CONTRO LA BIBLIOTECONOMIA ITALIANA
 — PER LA FRUIZIONE DEI BENI LIBRARI —

Con 30 spunti per liberare i beni artistici librari segregati nelle biblioteche “di conservazione”

di Berardino SIMONE
(già coordinatore dell’Associazione lettori della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze)

ESTRATTO

Purtroppo in Italia la biblioteconomia non solo ha suggerito ai bibliotecari come soffocare quella auspicabile riforma delle biblioteche, ma ha anche insegnato come scoraggiare i curiosi, gli utenti “impropri”, e tenerli lontani dalle biblioteche “riservate” alle persone più erudite degli altri o presunte tali. Ancora oggi la gran parte dei bibliotecari “di conservazione” delle circa cinquanta “biblioteche pubbliche statali”, insieme a quelli delle ben più numerose biblioteche storiche italiane, si comportano come se il loro compito si esaurisse nell’essere di supporto agli “studi di alta cultura”, quando addirittura non assumono comportamenti anacronistici ed antidemocratici che sembrano voler contrastare il “volgarizzarsi della cultura” [Geretto, A5]. Ancora oggi le tradizionali prassi organizzative dettate dalla biblioteconomia che, come abbiamo esemplificato, si possono riconoscere nei recenti regolamenti contra legem, testardamente fanno sì che i potenziali nuovi lettori che si avvicinano alle biblioteche pubbliche storiche vengano abusivamente respinti come “nemici” [Eco, A7], o “riorientati” [Ridi, A3] —come fossero bambini che rischiano di farsi male con un gioco per grandi— verso le biblioteche “di tipologia inferiore”, a partire da quelle dette “pubbliche” o “aperte al pubblico”. Oppure, “ammesso che ci entrino, usufruendo in modo puntiglioso e antipatico di un diritto” [Eco A7], possano al massimo accedere nella “Sala Lettura”, dove tradizionalmente è disponibile una quota minima del patrimonio librario custodito, i soli libri moderni.

Tutto il nostro patrimonio storico artistico librario ancora oggi non è fruibile dai cittadini perché i bibliotecari conservatori lo tengono “nascosto” nelle elitarie Sale di Consultazione delle biblioteche storiche, perché vogliono, arbitrariamente, che resti “riservato” esclusivamente ad “un ristretto gruppo di cittadini” [Montecchi A4] (che può facilmente sconfinare nella “erudita” cerchia delle amicizie personali). Le persone a cui il bibliotecario conservatore – con la sua odiosa azione di selezione dell’utenza – “concede” il permesso di accesso o la tessera d’ingresso sono quelle alle quali, in qualche modo, egli attribuisce l’opinabile e mai oggettivamente definito status di “studioso serio” [Geretto, A5]. Il fortunato lettore, non di rado, viene in pratica cooptato nelle nostre biblioteche storiche (che dovrebbero essere per tutti) attraverso la pretesa di discutibili ma indispensabili “lettere di presentazione” – vere e proprie raccomandazioni – redatte da “studiosi” già riconosciuti tali dal bibliotecario conservatore [Maltese, A20].

Anche un tale uso di queste “lettere” è il risultato di un processo di eterogenesi dei fini, di una distorsione della biblioteconomia contemporanea italiana. Nel “Regolamento per il servizio della Biblioteca Nazionale di Firenze” del 1881 [1], scritto forse da Desiderio Chilovi, un “permesso del Direttore della Scuola che essi frequentano, (Mod. B.4) nel quale sia indicata l’Opera che devono chiedere in lettura (Regolam. Organico, Art. 45)” viene richiesta agli “studenti di Liceo, di Istituti tecnici o scuole inferiori”, ossia a minorenni che si presentavano in biblioteca in orari di apertura coincidenti – spesso ancora oggi – con quelli delle lezione. Lo spirito di quella disposizione è di tutt’altra natura, appare cioè come uno strumento di tutela dei minori, anche perché la biblioteca possedeva libri “osceni” a distribuzione controllata. E oggi sul sito della biblioteca statunitense del Congresso si fa riferimento ad una lettera di presentazione ma, anche in questo caso, solo per gli studenti delle scuole superiori, senza servirsene come mezzo di accondiscendenza o di privilegio verso le persone “scelte” dal bibliotecario conservatore [2] [Vedi anche A8].

