Berlusconi

Una storia Italiana


Traduzione italiana di "An Italian story", articolo principale del "The Economist" (28 aprile)


 

Secondo le previsioni, con le elezioni del mese prossimo, Silvio Berlusconi, l’uomo d’affari più ricco d’Italia, potrebbe diventare di nuovo Presidente del Consiglio. E tuttavia egli è ancora coinvolto in una serie di battaglie legali. Le sue società hanno usato denaro proveniente da fonti non rintracciabili e, fra le accuse che lo riguardano,c’è quella di connivenza con la mafia.

Il 20 aprile, in una disadorna aula giudiziaria milanese, tre giudici si sono incontrati per ascoltare le testimonianze di un importante processo. Il procedimento trattava di un caso di presunta corruzione di giudici. Sulla porta, c’era, scritta a mano, la lista degli accusati. In cima c’era il nome di Silvio Berlusconi.

Il caso illustra in modo evidente come Berlusconi non si sia lasciato alle spalle i suoi problemi legali. Poco prima che diventasse Presidente del Consiglio, nel maggio del 1994, il suo impero finanziario, FININVEST, fu oggetto delle indagini di mani pulite. Quest’operazione, inaugurata dai magistrati di Milano nel 1992, aveva messo a nudo una profonda corruzione nella politica, nella burocrazia e nel mondo dell’imprenditoria italiana.

Quando nel 1993 Berlusconi fondò il suo partito – Forza Italia – si sapeva poco di come egli gestisse i propri affari. Si presentava agli italiani come un uomo che si era fatto da sé, che aveva costruito un potente impero televisivo infrangendo il monopolio della RAI. Disse ai suoi potenziali elettori che rappresentava una rottura con il passato corrotto del Paese.

A partire dal 1994, i magistrati hanno condotto indagini su vari capi d’imputazione a carico di Berlusconi, tra i quali i reati di riciclaggio di denaro sporco, collusione con la mafia, evasione fiscale, concorso in omicidio, corruzione di politici, giudici e guardie di finanza. Berlusconi respinge vigorosamente tutte le accuse, sostenendo che la magistratura è dominata da giudici di sinistra e che le indagini di mani pulite erano condizionate politicamente. Non c’è da sorprendersi che i suoi più intimi accoliti ribadiscano le sue affermazioni. “Berlusconi è perseguitato fin dal 1993; c’è qualcosa di marcio nel sistema giudiziario”, dice Fedele Confalonieri, un suo vecchio amico e presidente di Mediaset, il gruppo televisivo di Fininvest.

Nel 1996, un alto magistrato inglese, Simon Brown, aveva un’opinione alquanto diversa. Il caso riguardava il fallito tentativo da parte di Berlusconi di impedire che la magistratura italiana entrasse in possesso di alcuni documenti sequestrati dall’Ufficio Grandi Frodi britannico. Secondo i magistrati questi documenti provavano che Berlusconi si era reso colpevole di un caso di finanziamento illecito ai partiti, accusa che Berlusconi ha sempre sostenuto essere il frutto di una montatura ai suoi danni.

Secondo il Giudice Brown, tuttavia era improprio:

“sostenere che l’iniziativa dei giudici sia motivata da ‘fini politici’, ovvero definire il loro atteggiamento nei confronti di Berlusconi una persecuzione politica….i magistrati si stanno mostrando equanimi nel trattare allo stesso modo i politici di tutti i partiti. Mi sembra paradossale che gli accusati si dichiarino vittime di una persecuzione politica mentre all’epoca dei fatti era lo stesso Berlusconi ad essere al governo…mi riesce francamente difficile considerare ‘prigionieri politici’ coloro che si sono resi responsabili di finanziamenti illeciti”.

Ma Berlusconi ha una seconda linea di difesa: “l’Italia non è un paese normale. Anche un caso anomalo come Berlusconi va visto nel contesto del paese. Non ha fatto né più né meno di quanto avrebbe fatto un qualsiasi imprenditore italiano” , afferma Confalonieri.

