MODI DI DIRE GAETANI

NICOLA E MARIA MAGLIOCCA

A B C D E F G H I L M N O P Q R S T U V Z PUOZZE AVE

AMBULANTI FA' METTE PARE PIGLIA' I' SANTI STA TENE'

 

LA MULE DE PETTOLONE:SE FACEJE MAGNÀ

DA LE MOSCHE PE NE' MOVE LA COLE

 

 

 

A BOTE A BOTE Letteralmente "a volta a volta" e cioè "ogni tanto", "di tanto in tanto". A bote a bote méglieme mefa truà na tielle (di tanto in tanto mia moglie mi fa trovare

A BÒTTE DE ZISCHE E PERNACCHIE "A furia di fischi e pernacchi" suona letteralmente. A bòtte de zische che e pernacchie s'ha tote gliu deplome (a furia di imbrogli ed espedienti è riuscito a prendere il diploma).

A CHI DÀ E A CHI PRUMMETTE "A chi dà e a chi promette". E il caratteristico comportamento del prepotente che minaccia a destra e a sinistra.

A CÒLE CACCE GLIU CURTIEGLIE? "A Cola metti fuori il coltello?". E l'equivalente dialettale della famosa frase rivolta da Caio Mario, gli occhi lampeggianti, l'88 a.C., allo schiavo inviato ad ucciderlo per ordine dei Magistrati, quando, per sfuggire all'ira di Silla, da Roma era approdato alla foce del Garigliano: "E tu, dunque, sciagurato, oserai uccidere Caio Mario?". Lo schiavo spaventato fuggì. La frase si dice in tono scherzoso agli amici o ai piccini, per dissuaderli dal fare cose che non vorremmo, con il significato di "a me fai questo?".

A CRAJE A CRAJE COMME LA CURNACCHIE "A domani a domani come la cornacchia": rimandare un impegno di giorno in giorno come la cornacchia

A CUCCE "Alla cuccia". Riferito a una persona i a cucce significa andare a sottomettersi, come fa il cane che si accuccia ai piedi del padrone.

A CUĜLIE APPUZZUTE Posizione di chi, curvandosi in avanti, sporge il sedere. In Toscana dicono "a bucopunzoni".

A FÀ FOTTE Te manne a fa fotte (ti mando a quel paese); va a fa fotte (va al diavolo).

A MALE E BENE Locuzione che corrisponde a "in ogni evenienza", "in ogni caso" ecc.

A NATALE TE PAGHE "A Natale ti pago". Significa "rimandare alle calende greche".

A NOTTE A NOTTE FAVE COTTE Le fave cotte non sono un cibo da offrire a notte a notte (a tarda notte) Un tempo si mangiavano di prima mattina e gli scolaretti, recandosi a S. Antonio (la scuola nell'ex convento dei Cappuccini), ne comperavano un soldo dalle donne che a quell'ora, con le pentole piene sulla soglia della casa, ne vendevano lungo la Via (dell'Indipendenza). La locuzione è tirata fuori a proposito di qualsiasi cosa anacronistica o fuori luogo.

A OCCE A OCCE "A goccia à goccia" con il significato di "a poco a poco e con fatica e sacrificio".

A ORE DE CAVAGLIERE "A ora di cavaliere". Il signore che non ha alcun obbligo, può prendersela con comodo come meglio gli pare e piace. il mattino si può alzare tardi, cioè "a ora di cavaliere" e cosi pure all'ora di pranzo si fa aspettare. Si dice per prendere in giro chi la mattina si alza tardi o chi arriva tardi a una riunione.

À PARLÀ QUANNE VIÉ E NO QUANNE VAJE "Devi parlare quando ritorni e no quando vai"

A PISE DE CAREVUNE "A peso di carboni", vale a dire vendere a buon peso, generosamente e senza stare a lesinare. Lo gridavano una volta i venditori ambulanti, ma si trattava di patate e cipolle.

A SCURATA D'ARIE "Ad aria oscurata", ossia al crepuscolo.

A SIGNE I A SIGNE (andare a segno) significa "andare a buon porto", "riuscire". Ne' me ne va une a signe (non me ne va una buona). METTE A SIGNE (ordinare, riassettare). STA A SIGNE (stare in ordine, stare in regola). Mette a signe gliu rellogge (regolare l'orologio).

A STAGLIE "A staglio" nel senso di calcolare, stimare ad occhio. Dal latino extaiium, a Napoli vuol dire lavoro da compiersi entro un tempo prestabilito o a prezzo convenuto, detto anche a opera oppure a cottimo. "Che ne sai che sono tre chili di sarde?". "Ho fatte a staglie". (Ho fatto a staglio; ho calcolato ad occhio).

A STU MARE NE’ CE SACCE NATÀ"In questo mare non ci so nuotare" : lo dice chi in un ambiente si sente un pesce fuor d’acqua, chi deve trattare argomenti che conosce poco, chi non riesce a dialogare con qualcuno

A TARE ‘E UTTE I compratori di gromma (tare) delle botti (utte) alzavano questa voce all’imboccatura di ogni vicolo del Borgo, nel periodo in cui i contadini preparavano le botti per la prossima vendemmia e si sentivano dall’alba al tramonto inoltrato i colpi dei bottai che sostituivano e rincalzavano i cerchi di castagno. I colli di Gaeta erano completamente ricoperti di rigogliosi vigneti che nelle buone stagioni producevano anche ventimila botti di vino

A VALIRE "A barili". In Toscana si dice "a bocca di barile" e vuol dire "in grande quantità". Quando si è sposato il mio Pasqualino glie cunfiette a valire (i confetti furono tantissimi).

ABBABBIÀ "Persuadere", "confondere", "imbrogliare".Gli 'ha abbabbiate de chiùcchiere (gli ha confuso le idee con le chiacchiere).

ABBAGNATE Cresce abbagnate, meni abbagnate significano rispettivamente: "crescere umile", "venir sù modesto"; adeguarsi al proprio stato sociale, senza ambizioni e smanie di grandi cose.

