[Bibl'og]

LA FRUIZIONE NEGATA

Su alcune attività della Direzione Generale per i Beni Librari

 

Berardino Simone

( collaboratore CROGeF : www.crogef.it )

 

Premessa

 

Il bene culturale è pubblico non in quanto bene di appartenenza, ma in quanto bene di fruizione”, cioè “non ha altra utilizzazione che la fruizione universale”.[1]

 

Da più di dieci anni i cittadini si accorgono anche visivamente dei risultati dell’applicazione delle tecnologie informatiche che vanno nella direzione della “valorizzazione” del nostro patrimonio artistico librario.

Accanto a questi importanti investimenti ci sono state delle novità di natura amministrativa, come la riforma della disciplina delle biblioteche appartenenti al Ministero per i beni e le attività culturali, e la diffusione del divieto amministrativo di accedere nelle biblioteche storiche con libri propri. Il divieto ha risolto il problema di un uso improprio di queste strutture da parte di quei segmenti di utenza che affollavano le sale di lettura ma ignoravano i cataloghi ed il posseduto: tipicamente gli studenti prima della tesi, che oramai preferiscono servirsi delle sale di lettura delle biblioteche universitarie e degli enti locali [2].

 

L'Amministrazione centrale ha mostrato però maggiori difficoltà nel porre in essere politiche positive di valorizzazione e autoselezione dell'utenza (come l’apertura serale delle biblioteche), non riuscendo ancora a predisporre i servizi in modo tale da attrarre quella parte del pubblico che apprezza altri eventi culturali e frequenta volentieri gli istituti culturali - ad esempio i musei - ma ignora il patrimonio artistico librario custodito nelle biblioteche storiche [3].

 

Oggi le biblioteche storiche sono frequentate principalmente da professori delle facoltà umanistiche, da laureandi, borsisti, dottorandi, e da altri collaboratori delle locali università appartenenti alle stesse facoltà o - in misura minore - a quelle socio-economiche, con un accesso al patrimonio librario differenziato secondo le modalità che vedremo. L’affluenza dei professori e dei collaboratori universitari delle facoltà tecnico-scientifiche sembra scarsa, anche nelle due Biblioteche Centrali di Roma e Firenze, le quali non sono specializzate ma per legge custodiscono tutto il materiale pubblicato in Italia. Probabilmente ciò è dovuto alle maggiori esigenze di aggiornamento di questa fascia di utenza, ed all’inadeguatezza di quelle biblioteche  a soddisfare tale bisogno, a causa del ritardo con cui le nuove edizioni dei libri e gli ultimi numeri delle riviste sono resi disponibili.

Quindi, il fatto che le biblioteche statali nel 1975 siano passate dal Ministero della pubblica istruzione al neonato Ministero dei beni culturali (e che le risorse necessarie al loro funzionamento provengano dalle imposte di tutti i contribuenti e non più dalle tasse dei soli iscritti alle scuole ed alle università) non ha sostanzialmente cambiato il loro pubblico di riferimento.

 

Attraverso l'analisi di alcuni casi emblematici – primo tra tutti la sede di progetti pilota di innovazione promossi dalla Direzione Generale per i Beni Librari del Ministero per le attività culturali, come i progetti Area Digitale ed il progetto Qualità relativo all'introduzione di sistemi manageriali di gestione orientati alla soddisfazione dei bisogni degli utenti - si cercherà di evidenziare le difficoltà incontrate da questo settore a tradurre operativamente i principi delle riforme introdotte dal Legislatore per modernizzare la nostra Pubblica Amministrazione, avvicinarla ai cittadini e valorizzare i beni culturali.

Andremo a segnalare dei comportamenti amministrativi e professionali peculiari, che per comodità (ma senza alcuna pretesa scientifica) indichiamo come la manifestazione della “logica della conservazione”, ed evidenzieremo come questa riduca pesantemente qualsiasi sforzo di innovazione nel settore.

 

 

L'articolo è il frutto della partecipazione alle attività della piccola Associazione dei Lettori della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze che ha costituito un osservatorio privilegiato per cogliere i suggerimenti e le impressioni dell'utente di quelle biblioteche storiche italiane che amano definirsi "biblioteche di conservazione" per contrapporsi aristocraticamente alle biblioteche "aperte al pubblico".

Grazie ad un'ideale "visita guidata" in una delle biblioteche storiche più note al mondo, si cercherà di trasmettere le delusioni ed il senso di disagio di un cittadino che, armato solo della sua curiosità per gli scritti antichi e moderni, si avventuri in una "biblioteca di conservazione".

 

L’intento è di richiamare l’attenzione degli operatori del settore e farli riflettere sulle contraddizioni interne alla nostra amministrazione per i beni culturali ed alle categorie professionali che la circondano.

 

 

Qualità contra legem: il cittadino incontra una "biblioteca di conservazione".


 

In tutto il mondo quando si definisce pubblica una biblioteca, si vuol dire che quella biblioteca è per tutti. Intendiamoci bene: la biblioteca per tutti non significa ... biblioteca aperta a tutti ... Ma di sicuro la lettura del DPR 417 (che certo non saremmo noi ad infliggere ad un utente respinto, ma che qualche giornalista o qualche genitore potrebbe voler fare) non riuscirebbe a rimuovere il dubbio che l'escluso abbia subito un sopruso. [4]

 

Nel 1981 sui testi di diritto pubblico si poteva già trovare affermato il principio della fruizione: “Dal combinato disposto degli artt. 9, 2° comma, 2 e 3 Cost. si deve inoltre ritenere che il termine “tutela” assuma un significato per cui il nostro ordinamento non deve finalizzare ogni attività inerente ai beni culturali in vista della sola esigenza conservativa degli stessi. Le finalità che abbiamo viste indicate dalle disposizioni citate ci fanno desumere che la tutela dei beni culturali debba essere orientata soprattutto alla loro valorizzazione e fruizione. Il criterio conservativo va quindi considerato come prius indispensabile ma non unico ed ultimo della attività dei pubblici poteri. ” [5]

Nello stesso anno però, così un utente illustre descriveva le biblioteche italiane: “I cataloghi devono essere divisi al massimo ... Il tempo tra richiesta e consegna dev'essere molto lungo ... Deve esserci possibilmente assenza totale di macchine fotocopiatrici; comunque, se ne esista una, l'accesso dev'essere molto lungo e faticoso ... Il bibliotecario deve considerare il lettore un nemico, un perdigiorno (altrimenti sarebbe a lavorare), un ladro potenziale. ... Il prestito dev'essere scoraggiato ... i furti devono essere facilissimi. Gli orari devono assolutamente coincidere con quelli di lavoro, discussi preventivamente con i sindacati ... Idealmente l'utente non dovrebbe poter entrare in biblioteca; ammesso che ci entri, usufruendo in modo puntiglioso e antipatico di un diritto che gli è stato concesso in base ai principi dell'Ottantanove, ma che però non è stato ancora assimilato dalla sensibilità collettiva”  [6].

Cerchiamo ora di scoprire, dopo più di venti anni, come siano cambiate quelle biblioteche e come i nostri bibliotecari pubblici abbiano interpretato la norma costituzionale.

