marxista. Ma tutti hanno uno stesso obiettivo: abbattere
un ordine mondiale che li esclude, li assoggetta, è animato da
valori estranei alle loro tradizioni, monopolizza ricchezza e
benessere ne promette la diffusione, ma quando, tra quanti anni, tra
quanti secoli? Queste masse di straccioni, di ammalati, di
analfabeti, non hanno la forza di sollevarsi al di sopra del piatto
di minestra che gli offre la missione o il volontariato senza
frontiere quando può e come può. Queste masse sono separate tra
loro e indifferenti a quanto di simile accade al loro vicino.
Vivono per sopravvivere. Ma il terrorismo industrializzato dei Bin
Laden può dimostrare che i loro sogni più repressi non sono
impossibili, anzi che sono alla loro portata. Provate a disegnare
una serie di cerchi concentrici: al centro il cerchio più piccolo,
scriveteci Bin Laden; poi uno più grande, scriveteci arabi; poi uno
più grande ancora, scriveteci musulmani; infine il più grande di
tutti, scriveteci poveri ed esclusi. Da noi, in Occidente, l'ultimo
cerchio è minoritario, lo chiamiamo "il terzo debole" per
dire che più o meno rappresenta un terzo della popolazione e col
progresso economico si va via via riducendo. Ma nel panorama
mondiale le cose sono terribilmente diverse e tutti noi lo sappiamo
benissimo.
Ora almeno una parte delle masse che stanno dentro a quel sistema di
cerchi concentrici è entrata in comunicazione reciproca: li
accomuna soltanto la loro condizione umana di esclusi, ma alcuni di
loro sono anche accomunati da una fede religiosa, altri da un
obiettivo politico urgente, tutti o quasi tutti da una divorante
invidia esistenziale: invidiano e quindi odiano l'Occidente e in
specialissimo modo gli Stati Uniti d'America, cioè l'impero del
benessere, della forza, del potere e in particolare il centro
dell'Impero. L'11 settembre hanno visto e memorizzato che si può
portare guerra e strage al centro dell'Impero, unendo insieme i loro
corpi e la tecnologia. E voi pensate veramente che i capi del
terrore si sono sparati sui piedi?
Sarà una guerra o un'operazione, sia pure di grandissime
dimensioni, di polizia internazionale?
Non giochiamo con le parole. Quando un'operazione di polizia
internazionale è affidata ad armate di terra, di cielo e di mare;
quando mobilita decine di migliaia di uomini; quando per svolgersi
deve violare confini e sovranità; quando dovrà misurarsi con
difese militari di altri paesi; quando si prevede una durata di
molti mesi se non di anni; ebbene questa si chiama guerra e lo è.
Del resto lo stesso Bush la chiama così perché la sente così.
Sarà la guerra contro un mostruoso terrorismo il quale però non è
sentito come tale da un'altra parte rilevante del mondo. E tra gli
uni e gli altri ci sarà - c'è già - una zona grigia che condannerà
le stragi perpetrate da entrambi e non vorrà schierarsi né con gli
uni né con gli altri. Ciascuno di noi sceglierà dove stare e certo
nessuno di noi starà con i terroristi, siano essi artigianali o
industrializzati; ma questa sarà la mappa del pianeta, è bene
saperlo per misurare le mosse e la loro efficacia.
Da questo punto di vista la mossa più importante, mentre si procede
all'operazione di polizia o guerra che dir si voglia contro il
terrorismo, è quella di disarticolare i cerchi concentrici
impedendo che facciano massa unica. Gli Stati arabi moderati
vorrebbero far parte, come fu all'epoca della guerra del Golfo,
della coalizione occidentale ma il grosso della loro opinione
pubblica è dominata dai movimenti islamici agganciati in quella
regione allo scontro tra Israele e palestinesi. Ebbene, questo
scontro va affrontato di petto dall'Occidente e risolto nel solo
modo possibile: la creazione dello Stato palestinese, la garanzia di
tutto l'Occidente all'esistenza di Israele, la presenza di
interposizione di adeguati contingenti dell'Onu, un aiuto massiccio
al popolo palestinese perché trovi finalmente condizioni eque di
lavoro e di sviluppo economico.
Se l'Occidente - e gli Usa in particolare - sapranno compiere questo
fattibile miracolo forse comincerà ad esser vero che i terroristi
alla Bin Laden si sono sparati sui piedi. Ma quei terroristi
presumono di sapere che l'Occidente non può o non vuole fare quel
miracolo. Perciò smentirli è indispensabile.
Quanto tempo è stato drammaticamente perduto, mezzo secolo a dir
poco! Queste iniziative volte a disinnescare l'ordigno
politico-ideologico messo in moto dai terroristi vanno avviate in
tutte le direzioni necessarie. Per esempio nell'area sirianolibanese,
altro snodo strategico da ricondurre verso l'inserimento politico ed
economico nello sviluppo dell'intera regione mesopotamica. Marcino,
e marcino spedite le armate che debbono fare giustizia dissipando il
malcontento dell'America e di tutto l'Occidente, ma nel frattempo si
ponga allo stesso livello di priorità la pacificazione del Medio
Oriente, la fondazione dello Stato palestinese, la confederazione
mesopotamica per lo sviluppo della regione.
Allora sì, se questi obiettivi saranno raggiunti, i terroristi alla
Bin Laden si saranno sparati sui piedi e i demoni saranno ricacciati
via dalla superficie della terra. Oppure la guerra sarà lunga e
senza confini netti, il sistema dei cerchi concentrici si salderà,
le campagne del mondo assedieranno le città.
L'Europa può fare molto perché le cose vadano nel verso giusto se
riuscirà a parlare alto e forte con una sola voce. Il tempo di
baloccarci tra il dire e il non fare è finito anche per noi.
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