ABBARE A CHIGLIU TRIBBUTE! "Bada a quel tributo!".Un tale che ha fatto un grosso favore riceve un regalo di scarso valore. A un amico, che crede il contrario e pensa a un ricco contraccambio, egli risponde disilluso: "Abbare a chigliu tribbute!", ossia: non si tratta certamente di un grande sacrificio da parte del beneficiato.Infatti il tributo, per il popolo, vittima in ogni tempo di chi detiene il potere, ha sempre rappresentato un pesante gravame spesso insopportabile.

ABBARE A TE! "Bada a te!". Esclamazione rivolta, in chiave ironica, alla persona che si lamenta esageratamente per un piccolo servizio reso o per un modesto lavoro che, comunque, non hanno richiesto un grosso impegno. 

ABBASCE A MARE "Giù al mare", vale a dire presso la riva del mare. Il motto risale all'epoca precedente la costruzione del Corso Attico (il lungomare di una volta), quando una spiaggia divideva l'abitato del Borgo dal mare, in tutta la sua lunghezza. Dai vicoli vi scendevano i contadini, onde evitare la strettoia della via intema (non ancora denominata della Indipendenza) e la percorrevano, incrociandosi, in groppa ai loro asinelli, per recarsi nei poderi; i pescatori, rientrati dalla pesca, vi passavano le ore a stendere e rammendare reti; i ragazzi a frotte vi stabilivano il loro campo da gioco ideale. "Vavattenne a pazzià allu larghe abbasce a mare" (vattene a giocare al largo in riva al mare) diceva la madre al figlio che in casa dava fastidio.Nel centro storico, cinto dalle mura, andare al mare si diceva i fore 'a marine (andare fuori la marina), appunto perché si usciva da una delle porte del fronte di mare.

ABBIA' GLI'UOCCHIE "Buttare l'occhio" nel significato di dare appena uno sguardo furtivo, di sfuggita, spesso allo scopo di non destare sospetti.

ABBRUCHITE "Rauco". Tenghe la voce abbruchite (ho la voce rauca); sta tutte abbruchite (ha completamente perso la voce).

ABBUFFARESE DE ZEFELE DE VIENTE "Saziarsi di refoli di vento", nel senso di limitarsi a fare molte chiacchiere senza realizzare fatti concreti. 

ABBUTTÀ 'N CUORPE "Gonfiare in corpo" ossia nell'intimo. La locuzione è riferibile a chi tace per non arrabbiarsi e, prudentemente, si controlla per non esplodere.

ACCÀ FA IUORNE, ACCÀ FA NOTTE "Qui fa giorno e qui fa notte" e nulla di concreto è stato fatto: situazione di stallo. Si dice quando un lavoro va a rilento o una discussione va per le lunghe InizioPagina

ACCA' LA TELE, ACCA' GLIE DENARE "Qua la tela, qua i denari". E il motto di chi intende essere pagato subito in contanti.

ACCATTÀ GLIU SOLE QUANN’ESCE LA MATTINE " Comprare il sole quando esce la mattina " Nelle famiglie degli agricoltori e in quelle dei pescatori non mancavano i prodotti in natura del loro lavoro; altri lavorando qua e là ricevevano in ricompensa prodotti alimentari; ma dove nulla entrava d tutto ciò bisognava comperare tutto quanto occoreva per la famiglia. Era di questi tempi che si diceva dovessero comperare il sole la mattina, quel sole che esce gratis per tutti i viventi

ACCATTETE NA lATTE "Comprati una gatta". Può capitare che qualche perditempo venga a farci un discorso o a proporre un affare che non convince; allora per fargli capire che è tempo sprecato e che farebbe meglio ad impiegarlo diversa mente gli si dice: "Accàttete na iatte" e magari si aggiunge "e mettete ratte e ratte" (e non smettere di grattarla). Immediatamente l'importuno è allontanato. ACCATTATENNE FIENE, "compratene fieno" ha lo stesso significato. 

ACCIACCÀ GLIE SCUNCIGLIE CU GLIE PIERE "Pestare i murici con i piedi", scalzi si intende, è una cosa impossibile per gli aculei robusti che hanno. La locuzione vuoi dire dover superare difficoltà enormi.

ACCIAMMURRITE Deriva da cimurro, malattia che colpisce cani e cavalli. Stonghe acciammurrite (sto raffreddato); tenghe gliu ciammurre (ho il raffreddore).

ACCIRESE CU LE MANE SEJE STESSE "Uccidersi con le proprie mani" cioè autorovinarsi andando in cerca di guai.

ACCUNCIÀRESE CU LE PAPENGHELE DE CONCHE "Accontentarsi con i granchiolini di Conca" significa contentarsi di poco. Alcuni gabbiani vivevano nei pressi di Conca, cibandosi di granchiolini che riuscivano a procurarsi sugli scogli di quella zona; pasto piuttosto misero in verità! Un giorno altri gabbiani li invitarono in un luogo dove c erano pesci in quantità, ma i pericoli erano tanti. Allora i gabbiani di Conca, come "il topo campagnolo", fecero ritorno ai loro lidi, dicendo: "Accuncìmmece cu le papénghele de Conche". InizioPagina

ACCUNCIÀRESE L'ÒSSELE "Accomodarsi le ossa" tradotto alla lettera. In senso figurato s'acconce l'òssele (s'accomoda le ossa) un poveraccio che vince una bella somma al gioco del lotto, un giovane disoccupato che sposa una ricca ereditiera, e così via: insomma chi, vivendo nel bisogno, è toccato da un colpo di fortuna.

ACCUTTATURE DE MAINE Sono i "rimasugli raccolti nella madia" dopo aver confezionato il pane da infornare. Con la locuzione si indicano gli avanzi di qualsiasi genere o natura. Accuttature de màine è detto anche, per scherzo, l'ultimo di parecchi fratelli oppure il figlio nato, quando meno si aspettava, dopo diversi anni dal fratello precedente.

ACQUA PAZZE E 'la caratteristica zuppa di pesce, che i pescatori si preparano a bordo dei pescherecci. Chiaramente vi figurano tutte le qualità di pesci del nostro golfo, adatte per quel modo di cottura: polipetti, caponi, tracine, gronchi, lucerne, scorfani, pannocchie, ecc. Si condisce con aglio, olio di oliva, prezzemolo e abbastante peperoncino piccante. Per gustarla veramente bisogna mangiarla a bordo con il pesce allora allora pescato.