 

A questo scopo, prendiamo ad esempio la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze[7], definita dal Ministero per i Beni Culturali “un modello di efficienza e di funzionalità all'interno del settore di competenza”, anche perché “ha ottenuto la certificazione di qualità ISO 9002 per i servizi al pubblico, il che, oltre ad un indubbio riconoscimento a livello europeo, dimostra l'assoluta correttezza, disponibilità e cortesia del personale”  [8].

Alla BNCF è stato inoltre conferita la menzione speciale nell’ambito del premio 2002: “@lla tua biblioteca. Le migliori innovazioni tecnologiche”, promosso dall’AIB, Associazione Italiana Biblioteche.

 

Non esiste un punto di accoglienza e ci si rende subito conto che non è un fatto scontato poter leggere un libro "conservato" in biblioteca. Se si riesce ad ottenere l'autorizzazione ad entrare si impiegheranno settimane per capire come orientarsi al suo interno e come eludere le innumerevoli limitazioni ai servizi e le assurde regole che non sembrano avere altra logica se non quella di scoraggiare l'utente, il quale avverte subito di essere considerato una minaccia per la "conservazione" del libro.

 

All'ingresso ci aspetteremmo di ricevere tutte le informazioni necessarie allo svolgimento di una ricerca bibliografica nel più breve tempo possibile, ad esempio per capire quali dei circa cinquanta database presenti nel sito della biblioteca siano utili per selezionare velocemente le opere possedute. Si viene invece "interrogati" sul perché si voglia accedere ad una biblioteca pubblica: purtroppo per molti potenziali utenti il voler leggere un libro non è stata la risposta giusta. A questa è seguito, infatti, il rifiuto (immotivato e mai messo per iscritto) della tessera di ingresso e "l'invito" a recarsi in una biblioteca comunale o universitaria. Oppure “l’invito" a dare prova della presenza in biblioteca di almeno uno dei libri relativo all'argomento che interessa l'utente potenziale, attraverso una ricerca nel terminale appositamente posto nell'atrio che precede l'ingresso (senza alcuna assistenza da parte del bibliotecario).

Se siamo riusciti ad entrare, solo dopo un po’ di tempo (probabilmente dopo uno scambio di opinioni con gli altri utenti nella inospitale “Area di ristoro” dove all'incrocio di due stretti corridoi attigui alle fosse biologiche del seminterrato si trovano i distributori automatici di alimenti) ci renderemo conto di essere stati classificati in categorie diverse di cittadini: usando il linguaggio e la logica delle biblioteche di "conservazione", i cosiddetti "utenti impropri" (tollerati nelle sale delle opere moderne per la “generosità” della Direzione che si fa carico delle storiche carenze delle biblioteche locali minori) ed i non meglio definiti "studiosi". Solo a questa esclusiva categoria di cittadini è concessa la fruizione dei beni artistici librari "conservati" nelle sale riservate delle biblioteche "pubbliche" italiane. Inoltre, questo cittadino privilegiato non deve depositare il proprio documento d’identità per avere in lettura un libro moderno, mentre quell’adempimento è richiesto al cittadino comune [9].

 

Per accedere in una sala riservata di una biblioteca “di conservazione” a volte occorre la lettera di presentazione di un altro "studioso" [10], a volte la presentazione di una bibliografia (che l'utente dovrebbe evidentemente essere in grado di elaborare prima di poter consultare gli inventari o il catalogo ed avvalersi dei servizi della biblioteca). La bibliografia dovrà passare il vaglio del bibliotecario che emetterà la sua inappellabile sentenza secondo criteri arbitrari o comunque mai esplicitati (quale immenso bagaglio culturale possiede tale bibliotecario, capace di premiare o respingere ogni giorno decine di potenziali progetti di ricerca?) [11].

 

Una breve parentesi. Questa prassi di selezionare ed allontanare illegittimamente l'utenza potenziale (applicata con varianti diverse da i direttori ed i pubblici funzionari della maggior parte delle biblioteche storiche pubbliche) è la conseguenza più grave della "logica della conservazione" [12]. Al riguardo sarebbe bene che i bibliotecari italiani leggessero con attenzione alcune norme del nostro ordinamento giuridico.

Nel Testo Unico sui Beni Culturali del 1999 si afferma la gratuità della consultazione (art.101) ed il principio della fruizione, per cui i beni culturali pubblici - compresi quelli che costituiscono il demanio archivistico e bibliografico (art. 54) - “sono destinati al godimento pubblico” (art. 98). Gli artt. 152 e 153 del D.lgs. 112/1998 sono intitolati alla “valorizzazione”, cioè “il miglioramento dell’accesso ai beni e la diffusione della loro conoscenza”, ed alla “promozione”, ossia “l’organizzazione di iniziative dirette ad accrescere la conoscenza delle attività culturali ed a favorirne la migliore diffusione”. Nel DPR 417 del 1995 [13] il termine “sale riservate” non è riferito ad una categoria di cittadini privilegiati ai quali riservare la consultazione delle opere antiche e rare ma, in senso oggettivo, alle speciali modalità di custodia, distribuzione, consultazione e assistenza al pubblico richiesti dal Legislatore al Direttore di biblioteca, sia per assicurare allo Stato che le opere non vengano smarrite o danneggiate, sia per garantire l'esercizio del diritto alla fruizione dei beni artistici librari a tutti i cittadini maggiorenni che si presentino in biblioteca con un valido documento di identità.

Da una lettura non superficiale di quelle norme risulta evidente che il Bibliotecario Pubblico deve precisare con regolamento interno le modalità per la fruizione (tale regolamento dovrebbe essere una garanzia per l’utente, in quanto elaborato nel rispetto della gerarchia delle fonti giuridiche e vincolante per la stessa Direzione della biblioteca), tenendo conto dello stato di conservazione dei beni artistici librari e certo non dei riservatissimi requisiti personali dei potenziali utenti (tutelati anche dalla legge sulla privacy n. 675 del 1996). Infatti, il bibliotecario può rifiutare l’autorizzazione all’ingresso in una sala riservata (o meglio specializzata) solo a chi sia minorenne; può rifiutare la consegna di un libro per la lettura solo se l’opera sia in cattivo stato di conservazione e necessiti di interventi di restauro, oppure nel caso che sia disponibile per il pubblico una copia del documento originale (art. 38 del DPR 417/95). La “registrazione degli intenti” di chi richiede un opera antica o rara è prevista dal DPR solo per individuare i casi in cui l’utente voglia fare un uso commerciale del testo, in modo da permettere allo Stato di pretendere i proventi della riproduzione.

In nessun altro caso è lecito vagliare le curiosità culturali, i “requisiti personali” o “i motivi di studio” dei cittadini, o richiedere preventivamente una bibliografia per censurarla. E’ quindi un “sopruso” ogni atto del bibliotecario pubblico che cerchi di entrare nel merito delle richieste fatte dai cittadini.

 

Torniamo a visitare la "più efficiente e funzionale" biblioteca italiana di conservazione.

Non è previsto che l'utente riceva le informazioni necessarie ad orientarsi nei diversi piani e tante sale che compongono la biblioteca, dove si "conservano" i diversi spezzoni del catalogo (cataloghi elettronici – in rete o su cd rom - o cartacei: per autori, soggetto, classificazione dewey, e poi dei periodici e dei periodici più recenti, dei testi antichi, dei libri esposti in sala e dei fondi donati alla biblioteca, delle opere minori, delle stampe, delle opere musicali, e infine le bibliografie specializzate e gli inventari dei manoscritti) [14].