Ed effettivamente molte persone, e non solo a destra, fanno eco a questa difesa. Berlusconi, dicono, ha fatto solo quello che tutti gli umprenditori dovevano fare per andare avanti: pagare tutti quelli, politici e giudici inclusi, che potevano aiutarlo. Il problema di Berlusconi, dicono, è semplicemente di essere stato più astuto e di essere diventato più ricco dei suoi rivali. Inoltre, aggiungono, cosa facevano i magistrati prima di mani pulite, quando erano visibilmente inerti nel perseguire le persone importanti?

Non tutti concordano. Secondo un importante banchiere italiano, Berlusconi “ha oltrepassato in maniera inaccettabile i limiti per fare affari in Italia”.



Gli ingranaggi della giustizia


Per comprendere fino in fondo la vicenda giudiziaria di Berlusconi, occorre tener presente tre fattori.
Primo, nel sistema processuale italiano, in presenza di una notizia di reato, i magistrati sono tenuti ad aprire un’indagine che può durare fino a due anni, senza che sia necessario formalizzare le incriminazioni. Secondo, dalla presentazione della denuncia il sistema giudiziario si muove con molta lentezza; un processo – tra primo e secondo grado - può durare anni. Terzo, in Italia gli imputati vengono giudicati colpevoli solo dopo la sentenza definitiva di ultimo grado.

A tutt’oggi Berlusconi non ha avuto condanne definitive. Solo tre dei nove procedimenti a suo carico sono arrivati in Cassazione, e l’unico verdetto emesso non è stato di innocenza. La Corte si è infatti limitata a confermare la sentenza d’appello, secondo la quale il reato era ormai caduto in prescrizione.

Tutti i problemi legali di Berlusconi sono legati alla sua carriera nel mondo degli affari, cominciata negli anni 60. Quando entrò in politica, rinunciò alla conduzione di tutte le sue società Fininvest; tranne che alla squadra del Milan. Comunque egli resta l’azionista di riferimento del gruppo, e uno o entrambi i suoi figli adulti fanno parte dei consigli di amministrazione di ognuna delle principali società del suo impero.

La struttura dell’impero, fin dalle origini piuttosto intricata, continua a essere poco chiara.
Ventidue delle holding possedute dalla famiglia Berlusconi controllano circa il 96% della Fininvest. il cui bene più rilevante è il controllo del pacchetto di maggioranza di Mediaset, per un valore di 13,1 mila miliardi di lire (6,0 miliardi di dollari).

La televisione in Italia è dominata da due gruppi: Mediaset e Rai (di proprietà statale). Nel loro insieme le 3 televisioni di Berlusconi detengono il 43% dell’audience nazionale e il 60% dei ricavi pubblicitari. Tuttavia, la TV è soltanto una parte dell’impero mediatico di Berlusconi. Possiede una partecipazione di maggioranza in un’altra società quotata, la Mondadori, che è la casa editrice più importante in Italia. Il reparto libri della Mondadori ha quasi il 30% del mercato interno. Il settore delle riviste, con circa 50 testate, il 38%. La famiglia Berlusconi possiede, inoltre, uno dei principali quotidiani nazionali italiani, “Il Giornale”.

La Fininvest possiede anche il 36% del pacchetto azionario di Mediolanum, società di servizi finanziari in forte espansione, fondata nel 1982 da Ennio Doris con l’appoggio finanziario di Berlusconi. Mediolanum è entrata in Borsa nel 1996. La Fininvest è, inoltre, proprietaria di un nugolo di società in perdita, come il portale Internet “Jumpy”, avviato nel momento in cui il boom di Internet si stava sgonfiando e “Pagine Utili”, una società di elenchi telefonici attualmente in difficoltà.



La pista dei soldi


L’imprenditore Silvio Berlusconi si è fatto le ossa nel settore immobiliare a Milano e dintorni. Alla fine dei anni ’60, ebbe l’idea di costruire Milano 2, una città giardino con 3.500 appartamenti. Fu costruita in una zona periferica ad est di Milano, sotto la rotta degli aeroplani che decollavano dal vicino aeroporto di Linate. Il quartiere divenne ancora più apprezzato dopo che gli aeroplani furono misteriosamente dirottati su altre zone residenziali.