ACQUARE ACQUATE Acquare è il nome che si dà alla rugiada. Acquate è un vinello di bassissima gradazione alcoolica ricavato dalla fermentazione delle vinacce in acqua. 

ACQUE CHE PASSE "Acqua che passa". Si definisce in questo modo la pioggia che dura breve tempo, la pioggerellina passeggera e, per estensione, qualsiasi vicenda di breve durata.

ACQUE DE MAGGE "Acqua di maggio". Il modo si adatta a definire ogni cosa ritenuta utile e favorevole come, appunto, la pioggia che cade in maggio sulle piantagioni. Sì nate all 'acque de magge (sei nato nell'abbondanza). InizioPagina

ACQUE DE STRAMME "Acqua di sparto", è quella in cui si mette a macerare lo sparto, per cui diventa di colore verdastro ed acquista un odore di putrido. Nel rione Spiaggia le donne lavoravano lo sparto per ricavarne corde e cordicine, quindi abbondavano i recipienti con questo tipo di acqua sgradevole. Glie piaruoglie so vattiate cu l'acque de stramme (gli abitanti del rione Spiaggia sono battezzati con l'acqua di sparto) dicevano per scherno gli abitanti degli altri rioni. Ora la locuzione vattiate cu l'acque de stramme si affibbia comunemente a un tipo eccentrico e stravagante.

ADDA ARRECOGLIE PRIME LE PENNE "Deve raccogliere prima le penne". Si racconta di una donna che, presentatasi al confessore, si accusa di aver mormorato calunnie nei confronti di una vicina di casa. Il severo confessore, allora, le ordina di ammazzare un pollo e poi tornare da lui. La donna fa come le ha ordinato il sacerdote e questi le assegna per penitenza il recupero di tutte le penne del pollo. "Come faccio? implora la donna. E impossibile che io ci riesca! Non potrò mai recuperarle tutte". "Così è il male che hai commesso replica il sacerdote. Non si può più riparare. Va, e non macchiarti più di questo grave peccato". La frase viene proferita da chi non intende rappacificarsi con una persona da cui ha ricevuto un torto, se non alla condizione di riparare al mal fatto.

ADDEFRISCHE L'ARME DE GLIU PRIATORIE oppure... DE GLIE MUORTE TEJE "A sollievo delle anime del purgatorio" oppure "... dei tuoi morti". Si tratta del più comune dei ringraziamenti che, chi riceve del bene, rivolge al proprio benefattore.

ADDEREZZÀ LA FUNTANE "Radrizzare la fontana" è un simpatico motto esteso a raggiustamenti di qualsiasi genere. Se sta adderezzenne ssa funtane (si sta raddrizzando cotesta fontana) si sente ripetere allorché su una questione complicata si sta facendo una schiarita.

ADDERIZZETE TUBBE "Raddrizzati tubo". Si dice per prendere in giro una persona vestita in maniera eccentrica. InizioPagina

ADDIE, PERE DE FICHE! "Addio, albero di fichi!" . Frase di pacata rassegnazione pronunciata dopo il prestito avventato, di denaro o di oggetti, che non lascia speranza di recupero. E evidente che il motto proviene dall'ambito rurale, dove il fico è stato sempre considerato un albero generoso e ricco, la cui perdita era avvertita come un grosso danno.

ADDORE QUANNE È CUOTTE "Odora quando è cotto". Questa locuzione giuoca sulla somiglianza tra addore (odora) e addò (dove, nel senso di "quando mai!"). Se in un discorso un Tizio, incredulo, interviene con un addo'? (quando mai?), volendo significare che non crede a quanto si sta asserendo, sentirà la battuta ironica: "Addore quanne è cuotte".

ADENTE "Dentro" e "casa propria" che gli inglesi dicono home. lammucenne adente (andiamocene a casa); rumanite adente (rimanete a casa); se n'è ite d'adente (se n'è andato da casa, cioè ha abbandonato la famiglia). Deriva dal latino "in tus" adoperato di preferenza nel linguaggio familiare al posto di "domi". Nel Codex Diplomaticus Cajetanus, in tus e fore si trovano adoperati per indicare "dentro la città" e "fuori le mura", cioè nel Borgo.

AFFRUNTÀ NA REZZE Letteralmente si traduce "affrontare una rete"; vuoi dire riparare la rete che ha subito danni ed anche completare una rete unendone le varie parti che la compongono.

AFORE "Fuori". In origine significava semplicemente uscire dalla città murata e, di solito, per recarsi al lavoro. Ancora oggi per i contadini i' afore vuoi dire recarsi nella propria campagna. Mariteme è ite afore e torne mussere (mio marito è andato in campagna e ritorna questa sera). Per il pescatore i fore significa lontano dalla riva.

AGGE FATTE U PRETE PE TANT’ANNE E MÒ TU VULISSE VATTIÀ A MÉ " Ho fatto il prete per tanti anni ed ora tu vorresti battezzare me" Reagisce in questo modo chi, essendo molto esperto della sua materia, riceve una osservazione sballata da chi ne capisce meno di lui

AGGE PACIENZE Modo di dire cortese che vale per "scusi", "abbia pazienza". All'inizio del discorso equivale a "per favore", "per cortesia", "per gentilezza".

AGGRECCELI LE CARNE Accapponare la pelle per aver assistito a uno spettacolo impressionante

AGLIE CANE DICENNE "Ai cani dicendo" vuoi dire "lungi da noi", "non sia mai". La locuzione è solitamente intercalata, in un discorso in cui si parla di disgrazie e di malattie, come scongiuro perché ne preservi le persòne presenti.

AGLIU CANNUNIERE CHE GLIE FA NA CANNUNATE? "Al cannoniere che paura) fa (sparare) una cannonata?". Nessuna evidentemente. Perciò questa domanda viene spontanea se un uomo molto ricco subisce una perdita che non dovrebbe turbarlo affatto, talmente solida ~ la sua posizione finanziaria. InizioPagina

AGLIU FUNNE DE GLIU MARE! " Nel fondo del mare!" in un luogo inacessibile dove un oggetto non è più recuperabile. Eloquente allegoria per dire: Lungi da noi! Non sia mai!

