LA
FRUIZIONE
NEGATA
Su
alcune attività della Direzione Generale per i Beni Librari
Berardino Simone
( collaboratore
CROGeF : www.crogef.it )
“Il bene culturale è pubblico non in quanto bene di appartenenza, ma in quanto bene di fruizione”, cioè “non ha altra utilizzazione che la fruizione universale”.[1]
Da più di
dieci anni i cittadini
si accorgono anche visivamente dei risultati dell’applicazione delle
tecnologie
informatiche che vanno nella direzione della “valorizzazione” del
nostro
patrimonio artistico librario.
Accanto a questi importanti investimenti
ci sono state delle
novità di natura amministrativa, come la riforma della disciplina delle
biblioteche appartenenti al Ministero per i beni e le attività
culturali, e la
diffusione del divieto amministrativo di accedere nelle biblioteche
storiche
con libri propri. Il divieto ha risolto il problema di un uso improprio
di
queste strutture da parte di quei segmenti di utenza che affollavano le
sale di
lettura ma ignoravano i cataloghi ed il posseduto: tipicamente gli
studenti
prima della tesi, che oramai preferiscono servirsi delle sale di
lettura delle
biblioteche universitarie e degli enti locali [2].
L'Amministrazione centrale ha mostrato
però maggiori
difficoltà nel porre in essere politiche positive di valorizzazione e
autoselezione dell'utenza (come l’apertura serale delle biblioteche),
non
riuscendo ancora a predisporre i servizi in modo tale da attrarre
quella parte
del pubblico che apprezza altri eventi culturali e frequenta volentieri
gli
istituti culturali - ad esempio i musei - ma ignora il patrimonio
artistico
librario custodito nelle biblioteche storiche [3].
Oggi le biblioteche storiche sono
frequentate principalmente
da professori delle facoltà umanistiche, da laureandi, borsisti,
dottorandi, e
da altri collaboratori delle locali università appartenenti alle stesse
facoltà
o - in misura minore - a quelle socio-economiche, con un accesso al
patrimonio
librario differenziato secondo le modalità che vedremo. L’affluenza dei
professori e dei collaboratori universitari delle facoltà
tecnico-scientifiche
sembra scarsa, anche nelle due Biblioteche Centrali di Roma e Firenze,
le quali
non sono specializzate ma per legge custodiscono tutto il materiale
pubblicato
in Italia. Probabilmente ciò è dovuto alle maggiori esigenze di
aggiornamento
di questa fascia di utenza, ed all’inadeguatezza di quelle biblioteche a soddisfare tale bisogno, a causa del
ritardo con cui le nuove edizioni dei libri e gli ultimi numeri delle
riviste
sono resi disponibili.
Quindi, il fatto che le biblioteche
statali nel 1975 siano
passate dal Ministero della pubblica istruzione al neonato Ministero
dei beni
culturali (e che le risorse necessarie al loro funzionamento provengano
dalle
imposte di tutti i contribuenti e non più dalle tasse dei soli iscritti
alle
scuole ed alle università) non ha sostanzialmente cambiato il loro
pubblico di
riferimento.
Attraverso l'analisi di alcuni casi
emblematici – primo tra
tutti la sede di progetti pilota di innovazione promossi dalla
Direzione
Generale per i Beni Librari del Ministero per le attività culturali,
come i
progetti Area Digitale ed il progetto Qualità relativo all'introduzione
di
sistemi manageriali di gestione orientati alla soddisfazione dei
bisogni degli
utenti - si cercherà di evidenziare le difficoltà incontrate da questo
settore
a tradurre operativamente i principi delle riforme introdotte dal
Legislatore
per modernizzare la nostra Pubblica Amministrazione, avvicinarla ai
cittadini e
valorizzare i beni culturali.
Andremo a
segnalare dei
comportamenti amministrativi e professionali peculiari, che per
comodità (ma
senza alcuna pretesa scientifica) indichiamo come la manifestazione
della
“logica della conservazione”, ed evidenzieremo come questa riduca
pesantemente
qualsiasi sforzo di innovazione nel settore.
L'articolo è il frutto della
partecipazione alle attività
della piccola Associazione dei Lettori della Biblioteca Nazionale
Centrale di
Firenze che ha costituito un osservatorio privilegiato per cogliere i
suggerimenti e le impressioni dell'utente di quelle biblioteche
storiche italiane
che amano definirsi "biblioteche di conservazione" per contrapporsi
aristocraticamente alle biblioteche "aperte al pubblico".
Grazie ad
un'ideale "visita
guidata" in una delle biblioteche storiche più note al mondo, si
cercherà
di trasmettere le delusioni ed il senso di disagio di un cittadino che,
armato
solo della sua curiosità per gli scritti antichi e moderni, si
avventuri in una
"biblioteca di conservazione".
L’intento è di
richiamare
l’attenzione degli operatori del settore e farli riflettere sulle
contraddizioni interne alla nostra amministrazione per i beni culturali
ed alle
categorie professionali che la circondano.
“In tutto il mondo quando si definisce
pubblica una
biblioteca, si vuol dire che quella biblioteca è per tutti.
Intendiamoci bene:
la biblioteca per tutti non significa ... biblioteca aperta a tutti ...
Ma di
sicuro la lettura del DPR 417 (che certo non saremmo noi ad infliggere
ad un
utente respinto, ma che qualche giornalista o qualche genitore potrebbe
voler
fare) non riuscirebbe a rimuovere il dubbio che l'escluso abbia subito
un
sopruso.” [4]
Nel 1981 sui testi di diritto pubblico si poteva già trovare affermato il principio della fruizione: “Dal combinato disposto degli artt. 9, 2° comma, 2 e 3 Cost. si deve inoltre ritenere che il termine “tutela” assuma un significato per cui il nostro ordinamento non deve finalizzare ogni attività inerente ai beni culturali in vista della sola esigenza conservativa degli stessi. Le finalità che abbiamo viste indicate dalle disposizioni citate ci fanno desumere che la tutela dei beni culturali debba essere orientata soprattutto alla loro valorizzazione e fruizione. Il criterio conservativo va quindi considerato come prius indispensabile ma non unico ed ultimo della attività dei pubblici poteri. ” [5]
Nello
stesso anno però, così un utente illustre descriveva le biblioteche
italiane:
“I cataloghi devono essere divisi al massimo ... Il tempo tra richiesta
e
consegna dev'essere molto lungo ... Deve esserci possibilmente assenza
totale
di macchine fotocopiatrici; comunque, se ne esista una, l'accesso
dev'essere
molto lungo e faticoso ... Il bibliotecario deve considerare il lettore
un
nemico, un perdigiorno (altrimenti sarebbe a lavorare), un ladro
potenziale.
... Il prestito dev'essere scoraggiato ... i furti devono essere
facilissimi.
Gli orari devono assolutamente coincidere con quelli di lavoro,
discussi
preventivamente con i sindacati ... Idealmente l'utente non dovrebbe
poter
entrare in biblioteca; ammesso che ci entri, usufruendo in modo
puntiglioso e
antipatico di un diritto che gli è stato concesso in base ai principi
dell'Ottantanove, ma che però non è stato ancora assimilato dalla
sensibilità
collettiva” [6].
Cerchiamo
ora di scoprire, dopo più di venti anni, come siano cambiate quelle
biblioteche
e come i nostri bibliotecari pubblici abbiano interpretato la norma
costituzionale.