 

Appena entrati, per sapere come ordinare un libro ci si rivolge istintivamente al banco della distribuzione, ma subito gli addetti ci rimandano ai colleghi in sala catalogo che dopo brevi indicazioni sui terminali elettronici ci indirizzeranno all'ufficio informazioni che si confonde con l'ufficio relazioni con il pubblico; se a questi si chiede come fare per avere un libro in prestito si viene indirizzati all'ufficio prestito che probabilmente nel frattempo sarà già stato chiuso; per scoprire quali libri si possono fotocopiare sarà stato inutile attendere il proprio turno al banco delle fotocopie e si dovrà tornare al banco della distribuzione. Gli avvisi scritti ed i regolamenti interni – quando sono stati pubblicati – utilizzano formulazioni generiche. D’altra parte, è raro che due impiegati diversi diano la stessa risposta alla stessa domanda. Domande che rimarranno per la gran parte insoddisfatte.

 

Chi richiede di poter fotocopiare un libro è trattato con sospetto e ben presto si rende conto che le limitazioni alle fotocopie vanno ben oltre quelle previste dalla normativa che protegge il diritto d’autore, perché il fotocopiare è contrario alla logica della "conservazione". Lo stesso accade per chi ingenuamente chiede di accedere ai motori di ricerca su Internet per cercare informazioni: in una biblioteca di “conservazione” l’uso di Internet è vietato, anche laddove esista una nuovissima Area Digitale [15].

La disciplina del prestito si discosta dalle aspettative dell'utente e dalle disposizioni del Legislatore secondo le quali oggetto di questo servizio è tutto il patrimonio documentario della biblioteca salve poche e ragionevoli eccezioni (art. 54 DPR 417/95). Invece, chi vuole un libro in prestito dovrà prima procurarsi una seconda tessera - che contiene gli stessi dati della tessera d’ingresso[16] - e poi esercitarsi ad evitare il lungo elenco di opere moderne escluse apparentemente senza logica [17]. Inoltre vige una procedura davvero dissuasiva: se l'utente ha fatto "l'errore" di sfogliare il libro prima di prenderlo in prestito dovrà restituirlo e ritornare dopo ben due giorni, formalmente per dare il tempo agli impiegati di riportare l'opera nei magazzini perché i moduli per la richiesta di presti            to devono essere diversi da quelli per la richiesta di lettura[18].

 

L'orario di apertura si apprende per tentativi ed errori (dell'utente o dei responsabili della biblioteca?) che causano ritardi di giorni nello svolgimento delle ricerche bibliografiche e contribuiscono a scoraggiare la permanenza nella biblioteca e a rendere di fatto impossibile l'accesso ai servizi al pubblico per chi lavora e vorrebbe accedervi almeno nel tardo pomeriggio[19]. Se si chiede a che ora chiude la biblioteca la risposta è che questa resta aperta dalle 8:15 alle 19:00. Dopodiché si scoprirà che ci siamo è presentati troppo tardi all'ufficio (o meglio alla persona) che compila e stampa le tessere d'ingresso per cui saremo obbligati a tornare il giorno dopo, o che la nostra richiesta per avere un libro in lettura andava presentata prima delle 12:30 la mattina o prima delle 16:30 il pomeriggio, che anche l'ufficio prestito, la distribuzione delle riviste la sala musica, l'ufficio fotocopie, l'emeroteca hanno orari limitati e poco razionali.

 

Le esclusive sale "riservate" agli "studiosi" sono state specializzate in modo troppo rigido[20] - in alcuni casi ritardando le ricerche bibliografiche -, hanno una disposizione spaziale non funzionale e la Sala Manoscritti manca di corrette fonti archivistiche e di personale specializzato (a questo si supplisce in parte con il passa parola tra utenti). Più in generale i cataloghi non forniscono le informazioni utili a svolgere celermente e correttamente le ricerche bibliografiche [21]. Ad esempio le opere definite "mancanti" o “fuori posto” non vengono preventivamente segnalate nei cataloghi (contrariamente a quanto disposto dagli artt. 4 e 15 del DPR 417/95 per le opere “sottratte, smarrite o in restauro”), per cui è molto probabile che capiti di attendere dai venti ai quaranta minuti la consegna del libro richiesto per poi ricevere solo la risposta "mancante".

Non si hanno assolutamente indicazioni sui tempi di recupero o di acquisto dei libri misteriosamente "mancanti" (o di copie di questi) né indicazioni su quali altre biblioteche possiedano tali opere.

E' allarmante il fatto che le opere smarrite o fuori posto non siano segnalate alle autorità competenti [22].

 

Nonostante altre pubbliche amministrazioni abbiano ormai abituato i cittadini alla trasparenza nello svolgimento del loro operato (in applicazione della L 241 del 1990), le informazioni fornite dal Ministero per i beni culturali sulle varie attività straordinarie destinate a modificare e migliorare i servizi sono totalmente inattendibili se non assenti.

Un esempio è costituito dal Progetto Area Digitale. Nell'estate del 1999 sono iniziati i lavori per un nuovo sistema informativo collegato al catalogo elettronico che tra l'altro permettesse di fare le richieste di lettura via Internet prima di recarsi in biblioteca. Da allora e fino al gennaio 2002 il precedente software interno che semplificava la compilazione e l’inoltro delle richieste di lettura è stato disattivato obbligando gli utenti a compilare dei moduli in tre copie (in pieno contrasto con l’art. 62, 3° comma del DPR 417/95 e con il DM firmato dal Ministro Veltroni del 27/12/96, che contiene i modelli ministeriali dei moduli in carta autoricalcante che la biblioteca deve mettere a disposizione, con l'indicazione tassativa delle informazioni dovute all'utente nel caso l'opera risulti "mancante" dal magazzino) [23]. In base ai primi avvisi al pubblico, quei disagi avrebbero dovuto terminare a settembre. A dicembre 1999 è stata ufficialmente inaugurata solo la rinnovata sala cataloghi ed il sito Internet, con l'ennesima riedizione del vecchio catalogo SBN, ora adattato per Internet. In realtà l'utente remoto poteva già reperire in Rete quelle informazioni bibliografiche nel catalogo unico nazionale /opac.sbn.it, anch'esso attualmente in corso di "clonazione" verso www.sbn.it.

Nessuna ulteriore comunicazione è stata fatta al pubblico sui motivi dei ritardi nello svolgimento dei lavori e sul loro stato di avanzamento [24]. La procedura informatizzata per le richieste di fotocopie non è stata più riattivata e ora, per utilizzare l'unico blocco cartaceo disponibile per compilare a mano le richieste, è inevitabile mettersi in fila al banco della distribuzione.

Ancora oggi non è possibile accedere via Internet alle richieste di lettura.