AGNURÀ Chiamare con il soprannome. Nei piccoli paesi è molto comune, anzi il più delle volte le persone sono conosciute attraverso il nomignolo affibbiato a loro o alla famiglia. A Ràime gl'agnùrene Colasicche Erasmo è soprannominato Colasicche). Agnurà deriva da ignorare. Chiamare una persona con il soprannome non è altro che ignorarne il vero nome.

AH, PASCALE! "Ah Pasquale!" Conciso ed espressivo motto che significa: Chi te lo fa fare!

AHÒ, QUANTU RANE UO' PURTÀ ALLA MOLE! "Ah, quanto grano vuoi portare al mulino!". La frase si rivolge ironicamente a colui che non vale gran che e non riesce a fare mai nulla di buono e di utile per sé e per gli altri, ma tuttavia si vanta di buone capacità.

AIMA LONGHE Si affibbia questo motto a una persona molto alta e magra, paragonabile a un'ombra, a un fantasma.

AIUTA LA BARRACCHE "Aiutare la baracca". La locuzione si usa ripetere ogni qual volta si decide di prestare un aiuto, finanziario o mediante il proprio lavoro, ad una persona in difficoltà, oppure nel caso si voglia sostenere un 'iniziativa che sembra arenarsi per le difficoltà incontrate. InizioPagina

AJE DE LA CASE È lo spirito benigno di un defunto che, secondo la credenza popolare, s 'impossessa di un'abitazione e ne diventa il custode. AIME DE LA CASE e PATRONE DE LA CASE indicano lo stesso spirito. Nel trittico "Incoronazione della Vergine", dipinto da Giovanni da Gaeta, il committente Giuliano Dorca fa scrivere tra l'altro "...Pe l'AJA SUA..." cioè per l'anima sua.

ALL’ÙTEME DE GLIE CUNTE Letteralmente: all’ultimo del conto. Corrisponde all’italiano in conclusione, in fin dei conti

ALLA BONE DE DIE E l'esortazione a rassegnarsi alle circostanze presenti e rimettersi alla volontà di Dio.

ALLA BURRENZE "Per scherzo". Ne' glie dà aurienze, fa alla burrenze (non dargli retta, fa per scherzo.

ALLA DUANE NE’ CE STEJE SALE E NE’ ME SO PUTE VATTIÀ "Alla dogana non c’era sale e non mi hanno potuto battezzare". L’epiteto "scemo" corre molto facilmente nella bocca del popolo anche per futili motivi e con il sorriso sulle labbra, quasi scherzando: Di solito lascia indifferenti ma può capitare che qualcuno replica con la frase suddetta. " Ricevi il sale della sapienza: ti giovi per la vita eterna" recita il sacerdote durante il rito del battesimo. Ovviamente il motto è antico: Gaeta era sede di uno dei quattro fondaci dei sali esistenti nel regno di Napoli. Il grande deposito passò dal palazzo Guastaferri in un edificio nell’attuale Piazza Traniello (ora c’è un ristorante e più indietro nel tempo il bar "Traniello" e il "Gran Bazar") dove ancora sullo stemma di marmo della facciata si legge: Governo dei quattro fondaci, e nell’interno una lapide porta incisoGaeta qui si pagano al misuratore tornesi tre per ciascuno tomolo di sale e così a proporzione delle altre misure InizioPagina

ALLA MURIANE "All’ombra" Deriva da meria, luogo ombroso; vedi le pèchere fanne alla muriane

ALLA RICCHE DE DIE Fertile e ornata locuzione che si traduce in abbondanza, con generosità, con prolusione, lautamente

ALLA SCURDATE "Inaspettatamente". Scurdate deriva da scordare nel significato di dimenticare.

ALLA SMERZINE Deriva da cemmerze (rovescio), quindi la locuzione indica la parte opposta al sole rispetto a un muro, un albero, cioè un luogo dove non batte il sole. Cammenà alla smerzine (camminare all'ombra). Cammenà allu frische (al fresco) ha lo stesso significato.

ALLA STRIGNETURE DE GLIU SACCHE "Alla stringitura del sacco", momento della conclusione della pesca, quando il sacco della rete si stringe per tirarlo a secco e... chi è dentro, dentro resta e chi è fuori, fuori rimane. Il pittoresco modo significa "alla resa dei conti". Ce la verimme alla strigneture de gliu sacche! (ce la vedremo alla resa dei conti!): l'espressione si è fatta minatoria.

ALL'ABBUNATE È nu giòvene all 'abbunate si suol definire il giovanotto semplice, ingenuo e senza malizia, ovvero "giovane alla buona". Ovviamente l'attributo vale per qualsiasi altra persona.

ALL'ADERTE "In piedi", quindi posizione eretta. Si legge in una poesia religiosa popolare: Marie ne' sentenne ste parole.steje all 'aderte e care de dulore; Marie ne' sentenne sta nuvelle, steje all 'aderte e care de facce 'n terre Maria sentendo queste parole,/ era in piedi e cade per il dolore;/ Maria nel sentire questa nuova,/ era in piedi e cade a faccia in terra"

ALLANCHI' Vuol dire soffrire la mancanza di qualche cosa. Allanchì de sete (morire dalla sete), allanchì de fame (soffrire la fame). Sta piante de masenecole sta tutte allanchite (questa pianta di basilico è completamente avvizzita per mancanza di acqua). In Toscana agganghì dalla sete ha lo stesso significato di allanchi de sete. InizioPagina

ALL'ANDRASATTE "Improvvisamente", "inaspettatamente", "di puntimbianco".

ALL'ARRAGGIATE "AlI'arrabbiata". Significa cottura dei cibi in olio e a fuoco vivo. Mussere magnimme ruòccheglie de rape all 'arraggiate (questa sera mangeremo broccoli di rapa all'arrabbiata). Sono molto apprezzati con la salsiccia o con le pannocchie di mare. Cotti allo stesso modo sono ottimi il coniglio, il pollo e cosi via. Ora vanno di moda le penne all'arrabbiata.

ALLE E PALLE Si può tradurre in diversi modi: Immediatamente, senza perdere tempo, su due piedi, in un baleno, in un batter d'occhio...

