POLITICA


"Convivere con la mafia". Tutti contro il ministro Lunardi

di Aldo Varano

 

ROMA. «Gravissimo». «Imperdonabile». È indignata, arrabiata e sgomenta Pina Maisano, vedova di Libero Grassi, l’imprenditore palermitato ammazzato dai fucilieri della mafia il 29 agosto del 1991 per non aver accettato di convivere con la mafia. La frase del ministro Pietro Lunardi: «Le cosche ci sono sempre state e ci saranno. Dovremo convivere con questa realtà» è subito apparsa alla signora Grassi una irrisione della scelta di altissimo senso civile del marito che non volle piegarsi a Cosa nostra. Per questo la signira Pina ha deciso una iniziativa clamorosa: «Scriverò una lettera al presidente Ciampi per chiedergli se ritiene che le dichiarazioni del ministro Pietro Lunardi siano compatibili con la sua carica di governo». Ovviamente, su quanta compatibilità esiste tra i convincimenti di Lunardi e la sua carica di ministro, la signora Maisano Grassi un’idea ce l’ha.
Tra le reazioni contro il ministro (c’è anche qualche balbettio imbarazzato di Forza Italia) anche quella del presidente dell’Associazione nazionale magistrati di Palermo Massimo Russo: «Stento a credere che un ministro della Repubblica possa aver affermato che bisogna convivere con la mafia e la camorra: se queste parole sono state dette, vanificano in un attimo il sacrificio dei tanti servitori dello Stato che sono morti per affermare la legalità nel nostro Paese».
Per la verità, quelle parole, oltre ad averle dette il ministro le ha anche approfondite spiegando per per affrontare il problema delle interferenze mafiose, che Lunardi non nega, si dovrà decidere che «ognuno se le risolverà come vuole».criminalità organizzata».

Martedi 28 Agosto 2001

 

 