 

Un limite pesante del nuovo catalogo elettronico (segnalato inutilmente dai componenti dell'Associazione Lettori BNCF sin dalla sua inaugurazione), e che sembra ormai da attribuire ad un irrimediabile errore nella progettazione iniziale, è l'aver incluso il campo della collana all'interno del campo titolo. Questo rende impossibile ottenere risultati selettivi e quindi utili quando una o più delle parole chiavi utilizzate per svolgere la ricerca bibliografica siano comprese nelle collane. Ad esempio e per restare in tema, volendo ricercare tutte le opere che includano nel titolo le parole "storia" e "biblioteca" si otterranno 4.629 riferimenti bibliografici, la gran parte dei quali senza alcun collegamento a quell'argomento se non il nome della collana a cui appartengono; provando con “storia” e “biblioteche” avremo la fortuna di trovare solo 41 opere sul tema, tra le quali l’indispensabile I motori a combustione interna, di G. Supino [25].

L'Area Digitale prevede costosi mouse (del tipo track ball) e schermi ultra piatti, ma non una tradizionale stampante per stampare i risultati delle ricerche bibliografiche, né la possibilità di salvare con sicurezza su dischetto quelle ricerche (tutte le icone del menù di Windows sono state disattivate, forse per inibire l’uso di Internet), e nemmeno il software per leggere le opere su cd-rom (nonostante ognuna delle circa cinquanta nuove postazioni sia stata dotata dei lettori floppy e cd le opere su supporto digitale – ammesso che non siano “mancanti” - restano “conservate” nei magazzini: forse a beneficio dei posteri?).

In una biblioteca di “conservazione” anche le tecnologie digitali devono “conservare” caratteristiche peculiari: carta e penna restano insostituibili.

Ha forse un significato simbolico il fatto che l’Area Digitale svanisca dove l'utente non può vedere, dietro il banco della distribuzione attiguo alla luccicante sala cataloghi. Lì le richieste informatizzate inviate dall'utente concludono il loro viaggio in tempo reale: vengono stampate su carta e portate a passo d'uomo su e giù nei misteriosi e forse poco sicuri magazzini che si diramano per centinaia di metri.

 

In sintesi sembra proprio che il sistema informativo che si è progettato risponda solo alla finalità di automatizzare gli adempimenti interni relativi all'archiviazione dei dati dei vari uffici, mentre trascura i vantaggi gestionali che si potrebbero ottenere razionalizzando prima ed automatizzando poi le procedure relative ai servizi al pubblico: il progetto, per quanto innovativo, è distorto all'origine da un approccio riduttivo, coerente alla "logica della conservazione".

 

Non è disponibile alcuna informazione ufficiale sulle attività volte a migliorare l'organizzazione interna della biblioteca, solo qualche notizia indiretta di costosi progetti si può trovare pubblicata con toni ottimistici sulle riviste specializzate, ma nella realtà l'utente non riscontra i risultati annunciati. Come nel caso del dimenticato progetto “Edificare", [26] finanziato dalla Comunità Europea, che avrebbe dovuto abbassare i costi medi della catalogazione e soprattutto aumentare la produttività delle attività di catalogazione, riducendo a circa un mese il tempo di rilascio della registrazione delle notizie bibliografiche e indirettamente quello necessario ai nuovi libri ad arrivare sul tavolo dei lettori: ancora oggi l'utente deve aspettare circa un anno per leggere in biblioteca le novità editoriali.

Non sembra possibile sapere quanti altri decenni e quante risorse finanziarie occorreranno ancora per terminare i restauri dei libri antichi alluvionati nel 1966, danneggiati sia perché "conservati" allora nei sotterranei e non nei piani alti dell'edificio, sia per errori nei primi interventi di recupero [27].

 

Altri esempi. La Direzione della BNCF, rispondendo alle sollecitazioni di una associazione nazionale di consumatori che supportava la Associazione Lettori, affermava per iscritto nell'ottobre 1999 che era in corso di elaborazione la Carta dei Servizi, uno strumento di tutela degli utenti dei servizi pubblici voluto nel 1994 da una Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri Ciampi. Quello scarno documento è stato pubblicato solo a fine 2002, nonostante nel frattempo la biblioteca abbia ottenuto la Certificazione di Qualità UNI EN ISO 9002, impegnandosi formalmente a perseguire “la soddisfazione dei clienti”. Si fa fatica a credere che l’utente sia al centro dell’attenzione dei responsabili di questa biblioteca dato che ad esempio il tempo di attesa per il rilascio della tessera di ammissione è stato fissato in ben quaranta minuti e gli standard fissati sulla Carta dei Servizi saranno aggiornati solo con cadenza biennale (mentre tutte le tecniche di programmazione della gestione e la stessa Direttiva Ciampi prevedono almeno ogni anno).

 

Deve far riflettere gli operatori del settore il fatto che nonostante il rilascio del tanto pubblicizzato Certificato di Qualità, valido per la “Raccolta, conservazione erogazione e fruizione della collezione nazionale”, i disagi sopra segnalati non siano stati superati [28]. I “clienti” abituali della biblioteca hanno semmai notato che i comodi periodi di tempo precedentemente previsti per la prenotazione e il deposito presso l'ufficio prestito sono stati drasticamente ridotti e che l'emeroteca è stata chiusa.

 

Di fronte alle lamentele degli utenti circa i disservizi, le spiegazioni che si ricevono dai bibliotecari riguardano per lo più responsabilità di altri organi dell'amministrazione pubblica, esterni alla biblioteca. I bibliotecari lamentano spesso che i fondi e le risorse umane assegnate al settore sono da sempre scarsi [29].

Queste giustificazioni spingono l'utente a vestire i panni del contribuente per verificare come vengano impiegate le risorse assegnate dall’Amministrazione Centrale ma anche dagli Assessorati alla Cultura del Comune e dalla Regione in cui la biblioteca ha sede, e come mai i tempi dei progetti avviati si dilatino.

Anche qui, i dati pubblicati dal Ministero sono aggregati per Regioni, e non è possibile disporre di informazioni chiare per rendersi conto di quali siano stati gli obiettivi ed i risultati concreti degli interventi legati ad esempio alle varie versioni dei cataloghi elettronici, e quanto pubblico danaro si sia speso fino ad oggi e quanto se ne prevede di spendere in futuro per completare quei progetti [30].

 

 

Prima conclusione sulla “conservazione contra legem” imposta dai bibliotecari pubblici italiani e sulla qualità in una biblioteca pubblica

 

Vorrei chiudere queste considerazioni rievocando alla nostra immaginazione la figura di quel funzionario del Magistrato Supremo, il cancelliere Francesco Fabbrini, che il 5 gennaio 1737, alla presenza di un notaio, passeggiando su e giù per la biblioteca, aprendo gli scaffali e prendendo in mano i libri a suo piacere, nella personificazione del Pubblico di Firenze intimava al bibliotecario di riconoscerlo come legittimo possessore della libreria e di tutto il suo contenuto.”  [31]

 

La “logica della conservazione" che vorrebbe giustificare le assurde mortificazioni imposte agli utenti e secondo la quale esisterebbero in Italia biblioteche pubbliche "aperte al pubblico" e biblioteche pubbliche speciali, esclusive o “di conservazione” - riservate a pochi e accondiscendenti cittadini scelti dal bibliotecario- non trova fondamento nel nostro ordinamento giuridico.