ALLELUJE, ALLELUJE! GLIU VERME DE LA PIGNE SE NE FUJE "Alleluia, alleluia! Il verme della pigna se ne scappa". Questa frase la ripetono con gioia i bambini dopo che il sacerdote ha portato nelle case la benedizione pasquale, con la quale si crede che scompaia il verme che si anniderebbe nei dolci fatti in famiglia in quel periodo, detti pigne, campanari o casatielli. Questa credenza è nata per mantenere calmi i bambini, i quali altrimenti, essendo state fatte le pigne con alcuni giorni di anticipo, le avrebbero prese di assalto, nonostante ogni precauzione, rischiando di farne arrivare soltanto i resti sino alla domenica di Pasqua.

ALLUOGIÀ "Liberarsi di una persona noiosa". Cu cu, vire d'alluggià a chisse (sù sù, cerca di liberarci da costui); ce gli 'aimme alluggiate (ce ne siamo sbarazzati; ce lo siamo tolto dai piedi).

AlZA' ACCUOGLIE "Alzare addosso". Il lavoratore manuale, terminata la sua opera, si alza sulle spalle i ferri del mestiere e se ne va. Il traslato si addice a chiunque si prepari a partire da un luogo, senza necessariamente porsi i ferri sulle spalle. Aizimme accuoglie e iammucenne adente (muoviamoci e andiamo cene a casa). AIZARESE NA FÉMMENE vuol dire "portarsi a letto una donna".

AlZA' GLIU PERE "Alzare il piede" nel senso di "camminare speditamente". Aize gtiu pere casennò facimme tarde (accelera il passo altrimenti facciamo tardi).

AMMARCIA' Sfoggiare eleganza e lusso, come può fare chi possiede molto denaro.

AMMÀZZARJTE Si dice del pane riuscito male. Uoje lu pane è menute ammazzarite (oggi il pane è venuto ammazzarito) cioè troppo cotto di fuori, mentre nell'interno è rimasto crudo e poco lievitato.

AMMERDÀRESE Introdursi con faccia tosta, senza essere invitato, in una festa, un ricevimento, in qualsiasi luogo dove si può mangiare a sbafo.

AMMESURÀ LA RARIATE "Misurare la gradinata". Simpatico modo di dire per significare un ruzzolone per le scale.

AMMETÀ A CARNE E MACCARUNE "Invitare a carne e maccheroni". Un invito molto allettante, senza dubbio. Significa offrire la buona occasione, da lungo attesa, per conseguire uno scopo. InizioPagina

AMMIERCHE "Segno", cioè marca, contusione, livido. GIiu piccerieglie è carute e s'ha fatte n'ammierche 'n fronte (il bambino è caduto e s'è fatto un livido sulla fronte).

AMMISCA FRANCESCHE Ammisca significa mescolanza; francesche probabilmente deriva da francese, cioè straniero, incomprensibile. La locuzione, infatti, indica un caotico miscuglio di cose, le più disparate, dove è impossibile raccapezzarsi. In senso figurato si riferisce a una folla di persone capitate insieme per caso, nello stesso luogo, senza che abbiano mai avuto alcun rapporto comune.

AMMISCÀ LA LANE CU LA SETE "Mischiare la lana con la seta"; lo stesso che "fare dell'erba tutto un fascio", senza distinzione di sorta.

AMMOCCHE LIÒ! "Inghiotti leone!", ossia "dai, mangia!". Esclamazione ironica rivolta a un tipo che sta mangiando di buon appetito e in abbondanza.

ANDÒ ARRIVE SCOPPE Mia lettera: "dove arrivo spezzo il filo". Lo dice chi non è sicuro di avere molte possibilità per portare a termine un lavoro. "Non vorrei che tu facessi tutto cotesto lavoro" dice uno. "Non preoccuparti risponde l'altro "andò arrive scoppe" (quando ne avrò abbastanza interromperò).

ANDÒ GLIE FA IUORNE ALLA GLIE FA NOTTE Dove gli fa giorno là gli fa notte, si dice di una persona pigra, di uno che non farebbe nulla dalla mattina alla sera, se calata la notte non si è mosso dal luogo dove l’ha colto il mattino

ANDÒ HE FATTE STATE FATTE PURE VIERNE "Dove hai fatto l'estate fatti anche l'inverno". Si dice quando uno che se l'è goduta nei tempi buoni si ricorda degli altri solo in caso di bisogno.

ANDÒ IAMME A NGRARÀ? "Dove tireremo la barca a secco?" si chiede il pescatore che si dà pensiero per metterla al sicuro. Per traslato la frase significa "come ce la caveremo?".

ANDÓ TÈ GLI’UOCCHIE TÈ LE MANE "Dove tiene gli occhi tiene le mani" Ci sono persone, ma soprattutto i bambini che non sanno tenere le mani ferme e vanno toccando tutto quanto capita sotto gli occhi: A costoro si adatta il nostro motto. Vale anche per quelli che spesso desiderano ciò che vedono, come per esempio i bambini che non si contentano dei propri giocattoli e vorrebbero quelli visti nelle vetrine e nelle mani degli altri

ANDÒ TE LA VAJE A CAGNÀ? "Dove andrai a cambiartela?". La locuzione chiede come si potrà trovare un rimedio in una questione ingarbugliata.

ANDÒ VA Un tale offre da bere a degli amici, che, alzando il bicchiere, dicono rivolti all'ospite: "Alla salute". Ed egli di rimando: Andò va" (dove va, cioè a coloro che bevono). Il motto può tradursi "buon pro vi faccia".

ANDÒ VAJE LE PRETE SO TOSTE "Dovunque tu vada le pietre sono dure". Realistica allegoria per affermare che dovunque si vada è sempre duro guadagnarsi la vita. Ovviamente il motto non vale per tutti! Bisogna considerare che esso è di origine popolare, e che l'emigrazione gaetana è stata costante e alta verso molti paesi del mondo, da moltissimi anni. Ci sarebbe da scrivere molto su questo fenomeno. Della numerQsa colonia gaetana a Marsiglia è stato scritto recentemente un libro da Jacque Roure intitolato "Raphael Nocca pecheur en Mediterranée". Si parla anche dei pescatori di Gaeta nel libro "Les pécheurs du vieux port" di Anne Sportiello. Sono i pescatori che da generazioni si sono stabiliti in Francia, pur tuttavia hanno conservato il dialetto, gli usi e i costumi che da noi sono scomparsi o stanno scomparendo. InizioPagina

ANEME DE GLIU PRIATORIE! (Anime del Purgatorio!). Esclamazione adoperata nei momenti di bisogno o di grande paura, diretta ad invocare la protezione delle anime del Purgatorio, il cui culto è molto sentito.