Insulti, minacce, disprezzo: parla il governo


di Marcella Ciarnelli

Editti, minacce, attacchi indiscriminati. Mentre Silvio Berlusconi sceglie la linea del silenzio i suoi ministri si lasciano andare a parole in libertà. Probabilmente un gioco di squadra studiato per spianare la strada al ritorno in grande stile del premier sulla scena politica. Forse non ci sarà l’autunno “caldo” che molti prevedono, dati di fatto alla mano, e che con la consueta sicurezza il ministro Tremonti esclude. Ma quella che si va concludendo è stata sicuramente un’estate calda. Non dal punto di vista meteorologico. Che è cosa normale. Ma da quello dell’uso dell’offesa come strumento di confronto politico. Che è cosa poco nobile in una democrazia che si rispetti. I numeri su cui il governo può contare avrebbero dovuto avere come conseguenza una tranquillità che invece i ministri di centrodestra stanno mostrando di non avere. La tanto sbandierata sicurezza evidentemente è frutto di mediazioni che fanno tendere i nervi. E, quindi, per allentarli cosa c’è di meglio che attaccare l’opposizione in uno stile da «destra thatcheriana e aggressiva» come l’ha definito ieri Piero Fassino, candidato alla segreteria dei Ds.
L’uscita più vistosa di questa estate di attacco e di governo è stata quella di Giulio Tremonti, il superministro dell’Economia, che ha dato vita ad un grande show davanti all’amica platea dei giovani di Comunione e Liberazione. Con la consueta spocchia ha fornito giudizi e ricette infallibili (dal suo punto di vista). Sergio Cofferati è «l’archetipo del nuovo reazionario»; Giuliano Amato «ha una vocazione organica alla bugia» riferendosi al buco nei conti pubblici che il ministro, dopo averlo strombazzato a mezzo di tv a metà luglio, continua ad evocare nonostante le più autorevoli smentite compresa quella del Fondo Monetario scritta in inglese, lingua a lui molto cara e che appena può preferisce all’italiano. E che, ha sibilato, Eugenio Scalfari «dovrebbe farsi tradurre da Rutelli che l’inglese lo conosce bene» guadagnandosi, a stretto giro, la lapidaria replica del fondatore di “Repubblica”. Massimo D’Alema e Luciano Violante sono «gli esattori fiscali di una Tobin tax di centrosinistra». E Vincenzo Visco, se interrogato in commissione Finanze,non saprebbe, a suo avviso «spiegare nemmeno un comma dei suoi provvedimenti fiscali». Il tutto condito con alcune delle sue previsioni. Per cui la stagione che verrà porterà «ad un nuovo miracolo economico» grazie all’operato dell’esecutivo di cui fa parte, che è guidato, da un politico-manager che con i miracoli ha sempre detto di avere una grande dimestichezza. Fino ad ora, in particolare, quelli che riguardano da vicino le faccende private sue e dei suoi amici.
Voglia di rissa. Di sfida. Un modo di affrontare la dialettica con l’opposizione che lascia poco spazio al dialogo. Che pure in certe occasioni, a cominciare dal clima di tensione dopo l’attentato di Venezia, il premier ha per primo auspicato cercando di creare un clima bipartisan, almeno su questioni rilevanti come la stabilità del Paese. Creandosi, però, non pochi problemi all’interno della coalizione, a cominciare dai rapporti con Umberto Bossi che ha liquidato qualunque prova di dialogo con un concetto lapidario e poco democratico: «Chi ha perso le elezioni sa che non vincerà più e le prova tutte». O con Maurizio Gasparri per cui: «Era comunista Violante, lo sono le Br, lo sono forse quelli che mettono le bombe». Solo che poi è stato clamorosamente smentito. Mentre il ministro di Grazia e Giustizia, Roberto Castelli ha scelto di puntare il dito. E mette in guardia: «C’è qualche cattivo maestro che ci vuole condizionare con i moti di piazza»
Anche Letizia Moratti si è presentata a Rimini dimenticando il distacco e la freddezza necessari a chi ha vissuto da sempre nel mondo degli affari. La politica è un’altra cosa. E, quindi, giù a colpi di machete, sulla scuola pubblica per aprire spazi sempre più ampi agli istituti privati. E sulla riforma degli esami di maturità che, a distanza di soli tre anni, lei vuole un’altra volta modificare. Come se fare tabula rasa del passato fosse l’unico modo per innovare.
Dietro le esternazioni dei suoi ministri si intravede la linea guida segnata da Berlusconi, molto prima che cominciasse il caldo d’agosto con le evidenti conseguenze. Il premier del «c’è chi rema contro di noi» che attaccava «l’opposizione che non ci vuol fare lavorare» è tutto nelle parole sentite quest’estate. È la conseguenza di quell’insistenza del presidente del Consiglio, subito dopo i fatti di Genova, sull’eventualità che «dietro il movimento che abbiamo visto ci sia una forma di comunismo che era uscito dalla porta e ora rischia di rientrare dalla finestra». Seguito a ruota dal ministro dell’Interno, Claudio Scajola, che non ha esitato a puntare il dito su una sinistra «che deve meno giocare sugli equivoci» poiché «la gestione dell’ordine pubblico e della sicurezza non sono compiti che spettano solo al governo». Secondo una logica della distribuzione delle responsabilità in modo da averne di meno, per cui non potendo più dire che le colpe di quanto accaduto erano del passato governo, arrivati al punto in cui si era meglio tirar tutti dentro.
Sulla strada dell’esternazione si è avviato a gran velocità anche il ministro Lunardi, sostenitore dei 160 all’ora in autostrada, che si son andati a scontrare con il tragico bilancio di morti anche dell’esodo di quest’anno. E che, per il momento, è stato accantonato. Anche lui è andato a sbattere. Sul muro della coscienza antimafia del paese e di chi ha pagato con la vita dei propri cari un’antica militanza. «Mafia e camorra ci sono sempre state e sempre ci saranno» ha detto il ministro. «Dovremo convivere con questa realtà» ha azzardato per poi rimangiarsi velocemente le parole ma non la sostanza di quanto affermato sotto il peso della lettera aperta che la moglie di Libero Grassi ha scritto al presidente Ciampi e le parole della sorella di Giovanni Falcone.
Parole in libertà. Tante. Nessuna, però, su quella questione che pure il candidato premier Silvio Berlusconi aveva promesso di risolvere appena arrivato a Palazzo Chigi. Ricordate il conflitto d’interessi? Evidentemente non è un argomento estivo. Ma è di quelli che le ferie le può rovinare.


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