I BOMBARDAMENTI ALLEATI:
(su gentile concessione del Comune di Fidenza)
Nella
primavera del 1944, nonostante i ripetuti tentativi angloamericani di
sfondare la linea del fronte, le truppe tedesche rimanevano attestate sulla linea Gustav.
Il comando alleato, allora, elaborò una nuova tattica che prevedeva di
estendere gli attacchi aerei alle principali vie di comunicazione colpendone
soprattutto i ponti: la loro distruzione infatti avrebbe richiesto meno
esplosivo rispetto agli scali ferroviari e più tempo per la ricostruzione.
Nuove controffensive aeree denominate Strangle
e Diadem mirarono ad ostacolare i
rifornimenti tedeschi, in modo che le linee germaniche potessero essere
attaccate nel momento in cui avessero esaurito le scorte e fossero perciò
più vulnerabili.
Strettamente connessi a queste due operazioni furono anche i massicci
bombardamenti che, dall'aprile, colpirono l'intero Parmense e, dai primi di
maggio, anche il centro fidentino
sul quale gli aerei angloamericani sganciarono tonnellate di esplosivo,
devastanti soprattutto negli attacchi del 2 e del 13 maggio. La prima
incursione colpì soprattutto il territorio ad est della ferrovia -
distruggendo la strada per Soragna - la zona ad ovest della via Emilia e
l'abitato interurbano vicino alla stazione ferroviaria e alla cattedrale,
uno dei quartieri più antichi della città. Tutti i servizi pubblici - come
l'acquedotto, le fognature o le linee telefoniche ed elettriche - vennero
resi inutilizzabili, più di settanta case rase al suolo e, bilancio ben più
tragico, trentatre persone rimasero uccise.
Dieci giorni dopo, il 12 maggio, una seconda incursione attraversò i cieli
fidentini: verso le 8 del mattino, altri aerei mitragliarono la via Emilia e
la stazione ferroviaria, danneggiando ancora la linea elettrica e uccidendo
altre due persone, oltre agli 11 feriti. Tuttavia, questo fu solo il
preludio di quanto sarebbe accaduto il giorno successivo quando, nel giro di
poche decine di minuti, una "grossa nube nera" di apparecchi colpì
duramente la città, devastandola per il 70% con uno spiegamento di mezzi
eccezionale: in questa, che fu senza dubbio la più grave delle incursioni,
morirono 113 persone, nonostante la città fosse già stata in parte
evacuata. In quest'ultimo attacco - che aveva come obiettivo i ponti della
linea ferroviaria - gli aerei americani colpirono Fidenza in in quattro
ondate: la prima colpì la periferia, le due successive il centro storico e
la quarta la stazione e alcune fabbriche. Anche la Rocca - residenza dei
soldati tedeschi - fu pesantemente danneggiata, così come l'albergo
"Savoia", alloggio degli ufficiali. Inoltre, l'interruzione di
molte strade e un ulteriore smantellamento di tutti i servizi pubblici
avevano drammaticamente paralizzato la vita cittadina.
Le frequenti incursioni dei bombardieri alleati tenevano la popolazione in
un costante stato di tensione psicologica e, come il resto degli italiani,
anche i fidentini si dovettero abituare alle norme di oscuramento,
agli allarmi e alla corsa nei rifugi di cui Fidenza, però, non era molto
provvista. Già dal 1943, il Comune aveva deliberato di realizzare due
ripari antiaerei in piazza Garibaldi e piazza Marconi; i lavori, però, si
erano protratti nel tempo e solo l'anno successivo i ricoveri furono
utilizzabili, anche se solo parzialmente. Così, quando nella primavera
successiva iniziarono a suonare le sirene della Cledca (gli impianti per la
produzione di catrame), dell'industria vetraria e del palazzo municipale, i
fidentini correvano a cercare riparo in due fossati ricoperti di assi e
fogliame scavati in piazza Garibaldi che, sebbene efficaci per ripararsi
dalle schegge e dai detriti di piccole dimensioni, erano del tutto
inadeguati per le deflagrazioni più vicine e potenti. A parte questi
semplici ricoveri, dunque, non esistevano in città altri rifugi e molti
cercavano di mettersi in salvo nelle cantine delle proprie case o nelle
campagne vicine. Durante la notte, poi, i fidentini dovevano osservare
rigorose norme di protezione, come oscurare le finestre per impedire
l'avvistamento delle luci, mentre i militi dell'Unpa - il servizio di
protezione antiaerea - in ronda per le strade multavano chi non rispettava
le disposizioni. Le indicazioni per la sicurezza erano diffuse anche
attraverso manifesti e
quotidiani: durante gli allarmi aerei, ad esempio, i veicoli che si
trovavano in movimento avrebbero dovuto fermarsi appena possibile in luoghi
riparati e distanziati l'uno dall'altro, per evitare il pericolo di essere
confusi, dall'alto, con colonne militari; le persone che non riuscivano a
trovare un rifugio coperto, invece, per non essere mitragliate, avrebbero
dovuto disperdersi nelle campagne e lasciare le strade, le piazze e gli
incroci deserti.
Nonostante le diverse campagne di informazione, i primi bombardamenti che
colpirono Fidenza colsero di sorpresa i cittadini: l'incursione avvenne
all'una del pomeriggio, e in pochi, al suono della sirena, avevano
abbandonato le proprie case.