ANNUNCIÀ L’OSSELE Accomodare le ossa ossia capitare un colpo di fortuna a chi ne ha veramente bisogno per esmpio un poveraccio che finalmente vince un premio alla lotteria

APARÀ ACQUE La locuzione significa "prendere pioggia addosso". Il preciso significato di aparà è "prendere a volo", "raccogliere a volo". Se ne va aparenne acque (se ne va prendendo acqua) si dice con ironia di chi se ne va, senza motivo plausibile, sotto la pioggia e pare che ci prenda gusto, come alle volte fanno i bambini.

APPAPANNÀ "Appisolarsi", addormentarsi per poco, seduto in poltrona.

APPARÀ GLIE RIENTE "Pareggiare i denti". Si dice degli equini quando la lunghezza degli incisivi inferiori raggiungono tutti la medesima lunghezza e questo avviene ai sette anni di età

APPELÀ LA OCCHE A UNE "Tappare la bocca a uno" che evidentemente parla troppo, o addirittura sparla, oppure usa un linguaggio scurrile: ossia costringerlo a tacere con le buone o con le cattive. Appelà deriva da oppilare.

APPELLÀ PE CASINE Gaeta, quando faceva parte della provincia di Caserta, dipendeva dal Tribunale di Cassino, per cui le sentenze della Pretura potevano essere appellate in quel Tribunale. Se una persona si lamenta o fa delle rimostranze e protesta, ironicamente le si dice: "Va bbuò, appielle pe Casine" (va bene, appella per Cassino).

APPENNE SOLE GLIU CAPPIEGLIE "Appendere solo il cappello". Si dice di colui che, prendendo moglie, non spende una lira per mettere su casa, possedendola già la moglie completamente arredata.

APPENNESE NU SCUOGLIE 'N CANNE "Appendersi uno scoglio al collo". Una espressione simile si registra anche in Basile: "schiàffete na fune 'n canne". A chi non riesce a trovare un lavoro, a chi fallisce una prova, a chi non sa farsi largo a forza di gomiti si rivolge scherzosamente una frase di questo genere: Appiénnete nu scuoglie 'n canne e vatte a ittà a mare" (legati uno scoglio al collo e vatti a buttare in mare).

APPIĔNNEĜLIE E' il grappolo d'uva tagliato con un pezzo di tralcio in modo che, formando una T con il gambo del graspo, possa essere afferrato saldamente, senza che scivoli dalle dita. Mò che te ne vaje puértete ss 'appiénneghe (ora che te ne vai portati cotesti grappoli) dice il contadino all'amico che è andato a trovarlo nella vigna.

APPRIESSE AGLI'ÙTEME "Appresso all'ultimo". "I so gli 'uteme e tu appriesse a gli 'uteme" (io sono l'ultimo e tu appresso all'ultimo) si sente dire alle volte dai ragazzi che fanno la conta, inizio di molti giuochi infantili. Sembrerebbe che dopo l'ultimo ci sia ancora un altro; ma non è cosi, "appresso all'ultimo" significa semplicemente il penultimo.

APPUNTA GLIU STÒMECHE "Appuntare lo stomaco". Rompere il digiuno con un piccolo spuntino che tolga la languidezza di stomaco. InizioPagina

APPUÓ APPUÓ Motto intraducibile di origine onomatopeica che sottolinea il tenace parlottare di un petulante che, chiedendo a destra e a manca, non la smette sino a che non riesca ad ottonere quanto desidera

APPURE APPURE "Appura appura", vale a dire "cercato attentamente". La locuzione èusata al posto di "concludendo", "è successo che" e simili.

AREVAZZE È il nome che prende il pettirosso. Per estensione indica la macchia bluastra che si forma sulle gambe di chi si attarda troppo vicino al braciere

ARIGLIE ARIGLIE Ariglie ariglie, chiglie tro ve se glie piglie (grillo grillo, chi lo trova se lo prende). Si tratta della cantilena che si usa ripetere quando si va in cerca di un oggetto smarnto.

ARMIMMECE E IATE "Armiampci e andate". Suona come rimprovero diretto a certe persone che si fanno in quattro nel prendere una iniziativa ma che spariscono quando si tratta di relizzarla, facendo venir meno la loro collaborazione nel momento in cui è più necessaria.

ARRACQUÀ GLIE PIERE "Innaffiare i piedi". E ovvio che una pianta innaffiata cresce più rigogliosa di una che soffre la siccità. Così, per celia, ad un adolescente che cresce troppo in fretta si chiede: "Mamma teje la sere che t 'arracque glie piere?" (tua madre la sera forse t'innaffia i piedi?).

ARRASSUSIE Invocazione accorata che equivale a "Dio non voglia" oppure "lungi da me", pronunciata per scongiurare un eventuale pericolo. La parola ècomposta da arrasse (indietro, dallo spagnolo atras) e sia. Si incontra anche nel Basile.

ARRAZZÀ Insediarsi di animali e insetti in un luogo. "A casa meje se so arrazzate le furmichele" (a casa mia si sono annidate le formiche). Il traslatoè usato anche per le persone invadenti.

ARREDUCE COMME E SANTU LAZZERE "Ridurre come San Lazzaro" vuoi dire pestare uno di santa ragione, producendogli lividi, contusioni e ferite. InizioPagina

ARREMMERIA' LA IURNATE "Rimediare la giornata" vuoi dire riuscire a guadagnare quel tanto sufficiente per vivere un giorno.

ARRETE ARRETE "Indietro indietro". Si dice quando, invece di far progressi, si regredisce. Sta ienne arrete arrete comme e la secce (sta andando indietro come la seppia) la quale, come è noto, nuota procedendo a ritroso.