Ma non fu l’unico mistero. Alla costruzione di Milano 2 parteciparono infatti alcune società svizzere, con assetti proprietari ovviamente impenetrabili, che fornirono ai partner italiani una consistente iniezione di liquidità: circa 4 miliardi di lire dell’epoca, equivalenti a circa 33 attuali. Sulla carta quindi, Milano 2 non sarebbe appartenuta a Berluconi, ma a terzi rimasti anonimi.

Alcuni funzionari della Banca d’Italia sospettarono, tuttavia, che dietro le compagnie svizzere ci fosse lo stesso Berlusconi. Ricordiamo che, all’epoca, detenere capitale all’estero senza informarne le autorità era reato. Nel 1979, una squadra dalla Guardia di Finanza, diretta da Massimo Berruti, svolse un’indagine dagli esiti contraddittori: nonostante l’esistenza di prove che dimostravano come lo stesso Berlusconi avesse personalmente garantito prestiti bancari alle aziende italiane, i finanzieri sostennero infatti che non era lui il beneficiario finale delle aziende svizzere. Il rapporto ufficiale fu firmato dal capo di Berruti; membro, come Berlusconi, della famigerata associazione massonica P2. Immediatamente dopo la conclusione dell’indagine, Berruti lasciò la Guardia di Finanza per iniziare a lavorare come avvocato per Berlusconi: attualmente è parlamentare di Forza Italia.

Milano 2 fu l’origine dell’impero televisivo di Berlusconi che, nel 1978, lanciò una rete locale di televisione via cavo per Milano 2 chiamata Telemilano. Questo progetto si ingrandì: e di molto. L’ambizione di Berlusconi era sfidare il monopolio RAI sulla pubblicità nelle reti televisive nazionali, per le quali esisteva una enorme domanda inespressa. Telemilano divenne Canale 5 nel 1980.

C’era solo un ostacolo: la legge prevedeva che la sola Rai potesse trasmettere su tutto il territorio nazionale. Mentre una sentenza del 1980 imponeva alle reti televisive private, che per il resto agivano in assenza di regole, di operare solo su base locale.

Ma Berlusconi non tardò a trovare il modo di aggirare la decisione dei giudici. Acquistò programmi, in particolare film e soap-opera americani, e li offrì a prezzi stracciati a piccole stazioni televisive regionali. Berlusconi raccoglieva le entrate da spazi pubblicitari pre-registrati che lui stesso vi inseriva. Ciascuna stazione del circuito Canale 5 accettò quindi di trasmettere gli stessi programmi negli stessi identici orari. Fu così che ci si assicurò un audience di dimensione nazionale.

Come ha fatto Berlusconi a finanziare il suo impero televisivo nascente? Una parte della risposta risiede nel debito bancario. Le banche del settore pubblico gli hanno dato una mano consistente, fornendo alla società prestiti superiori a quelli giustificati dalla consistenza patrimoniale della Fininvest. Ma la seconda parte della risposta non appare affatto chiara. Nel 1978, alla nascita del suo gruppo televisivo, Berlusconi creò 22 società holding che controllano la Fininvest.

Dal 1978 al 1985, 93.9 miliardi di lire (387 miliardi di lire di oggi) confluirono nelle 22 società apparentemente dal Sig. Berlusconi.

Nel 1997, davanti ai magistrati siciliani, un finanziere con legami con la mafia ha accusato Berlusconi di aver usato 20 miliardi di soldi provenienti da ambienti mafiosi per costruire i suoi interessi televisivi. I magistrati chiesero che la Banca d’Italia collaborasse nelle indagini della divisione anti-Mafia. Due funzionari passarono 18 mesi a controllare e ricontrollare le carte contabili e azionarie delle 22 holding. The Economist possiede una copia dei loro rapporti, oltre 700 pagine. Le due conclusioni principali sono sconcertanti.