Di fronte all’ottusità ed arbitrarietà degli “abusi” subiti [Settis, A10], l’utente è totalmente indifeso perché il bibliotecario gli oppone – come fossero sacre scritture – la prassi o il regolamento interno della “sua” biblioteca che di frequente utilizza formule ampiamente discrezionali, opponendo vaghe esigenze di “conservazione” per giustificare la necessità di mantenere i libri, i cataloghi e tutta la biblioteca lontana dalla mano e dalla curiosità delle persone “ignoranti” e “di poca autorità” [A30].

E’ in base all’arretrata “filosofia” che abbiamo descritto [Geretto, A5], ai propri pregiudizi culturali, condivisi con un’intera categoria professionale, che ogni bibliotecario conservatore “separa” [Geretto, A5] i lettori degni di essere ammessi nella “sua” biblioteca. Ed ogni bibliotecario conservatore definisce soggettivamente le “specificità” della “propria” biblioteca ed i conseguenti criteri “gerarchizzanti nei confronti degli utenti” [Ginsborg, A8] e del loro livello di “competenza” [Montecchi, A4]. E “non c’è nulla da fare” [Canfora, A9], al punto che anche a collaboratori e ricercatori universitari che quotidianamente lavorano su materiale storico è facilmente capitato – trasferendosi occasionalmente in una biblioteca diversa da quella abituale – di essere stati respinti perché lettori non “noti direttamente o perché presentati” al bibliotecario “conservatore” [Pirani, A2].

I bibliotecari conservatori non sono in grado di avvertire l’assurdità delle contraddizioni di cui si circondano, che li isolano e rendono il loro rapporto con gli utenti (quei pochi che non sono riusciti ad allontanare dalla biblioteca) “puntiglioso e antipatico” [Eco, A7] oppure uno scambio di “benevolenza extraregolamentare” [Pasquali, A16]. Sono completamente assuefatti dalle loro teorie di altri tempi rese ipocritamente coerenti da un linguaggio moderno ma che modifica il senso delle parole. Ad esempio riescono, senza alcun imbarazzo, a ribaltare gli scopi ed i risultati delle indagini statistiche sulla “qualità” dei servizi che si sono diffuse negli ultimi anni nelle pubbliche amministrazioni. Qualora il questionario sia stato strutturato in modo da permettere agli utenti di manifestare il loro dissenso sullo stato in cui si trovano le biblioteche storiche, i risultati dell'indagine vengono letti con la “stessa filosofia” oggetto di contestazione, per giungere alla conclusione che non si dovrà cambiare la biblioteca ma “migliorare la comunicazione” verso gli utenti “spiazzati” [Ridi, A3], i quali evidentemente – non essendo esperti di biblioteconomia – non possono sapere quale sia la “mission” di una biblioteca “di conservazione”! Di fronte alle lamentele degli utenti, non ci si deve rimboccare le maniche e cambiare la biblioteca, ma semplicemente cambiare gli utenti, insegnare loro come debbano comportarsi in biblioteca, allontanare quelli “disorientati” e “riorientarli” verso “il nodo della rete bibliotecaria” dove non potranno dar fastidio al bibliotecario!