A questo scopo, prendiamo ad esempio la
Biblioteca Nazionale
Centrale di Firenze[7], definita dal Ministero per i Beni
Culturali “un modello di
efficienza e di funzionalità all'interno del settore di competenza”,
anche
perché “ha ottenuto la certificazione di qualità ISO 9002 per i servizi
al
pubblico, il che, oltre ad un indubbio riconoscimento a livello
europeo,
dimostra l'assoluta correttezza, disponibilità e cortesia del personale” [8].
Alla BNCF è stato inoltre conferita la
menzione speciale
nell’ambito del premio 2002: “@lla tua biblioteca. Le migliori
innovazioni
tecnologiche”, promosso dall’AIB, Associazione Italiana Biblioteche.
Non esiste un punto di accoglienza e ci si
rende subito
conto che non è un fatto scontato poter leggere un libro "conservato"
in biblioteca. Se si riesce ad ottenere l'autorizzazione ad entrare si
impiegheranno settimane per capire come orientarsi al suo interno e
come
eludere le innumerevoli limitazioni ai servizi e le assurde regole che
non
sembrano avere altra logica se non quella di scoraggiare l'utente, il
quale
avverte subito di essere considerato una minaccia per la
"conservazione" del libro.
All'ingresso ci aspetteremmo di ricevere
tutte le
informazioni necessarie allo svolgimento di una ricerca bibliografica
nel più
breve tempo possibile, ad esempio per capire quali dei circa cinquanta database
presenti nel sito della biblioteca siano utili per selezionare
velocemente le
opere possedute. Si viene invece "interrogati" sul perché si voglia
accedere ad una biblioteca pubblica: purtroppo per molti potenziali
utenti il
voler leggere un libro non è stata la risposta giusta. A questa è
seguito,
infatti, il rifiuto (immotivato e mai messo per iscritto) della tessera
di
ingresso e "l'invito" a recarsi in una biblioteca comunale o
universitaria. Oppure “l’invito" a dare prova della presenza in
biblioteca
di almeno uno dei libri relativo all'argomento che interessa l'utente
potenziale, attraverso una ricerca nel terminale appositamente posto
nell'atrio
che precede l'ingresso (senza alcuna assistenza da parte del
bibliotecario).
Se siamo riusciti ad entrare, solo dopo un
po’ di tempo
(probabilmente dopo uno scambio di opinioni con gli altri utenti nella
inospitale “Area di ristoro” dove all'incrocio di due stretti corridoi
attigui
alle fosse biologiche del seminterrato si trovano i distributori
automatici di
alimenti) ci renderemo conto di essere stati classificati in categorie
diverse
di cittadini: usando il linguaggio e la logica delle biblioteche di
"conservazione", i cosiddetti "utenti impropri" (tollerati
nelle sale delle opere moderne per la “generosità” della Direzione che
si fa
carico delle storiche carenze delle biblioteche locali minori) ed i non
meglio
definiti "studiosi". Solo a questa esclusiva categoria di cittadini è
concessa la fruizione dei beni artistici librari "conservati" nelle
sale riservate delle biblioteche "pubbliche" italiane. Inoltre,
questo cittadino privilegiato non deve depositare il proprio documento
d’identità per avere in lettura un libro moderno, mentre
quell’adempimento è
richiesto al cittadino comune [9].
Per accedere in una sala riservata di una
biblioteca “di
conservazione” a volte occorre la lettera di presentazione di un altro
"studioso" [10], a volte la presentazione di una
bibliografia (che l'utente
dovrebbe evidentemente essere in grado di elaborare prima di poter
consultare
gli inventari o il catalogo ed avvalersi dei servizi della biblioteca).
La
bibliografia dovrà passare il vaglio del bibliotecario che emetterà la
sua
inappellabile sentenza secondo criteri arbitrari o comunque mai
esplicitati
(quale immenso bagaglio culturale possiede tale bibliotecario, capace
di
premiare o respingere ogni giorno decine di potenziali progetti di
ricerca?) [11].
Una breve parentesi. Questa prassi di
selezionare ed
allontanare illegittimamente l'utenza potenziale (applicata con
varianti
diverse da i direttori ed i pubblici funzionari della maggior parte
delle
biblioteche storiche pubbliche) è la conseguenza più grave della
"logica
della conservazione" [12]. Al riguardo sarebbe bene che i
bibliotecari italiani
leggessero con attenzione alcune norme del nostro ordinamento giuridico.
Nel Testo Unico sui Beni Culturali del
1999 si afferma la
gratuità della consultazione (art.101) ed il principio della fruizione,
per cui
i beni culturali pubblici - compresi quelli che costituiscono il
demanio
archivistico e bibliografico (art. 54) - “sono destinati al godimento
pubblico”
(art. 98). Gli artt. 152 e 153 del D.lgs. 112/1998 sono intitolati alla
“valorizzazione”, cioè “il miglioramento dell’accesso ai beni e la
diffusione
della loro conoscenza”, ed alla “promozione”, ossia “l’organizzazione
di
iniziative dirette ad accrescere la conoscenza delle attività culturali
ed a
favorirne la migliore diffusione”. Nel DPR 417 del 1995 [13] il termine “sale riservate” non è
riferito ad una categoria
di cittadini privilegiati ai quali riservare la consultazione delle
opere
antiche e rare ma, in senso oggettivo, alle speciali modalità di
custodia,
distribuzione, consultazione e assistenza al pubblico richiesti dal
Legislatore
al Direttore di biblioteca, sia per assicurare allo Stato che le opere
non
vengano smarrite o danneggiate, sia per garantire l'esercizio del
diritto alla
fruizione dei beni artistici librari a tutti i cittadini
maggiorenni che
si presentino in biblioteca con un valido documento di identità.
Da una lettura non superficiale di quelle
norme risulta
evidente che il Bibliotecario Pubblico deve precisare con regolamento
interno
le modalità per la fruizione (tale regolamento dovrebbe essere una
garanzia per
l’utente, in quanto elaborato nel rispetto della gerarchia delle fonti
giuridiche e vincolante per la stessa Direzione della biblioteca),
tenendo
conto dello stato di conservazione dei beni artistici librari e certo
non dei
riservatissimi requisiti personali dei potenziali utenti (tutelati
anche dalla
legge sulla privacy n. 675 del 1996). Infatti, il bibliotecario può
rifiutare
l’autorizzazione all’ingresso in una sala riservata (o meglio
specializzata)
solo a chi sia minorenne; può rifiutare la consegna di un libro per la
lettura
solo se l’opera sia in cattivo stato di conservazione e necessiti di
interventi
di restauro, oppure nel caso che sia disponibile per il pubblico una
copia del
documento originale (art. 38 del DPR 417/95). La “registrazione degli
intenti”
di chi richiede un opera antica o rara è prevista dal DPR solo per
individuare
i casi in cui l’utente voglia fare un uso commerciale del testo, in
modo da
permettere allo Stato di pretendere i proventi della riproduzione.
In nessun altro caso è lecito vagliare le
curiosità
culturali, i “requisiti personali” o “i motivi di studio” dei
cittadini, o
richiedere preventivamente una bibliografia per censurarla. E’ quindi
un
“sopruso” ogni atto del bibliotecario pubblico che cerchi di entrare
nel merito
delle richieste fatte dai cittadini.
Torniamo a visitare la "più efficiente e
funzionale" biblioteca italiana di conservazione.