Questa logica affiora nelle illegittime prassi e regole imposte agli utenti da quella gran parte dei bibliotecari e dell’amministrazione per i beni culturali che considera la fruizione del bene librario un rischio per la "conservazione" del libro e non un diritto dei cittadini.

 

Un’ulteriore conferma di quanto sia radicata la "logica della conservazione" sembra che possa essere ritrovata anche in altri ambienti che hanno come riferimento il Ministero per i beni e le attività culturali, ma trattandosi di un approccio mentale, di un atteggiamento culturale che si tramanda all'interno di categorie professionali, non è facile trovarne tracce documentate. Un fugace riferimento vi è forse nell'ultimo articolo di Salvatore Settis che, augurandosi il rilancio dell'amministrazione pubblica dei beni culturali in Italia, ne indica in più punti la direzione, e tra quei punti comprende il seguente: “incoraggiare la piena libertà di ricerca sul patrimonio culturale eliminando gli abusi da parte di quegli addetti che non consentono l'accesso o la pubblicazione di materiali in proprietà pubblica e limitando nel tempo i diritti di proprietà su materiali di scavo;” [32].

 

 

I compiti istituzionali delle quarantasette biblioteche pubbliche elencate nell'art. 1 del DPR 417/95,[33] non possono discendere da convincimenti personali o da criteri "tecnici" diffusi in un'intera categoria professionale, ma sono affermati per Legge nell'art. 2 del DPR 417: “conservare, accrescere e valorizzare le proprie raccolte storiche; ... documentare il posseduto, fornire informazioni bibliografiche e assicurare la circolazione dei documenti.”. [34]

Il principio di legalità dell'azione amministrativa impone al bibliotecario pubblico il dovere professionale di semplificare gli adempimenti richiesti al cittadino e di gestire le biblioteche per “sviluppare la fruizione”, applicando se necessario ed in modo opportuno le metodologie aziendali, come il T.Q.M., total quality management (la gestione della qualità) [35], o il c.r.m., customer relationships management (la gestione dei rapporti con l'utenza) [36].

 

L'obiezione che il caso qui riportato non sia rappresentativo delle biblioteche storiche di conservazione poiché la biblioteca di Firenze sarebbe "speciale" in quanto Nazionale Centrale non è accettabile [37]. Questa qualifica comporterebbe semmai il dovere della biblioteca di svolgere delle funzioni aggiuntive, ma non incompatibili con quelle di servizio per il pubblico: Giuseppe Vitiello ci ha recentemente fatto capire come purtroppo queste funzioni aggiuntive non vengano svolte correttamente [38].

 

 

Abbandono per un momento la semplice ottica dell'utente per osservare che il rilascio da parte di uno degli Organismi di Certificazione accreditati e controllati dal Sincert di un certificato di conformità alle norme tecniche UNI EN ISO internazionalmente riconosciute, dovrebbe basarsi su due presupposti aggiuntivi rispetto a quelli previsti per le aziende private nei casi in cui coinvolga una Pubblica Amministrazione o interessi pubblici[39]. L’“evidenza oggettiva” o meglio la garanzia dell’esistenza di una specifica professionalità nel campo delle Scienze dell’Amministrazione degli Organismi abilitati al rilascio della Certificazione, e un apposito modello o norma UNI di riferimento per la certificazione, frutto dell’interazione tra le norme tecniche internazionali ISO e le norme giuridiche che disciplinano l’attività amministrativa nei singoli Stati.

Assimilare acriticamente una Organizzazione pubblica ad una privata e, quindi, considerare le norme ISO e le norme giuridiche distinte e separate – come si sta affermando nella pratica – può condurre al paradosso di Organizzazioni pubbliche che agiscono in violazione della legge ma che possono vantare un sistema gestionale “di qualità certificata”.

 

Nel caso esaminato, comunque, l'intervento di riorganizzazione apportato in occasione del rilascio della Certificazione di Qualità UNI EN ISO 9002 non ha tenuto conto della particolare natura Pubblica dell’Organizzazione che si è voluto portare alla certificazione.

Un intervento corretto, invece, secondo l'approccio del “management pubblico” [40], avrebbe probabilmente aiutato l’Amministrazione Centrale e la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze ad interpretare quelli che la stessa edizione 2000 della norma tecnica UNI ISO chiama “requisiti cogenti applicabili”, ma soprattutto a prendere consapevolezza delle conseguenze gestionali dei principi introdotti dal 1990 ad oggi dalle riforme della Pubblica Amministrazione ed a finalizzare il compito di conservare i beni artistici librari al diritto alla fruizione da parte del maggior numero di cittadini.

 

 


Una conferma della “conservazione contra legem”. L’Intesa per la consultazione nelle biblioteche ecclesiastiche e le biblioteche statali annesse ai monumenti storici

 

In quarto luogo, tutela vuol dire accessibilità, nel senso di consentire la fruizione collettiva delle opere d’arte. Ad esempio la legge italiana prevede che collezioni artistiche di particolare importanza devono essere periodicamente aperte al pubblico (viene così imposto ai proprietari privati di rendere accessibili le loro collezioni al pubblico).” [41]

 

Nella stessa direzione di una “conservazione” contraria alla pubblica fruizione vanno le attività relative alla "Intesa circa la conservazione e la consultazione degli archivi storici e delle biblioteche degli enti e delle istituzioni ecclesiastiche", del 18 aprile 2000, tra il nostro Ministero per i beni e le attività culturali e il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana.

 

Per disporre il trasferimento dei fondi dello Stato italiano alle biblioteche appartenenti alla Chiesa (ossia a soggetti privati) la Direzione Generale per i Beni Librari e gli Istituti Culturali - per il principio di legalità che limita e guida la discrezionalità operativa e manageriale dei responsabili dell'azione amministrativa - è tenuta a verificare che la regolamentazione concernente le biblioteche ecclesiastiche venga armonizzata con le disposizioni del nostro ordinamento giuridico ed in particolare quelle richiamate nell'Intesa [42].

 

Vediamo ancora una volta come, nonostante le chiare disposizioni del Legislatore e dell’organo di indirizzo politico (il Ministro), la “macchina amministrativa” si rifiuti di applicare le riforme del settore.

 

Nell'art. 6 del DPR n. 189/2000 ("Esecuzione dell'Intesa ... ") si stabilisce: “L'autorità ecclesiastica si impegna: ad assicurare la conservazione e a disporre dell'apertura alla consultazione delle biblioteche appartenenti a enti e istituzioni ecclesiastiche; ... a favorire la consultazione attraverso l'erogazione dei servizi, ...”. Nel DM 14/12/2001 (“Modalità e criteri per l’attuazione …” in G.U. n. 93 del 20/4/2002) si afferma che il Ministro: “autorizza la spesa di lire mille milioni per ciascuno degli anni 2001, 2002, e 2003 … Le iniziative dovranno privilegiare: … b) valorizzazione e pubblica fruibilità del patrimonio librario. … requisiti: apertura alla pubblica consultazione garantita per un determinato numero di ore e di giorni a settimana; possesso di un regolamento interno.”

 

Ecco come - in modo ancora una volta restrittivo - è stata interpretata la norma nello "Schema - Tipo di Regolamento delle Biblioteche Ecclesiastiche Italiane" [43], approvato a novembre 2002.