    Concretamente gli effetti di questa “filosofia” reazionaria sono gli ostacoli “surreali” [Mavi, A13] contro cui si scontra il lettore “spiazzato” [Ridi, A3] delle biblioteche storiche di “conservazione” (ostacoli riscontrabili nei regolamenti interni contra legem). Le biblioteche storiche più piccole, che non hanno spazi per “separare” i lettori al loro interno, espressamente sbarrano le porte della biblioteca con formule del tipo: “sono ammessi in biblioteca coloro che dimostrino di aver bisogno di libri che non siano posseduti da altre biblioteche” (ad esempio, a Firenze, la Riccardiana, la Medicea, la biblioteca degli Uffizi, ecc. ecc.). Le biblioteche più grandi, invece, scoraggiano l’accesso degli utenti con formule più vaghe per poi realizzare rigidamente la selezione dei lettori al loro interno, con “tipi” diversi di sale di lettura [3] a cui accede solo chi presenta una “congrua documentazione” che dimostri la “necessità” e l’autorità per accedere in quelle misteriose stanze ed ai “libri proibiti” in esse “conservati” [A26-29]. Anche l’accesso ai servizi interni accessori spesso è regolamentato in modo da tenere lontano gli “utenti impropri”. E’ indicativo osservare l’organizzazione del servizio prestito e del servizio fotocopie e riproduzioni in quelle biblioteche dove per “esigenze organizzative” hanno orario ridotto rispetto a quello per la lettura e le ricerche sui cataloghi. La fascia oraria di apertura che si sceglie in quei casi è la più sfavorevole per chi ad esempio lavora, e potrebbe forse riuscire ad andare in biblioteca solo poche ore nel tardo pomeriggio o il sabato. Ed il giorno di riposo settimanale nelle biblioteche non tiene conto delle esigenze dell’utenza potenziale e coincide sempre con il sabato, mentre nei musei statali è il lunedì, con apertura la domenica.

La pretesa di impedire la fruizione dei libri imponendo la verifica a carico dell’utente che questi “non siano posseduti da altre biblioteche” non può essere contrabbandata come un criterio per preservare dei beni culturali, perché è un assurdo (si noti l’analogia con la formulazione utilizzata per gli studenti sul sito della Library of Congress, alla nota n. 8, che trasportata in un altro contesto ed estesa alla generalità degli utenti ancora una volta cambia totalmente significato): è la negazione assoluta del moderno concetto di bene culturale, dei servizi bibliotecari e dei principi della fruizione, della promozione, della valorizzazione. In termini pratici, infatti, l’aspirante lettore dovrebbe recarsi in una biblioteca “di conservazione” avendo individuato in anticipo quali libri vuole leggere – e questo prima di poter consultare il catalogo ed avvalersi delle bibliografie e dei servizi informativi all’interno della biblioteca: tutto il processo di “scoperta” del bene culturale è quindi negato. Ammesso che ciò sia stato fatto, il lettore dovrebbe inoltre prima cercare quei libri nelle altre biblioteche di “tipo” inferiore – salvo essere di nuovo ostacolato da un’analoga limitazione all’accesso – e dimostrare così al bibliotecario conservatore che quei libri li custodisce solo lui! Ma se tutte le ricerche bibliografiche il lettore deve farle da solo o con l’aiuto di bibliotecari di “tipi” inferiori di biblioteche, qual è il contributo del bibliotecario conservatore? Quale servizio offre quello strano tipo di impiegato pubblico alla collettività? Non sarebbe invece un diritto del cittadino “curioso” (ed un dovere d’ufficio del bibliotecario) sentirsi invitato ad entrare in Biblioteca, in “un luogo della cultura”, essere incoraggiato ad avvicinarsi a libri che ancora non conosce?