La prima è la mancanza di trasparenza da parte di Berlusconi nella costituzione delle due società fiduciarie destinate a gestire i pacchetti azionari delle 22 holding. Le fiduciarie erano società controllate dalla Banca Nazionale del Lavoro (BNL), un importante istituto di credito. Berlusconi immetteva liquidità nelle holding attraverso due banche italiane poco conosciute, anziché tramite la stessa BNL. Le società fiduciarie della BNL non avevano, quindi, un quadro chiaro di quale fosse l’effettiva origine di questi fondi. Nel 1994, i dirigenti della BNL erano talmente preoccupati per questo che ordinarono due diverse ispezioni per chiarire i rapporti tra la Banca e le 22 società.

Queste ispezioni rivelarono altre anomalie, come, ad esempio, alcune vendite di azioni che furono registrate esclusivamente sulla parola di Berlusconi, senza alcuna prova documentale. In un caso, aveva ceduto a una holding sussidiaria Fininvest azioni per 165 miliardi di lire, aggirando completamente le società fiduciarie. E, di conseguenza, non era possibile capire come e se l’acquirente avesse pagato le azioni.

La seconda conclusione è che l’effettiva origine delle somme versate nelle 22 società non può essere rintracciata: per tre motivi.
Primo, 29.7 miliardi di lire erano stati pagati in contanti, o equivalenti.
Secondo, gli investigatori non trovarono traccia negli archivi delle società fiduciarie, delle banche o delle società holding di un pagamento per 20.6 miliardi di lire.
Terzo, Berlusconi era stato molto abile nel far fare ai fondi tanti giri.

Ma perché Berlusconi lo fece? Gli investigatori erano perplessi. Una società, la Palina, teoricamente parte terza, aveva versato 27.7 miliardi di lire alle società fiduciarie che, a loro volta, avevano trasferito la somma alle società holding. Da lì, i fondi raggiungevano la Fininvest e poi, tramite una controllata Fininvest, tornavano nuovamente alla Palina. Tutte queste operazioni si verificarono nello stesso giorno e presso la stessa banca. Gli investigatori scoprirono che dietro la Palina c’era lo stesso Berlusconi. Aveva usato un uomo di 75 anni, vittima di ictus, come prestanome. Subito dopo il completamento dell’operazione, la Palina fu liquidata. I suoi libri contabili non avevano registrato nulla.

Quindi, la vera fonte dei 93.9 miliardi di lire che confluirono nelle 22 holding nel periodo 1978-85 rimane un mistero che il solo Berlusconi può risolvere. Gli abbiamo spedito domande scritte su questo argomento, ma si è rifiutato di rispondere. Una lettura attenta dei rapporti suggerisce che la possibilità di riciclaggio nelle 22 società non può essere esclusa. La Banca Rasini, uno degli istituti di credito poco conosciuti usati da Berlusconi, per la quale aveva una volta lavorato suo padre, è spuntata in diversi processi di riciclaggio negli anni ’80. Ma gli investigatori antimafia non hanno trovato prove per sostenere le accuse che avevano dato avvio al loro lavoro. Speravano chiaramente di produrre un secondo rapporto, ma i limiti di tempo per l’indagine erano già scaduti.



La pagina delle accuse


I processi di Berlusconi


Procedimento All Iberian (1996/1999)
Accusa: Finanziamento illegale ai partiti
Esito: Colpevole
Sentenza: 28 mesi di prigione
Appello: Prescrizione

Procedimento Fininvest e altri(1996/2000)
Accusa: Quattro casi di corruzione della Guardia di Finanza
Esito: Colpevole
Sentenza: 33 mesi di prigione
Appello: Prescrizione su tre capi di imputazione
Cassazione: In corso

Procedimento Medusa(1997/2000)
Accusa: Falso in bilancio
Esito: Colpevole
Sentenza: 33 mesi di prigione
Appello: Assolto

Procedimento Villa Macherio(1998/1999)
Accusa: Evasione fiscale
Esito: Prescrizione
Appello: Amnistiato