Non è previsto che l'utente riceva le
informazioni
necessarie ad orientarsi nei diversi piani e tante sale che compongono
la
biblioteca, dove si "conservano" i diversi spezzoni del catalogo
(cataloghi elettronici – in rete o su cd rom - o cartacei: per autori,
soggetto, classificazione dewey, e poi dei periodici e dei periodici
più
recenti, dei testi antichi, dei libri esposti in sala e dei fondi
donati alla
biblioteca, delle opere minori, delle stampe, delle opere musicali, e
infine le
bibliografie specializzate e gli inventari dei manoscritti) [14].
Appena entrati, per sapere come ordinare
un libro ci si
rivolge istintivamente al banco della distribuzione, ma subito gli
addetti ci
rimandano ai colleghi in sala catalogo che dopo brevi indicazioni sui
terminali
elettronici ci indirizzeranno all'ufficio informazioni che si confonde
con
l'ufficio relazioni con il pubblico; se a questi si chiede come fare
per avere
un libro in prestito si viene indirizzati all'ufficio prestito che
probabilmente nel frattempo sarà già stato chiuso; per scoprire quali
libri si
possono fotocopiare sarà stato inutile attendere il proprio turno al
banco
delle fotocopie e si dovrà tornare al banco della distribuzione. Gli
avvisi
scritti ed i regolamenti interni – quando sono stati pubblicati –
utilizzano
formulazioni generiche. D’altra parte, è raro che due impiegati diversi
diano
la stessa risposta alla stessa domanda. Domande che rimarranno per la
gran parte
insoddisfatte.
Chi richiede di poter fotocopiare un libro
è trattato con
sospetto e ben presto si rende conto che le limitazioni alle fotocopie
vanno
ben oltre quelle previste dalla normativa che protegge il diritto
d’autore,
perché il fotocopiare è contrario alla logica della "conservazione".
Lo stesso accade per chi ingenuamente chiede di accedere ai motori di
ricerca
su Internet per cercare informazioni: in una biblioteca di
“conservazione”
l’uso di Internet è vietato, anche laddove esista una nuovissima Area
Digitale [15].
La disciplina del prestito si discosta
dalle aspettative
dell'utente e dalle disposizioni del Legislatore secondo le quali
oggetto di
questo servizio è tutto il patrimonio documentario della biblioteca
salve poche
e ragionevoli eccezioni (art. 54 DPR 417/95). Invece, chi vuole un
libro in
prestito dovrà prima procurarsi una seconda tessera - che contiene gli
stessi
dati della tessera d’ingresso[16] - e poi esercitarsi ad evitare il lungo
elenco di opere
moderne escluse apparentemente senza logica [17]. Inoltre vige una procedura davvero
dissuasiva: se l'utente
ha fatto "l'errore" di sfogliare il libro prima di prenderlo in
prestito dovrà restituirlo e ritornare dopo ben due giorni, formalmente
per
dare il tempo agli impiegati di riportare l'opera nei magazzini perché
i moduli
per la richiesta di presti
to
devono essere diversi da quelli per la richiesta di lettura[18].
L'orario di apertura si apprende per
tentativi ed errori
(dell'utente o dei responsabili della biblioteca?) che causano ritardi
di
giorni nello svolgimento delle ricerche bibliografiche e contribuiscono
a
scoraggiare la permanenza nella biblioteca e a rendere di fatto
impossibile
l'accesso ai servizi al pubblico per chi lavora e vorrebbe accedervi
almeno nel
tardo pomeriggio[19]. Se si chiede a che ora chiude la
biblioteca la risposta è
che questa resta aperta dalle 8:15 alle 19:00. Dopodiché si scoprirà
che ci
siamo è presentati troppo tardi all'ufficio (o meglio alla persona) che
compila
e stampa le tessere d'ingresso per cui saremo obbligati a tornare il
giorno
dopo, o che la nostra richiesta per avere un libro in lettura andava
presentata
prima delle 12:30 la mattina o prima delle 16:30 il pomeriggio, che
anche
l'ufficio prestito, la distribuzione delle riviste la sala musica,
l'ufficio
fotocopie, l'emeroteca hanno orari limitati e poco razionali.
Le esclusive sale "riservate" agli
"studiosi" sono state specializzate in modo troppo rigido[20] - in alcuni casi ritardando le ricerche
bibliografiche -,
hanno una disposizione spaziale non funzionale e la Sala Manoscritti
manca di
corrette fonti archivistiche e di personale specializzato (a questo si
supplisce in parte con il passa parola tra utenti). Più in generale i
cataloghi
non forniscono le informazioni utili a svolgere celermente e
correttamente le
ricerche bibliografiche [21]. Ad esempio le opere definite "mancanti"
o “fuori
posto” non vengono preventivamente segnalate nei cataloghi
(contrariamente a
quanto disposto dagli artt. 4 e 15 del DPR 417/95 per le opere
“sottratte,
smarrite o in restauro”), per cui è molto probabile che capiti di
attendere dai venti
ai quaranta minuti la consegna del libro richiesto per poi ricevere
solo la
risposta "mancante".
Non si hanno assolutamente indicazioni sui
tempi di recupero
o di acquisto dei libri misteriosamente "mancanti" (o di copie di
questi) né indicazioni su quali altre biblioteche possiedano tali opere.
E' allarmante il fatto che le opere
smarrite o fuori posto
non siano segnalate alle autorità competenti [22].
Nonostante altre pubbliche amministrazioni
abbiano ormai
abituato i cittadini alla trasparenza nello svolgimento del loro
operato (in
applicazione della L 241 del 1990), le informazioni fornite dal
Ministero per i
beni culturali sulle varie attività straordinarie destinate a
modificare e
migliorare i servizi sono totalmente inattendibili se non assenti.
Un esempio è costituito dal Progetto Area
Digitale.
Nell'estate del 1999 sono iniziati i lavori per un nuovo sistema
informativo
collegato al catalogo elettronico che tra l'altro permettesse di fare
le
richieste di lettura via Internet prima di recarsi in biblioteca. Da
allora e
fino al gennaio 2002 il precedente software interno che semplificava la
compilazione e l’inoltro delle richieste di lettura è stato disattivato
obbligando gli utenti a compilare dei moduli in tre copie (in pieno
contrasto
con l’art. 62, 3° comma del DPR 417/95 e con il DM firmato dal Ministro
Veltroni del 27/12/96, che contiene i modelli ministeriali dei moduli
in carta
autoricalcante che la biblioteca deve mettere a disposizione, con
l'indicazione
tassativa delle informazioni dovute all'utente nel caso l'opera risulti
"mancante" dal magazzino) [23]. In base ai primi avvisi al pubblico,
quei disagi avrebbero
dovuto terminare a settembre. A dicembre 1999 è stata ufficialmente
inaugurata
solo la rinnovata sala cataloghi ed il sito Internet, con l'ennesima
riedizione
del vecchio catalogo SBN, ora adattato per Internet. In realtà l'utente
remoto
poteva già reperire in Rete quelle informazioni bibliografiche nel
catalogo
unico nazionale /opac.sbn.it, anch'esso attualmente in corso di
"clonazione" verso www.sbn.it.
Nessuna ulteriore comunicazione è stata
fatta al pubblico
sui motivi dei ritardi nello svolgimento dei lavori e sul loro stato di
avanzamento [24]. La procedura informatizzata per le
richieste di fotocopie
non è stata più riattivata e ora, per utilizzare l'unico blocco
cartaceo
disponibile per compilare a mano le richieste, è inevitabile mettersi
in fila
al banco della distribuzione.