ARRETIRETE PIRDE! "Ritirati peto!". Cosi si dice scherzosamente a un tale per invitarlo a smettere, a togliersi di mezzo, a lasciare il passo.

ARREVÀ LU RASSE 'N CANNE "Arrivare il grasso alla gola" cioè essere completamente sazi, impossibilitati a ingerire neppure un piccolo boccone. La locuzione si adatta a coloro che senza motivo alcuno abbandonano il lavoro, o lo rifiutano, come se non avessero il bisogno di guadagnare.

ARREVENNE GLIU CANE Uno che procede troppo in fretta è paragonato a colui che viene inseguito da un cane. Pecché puorte ssa presse? Te vé arrevenne gliu cane? (perché mai tanta fretta? Ti insegue il cane?). Viceversa uno che se la prende con comodo, non avendo chi gli fa premura, afferma: "Nisciune me vè arrevenne" (nessuno mi viene inseguendo).

ARRICCA CASE Sembrerebbe definire una persona che lavora sodo e quindi arricchisce la casa. Invece la locuzione è usata con un significato completamente opposto e indica un tale che non ha alcuna voglia di lavorare, e non guadagna neppure quanto basta a se stesso per rendersi indipendente.

ARRISECHE E il nome del tralcio che il contadino, potando la vite, lascia perché produca i grappoli della futura vendemmia. La versione letterale è "rischio".

ARRUCCHIÀ Deriva da arrocchiare, fare un rocchio, cioè un rotolo di monete, e significa raccogliere, raccattare, ragranellare, raggruzzolare. Quando una coppia di sposi rientrava in casa, dopo la cerimonia religiosa in chiesa, si vuotava dal balcone un vassoio pieno di monetine, petali di fiori, confetti e ciambelline. [ragazzi che erano in attesa, radunati al richiamo di a arrucchià, a arrucchià (a raccattare, a raccattare), si tuffavano a capofitto per raccogliere quanto più potevano di monete e di dolciumi, spingendosi e calpestandosi a vicenda. I più piccoli avevano la peggio e qualche ammaccatura poteva scapparci. Se il bottino pareva scarso, cominciavano a gridare: "E' mosce, é mosce la fica mosce" (è moscio, è moscio il fico moscio) e non la finivano finché non arrivava un nuovo lancio e quindi una nuova arrucchiata. InizioPagina

ARRUFFIANARESE Ha un significato diverso da quello italiano. In dialetto vuol dire comportarsi in maniera umile, sottomessa e poco dignitosa nei confronti di una persona influente, allo scopo di entrarne nelle grazie per ottenere favori e benefici o per raggiungere un preciso scopo. Di solito è al proprio superiore che si cerca di arruffianarsi con un ostentato servilismo, che spesso si estende anche ai familiari.

ARTE DE CAIFASSE "L'arte di Caifasso" è quella di mangiare, bere e andare a spasso. Cioè il dolce far niente alle spalle degli altri. E chiaro, quindi, a quale categoria appartengono coloro ai quali piace l'arte di Caifasso.

ASPETTA' LA FEMMENA PRIENE "Aspettare la donna incinta". Cioe' essere sulle spine come colui in attesa di una donna che sta per partorire.

ASSA FÀ A DIE "Lascia fare a Dio"Mettiamoci nelle mani misericordiose del Signore e lasciamo che disponga secondo la sua sapienza

ASSA FA DIE "Lascia fare a Dio". Locuzione che esprime un sentimento di fiducia e di ringraziamento verso Dio. Può corrispondere a "sia ringraziato il Signore", "sia fatta la volontà di Dio".

ASSE DE COPPE "Asso di coppe". Si definisce così un uomo basso e brutto con velleità di conquistatore.

ASSISE ALLE CEPOLLE "Assise alle cipolle". Se uno interviene in una questione che non gli riguarda, senzà essere stato chiamato, e con la pretesa di essere ascùltato, indubbiamente si sentirà apostrofare: "Tu ce manchije! Che si venute a mette l'assise alle cepolle?" (tu ci mancavi! Che sei venuto a mettere il calmiere alle cipolle?).

ASSUMMÀ "Venire in superficie", "venire a galla" Ci ‘assomme si dice di un luogo dove compaiono i fantasmi, gli spiriti dei morti: In senso figurato si dice anche di un luogo solitario, deserto, senza vita, dove appunto si potrebbero incontrare solo i fantasmi. In Abruzzo dicono ci’ arifiurisce

ASTE DE PENNE Sta per indicare l'asticciuola alla quale si applica il pennino per scrivere con l'inchiostro. InizioPagina

ATE CHE PANARE DE FICHE! "Altro che paniere di fichi!". Si dice quando con scarsi mezzi si crede di risolvere una grossa questione, come colui che, in cambio di un semplice paniere di fichi, conta di ottenere un grosso favore.

ATTA ATTE Originale modo avverbiale: lì lì, in procinto, pronto

ATTACCA' DE NIERVE Equivale a "innervosire", "far venire i nervi". Quanne pane chiglie mefa attaccà de nierve (quando parla quello mi fa venire i nervi).

ATTACCHE E SCIOGLIE COMME E MARIA SPERANZE "Lega e scioglie come Maria Speranza" si affibbia con sarcasmo a persona traffichina, imbrogliona, loquace, pettegola

ATTACCHE GLIU SORDE AGLI’ANNÙRECHE "Lega il soldo al nodo" si dice di persona attaccata morbosamente al risparmio: Deriva dall’usanza di legare il denaro in un angolo del fazzoletto quando non tutti possedevano un portamonete. Ugualmente si comportava la massaia che mandava il figlio alla bottega, gli legava il denaro in un angolo del fazzoletto, nel quale il bottegaio metteva la merce: la carta era rara e le buste di plastica erano di là da venire

ATTANTÀ GLIU CARECAGNE DE GLIU MÒNECHE "Palpare il calcagno del monaco". Ci sono persone che le vogliono vincere tutte. Di esse si dice che vogliono persino palpare il calcagno del monaco, cosa che a nessuno verrebbe in mente di fare.

ATTANTÀ LA CAGLINE "Tastare la gallina". E l'accertarsi se la gallina è prossima a deporre l'uovo, sentendolo con la punta del mignolo, introdotto con precauzione nella cloaca.