Gli artt. 19 §2 e 22 § 3 prevedono rispettivamente che “All'interno del patrimonio librario il responsabile può selezionare un insieme di documenti la cui consultazione è esclusa o circoscritta a persone che conducono ricerche di un determinato livello scientifico ovvero al personale dell'ufficio o del soggetto proprietario.” e “L'ammissione degli studiosi alla consultazione, che deve essere in ogni modo facilitata, è comunque riservata al responsabile della biblioteca, il quale valuta le domande sulla base dei requisiti del richiedente”[44].

Inoltre (§ 1), la direzione “può esigere una quota di iscrizione, eventualmente proporzionata al periodo di frequenza.”.

 Ancora, l'art. 31 obbliga l'utente a fornire a proprie spese alla biblioteca copia delle foto o dei microfilm degli stampati del fondo antico che richiede per sé. Infine vi è la parte più in linea con i progetti di innovazione promossi fino ad oggi dai Dirigenti del nostro Ministero (l'art. 9): “I bibliotecari utilizzano i mezzi di catalogazione e di ricerca offerti dall'informatica sulla base delle indicazioni e usando gli strumenti concordati tra la C.E.I. e il Ministero per i beni e le attività culturali (cf. art. 5, comma 3 dell'Intesa)”.

 

Analoghe “iniziative” sono previste per le attività di formazione - da un punto vista finanziario sicuramente impegnative e difficilmente controllabili in termini di benefici concreti che eventualmente generano - destinate in modo indifferenziato al personale di tutte le qualifiche ed estese addirittura ai volontari esterni (art. 18 §2).

 

 

La stessa incoerenza sostanziale si ritrova nel Progetto Manus. Per realizzare il Censimento nazionale dei manoscritti posseduti dalle biblioteche italiane, l’ICCU -Istituto Centrale per il Catalogo Unico–, coordinato dalla Direzione Generale per i Beni Librari, ha predisposto il software “Manus”, cedendolo in uso gratuito “nell’intento di tutelate e far conoscere il patrimonio manoscritto conservato nelle biblioteche italiane.” [45]

Se andiamo a vedere le condizioni di accesso alle quasi cento biblioteche che partecipano al progetto troviamo ribadito il significato restrittivo che la Direzione Generale per i Beni Librari attribuisce al compito istituzionale di “tutelare” e “far conoscere” i beni librari. Ad esempio, vediamo una biblioteca “Pubblica” diversa da quelle elencate dal DPR 417/1995, la Biblioteca Statale del Monumento nazionale di Grottaferrata, in provincia di Roma.[46]. Per accedervi, “l’utente deve presentare una lettera commendizia”, ossia – secondo il Vocabolario Zanichelli del 2003 - una lettera di raccomandazione.

 

Per gli inconvenienti ed i ritardi già visti in altri progetti di informatizzazione, inoltre, sarebbe quasi naturale chiedersi quali impatto sui servizi al pubblico può determinare l’ “adesione gratuita” al progetto; in particolare quali vincoli tecnico-economici può determinare quel software alle attività di manutenzione ed aggiornamento, ed alle future scelte della biblioteca finalizzate ad informatizzare i servizi al pubblico avvalendosi dei migliori prodotti offerti dal mercato.

 

Vediamo, infine, un’altra biblioteca statale annessa ad un monumento. Questo caso è davvero particolare sia perché la biblioteca è dotata di un regolamento scritto, sia perché quel regolamento porta la firma del Soprintendente Paolucci. Si tratta della Biblioteca degli Uffizi

Per accedere occorre una “autopresentazione” . La richiesta di questo documento, inusuale per una Pubblica Amministrazione, non consiste nella ormai familiare autocertificazione, perché l’autopresentazione ha un termine, e quel termine è diverso a seconda della categorie di cittadini che vogliono accedere in biblioteca. Nel regolamento è prevista, poi, la massima discrezionalità del responsabile della biblioteca per l’accettazione delle richieste di ammissione presentate dai cittadini che non rientrino nelle categorie già individuate [47] .

 

L’elenco delle categorie dei potenziali utenti che possono sperare di entrare in questa biblioteca grazie all’autopresentazione ricorda molto le categorie previste nel DPR n. 1501 del 1967, abrogato nel 1995 dal DPR n. 417, firmato sempre da Polucci, allora Ministro dei Beni Culturali.
[
Livorno, 07 ottobre 2003]

 

Berardino Simone    
b.simone@nomade.fr

 



[1] M. S. Giannini, in Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico, Giuffrè 1976, così citato in F. Baldi, G. Calderoni, et. al., Il Testo Unico sui beni culturali e ambientale, Giuffré, 2000, pp. 175-6.

[2]  Dopo questo provvedimento ha perso di significato la tradizionale distinzione tra le sale di Lettura e le sale di Consultazione.

[3]  Già nel primo regolamento dello Stato italiano sulle biblioteche si affermava: “Tutte le Biblioteche esistenti nel Regno, le quali ... sono Biblioteche governative, devono essere o rimanere aperte al pubblico ...”, art. 1 del Regio decreto n. 5368 del 25 novembre 1869. Ma anche prima di quella data: “I nostri numeri: Dal 1747 siamo aperti al pubblico”, in sito Internet della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, www.bncf.firenze.sbn.it , alla voce Informazioni - Carta dei Servizi, p.7.

[4]  "Alla biblioteca efficace servono regole più chiare" nella rubrica - a cura di Giovanni Solimine – “Il Management in Biblioteca” in Biblioteche Oggi, luglio-agosto 1996, pp14-15. G. Solimine è Direttore Responsabile di Bollettino AIB, la rivista ufficiale della Associazione Italiana Biblioteche.

[5]  B. Palma, I beni culturali nella costituzione italiana, Montefeltro Ed., 1981, p. 75.

[6] U. Eco, "Come organizzare una biblioteca pubblica", in Il secondo diario minimo, Bompiani, 1992, p. 73-74

[7] “L'attuale BNCF ha origine dalla biblioteca privata di Antonio Magliabechi, costituita di circa 30.000 volumi, lasciata nel 1714, secondo il suo testamento, “a beneficio universale della città di Firenze” ”, fonte, il sito Internet della BNCF, alla voce Informazioni - Origini e funzioni della biblioteca. “Antonio Magliabechi aveva donato i suoi libri perché se ne formasse una “pubblica libreria” dove il valore aggettivale del termine “pubblico” stava chiaramente ad indicare la destinazione del bene, che doveva essere liberamente disponibile da parte di tutti, e si contrapponeva all'uso privato che di esso si era fatto fino ad allora.” , M. M. Goggioli, La Biblioteca Magliabechiana, (Presentazione di A. I. Fontana, Direttrice della BNCF e membro effettivo del Collegio Probiviri dell’AIB), Olschki, 2000, p. 170.

[8]  Direzione Generale per i Beni Librari, protocollo n° 2191 del 3 aprile 2002, in archivio della Associazione dei Lettori della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. Vedi anche nota 28.