Procedimento Holding Fininvest(1998)
Accusa: Falso in bilancio
Esito: In corso

Procedimento Mondadori(2000)
Accusa: Corruzione giudiziaria
Esito: Archiviato

Procedimento Acquisto di calciatori(2001)
Accusa: Falso in bilancio
Esito: In corso

Procedimento SME(2000)
Accusa: Corruzione giudiziaria
Esito: In corso

Procedimento Gruppo Fininvest
Accusa: falso in bilancio
Esito: In corso

Procedimento Telecinco
Accusa: Violazione delle leggi antitrust; frode fiscale
Inchiesta: In corso
(fonte: "The Economist)



Un amico in difficoltà



Con l’acquisto dei suoi due principali concorrenti - Italia 1 nel 1983, e Retequattro nel 1984 - Berlusconi si assicurò quello che, in buona sostanza, era un vero e proprio monopolio nel settore delle tivù private.

Per aggirare la legge e poter trasmettere su tutto il territorio italiano, aveva però bisogno di un aiuto da parte dei suoi amici politici. Nessuno lo aiutò più di Bettino Craxi, che divenne leader del Partito Socialista nel 1976 e Presidente del Consiglio nel 1983. Berlusconi, attraverso le sue due reti principali, offriva un’arma politica molto potente.

Nell’ottobre del 1984, in diverse città italiane le TV di Berlusconi, colpevoli di aver trasmesso illegalmente, vennero chiuse. Questo avrebbe potuto comportare un disastro per il gruppo Fininvest, all’epoca fortemente indebitato. Nel giro di pochi giorni, Craxi - morto l’anno scorso in Tunisia, dopo essere stato condannato in contumacia per reati di corruzione - firmava un decreto che permetteva alle tivù di Berlusconi di continuare a trasmettere. Il decreto, dopo un contrastato dibattito parlamentare, diventava legge.

Il decreto Craxi non fece nulla per vietare la concentrazione di proprietà nel settore televisivo. E nulla fece nemmeno la ‘legge Mammì’ (dal nome di Oscar Mammì, allora Ministro delle Telecomunicazioni), varata nel 1990. La legge fu, infatti, ‘tagliata su misura’ sugli interessi di Berlusconi e sulle sue tre reti nazionali, proclamando che nessun singolo gruppo potesse essere proprietario di più di 3 delle 12 reti che avrebbero ottenuto le licenze dallo Stato. Il governo di coalizione all’epoca, che dipendeva fortemente dal Partito Socialista di Craxi, spinse per il varo di questa misura, nonostante le dimissioni, in segno di protesta, di cinque ministri. In effetti, è grazie a questa la legge che è stato sancito il duopolio tra Mediaset e Rai.

Nel 1991 e 1992, Berlusconi versò un totale di 23 miliardi di lire nei conti bancari offshore di Craxi attraverso una parte ‘clandestina’ del suo impero Fininvest, la società All Iberian. In seguito a diversi indizi scoperti durante le indagini sui conti bancari di Craxi, gli inquirenti scoprirono una rete occulta e consistente di società Fininvest, registrate in paradisi fiscali come le isole Vergini Britanniche e le isole del Canale. Queste società non furono considerate alla stregua di società controllate nei bilanci della Fininvest. Secondo gli inquirenti, nel 1993 Berlusconi firmò una lettera ai revisori contabili dichiarando il falso, e cioè che queste società non facevano parte del gruppo Fininvest.

Gli inquirenti affermano di essersi trovati di fronte ad una frode internazionale di largo respiro, organizzata da Berlusconi, per travasare cifre enormi dalla Fininvest verso le società off-shore segrete. Secondo le indagini, la Fininvest adoperò varie tecniche di frode finanziaria: le società offshore, affermano gli inquirenti, usarono questi fondi per diversi tipi di attività illegali, come, ad esempio:

“l’acquisto, attraverso soggetti terzi, di azioni in diverse società quotate del gruppo Fininvest, con l’evidente intenzione di gonfiare il prezzo delle azioni. Un’operazione chiaramente fittizia, come testimonia il fatto che le azioni, intestate al portatore, rimanessero sempre nelle mani dello stesso fiduciario”.