Ancora oggi non è possibile accedere via
Internet alle
richieste di lettura.
Un limite pesante del nuovo catalogo
elettronico (segnalato
inutilmente dai componenti dell'Associazione Lettori BNCF sin dalla sua
inaugurazione), e che sembra ormai da attribuire ad un irrimediabile
errore
nella progettazione iniziale, è l'aver incluso il campo della collana
all'interno del campo titolo. Questo rende impossibile ottenere
risultati
selettivi e quindi utili quando una o più delle parole chiavi
utilizzate per
svolgere la ricerca bibliografica siano comprese nelle collane. Ad
esempio e
per restare in tema, volendo ricercare tutte le opere che includano nel
titolo
le parole "storia" e "biblioteca" si otterranno 4.629
riferimenti bibliografici, la gran parte dei quali senza alcun
collegamento a
quell'argomento se non il nome della collana a cui appartengono;
provando con
“storia” e “biblioteche” avremo la fortuna di trovare solo 41 opere sul
tema,
tra le quali l’indispensabile I motori a combustione interna,
di G.
Supino [25].
L'Area Digitale prevede costosi mouse (del
tipo track
ball) e schermi ultra piatti, ma non una tradizionale stampante per
stampare i risultati delle ricerche bibliografiche, né la possibilità
di
salvare con sicurezza su dischetto quelle ricerche (tutte le icone del
menù di
Windows sono state disattivate, forse per inibire l’uso di Internet), e
nemmeno
il software per leggere le opere su cd-rom (nonostante ognuna delle
circa
cinquanta nuove postazioni sia stata dotata dei lettori floppy e cd le
opere su
supporto digitale – ammesso che non siano “mancanti” - restano
“conservate” nei
magazzini: forse a beneficio dei posteri?).
In una biblioteca di “conservazione” anche
le tecnologie
digitali devono “conservare” caratteristiche peculiari: carta e penna
restano
insostituibili.
Ha forse un significato simbolico il fatto
che l’Area
Digitale svanisca dove l'utente non può vedere, dietro il banco della
distribuzione attiguo alla luccicante sala cataloghi. Lì le richieste
informatizzate inviate dall'utente concludono il loro viaggio in tempo
reale:
vengono stampate su carta e portate a passo d'uomo su e giù nei
misteriosi e forse
poco sicuri magazzini che si diramano per centinaia di metri.
In sintesi sembra proprio che il sistema
informativo che si
è progettato risponda solo alla finalità di automatizzare gli
adempimenti
interni relativi all'archiviazione dei dati dei vari uffici, mentre
trascura i
vantaggi gestionali che si potrebbero ottenere razionalizzando prima ed
automatizzando poi le procedure relative ai servizi al pubblico: il
progetto,
per quanto innovativo, è distorto all'origine da un approccio
riduttivo, coerente
alla "logica della conservazione".
Non è disponibile alcuna informazione
ufficiale sulle
attività volte a migliorare l'organizzazione interna della biblioteca,
solo
qualche notizia indiretta di costosi progetti si può trovare pubblicata
con
toni ottimistici sulle riviste specializzate, ma nella realtà l'utente
non
riscontra i risultati annunciati. Come nel caso del dimenticato
progetto
“Edificare", [26] finanziato dalla Comunità Europea, che
avrebbe dovuto
abbassare i costi medi della catalogazione e soprattutto aumentare la
produttività delle attività di catalogazione, riducendo a circa un mese
il
tempo di rilascio della registrazione delle notizie bibliografiche e
indirettamente
quello necessario ai nuovi libri ad arrivare sul tavolo dei lettori:
ancora
oggi l'utente deve aspettare circa un anno per leggere in biblioteca le
novità
editoriali.
Non sembra possibile sapere quanti altri
decenni e quante
risorse finanziarie occorreranno ancora per terminare i restauri dei
libri
antichi alluvionati nel 1966, danneggiati sia perché "conservati"
allora nei sotterranei e non nei piani alti dell'edificio, sia per
errori nei
primi interventi di recupero [27].
Altri esempi. La Direzione della BNCF,
rispondendo alle
sollecitazioni di una associazione nazionale di consumatori che
supportava la
Associazione Lettori, affermava per iscritto nell'ottobre 1999 che era
in corso
di elaborazione la Carta dei Servizi, uno strumento di tutela degli
utenti dei
servizi pubblici voluto nel 1994 da una Direttiva del Presidente del
Consiglio
dei Ministri Ciampi. Quello scarno documento è stato pubblicato solo a
fine
2002, nonostante nel frattempo la biblioteca abbia ottenuto la
Certificazione
di Qualità UNI EN ISO 9002, impegnandosi formalmente a perseguire “la
soddisfazione dei clienti”. Si fa fatica a credere che l’utente sia al
centro
dell’attenzione dei responsabili di questa biblioteca dato che ad
esempio il
tempo di attesa per il rilascio della tessera di ammissione è stato
fissato in
ben quaranta minuti e gli standard fissati sulla Carta dei Servizi
saranno
aggiornati solo con cadenza biennale (mentre tutte le tecniche di
programmazione della gestione e la stessa Direttiva Ciampi prevedono
almeno
ogni anno).
Deve far riflettere gli operatori del
settore il fatto che
nonostante il rilascio del tanto pubblicizzato Certificato di Qualità,
valido
per la “Raccolta, conservazione erogazione e fruizione della collezione
nazionale”, i disagi sopra segnalati non siano stati superati [28]. I “clienti” abituali della biblioteca
hanno semmai notato
che i comodi periodi di tempo precedentemente previsti per la
prenotazione e il
deposito presso l'ufficio prestito sono stati drasticamente ridotti e
che
l'emeroteca è stata chiusa.
Di fronte alle lamentele degli utenti
circa i disservizi, le
spiegazioni che si ricevono dai bibliotecari riguardano per lo più
responsabilità di altri organi dell'amministrazione pubblica, esterni
alla
biblioteca. I bibliotecari lamentano spesso che i fondi e le risorse
umane
assegnate al settore sono da sempre scarsi [29].
Queste giustificazioni spingono l'utente a
vestire i panni
del contribuente per verificare come vengano impiegate le risorse
assegnate
dall’Amministrazione Centrale ma anche dagli Assessorati alla Cultura
del
Comune e dalla Regione in cui la biblioteca ha sede, e come mai i tempi
dei
progetti avviati si dilatino.
Anche qui, i dati pubblicati dal Ministero
sono aggregati
per Regioni, e non è possibile disporre di informazioni chiare per
rendersi
conto di quali siano stati gli obiettivi ed i risultati concreti degli
interventi legati ad esempio alle varie versioni dei cataloghi
elettronici, e
quanto pubblico danaro si sia speso fino ad oggi e quanto se ne prevede
di
spendere in futuro per completare quei progetti [30].
Prima conclusione sulla “conservazione contra
legem”
imposta dai bibliotecari pubblici italiani e sulla qualità in una
biblioteca
pubblica
“Vorrei chiudere queste considerazioni
rievocando alla nostra
immaginazione la figura di quel funzionario del Magistrato Supremo, il
cancelliere Francesco Fabbrini, che il 5 gennaio 1737, alla presenza di
un
notaio, passeggiando su e giù per la biblioteca, aprendo gli scaffali e
prendendo in mano i libri a suo piacere, nella personificazione del
Pubblico di
Firenze intimava al bibliotecario di riconoscerlo come legittimo
possessore
della libreria e di tutto il suo contenuto.”