    E’ salutare, anzi necessario, nel rispondere positivamente, abbandonare la “logica della conservazione” e tornare al parallelo con altri “luoghi della cultura” e di tutela di beni culturali per cogliere tutta l’assurdità di questa impostazione. Chi mai si permetterebbe, all’ingresso di un museo, di sbarrare la strada ai visitatori “per esigenze di conservazione” e chiedere con tono seccato o insidioso: chi è lei?, lei è uno “studioso”? oppure è un “ex-senatore”, uno “studente universitario” o un “insegnante” [Ridi, A3]?  perché vuole entrare in questo museo? …che tipo di opere cerca? è sicuro di non trovarle in musei diversi da questo?... vada al museo di arte moderna, lì troverà opere “per tutti” (quelli come lei)! Se proseguiamo con il parallelo tra museo e biblioteca arriviamo facilmente a constatazioni ovvie che la biblioteconomia non riesce neanche a concepire. Per accedere in un “istituto della cultura” nessuno ci potrà chiedere legittimamente niente su chi siamo, cosa studiamo, quale attività svolgiamo, ecc. Sarebbe assurdo sentirsi chiedere: quali quadri del museo intende vedere? E quale sarebbe la risposta giusta alla domanda: perché vuole vedere i bronzi di Riace? Vi risulta, poi, che a seguito di episodi di danneggiamento da parte di qualche utente (quadri scarabocchiati, tele perforate con chiodi, marmi presi a martellate) si sia deciso – per “esigenze di conservazione” – di escludere intere categorie di pubblico dai musei? Normalmente l’oggetto di simili misure di prevenzione non sono le persone ma le opere interessate che vengono debitamente sorvegliate. Alle persone, invece, al massimo si può chiedere di esibire un documento di identità, che dovrà essere registrato – senza aggiungere alcun commento – ad uso delle autorità competenti (non dei rilievi inopportuni fatti dal bibliotecario) qualora si rivelasse necessario. Nessuno poi, tanto meno un bibliotecario, può permettersi di valutare la competenza, il grado di istruzione, il livello di cultura, ecc, dei cittadini, per stabilire se questi abbiano o meno il diritto ad entrare in un “luogo della cultura” ed avvicinarsi a dei “beni culturali”. L’unico modo che conosce il Diritto Pubblico (materia spesso ostica per i bibliotecari conservatori, siano essi alti dirigenti pubblici, funzionari o semplici impiegati) per valutare e selezionare le “competenze” è il concorso pubblico, con tutte le garanzie di trasparenza e le procedure di tutela previste, e di possibilità di ricorso in caso di esito negativo. In un Servizio Pubblico, in una biblioteca, così come accade in un museo, le persone entrano via via che si presentano all’ingresso in un rispettoso ed imparziale ordine cronologico, ed è irrilevante se l’ultimo della fila è più preparato degli altri, aspetterà il suo turno per entrare; e quando sarà entrato seguirà lo stesso percorso e vedrà le stesse opere degli altri. E il giorno in cui le soprintendenze o gli esperti di restauro riterranno pericoloso, a causa del precario stato di conservazione di un quadro (un libro antico), continuare ad esporlo alla luce ed al microclima delle sale dove accede il pubblico, non si deciderà con una postilla nel regolamento di lasciare che solo alcuni, scelti dal direttore del museo, possano continuare a goderne, ma vi sarà il divieto, per tutti e nell’interesse generale, di accedere a quell’opera fino alla fine dei restauri necessari; e quel divieto sarà basato su valutazioni scientifiche e dati chimico-fisici (non su astratte elucubrazioni sulle “tipologie” delle collezioni e sulla loro destinazione sociale) che saranno resi pubblici… .

Eppure, ciò che sarebbe inconcepibile in altri “istituti della cultura” nelle biblioteche italiane è normale.
 (4 novembre 2006)

 dinosimone@virgilio.it



[1] Biblioteca Medicea Laurenziana, Misc 101 34. E’ significativo che in Bncf il “Regolamento interno” del 1909 segnalato nel recente catalogo elettronico in realtà risulti “mancante” o “fuori posto” o “smarrito”, comunque “non disponibile”.

[2] High school students will be allowed to use the Library if they meet all three of the following conditions: ... They have a letter from their principal describing in detail their project and the specific materials they need to use. (vedi, http://www.loc.gov/rr/res-faq.html#9 ).

[3]Una rassegna bibliografica di quanto sostenuto dalla biblioteconomia tradizionale sulle differenze tra le sale di lettura è in: Gianna Del Bono, La biblioteca professionale di Desiderio Chilovi, Roma, Vechiarelli Editore, 2002, p. 81.