Dopo quel bombardamento, ad ogni allarme i fidentini fuggivano dal paese,
spostandosi verso la campagna. Anche le truppe della Gnr
chiesero al proprio comando di potersi trasferire a Fornio, frazione fuori
città, poiché le sirene mal funzionavano e, per di più, dopo la
distruzione dell'impianto del municipio, l'unica funzionante era rimasta
quella della Cledca, azionata però dagli operai solo dopo aver sentito gli
allarmi dati a Noceto. La mancanza di un mezzo più sicuro e affidabile per
… (segue)
… segnalare l'arrivo dei bombardieri costituiva un rischio enorme
per l'intera città, tanto che il comando tedesco, preoccupato per la
propria sicurezza, si arrogò la responsabilità di dare l'allarme. Presto,
oltre a riattivare le sirene antiaeree, i tedeschi ripararono gli impianti e
le principali vie di comunicazione distrutte, i ponti stradali e le linee
ferroviarie.
La popolazione fidentina rimase dolorosamente colpita e sconvolta dai
bombardamenti di maggio, sia per la profonda impressione delle esplosioni
sia per i numerosi morti che lasciarono il vuoto in molte famiglie: dalle
macerie furono estratte quasi centocinquanta persone mentre molti di più
furono i feriti nel corpo e nell'anima. Tuttavia, alle tragiche giornate di
maggio, al trauma della morte e allo sbigottimento nel vedere la guerra
arrivare nelle proprie case, la popolazione rispose con una mobilitazione
collettiva straordinaria, la solidarietà si strinse intorno ai più colpiti
e tutti aiutarono a recuperare chi, ancora, rimaneva sepolto sotto le
macerie.
I bombardamenti alleati su Fidenza proseguirono fino alla Liberazione
e, oltre a devastare quasi completamente il territorio cittadino,
paralizzarono in modo pressoché totale la vita quotidiana. Per il terrore
di nuovi attacchi, la maggior parte degli abitanti aveva abbandonato la città
ed era sfollata nelle frazioni vicine e sulle colline circostanti.
Fidenza era ormai poco più di una città fantasma: gli abitanti erano
fuggiti, centinaia di abitazioni erano andate distrutte e la gran parte dei
negozi, delle aziende e degli uffici aveva cessato la propria attività. Il
26 giugno 1944, ad esempio, una relazione dell'autorità fascista segnalava
740 case sinistrate, su un totale di 893 abitazioni esistenti nel capoluogo
e, alla fine di dicembre, una nuova comunicazione riferiva della chiusura di
una settantina di aziende commerciali. Il commissario prefettizio bandì
numerose ordinanze per
imporre la riapertura dei negozi ma nemmeno le sue minacce di ritirare la
licenza di vendita a chi non avesse ubbidito ebbero grande effetto.
Del resto, anche gli uffici pubblici avevano lasciato Fidenza e si erano
spostati in periferia o nei paesi vicini, dislocandosi nei saloni delle
osterie, nei teatri, nelle canoniche e in case private. Ad autunno
inoltrato, di nuovo, l'autorità fascista emanò altri decreti per tentare
di rianimare la città e di spingere gli sfollati a rientrare, minacciando
il sequestro delle case abitabili ancora vuote. Fidenza tuttavia restava
deserta. Anche i tradizionali festeggiamenti di San Donnino che, allora come
oggi, rappresentavano un evento profondamente unificante per tutta la
comunità e di forte valore identitario, vennero sospesi per non attrarre
l'attenzione di qualche aereo.
Fuori dalla città, le sistemazioni degli sfollati erano il più delle volte
molte precarie e intere famiglie alloggiarono per mesi in piccole stanze,
fienili o sotto i porticati delle case coloniche. Inoltre, sebbene i
fidentini sperassero di trovarvi un rifugio, anche le campagne furono spesso
prese di mira dagli attacchi aerei: quasi ogni giorno, sui piccoli
agglomerati di case trai campi, volava "Pippo", un apparecchio
solitario che spesso mitragliava i civili e di notte mirava agli edifici
illuminati. Per la popolazione "Pippo" fu fonte di estrema paura e
tensione, uno dei mezzi più traumatizzanti di quella guerra brutale:
spezzoni delle sue bombe colpirono abitazioni, cascinali, officine,
stazioni, causando numerose vittime.
I fidentini sarebbero rientrati in città solo dopo la Liberazione e la fine
della guerra. In un anno, 59 bombardamenti aerei avevano colpito Fidenza,
devastandone la struttura edilizia e produttiva e cambiandone profondamente
la fisionomia. Segni altrettanto profondi rimasero nei suoi abitanti che,
provati dai continui e sconvolgenti attacchi, approfondivano il loro
distacco dal fascismo repubblichino, sempre più considerato responsabile
delle distruzioni e dei morti e incapace di difendere la popolazione.
Tratto
da “Fidenza 1945-2005, una comunità nella resistenza” a cura di
Margherita Becchetti e Ilaria La Fata
Ringraziamo
per la gentile cortesia il Comune di Fidenza.
Per
approfondimenti:
http://www.comune.fidenza.pr.it/fidenza1945-2005/index.html