[9]  Un’altra biblioteca “di conservazione” (dove non opera un’associazione di utenti) probabilmente non ha neanche un Regolamento interno, ignora completamente la riforma del 1995 e non ammette affatto i comuni cittadini con questo arbitrario stratagemma:
“Le opere a stampa moderne sono date in lettura in sede agli studiosi già ammessi alla consultazione dei manoscritti e delle edizioni rare. Non è pertanto consentito l’uso della Biblioteca per la lettura delle sole opere a stampa moderne”, si veda il sito della biblioteca statale Medicea Laurenziana di Firenze, ww.bml.firenze.sbn.it, alla voce “Accesso, Orari e Servizi”.

[10] E’ opportuno che anche in questo caso si applichi al più presto il principio introdotto per il prestito: “scomparsa del desueto istituto della malleveria con la conseguenza che il materiale è affidato direttamente in prestito al richiedente, il quale lo custodisce sotto la propria e diretta responsabilità. Ovviamente, salvo i singoli casi disciplinati dal Regolamento interno, è essenziale il compimento della maggiore età, che è sufficiente a far sorgere la responsabilità del lettore.”, F. Sicilia (Direttore Generale per i Beni Librari e le Istituzioni Culturali), “Il Nuovo Regolamento delle Biblioteche Pubbliche Statali”, in Accademie e Biblioteche d’Italia, n. 1, gennaio – marzo 1996, p.8.

[11] A titolo di esempio si vedano le condizioni di ammissioni nel regolamento interno della BNCF, disponibile sul sito.

Ma anche: “La Biblioteca Medicea Laurenziana è una biblioteca pubblica ( … ) essa si riserva il diritto di selezionare gli ammessi alla consultazione ... ”, nel sito ww.bml.firenze.sbn.it, alla voce “Accesso, Orari e Servizi”.

[12] “Tra le proposte avanzate si possono qui sinteticamente ricordare il metodo suggerito da Berengo per selezionare il pubblico, distinguendo tra sale generali e per riviste, aperte a un'ampia utenza, e sale riservate per la ricerca, tutte con un ricco apparato di opere di consultazione”, G. Solimine, "L'utente esigente", in Biblioteche Oggi, marzo '93, p. 72.

[13] "Regolamento recante norme sulle biblioteche pubbliche statali", in Supplemento Ordinario alla G. U. n. 233 del 5 ottobre 1995.

[14] Mi chiedo se sia ancora attuale la ricostruzione del profilo psicologico di un antico bibliotecario: “E rientra nelle caratteristiche del personaggio il motivo per cui questo bibliotecario di cardinali, principi e granduchi, nonché di se stesso, non abbia saputo o voluto compilare esatti cataloghi delle raccolte che custodiva: non ne aveva bisogno, affidando tutte le conoscenze alla sua prodigiosa memoria per rendersi indispensabile, lui solo l'intermediario, lui stesso il vero catalogo”, M. M. Goggioli, La Biblioteca Magliabechiana, (Presentazione di A. I. Fontana, Direttrice della BNCF), Olschki, 2000, p. 11-2.

[15]  Le biblioteche “di conservazione” potrebbero prendere ad esempio le biblioteche “aperte al pubblico”: “Il Sistema bibliotecario trentino riconosce l’utilità dell’informazione elettronica per il soddisfacimento delle esigenze informative ed educative della comunità.” Art. 1 del Regolamento-tipo del servizio Internet nelle biblioteche trentine. Fonte sito Internet della Provincia di Trento.

[16]  Occorrerebbe verificare attentamente se sia corretta l’esclusione da questo servizio dei cittadini comunitari domiciliati fuori dalla Regione in cui ha sede la biblioteca. Ciò è previsto dallo stesso DPR 417/95, ma probabilmente è stato tacitamente abrogato dalla normativa successiva.

[17]  Richiamo tra gli altri l’onnicomprensivo “Ogni materiale per il quale particolari ragioni ne sconsiglino l’allontanamento dalla sede, le uggiose esclusione delle “Opere edite negli ultimi cinque anni e  de “Le opere di narrativa e di svago, nonché “Le pubblicazioni con particolari caratteristiche editoriali nelle quali viene fatto rientrare qualsiasi libro che contenga illustrazioni o tavole fuori testo. Anche in ottica di tutela queste ultime  esclusioni risultano incomprensibile.

La Direzione della Medicea Laurenziana, anche in questo caso ignora arbitrariamente il DPR 417/95: “Non è previsto il prestito diretto dei documenti manoscritti e a stampa: si veda ancora il sito ww.bml.firenze.sbn.it, alla voce “Accesso, Orari e Servizi”.

[18] “In termini generali, essi [i servizi di prestito, di riproduzione e di informazione bibliografica] sono stati considerati non più come concessioni possibili, ma come servizi primari, come la lettura e la consultazione in sede. F. Sicilia, “Il Nuovo Regolamento delle Biblioteche Pubbliche Statali”, in Accademie e Biblioteche d’Italia, n. 1, gennaio – marzo 1996, p.6. A memoria di utente (l’Associazione Lettori è nata nel 1993) F.Sicilia è da sempre Direttore Generale per i Beni Librari e le Istituzioni Culturali: trova qui una possibile spiegazione l’osservazione di S. Settis circa la costanza qualitativa delle politiche per i beni culturali al variare dei Governi, "Un programma per i beni culturali", in MicroMega n. 1/2003 febbraio-marzo, Gruppo Editoriale L'Espresso, p. 19.

[19]  “L'accessibilità materiale [ai beni e servizi culturali] è legata alla dotazione di due risorse che in generale sono utilizzabili tra le persone in modo diseguale e in alcuni casi in modo inversamente proporzionale: i soldi e il tempo.” G. Richieri, "Il fattore Tempo nel consumo di Beni Culturali", in Economia della Cultura, anno XII, 2002/n. 2, Il Mulino.

[20] Vedi G. Del Bono, Storia delle Biblioteche fra settecento e Novecento, Vecchiarelli Ed., Roma, 1995, p. 11.

[21] Rinvio ai tre contributi a cura della Associazione Lettori BNCF nella rubrica “Tribuna Aperta” di Biblioteche Oggi, dicembre 2001, vol. XIX  n° 10, pp. 68-70.

[22]  Secondo studi del 1990-1 “in America il fenomeno dei furti in biblioteca è ammesso e discusso apertamente, mentre in Inghilterra se ne prova vergogna” [come in Italia?] … “Data per scontata una certa perdita (da mettere in conto in particolare con la scaffalatura aperta), l’autrice ritiene ancora tollerabile una perdita dell’otto per cento dei libri posseduti.”, e “certi sistemi privi di protezione possono raggiungere perdite annue del 30-40 per cento.” Ancora, “un terzo dei furti è opera del personale.”, Marie Jackson, riportata in “I furti in biblioteca”, a cura di Carlo Revelli, Biblioteche Oggi, febbraio ’94, pp. 48-51. Sarebbe opportuno disporre di simili studi anche per le biblioteche italiane. Si può qui solo osservare che da noi i controlli elettronici alle uscite e le misure di prevenzione si concentrano sugli utenti, nonostante si prediliga la scaffalatura in magazzino. Ad esempio il divieto di accedere con borse e zaini non è esteso agli impiegati.

[23] “Chiunque abbia una pur minima familiarità con le biblioteche di qualsiasi paese, progredito o meno, non può non rimanere sbalordito dell'assurdità di procedure che ignorano, per non dir altro, le schede di richiesta a ricalco.”, E. Bottasso, Storia della biblioteca in Italia, Milano Bibliografica, 1984, pp. 343-4.