[31]
La “logica della conservazione" che
vorrebbe
giustificare le assurde mortificazioni imposte agli utenti e secondo la
quale
esisterebbero in Italia biblioteche pubbliche "aperte al pubblico" e
biblioteche pubbliche speciali, esclusive o “di conservazione” -
riservate a
pochi e accondiscendenti cittadini scelti dal bibliotecario- non trova
fondamento nel nostro ordinamento giuridico.
Questa logica affiora nelle illegittime
prassi e regole
imposte agli utenti da quella gran parte dei bibliotecari e
dell’amministrazione per i beni culturali che considera la fruizione
del bene
librario un rischio per la "conservazione" del libro e non un diritto
dei cittadini.
Un’ulteriore conferma di quanto sia
radicata la "logica
della conservazione" sembra che possa essere ritrovata anche in altri
ambienti che hanno come riferimento il Ministero per i beni e le
attività
culturali, ma trattandosi di un approccio mentale, di un atteggiamento
culturale che si tramanda all'interno di categorie professionali, non è
facile
trovarne tracce documentate. Un fugace riferimento vi è forse
nell'ultimo
articolo di Salvatore Settis che, augurandosi il rilancio
dell'amministrazione
pubblica dei beni culturali in Italia, ne indica in più punti la
direzione, e
tra quei punti comprende il seguente: “incoraggiare la piena libertà di
ricerca
sul patrimonio culturale eliminando gli abusi da parte di quegli
addetti che
non consentono l'accesso o la pubblicazione di materiali in proprietà
pubblica
e limitando nel tempo i diritti di proprietà su materiali di scavo;” [32].
I compiti istituzionali delle quarantasette biblioteche pubbliche elencate nell'art. 1 del DPR 417/95,[33] non possono discendere da convincimenti personali o da criteri "tecnici" diffusi in un'intera categoria professionale, ma sono affermati per Legge nell'art. 2 del DPR 417: “conservare, accrescere e valorizzare le proprie raccolte storiche; ... documentare il posseduto, fornire informazioni bibliografiche e assicurare la circolazione dei documenti.”. [34]
Il principio di legalità dell'azione
amministrativa impone
al bibliotecario pubblico il dovere professionale di semplificare gli
adempimenti richiesti al cittadino e di gestire le biblioteche per
“sviluppare
la fruizione”, applicando se necessario ed in modo opportuno le
metodologie aziendali, come il T.Q.M., total quality management
(la
gestione della qualità) [35], o il c.r.m., customer relationships
management (la
gestione dei rapporti con l'utenza) [36].
L'obiezione che il caso qui riportato non
sia
rappresentativo delle biblioteche storiche di conservazione poiché la
biblioteca di Firenze sarebbe "speciale" in quanto Nazionale Centrale
non è accettabile [37]. Questa qualifica comporterebbe semmai il
dovere della
biblioteca di svolgere delle funzioni aggiuntive, ma non incompatibili
con
quelle di servizio per il pubblico: Giuseppe Vitiello ci ha
recentemente fatto
capire come purtroppo queste funzioni aggiuntive non vengano svolte
correttamente [38].
Abbandono per un momento la semplice
ottica dell'utente per
osservare che il rilascio da parte di uno degli Organismi di
Certificazione
accreditati e controllati dal Sincert di un certificato di conformità
alle
norme tecniche UNI EN ISO internazionalmente riconosciute, dovrebbe
basarsi su
due presupposti aggiuntivi rispetto a quelli previsti per le aziende
private
nei casi in cui coinvolga una Pubblica Amministrazione o interessi
pubblici[39]. L’“evidenza oggettiva” o meglio la
garanzia dell’esistenza
di una specifica professionalità nel campo delle Scienze
dell’Amministrazione
degli Organismi abilitati al rilascio della Certificazione, e un
apposito
modello o norma UNI di riferimento per la certificazione, frutto
dell’interazione tra le norme tecniche internazionali ISO e le norme
giuridiche
che disciplinano l’attività amministrativa nei singoli Stati.
Assimilare
acriticamente una
Organizzazione pubblica ad una privata e, quindi, considerare le norme
ISO e le
norme giuridiche distinte e separate – come si sta affermando nella
pratica –
può condurre al paradosso di Organizzazioni pubbliche che agiscono in
violazione della legge ma che possono vantare un sistema gestionale “di
qualità
certificata”.
Nel caso
esaminato, comunque,
l'intervento di riorganizzazione apportato in occasione del rilascio
della
Certificazione di Qualità UNI EN ISO 9002 non ha tenuto conto della
particolare
natura Pubblica dell’Organizzazione che si è voluto portare alla
certificazione.
Un intervento
corretto, invece, secondo
l'approccio del “management pubblico” [40], avrebbe probabilmente aiutato
l’Amministrazione Centrale e
la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze ad interpretare quelli che
la
stessa edizione 2000 della norma tecnica UNI ISO chiama “requisiti
cogenti
applicabili”, ma soprattutto a prendere consapevolezza delle
conseguenze
gestionali dei principi introdotti dal 1990 ad oggi dalle riforme della
Pubblica Amministrazione ed a finalizzare il compito di conservare i
beni artistici
librari al diritto alla fruizione da parte del maggior numero di
cittadini.
Una
conferma della “conservazione contra legem”. L’Intesa per la
consultazione nelle biblioteche ecclesiastiche e le biblioteche statali
annesse
ai monumenti storici
“In quarto luogo, tutela vuol dire
accessibilità, nel senso
di consentire la fruizione collettiva delle opere d’arte. Ad esempio la
legge
italiana prevede che collezioni artistiche di particolare importanza
devono
essere periodicamente aperte al pubblico (viene così imposto ai
proprietari
privati di rendere accessibili le loro collezioni al pubblico).” [41]
Nella stessa direzione di una
“conservazione” contraria alla
pubblica fruizione vanno le attività relative alla "Intesa circa la
conservazione e la consultazione degli archivi storici e delle
biblioteche
degli enti e delle istituzioni ecclesiastiche", del 18 aprile 2000, tra
il
nostro Ministero per i beni e le attività culturali e il Presidente
della
Conferenza Episcopale Italiana.
Per disporre il trasferimento dei fondi
dello Stato italiano
alle biblioteche appartenenti alla Chiesa (ossia a soggetti privati) la
Direzione Generale per i Beni Librari e gli Istituti Culturali - per il
principio di legalità che limita e guida la discrezionalità operativa e
manageriale dei responsabili dell'azione amministrativa - è tenuta a
verificare
che la regolamentazione concernente le biblioteche ecclesiastiche venga
armonizzata con le disposizioni del nostro ordinamento giuridico ed in
particolare quelle richiamate nell'Intesa [42].
Vediamo ancora una volta come, nonostante
le chiare
disposizioni del Legislatore e dell’organo di indirizzo politico (il
Ministro),
la “macchina amministrativa” si rifiuti di applicare le riforme del
settore.
Nell'art. 6 del DPR n. 189/2000
("Esecuzione
dell'Intesa ... ") si stabilisce: “L'autorità ecclesiastica si impegna:
ad
assicurare la conservazione e a disporre dell'apertura alla
consultazione delle
biblioteche appartenenti a enti e istituzioni ecclesiastiche; ... a
favorire la
consultazione attraverso l'erogazione dei servizi, ...”. Nel DM
14/12/2001
(“Modalità e criteri per l’attuazione …” in G.U. n. 93 del 20/4/2002)
si
afferma che il Ministro: “autorizza la spesa di lire mille milioni per
ciascuno
degli anni 2001, 2002, e 2003 … Le iniziative dovranno privilegiare: …
b)
valorizzazione e pubblica fruibilità del patrimonio librario. …
requisiti:
apertura alla pubblica consultazione garantita per un determinato
numero di ore
e di giorni a settimana; possesso di un regolamento interno.”