Un effettivo compratore di azioni al portatore in una società quotata difficilmente le avrebbe lasciate in custodia della stessa persona utilizzata da chi quelle azioni ha venduto.



Interessi off-shore


Un’altra parte cruciale nelle accuse degli inquirenti è che le società offshore fossero usate per accumulare partecipazioni occulte in reti televisive in Italia e Spagna. Sul punto gli inquirenti affermano di essere in possesso di prove documentali schiaccianti.

La legge Mammì richiedeva la vendita del 90% degli interessi di Berlusconi in Telepiù, una rete pay-tv da lui fondata nel 1990. Nonostante questa indicazione Berlusconi secondo gli inquirenti mantenne il controllo di questa partecipazione fino al 1994 attraverso le sue società off-shore. Per farlo predispose contratti con collaboratori disposti a servirgli da prestanome. Ai sensi di tali contratti, mentre la proprietà legale delle azioni passava agli investitori, i cespiti rimanevano nelle società offshore di Berlusconi.

I magistrati scoprirono un’altra operazione simile, diretta ad accumulare una partecipazione del 52% in Telecinco, una rete televisiva spagnola. Il tutto in frode alla legge giacché la legislazione spagnola antitrust, non permetteva di possedere più del 25% in quel tipo di attività. E’ per questo che Baltasar Garzón, un magistrato spagnolo che si occupa di corruzione, chiede che sia tolta l’immunità di cui gode Berlusconi in qualità di Parlamentare europeo. Ma è probabile che debba aspettare. Per otto mesi, i ministri della giustizia e degli esteri spagnoli sono stati coinvolti in una strana controversia per decidere quale fosse l’autorità competente a sottoporre la richiesta al Parlamento Europeo.

Berlusconi è attualmente indagato per aver falsificato i bilanci della società capogruppo Fininvest. La presunta falsificazione doveva nascondere tutte le presunte illegalità connesse. Il falso in bilancio è un reato molto serio in Italia, e comporta sentenze fino a cinque anni di prigione. Gli inquirenti hanno recentemente chiesto che accuse altrettanto serie siano formalizzate nei confronti dei bilanci del gruppo Fininvest.

E’ comunque verosimile che Berlusconi stia programmando una via d’uscita. Il 17 marzo ha detto, davanti ad un gruppo di imprenditori italiani, che, se eletto, il suo governo avrebbe depenalizzato la maggior parte delle fattispecie di falso in bilancio. In questo caso il lavoro dei magistrati sarebbe stato vano.

Sebbene i magistrati non siano riusciti a trovare la destinazione finale delle decine di miliardi di lire pagate da settori vari dell’impero segreto offshore di Berlusconi, hanno scoperto però dove sono finiti alcuni pagamenti.

Nel 1991, dopo un’aspra battaglia legale con Carlo De Benedetti (un ricco imprenditore italiano detenuto per un breve periodo, durante l’inchiesta di mani pulite), Berlusconi ha ottenuto il controllo del gruppo editoriale Mondadori.

In quella circostanza Berlusconi è stato accusato di aver versato una tangente di 400 milioni ad un magistrato della Corte di Appello, di nome Vittorio Metta, per emettere una sentenza a lui favorevole nel giudizio conclusivo di tale vicenda. Quando gli inquirenti hanno cominciato ad indagare sul caso, hanno scoperto che, nel 1992, Metta aveva pagato 400 milioni di lire in contanti per l’acquisto di un appartamento. Nel febbraio del 1991, un mese dopo la sentenza, una delle società segrete off-shore versò 3 miliardi di lire sul conto svizzero dell’avvocato Cesare Previti, strettissimo collaboratore di Berlusconi e, in seguito, ministro della difesa nel governo da lui presieduto. A partire dal conto dell’Avv. Previti, gli inquirenti hanno seguito le tracce di un versamento di 425 milioni di lire sul conto svizzero di un altro avvocato, Attilio Pacifico, che, a sua volta, prelevò questa cifra in contanti nell’ottobre del 1991. L’avv. Pacifico fu accusato di aver trasferito la tangente a Vittorio Metta.
Pur non avendo trovato prove dirette del pagamento in contanti a Vittorio Metta, i magistrati ritennero di avere basi indiziarie sufficientemente solide. Un esame dei conti in banca di Vittorio Metta non aveva, infatti, rilevato prelievi in contanti di 400 milioni nel periodo in esame; stesso risultato aveva dato la verifica sui conti, italiani e svizzeri, intestati al magistrato italiano in pensione da cui Metta sosteneva di aver ricevuto i 400 milioni di lire in contanti; e questo nonostante il fatto che su quei conti ci fossero alcuni milioni di dollari.