[24]  Simili comportamenti amministrativi sono stati superati dalla L 241 del 1990 sul procedimento e la trasparenza, e dalla recente
L. 150 del 2000 sulla comunicazione istituzionale.

[25] Il lettore può provare immediatamente questa sconcertante sensazione collegandosi al sito Internet www.bncf.firenze.sbn.it

[26] G Vitello, in Biblioteche Oggi novembre-dicembre 1994, p. 50.

[27] E. Bottasso, Storia della biblioteca in Italia, Milano Bibliografica, 1984, pp. 342-3. Per un'analisi più recente delle contraddizioni del nostro sistema bibliotecario: P. Traniello, Storia delle biblioteche in Italia. Dall’unità ad oggi, Il Mulino, 2002. 

[28] Quel documento viene rilasciato da un organismo di certificazione “indipendente” dal mercato (requisito di scarso rilievo nel caso  delle Pubbliche Amministrazioni), dopo una visita ispettiva che dovrebbe riscontrare “evidenza oggettiva” che l'organizzazione sia dotata di strumenti gestionali idonei a tenere sotto controllo i propri processi interni e sappia applicarli per realizzare il miglioramento continuo della qualità richiesta - in modo esplicito o implicito - dai suoi “clienti”.

[29]  Riguardo alle risorse umane, nel caso in esame quello che può osservare un utente abituale è che i circa 300 dipendenti ed i 40 obbiettori di coscienza che lavorano in BNCF equivalgono al numero di utenti giornalieri che frequentano la biblioteca nei giorni di maggiore affluenza. Probabilmente il dato ufficiale di affluenza - superiore a 700 utenti come media annua giornaliera (a fronte di circa 250 posti di lettura e consultazione) - si riferisce al numero di ingressi registrati, poiché molti degli utenti della mattina tornano in biblioteca anche dopo pranzo. L’impressione che ha un osservatore esterno è che in molte biblioteche pubbliche vi sia confusione tra ingressi ed utenti effettivi. Sarebbe interessante verificare se l’aumento del numero di utenti e del numero di titoli catalogati siano due degli indicatori con i quali il Ministero specifica gli obiettivi per i Dirigenti e impiegati, anche ai fini dell’attribuzione dei premi annui di produttività. Per un primo parziale riscontro si veda: Corte dei Conti – Sezione Centrale di Controllo – II Collegio – Deliberazione n. 2/2002/G, del 22 gennaio 2002, inviata al Parlamento il 28 gennaio 2002 – Relazione sugli interventi perla fruizione dei beni culturali.

[30]  Rendere operativo il principio della trasparenza amministrativa introdotto dalla L. 241 del 1990 non è solo un dovere ma è interesse della stessa Amministrazione. Come è già avvenuto in passato, l’assenza di trasparenza favorisce il diffondersi di malintesi e supposizioni che possono intaccare l’immagine delle istituzioni Mi riferisco in particolare alle considerazioni dell’Autore, in
E. Bottasso, Storia della biblioteca in Italia, Milano Bibliografica, 1984, pp. 342-5, sulla conclusione dopo venti anni del progetto SBN per il catalogo unico nazionale: ... “le vane promesse (…) di una pioggia di miliardi versata nel carrozzone del catalogo unico” ... .

[31] M. M. Goggioli, La Biblioteca Magliabechiana (Presentazione di A. I. Fontana, Direttrice della BNCF), Olschki, 2000, p. 172.

[32] S. Settis, "Un programma per i beni culturali", in MicroMega n. 1/2003 febbraio-marzo, Gruppo Editoriale L'Espresso, p.33.

[33] E' opportuno sottolineare che quell'art. 1 include senza alcuna distinzione sia le dieci nazionali che le due Biblioteche Centrali, compresa quella di Roma. Ritengo che gli stessi principi possano essere estesi alle altre biblioteche pubbliche storiche.

[34] Così introduce il DPR 417/95 D. D'Alessandro, nel suo Codice delle Biblioteche, Editrice Bibliografica, 2002, pag. 49: La filosofia che sottende la rinnovata normativa è quella dell'offerta, da parte della biblioteca, di una serie di servizi alla collettività come un dovere e non, com'era in passato, nell'ottica della concessione o dell'autorizzazione ... Ciascuno di questi servizi è disciplinato in modo da garantire la tutela e la protezione dei documenti della biblioteca, senza peraltro essere vessatorio nei confronti dell'utente.”

[35] M. Balducci, M. Chellini, et al., "L’organizzazione comunale tra gestione per obiettivi e ricerca della qualità dei servizi.", in Guida Normativa 2002, Ed. C.E.L., Gorle (BG), 2001, vol. I pp. 862-63.

[36] M. Balducci, S. Gennai, et al., "Organizzazione e Management: il superamento della tutela amministrativa e l'imperativo della managerialità.", in Guida Normativa 2003, Ed. C.E.L., Gorle (BG), 2002, vol. I pp. 830-31.

[37] Vedi nota 33 e 7. Inoltre qualora il nostro Legislatore applicasse il modello degli altri paesi europei, anche in Italia vi sarebbe una sola Biblioteca Nazionale, con sede nella capitale. Ma sulle peculiarità del caso italiano rinvio alle opere di Giuseppe Vitiello.

[38] G. Vitiello, Alessandrie d’Europa: storia e visioni delle biblioteche nazionali. Milano Sylvestre Bonnard, 2002.

[39] Più interessanti, delicati e complessi sono i casi di probabile distorsione della concorrenza privata e di “delega di controllo pubblico” agli Organismi di Certificazione che si realizzano quando nei bandi delle pubbliche amministrazioni per la fornitura di beni e servizi si richiede alle imprese il possesso di un Certificazione di Qualità ISO.

[40] M. Balducci, R. Menichetti, et al., Organizzazione e Management dell’ente locale. Milano, F. Angeli, 2000, p. 20.

[41]  S. Cassesse, “I beni culturali: dalla tutela alla valorizzazione”, in Giornale di Diritto Amministrativo, Ipsoa, n. 7/1998, p. 673.

[42] Un'analisi analoga, alla luce del DPR 417/95 e del precedente ma, di fatto, ancora vigente DPR n. 1501/67, applicata al Regolamento interno della BNCF recentemente approvato dalla Direzione Generale per i Beni Librari è nel mio precedente B. Simone, "La certificazione nelle pubbliche amministrazioni. Quale rapporto tra norme ISO e norme giuridiche?", in De Qualitate ottobre 2002, anno XI n° 9, pp. 25-27.

[43] Vedi il sito Internet chiesacattolica.it, sotto la voce Uffici-Servizi.

[44]  E’ sfuggito che molto probabilmente questa disposizione contrasta non solo con l’art. 3 della nostra Costituzione, ma anche con la recente legge di tutela della privacy (L. 675/96 e successive modifiche).

[45] Fonte www.iccu.sbn.it/bimanus.html

[46] Si veda www.abaziagreca.it,  email: sannilo@librari.beniculturali.it

[47] Si veda il Regolamento interno presso la biblioteca.


[Bibl'og]