Ecco come - in modo ancora una volta
restrittivo - è stata
interpretata la norma nello "Schema - Tipo di Regolamento delle
Biblioteche Ecclesiastiche Italiane" [43], approvato a novembre 2002.
Gli artt. 19 §2 e 22 § 3 prevedono
rispettivamente che
“All'interno del patrimonio librario il responsabile può selezionare un
insieme
di documenti la cui consultazione è esclusa o circoscritta a persone
che
conducono ricerche di un determinato livello scientifico ovvero al
personale
dell'ufficio o del soggetto proprietario.” e “L'ammissione degli
studiosi alla
consultazione, che deve essere in ogni modo facilitata, è comunque
riservata al
responsabile della biblioteca, il quale valuta le domande sulla base
dei
requisiti del richiedente”[44].
Inoltre (§ 1), la direzione “può esigere
una quota di
iscrizione, eventualmente proporzionata al periodo di frequenza.”.
Ancora, l'art.
31
obbliga l'utente a fornire a proprie spese alla biblioteca copia delle
foto o
dei microfilm degli stampati del fondo antico che richiede per sé.
Infine vi è
la parte più in linea con i progetti di innovazione promossi fino ad
oggi dai
Dirigenti del nostro Ministero (l'art. 9): “I bibliotecari utilizzano i
mezzi
di catalogazione e di ricerca offerti dall'informatica sulla base delle
indicazioni e usando gli strumenti concordati tra la C.E.I. e il
Ministero per
i beni e le attività culturali (cf. art. 5, comma 3 dell'Intesa)”.
Analoghe “iniziative” sono previste per le
attività di
formazione - da un punto vista finanziario sicuramente impegnative e
difficilmente controllabili in termini di benefici concreti che
eventualmente
generano - destinate in modo indifferenziato al personale di tutte le
qualifiche ed estese addirittura ai volontari esterni (art. 18 §2).
La stessa incoerenza sostanziale si ritrova nel Progetto Manus. Per realizzare il Censimento nazionale dei manoscritti posseduti dalle biblioteche italiane, l’ICCU -Istituto Centrale per il Catalogo Unico–, coordinato dalla Direzione Generale per i Beni Librari, ha predisposto il software “Manus”, cedendolo in uso gratuito “nell’intento di tutelate e far conoscere il patrimonio manoscritto conservato nelle biblioteche italiane.” [45]
Se andiamo a vedere le condizioni di
accesso alle quasi
cento biblioteche che partecipano al progetto troviamo ribadito il
significato
restrittivo che la Direzione Generale per i Beni Librari attribuisce al
compito
istituzionale di “tutelare” e “far conoscere” i beni librari. Ad
esempio,
vediamo una biblioteca “Pubblica” diversa da quelle elencate dal DPR
417/1995,
la Biblioteca Statale del Monumento nazionale di Grottaferrata, in
provincia di
Roma.[46]. Per accedervi, “l’utente deve presentare
una lettera
commendizia”, ossia – secondo il Vocabolario Zanichelli del 2003 - una
lettera
di raccomandazione.
Per gli inconvenienti ed i ritardi già
visti in altri
progetti di informatizzazione, inoltre, sarebbe quasi naturale
chiedersi quali
impatto sui servizi al pubblico può determinare l’ “adesione gratuita”
al
progetto; in particolare quali vincoli tecnico-economici può
determinare quel
software alle attività di manutenzione ed aggiornamento, ed alle future
scelte della
biblioteca finalizzate ad informatizzare i servizi al pubblico
avvalendosi dei
migliori prodotti offerti dal mercato.
Vediamo, infine, un’altra biblioteca
statale annessa ad un
monumento. Questo caso è davvero particolare sia perché la biblioteca è
dotata
di un regolamento scritto, sia perché quel regolamento porta la firma
del
Soprintendente Paolucci. Si tratta della Biblioteca degli Uffizi
Per accedere occorre una
“autopresentazione” . La richiesta
di questo documento, inusuale per una Pubblica Amministrazione, non
consiste
nella ormai familiare autocertificazione, perché l’autopresentazione ha
un
termine, e quel termine è diverso a seconda della categorie di
cittadini che
vogliono accedere in biblioteca. Nel regolamento è prevista, poi, la
massima
discrezionalità del responsabile della biblioteca per l’accettazione
delle
richieste di ammissione presentate dai cittadini che non rientrino
nelle
categorie già individuate [47] .
L’elenco delle categorie dei potenziali
utenti che possono
sperare di entrare in questa biblioteca grazie all’autopresentazione
ricorda
molto le categorie previste nel DPR n. 1501 del 1967, abrogato nel 1995
dal DPR
n. 417, firmato sempre da Polucci, allora Ministro dei Beni Culturali.
[Livorno, 07
ottobre 2003]
b.simone@nomade.fr
[1] M. S. Giannini, in Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico, Giuffrè 1976, così citato in F. Baldi, G. Calderoni, et. al., Il Testo Unico sui beni culturali e ambientale, Giuffré, 2000, pp. 175-6.
[2] Dopo questo provvedimento ha perso di significato la tradizionale distinzione tra le sale di Lettura e le sale di Consultazione.
[3] Già
nel primo regolamento dello Stato
italiano sulle biblioteche si affermava: “Tutte le Biblioteche
esistenti nel
Regno, le quali ... sono Biblioteche governative, devono essere o
rimanere
aperte al pubblico ...”, art. 1 del Regio decreto n. 5368 del 25
novembre 1869.
Ma anche prima di quella data: “I nostri numeri: Dal 1747 siamo aperti
al
pubblico”, in sito Internet della Biblioteca Nazionale Centrale di
Firenze,
www.bncf.firenze.sbn.it , alla voce Informazioni - Carta dei Servizi,
p.7.
[4] "Alla biblioteca efficace servono regole più chiare" nella rubrica - a cura di Giovanni Solimine – “Il Management in Biblioteca” in Biblioteche Oggi, luglio-agosto 1996, pp14-15. G. Solimine è Direttore Responsabile di Bollettino AIB, la rivista ufficiale della Associazione Italiana Biblioteche.
[5] B. Palma, I beni culturali nella costituzione italiana, Montefeltro Ed., 1981, p. 75.
[6] U. Eco, "Come organizzare una biblioteca pubblica", in Il secondo diario minimo, Bompiani, 1992, p. 73-74
[7] “L'attuale BNCF ha origine dalla biblioteca privata di Antonio Magliabechi, costituita di circa 30.000 volumi, lasciata nel 1714, secondo il suo testamento, “a beneficio universale della città di Firenze” ”, fonte, il sito Internet della BNCF, alla voce Informazioni - Origini e funzioni della biblioteca. “Antonio Magliabechi aveva donato i suoi libri perché se ne formasse una “pubblica libreria” dove il valore aggettivale del termine “pubblico” stava chiaramente ad indicare la destinazione del bene, che doveva essere liberamente disponibile da parte di tutti, e si contrapponeva all'uso privato che di esso si era fatto fino ad allora.” , M. M. Goggioli, La Biblioteca Magliabechiana, (Presentazione di A. I. Fontana, Direttrice della BNCF e membro effettivo del Collegio Probiviri dell’AIB), Olschki, 2000, p. 170.