Su queste basi gli inquirenti si convinsero del fatto che i 400 milioni di lire che Vittorio Metta aveva ricevuto in contanti provenissero dalla somma che Berlusconi aveva versato a Previti nel febbraio 1991. Ma, nello scorso mese di giugno, un magistrato durante un’udienza preliminare ha creduto alla ricostruzione di Vittorio Metta e di conseguenza ha deciso che Berlusconi e gli altri indagati, compresi l’Avv. Previti e lo stesso dott. Metta, non dovessero comparire in giudizio. Gli inquirenti hanno proposto appello contro questa decisione.



Legami con i giudici



Berlusconi è sotto accusa anche per corruzione di magistrati. Tra i suoi coimputati, che smentiscono le accuse, figurano Previti e Pacifico, e, di nuovo, il procedimento coinvolge De Benedetti come parte lesa.

Nel 1985, De Benedetti firmò un contratto per l’acquisto della SME, un complesso di industrie alimentari dell’IRI, un grande gruppo di proprietà dello Stato. Berlusconi e un altro imprenditore costituirono allora una società apposita che formulò un’offerta di acquisto migliore. L’anno dopo una sentenza stabilì che il contratto di De Benedetti doveva considerarsi nullo e i ricorsi di quest’ultimo non ottennero alcun risultato. Il suo affare con l’IRI sfumò.

Una delle accuse rivolte a Berlusconi, da lui smentita, è quella di aver promesso soldi a magistrati per decidere in suo favore in quell’occasione. Sia che queste accuse siano vere, sia che siano false, c’è una traccia evidente di soldi che, per il tramite di Previti, porta da Berlusconi al giudice Renato Squillante.

In questo senso The Economist possiede documenti che testimoniano di un bonifico del 6 marzo 1991 che trasferiva $434,404.00 da un conto svizzero intestato a Berlusconi a un conto svizzero intestato a Previti; il 7 marzo, un secondo bonifico trasferiva la stessa identica cifra dal conto di Previti al conto svizzero della società panamense Rowena Finance. Prove giudiziarie dimostrano che il conto della Rowena Finance appartiene a Squillante.

Nel 1994, Berlusconi ha tentato di nominare il suo amico Previti ministro della giustizia, ma il Presidente della Repubblica si è rifiutato di firmare il decreto.

Berlusconi non si è presentato alle 26 udienze finora fissate in questo procedimento—alcune delle quali sono state recentemente rimandate per consentire ai suoi avvocati di candidarsi alle prossime elezioni. Berlusconi ha chiesto che i magistrati vengano ricusati, in quanto “maldisposti” nei suoi confronti.

Se viene giudicato colpevole del reato dalla corte di appello, potrebbe andare in prigione; l’accusa non cadrà in prescrizione se non nel 2008. A differenza del reato di falso in bilancio, sarà molto difficile per il suo governo, qualora riesca a vincere le elezioni, depenalizzare il reato di corruzione ai giudici. Questo processo potrebbe essere unico nella storia giuridica italiana. Nessun Presidente del Consiglio in carica dal dopoguerra è mai stato imputato in un procedimento penale.



Intimo con Cosa Nostra?