[8] Direzione Generale per i Beni Librari, protocollo n° 2191 del 3 aprile 2002, in archivio della Associazione dei Lettori della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. Vedi anche nota 28.
[9] Un’altra
biblioteca “di conservazione” (dove
non opera un’associazione di utenti) probabilmente non ha neanche un
Regolamento interno, ignora completamente la riforma del 1995 e non
ammette
affatto i comuni cittadini con questo arbitrario stratagemma:
“Le opere a stampa moderne sono date in lettura in sede agli studiosi
già
ammessi alla consultazione dei manoscritti e delle edizioni rare. Non è
pertanto consentito l’uso della Biblioteca per la lettura delle sole
opere a
stampa moderne”, si veda il sito della biblioteca statale Medicea
Laurenziana
di Firenze, ww.bml.firenze.sbn.it, alla voce “Accesso, Orari e Servizi”.
[10] E’ opportuno che anche in questo caso si applichi al più presto il principio introdotto per il prestito: “scomparsa del desueto istituto della malleveria con la conseguenza che il materiale è affidato direttamente in prestito al richiedente, il quale lo custodisce sotto la propria e diretta responsabilità. Ovviamente, salvo i singoli casi disciplinati dal Regolamento interno, è essenziale il compimento della maggiore età, che è sufficiente a far sorgere la responsabilità del lettore.”, F. Sicilia (Direttore Generale per i Beni Librari e le Istituzioni Culturali), “Il Nuovo Regolamento delle Biblioteche Pubbliche Statali”, in Accademie e Biblioteche d’Italia, n. 1, gennaio – marzo 1996, p.8.
[11] A titolo di
esempio si vedano le condizioni di ammissioni nel regolamento interno
della
BNCF, disponibile sul sito.
Ma anche: “La Biblioteca Medicea Laurenziana è una biblioteca pubblica ( … ) essa si riserva il diritto di selezionare gli ammessi alla consultazione ... ”, nel sito ww.bml.firenze.sbn.it, alla voce “Accesso, Orari e Servizi”.
[12] “Tra le proposte avanzate si possono qui sinteticamente ricordare il metodo suggerito da Berengo per selezionare il pubblico, distinguendo tra sale generali e per riviste, aperte a un'ampia utenza, e sale riservate per la ricerca, tutte con un ricco apparato di opere di consultazione”, G. Solimine, "L'utente esigente", in Biblioteche Oggi, marzo '93, p. 72.
[13] "Regolamento recante norme sulle biblioteche pubbliche statali", in Supplemento Ordinario alla G. U. n. 233 del 5 ottobre 1995.
[14] Mi chiedo se sia ancora attuale la ricostruzione del profilo psicologico di un antico bibliotecario: “E rientra nelle caratteristiche del personaggio il motivo per cui questo bibliotecario di cardinali, principi e granduchi, nonché di se stesso, non abbia saputo o voluto compilare esatti cataloghi delle raccolte che custodiva: non ne aveva bisogno, affidando tutte le conoscenze alla sua prodigiosa memoria per rendersi indispensabile, lui solo l'intermediario, lui stesso il vero catalogo”, M. M. Goggioli, La Biblioteca Magliabechiana, (Presentazione di A. I. Fontana, Direttrice della BNCF), Olschki, 2000, p. 11-2.
[15] Le biblioteche “di conservazione” potrebbero prendere ad esempio le biblioteche “aperte al pubblico”: “Il Sistema bibliotecario trentino riconosce l’utilità dell’informazione elettronica per il soddisfacimento delle esigenze informative ed educative della comunità.” Art. 1 del Regolamento-tipo del servizio Internet nelle biblioteche trentine. Fonte sito Internet della Provincia di Trento.
[16] Occorrerebbe verificare attentamente se sia corretta l’esclusione da questo servizio dei cittadini comunitari domiciliati fuori dalla Regione in cui ha sede la biblioteca. Ciò è previsto dallo stesso DPR 417/95, ma probabilmente è stato tacitamente abrogato dalla normativa successiva.
[17] Richiamo
tra gli altri l’onnicomprensivo
“Ogni materiale per il quale particolari ragioni ne sconsiglino
l’allontanamento dalla sede”, le uggiose esclusione delle
“Opere edite
negli ultimi cinque anni” e de
“Le opere di narrativa e di svago”, nonché “Le pubblicazioni con
particolari
caratteristiche editoriali” nelle quali viene fatto
rientrare qualsiasi
libro che contenga illustrazioni o tavole fuori testo. Anche in ottica
di
tutela queste ultime esclusioni
risultano incomprensibile.
La Direzione della Medicea Laurenziana, anche in questo caso ignora arbitrariamente il DPR 417/95: “Non è previsto il prestito diretto dei documenti manoscritti e a stampa”: si veda ancora il sito ww.bml.firenze.sbn.it, alla voce “Accesso, Orari e Servizi”.
[18] “In termini generali, essi [i servizi di prestito, di riproduzione e di informazione bibliografica] sono stati considerati non più come concessioni possibili, ma come servizi primari, come la lettura e la consultazione in sede.” F. Sicilia, “Il Nuovo Regolamento delle Biblioteche Pubbliche Statali”, in Accademie e Biblioteche d’Italia, n. 1, gennaio – marzo 1996, p.6. A memoria di utente (l’Associazione Lettori è nata nel 1993) F.Sicilia è da sempre Direttore Generale per i Beni Librari e le Istituzioni Culturali: trova qui una possibile spiegazione l’osservazione di S. Settis circa la costanza qualitativa delle politiche per i beni culturali al variare dei Governi, "Un programma per i beni culturali", in MicroMega n. 1/2003 febbraio-marzo, Gruppo Editoriale L'Espresso, p. 19.
[19] “L'accessibilità materiale [ai beni e servizi culturali] è legata alla dotazione di due risorse che in generale sono utilizzabili tra le persone in modo diseguale e in alcuni casi in modo inversamente proporzionale: i soldi e il tempo.” G. Richieri, "Il fattore Tempo nel consumo di Beni Culturali", in Economia della Cultura, anno XII, 2002/n. 2, Il Mulino.
[20] Vedi G. Del Bono, Storia delle Biblioteche fra settecento e Novecento, Vecchiarelli Ed., Roma, 1995, p. 11.
[21] Rinvio ai tre contributi a cura della Associazione Lettori BNCF nella rubrica “Tribuna Aperta” di Biblioteche Oggi, dicembre 2001, vol. XIX n° 10, pp. 68-70.
[22] Secondo studi del 1990-1 “in America il fenomeno dei furti in biblioteca è ammesso e discusso apertamente, mentre in Inghilterra se ne prova vergogna” [come in Italia?] … “Data per scontata una certa perdita (da mettere in conto in particolare con la scaffalatura aperta), l’autrice ritiene ancora tollerabile una perdita dell’otto per cento dei libri posseduti.”, e “certi sistemi privi di protezione possono raggiungere perdite annue del 30-40 per cento.” Ancora, “un terzo dei furti è opera del personale.”, Marie Jackson, riportata in “I furti in biblioteca”, a cura di Carlo Revelli, Biblioteche Oggi, febbraio ’94, pp. 48-51. Sarebbe opportuno disporre di simili studi anche per le biblioteche italiane. Si può qui solo osservare che da noi i controlli elettronici alle uscite e le misure di prevenzione si concentrano sugli utenti, nonostante si prediliga la scaffalatura in magazzino. Ad esempio il divieto di accedere con borse e zaini non è esteso agli impiegati.
[23] “Chiunque abbia una pur minima familiarità con le biblioteche di qualsiasi paese, progredito o meno, non può non rimanere sbalordito dell'assurdità di procedure che ignorano, per non dir altro, le schede di richiesta a ricalco.”, E. Bottasso, Storia della biblioteca in Italia, Milano Bibliografica, 1984, pp. 343-4.
[24] Simili
comportamenti amministrativi sono
stati superati dalla L 241 del 1990 sul procedimento e la trasparenza,
e dalla
recente
L. 150 del 2000 sulla comunicazione istituzionale.
[25] Il lettore può provare immediatamente questa sconcertante sensazione collegandosi al sito Internet www.bncf.firenze.sbn.it
[26] G Vitello, in Biblioteche Oggi novembre-dicembre 1994, p. 50.
[27] E. Bottasso, Storia della biblioteca in Italia, Milano Bibliografica, 1984, pp. 342-3. Per un'analisi più recente delle contraddizioni del nostro sistema bibliotecario: P. Traniello, Storia delle biblioteche in Italia. Dall’unità ad oggi, Il Mulino, 2002.
[28] Quel documento viene rilasciato da un organismo di certificazione “indipendente” dal mercato (requisito di scarso rilievo nel caso delle Pubbliche Amministrazioni), dopo una visita ispettiva che dovrebbe riscontrare “evidenza oggettiva” che l'organizzazione sia dotata di strumenti gestionali idonei a tenere sotto controllo i propri processi interni e sappia applicarli per realizzare il miglioramento continuo della qualità richiesta - in modo esplicito o implicito - dai suoi “clienti”.
[29] Riguardo alle risorse umane, nel caso in esame quello che può osservare un utente abituale è che i circa 300 dipendenti ed i 40 obbiettori di coscienza che lavorano in BNCF equivalgono al numero di utenti giornalieri che frequentano la biblioteca nei giorni di maggiore affluenza. Probabilmente il dato ufficiale di affluenza - superiore a 700 utenti come media annua giornaliera (a fronte di circa 250 posti di lettura e consultazione) - si riferisce al numero di ingressi registrati, poiché molti degli utenti della mattina tornano in biblioteca anche dopo pranzo. L’impressione che ha un osservatore esterno è che in molte biblioteche pubbliche vi sia confusione tra ingressi ed utenti effettivi. Sarebbe interessante verificare se l’aumento del numero di utenti e del numero di titoli catalogati siano due degli indicatori con i quali il Ministero specifica gli obiettivi per i Dirigenti e impiegati, anche ai fini dell’attribuzione dei premi annui di produttività. Per un primo parziale riscontro si veda: Corte dei Conti – Sezione Centrale di Controllo – II Collegio – Deliberazione n. 2/2002/G, del 22 gennaio 2002, inviata al Parlamento il 28 gennaio 2002 – Relazione sugli interventi perla fruizione dei beni culturali.
[30] Rendere
operativo il principio della
trasparenza amministrativa introdotto dalla L. 241 del 1990 non è solo
un
dovere ma è interesse della stessa Amministrazione. Come è già avvenuto
in
passato, l’assenza di trasparenza favorisce il diffondersi di malintesi
e
supposizioni che possono intaccare l’immagine delle istituzioni Mi
riferisco in
particolare alle considerazioni dell’Autore, in
E. Bottasso, Storia della biblioteca in Italia, Milano Bibliografica,
1984, pp.
342-5, sulla conclusione dopo venti anni del progetto SBN per il
catalogo unico
nazionale: ... “le vane promesse (…) di una pioggia di miliardi versata
nel
carrozzone del catalogo unico” ... .
[31] M. M. Goggioli, La Biblioteca Magliabechiana (Presentazione di A. I. Fontana, Direttrice della BNCF), Olschki, 2000, p. 172.
[32] S. Settis, "Un programma per i beni culturali", in MicroMega n. 1/2003 febbraio-marzo, Gruppo Editoriale L'Espresso, p.33.
[33] E' opportuno sottolineare che quell'art. 1 include senza alcuna distinzione sia le dieci nazionali che le due Biblioteche Centrali, compresa quella di Roma. Ritengo che gli stessi principi possano essere estesi alle altre biblioteche pubbliche storiche.
[34] Così introduce il DPR 417/95 D. D'Alessandro, nel suo Codice delle Biblioteche, Editrice Bibliografica, 2002, pag. 49: “La filosofia che sottende la rinnovata normativa è quella dell'offerta, da parte della biblioteca, di una serie di servizi alla collettività come un dovere e non, com'era in passato, nell'ottica della concessione o dell'autorizzazione ... Ciascuno di questi servizi è disciplinato in modo da garantire la tutela e la protezione dei documenti della biblioteca, senza peraltro essere vessatorio nei confronti dell'utente.”
[35] M. Balducci, M. Chellini, et al., "L’organizzazione comunale tra gestione per obiettivi e ricerca della qualità dei servizi.", in Guida Normativa 2002, Ed. C.E.L., Gorle (BG), 2001, vol. I pp. 862-63.
[36] M. Balducci, S. Gennai, et al., "Organizzazione e Management: il superamento della tutela amministrativa e l'imperativo della managerialità.", in Guida Normativa 2003, Ed. C.E.L., Gorle (BG), 2002, vol. I pp. 830-31.
[37] Vedi nota 33 e 7. Inoltre qualora il nostro Legislatore applicasse il modello degli altri paesi europei, anche in Italia vi sarebbe una sola Biblioteca Nazionale, con sede nella capitale. Ma sulle peculiarità del caso italiano rinvio alle opere di Giuseppe Vitiello.
[38] G. Vitiello, Alessandrie d’Europa: storia e visioni delle biblioteche nazionali. Milano Sylvestre Bonnard, 2002.
[39] Più interessanti, delicati e complessi sono i casi di probabile distorsione della concorrenza privata e di “delega di controllo pubblico” agli Organismi di Certificazione che si realizzano quando nei bandi delle pubbliche amministrazioni per la fornitura di beni e servizi si richiede alle imprese il possesso di un Certificazione di Qualità ISO.
[40] M. Balducci, R. Menichetti, et al., Organizzazione e Management dell’ente locale. Milano, F. Angeli, 2000, p. 20.
[41] S. Cassesse, “I beni culturali: dalla tutela alla valorizzazione”, in Giornale di Diritto Amministrativo, Ipsoa, n. 7/1998, p. 673.
[42] Un'analisi analoga, alla luce del DPR 417/95 e del precedente ma, di fatto, ancora vigente DPR n. 1501/67, applicata al Regolamento interno della BNCF recentemente approvato dalla Direzione Generale per i Beni Librari è nel mio precedente B. Simone, "La certificazione nelle pubbliche amministrazioni. Quale rapporto tra norme ISO e norme giuridiche?", in De Qualitate ottobre 2002, anno XI n° 9, pp. 25-27.
[43] Vedi il sito Internet chiesacattolica.it, sotto la voce Uffici-Servizi.
[44] E’ sfuggito che molto probabilmente questa disposizione contrasta non solo con l’art. 3 della nostra Costituzione, ma anche con la recente legge di tutela della privacy (L. 675/96 e successive modifiche).
[45] Fonte www.iccu.sbn.it/bimanus.html
[46] Si veda www.abaziagreca.it, email: sannilo@librari.beniculturali.it