I problemi tra Berlusconi e la magistratura non sono limitati a Milano. In Sicilia, alcuni mafiosi pentiti – in particolare Salvatore Cancemi, le cui deposizioni hanno aiutato gli inquirenti a condannare alcuni boss mafiosi - hanno rivolto pesanti accuse a Berlusconi e al suo intimo amico, Marcello Dell’Utri. Nel 1996, Cancemi affermò che entrambi erano in diretto contatto con il boss mafioso che ordinò l’attentato in cui fu ucciso il magistrato anti-mafia Paolo Borsellino nel 1992.

L’anno scorso, dopo due anni di lavoro, i magistrati hanno richiesto che l’indagine venisse archiviata per mancanza di prove che convalidassero le accuse mosse da Cancemi. Nel 1996, un’altra indagine, anche questa basata su accuse fatte da Cancemi su presunti rapporti tra Berlusconi e la mafia, è stata archiviata, in modo analogo, dopo due anni di lavoro.

Un’inchiesta parallela si è chiusa con l’incriminazione di Dell’Utri per associazione a delinquere, accusa che egli respinge. Con l’eccezione di Berlusconi, quasi tutti i testimoni dell’accusa nel processo, cominciato nel 1997, sono già stati ascoltati. Secondo Ennio Tinaglia, avvocato per la provincia di Palermo costituitasi parte civile nel procedimento, la Procura ha “presentato prove molto convincenti dei legami strettissimi tra Dell’Utri e la mafia”. La mera menzione della parola mafia fa sobbalzare i dirigenti Fininvest. “Nella graduatoria dei crimini solo la pedofilia è peggio della mafia. E’ una cosa terribile, vergognosa” dice Fedele Confalonieri, uno degli ex-colleghi di Dell’Utri.

Ma chi è Dell’Utri? A parte un breve periodo alla fine degli anni settanta, Dell’Utri, di origine siciliana, ha lavorato con Berlusconi in Fininvest dal 1974 al 1994. Come amministratore delegato di Publitalia, la divisione pubblicità del gruppo, era responsabile della società che generava la liquidità della Fininvest. Il Sig. Dell’Utri, parlamentare, fu tra i fondatori di Forza Italia e l’organizzatore della campagna elettorale di Berlusconi nel 1994.

Gli inquirenti hanno richiesto che Dell’Utri risponda ad accuse di concorso in diffamazione ai danni di altri magistrati. Ed è attualmente indagato per tentata corruzione di un testimone dell’accusa nel processo a suo carico. Nel 1996, un procedimento penale ha rivelato che, tra il 1989 ed il 1993, Dell’Utri ricevette da Berlusconi donazioni, spesso in contanti, per un valore complessivo di 4 miliardi di lire.

Se Berlusconi non è obbligato a testimoniare nei processi contro di lui, non può rifiutarsi di testimoniare nel processo contro Dell’Utri, neanche se sarà nominato Presidente del Consiglio. La procura lo interrogherà sulla sua amiciza di lunga data con Dell’Utri. E dovrà rispondere anche ad altre domande, che sinora ha evitato. Dovrà spiegare il come e il perché assunse Vittorio Mangano, un mafioso condannato come appartenente ad una potente cosca palermitana, che per due anni lavorò presso la villa di campagna di Berlusconi nei dintorni di Milano negli anni ’70.

In cima alla lista di degli domande inquirenti ci saranno quelle sulla documentazione dell’anti-Mafia relativa alle 22 holding. E non dimenticheranno certo di chiedergli l’origine dei fondi di queste ventidue società. Ci saranno anche altre domande sulla sua partecipazione alla proprietà di una rete televisiva siciliana controllata da una figura vicina ad ambienti mafiosi.

Nonostante sostenga di essere il brillante prototipo dell’uomo che si è fatto da solo, Berlusconi ha avuto bisogno di molto aiuto da ambienti poco raccomandabili. Benchè lui dica di voler sostituire il vecchio sistema corrotto, il suo impero né è in gran parte il prodotto. L’elezione di Berlusconi come Presidente del Consiglio perpetuerebbe, anziché cambiarle, le vecchie e brutte abitudini italiane.

30-04-2001 

 

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