ATTAPPE A BIAZJE E SBUOGLIE A MARIARAZJE "Copri Biagio e scopri Mariagrazia" evidentemente la coperta non bastava per entrambi i vecchietti

ATTREZZÀ "Attrezzare" oltre al significato che ha in lingua ne ha degli altri. ATTREZZÀ CACCHE COSE (attrezzare qualche cosa) vuol dire preparare, improvvisare qualche cosa da mangiare. ATTREZZÀ GLIU BRORE, GLIU RAU', ecc. vuol dire restringere il brodo, il ragù, ecc. STA BUONE ATTREZZATE significa essere bene organizzato, ben fornito.

AUCIEGLIE DE MALA NOVE "Uccello di cattiva nuova" cioè di malaugurio. Si dice di un pessimista che in ogni occasione non fa che prevedere n sultati negativi.

AUGLIE AUGLIE, TIEMPE DE MBRUOGLIE Quando intorno si vede un movimento insolito, chi parlotta sottovoce o ammicca, quando insomma circola qualcosa di poco chiaro, chi ne è all’oscuro mormora: "Auglie auglie, tempo di imbrogli"

AUMME AUMME Voce onomatopeica che imita il suono della bocca impegnata a mangiare con avidità. Avite fatte aumme aumme (avete divorato tutto). Detto in senso metaforico assume il significato di "avete fatto alla chetichella". MAUMME venivano chiamati gli appartenenti ad un raggruppamento politico che, insieme agli antagonisti LUPPE LAPPE (locuzione con lo stesso significato di divorare avidamente) si spartivano, sino all'avvento del fascismo, l'amministrazione del comune.

AURIENZE Dal latino audientia: "prestare ascolto". Ne' glie dà aurienze, è nu mbruglione (non dargli ascolto, è un imroglione). InizioPagina

AVASCE CA VINNE "Cala e venderai". Si dice allo spaccone che le sta sballando tanto grosse che nessuno potrebbe crederle.

AVÉ LA QUAGLIE ‘N PARE Avere la quaglia nella para ossia nella rete, vale a dire essere certi di aver ottenuto ciò che si voleva

AVÈ NU ZUÓCCHEG^LIE ‘N FRONTE "Avere uno zoccolo in fronte" non è nulla di male, anzi se si sente chea qualcuno è capitato vuol dire che gli è piovuto addosso una fortuna inaspettata

AVERZE Si tratta della città di Aversa. I a Averze (andare ad Aversa) è sinonimo di andare al manicomio, e in senso metaforico vuol dire impazzire, perdere il senno, come coloro che venivano portati al manicomio di quella città quando Gaeta faceva parte della provincia di Caserta.

AWANNE "Quest'anno" (il Basile scrive aguanno). Awanne aimme aute na bona cota d'uve (quest'anno abbiamo avuto un buon raccolto di uva).

AZZAFFUNNÀ NA ZANNE "Affondare una zanna" come la belva che ghermisce una buona preda e non se la lascia scappare. Metaforicamente azzaffonne na zanne (affonda una zanna) quella ragazza di modesto livello sociale che riesce a sposare un uomo ricco.

AZZECCA TURNESE "Attacca tornesi", cioè calamita i denari. I tomesi erano monete una volta in circolazione nel regno di Napoli. Si allude al sesso femminile che può rendere moltissimo quando viene impiegato per il più antico mestiere del mondo.

AZZEFITE "Infreddolito", "intirizzito", "tremante per il freddo". Cu stu viente fridde ce simme tutte azzefite (con questo vento freddo ci siamo tutti intirizziti).

AZZUPPA' LU PANE "Inzuppare il pane". Godersela per i guai di un altro, e per di più sparlame (inzupparci il pane) con maldicenza.

BACCALA' E sinonimo di "babbeo". Sì nu baccalà (sei un babbeo).

BAINE DE FASUGLIE Zuppa di pane e fagioli lessi, conditi con olio, sale, prezzemolo, aglio e peperoncino; alcuni ci aggiungono anche il sedano. Piatto assai comune, soprattutto nelle case più modeste, quando un tempo la massaia che era riuscita a mettere sul fuoco la pentola con i fagioli (la carne dei poveri) aveva risolto il più importante problema della giornata. InizioPagina

BANCHERIA' "Bighellonare". E' buone sole a i bancherienne. (E buono soltanto ad andare in giro bighellonando).

BATTIFONDE E un termine usato dai partecipanti al tocco, i quali, con il gioco delle carte, decidono chi deve pagare il vino consumato. Partecipano al battifonde otto amici che si dividono in due gruppi di quattro, ognuno dei quali gioca una partita. I quattro perdenti pagheranno il vino per il tocco.

BEGLI’OME- BONA FÉMMENE "Bell’uomo- buona donna ". Due simpatiche espressioni per indicare con un certo riguardo un uomo o una donna che non si conoscono, invece di adoperare "signore-signora" che in dialetto equivalgono a persona ricca, benestante. Nella forma vocativa si usano begli’o’ e bona fe’

BEGLIE DAGLIU PERE "Bello dal piede". In una ninna nanna si canta: "Stu figliu mije è beglie dagliu pere e tè la cammenate de signore...". (Questo mio figlio è bello a cominciare dal piede i e tiene il portamento di un signore...). La locuzione, però, può essere usata anche in senso ironico quando si vuole alludere al contrario.

BEGLIU CARÒFEÒLIE "Bel garofano". Epiteto canzonatorio che si affibbia a un tipo tutt'altro che raccomandabile.

BENE MIJE! "Bene mio!". Esclamazione che può tradursi con: Santo cielo!

BENE O MALEComunque vada

BENEDETTE LA PUĜLIZZIE "Sia Benedetta la pulizia", questo sarcastico motto viene spontaneo davanti a una persona piuttosto sporca negli abiti e nel corpo. Si dice anche ironicamente a chi incaricato di fare una buona pulizia la trascura

BRAVE DE PENNE E LESTE DE CAPE "Bravo di penna e lesto di capo"

BRUCATURE Deriva da brucco oscuro. Lo usa anche il Basile. A brucature d 'ane (all'imbrunire; al calar della sera). InizioPagina

BRUCIA' GLIU PAGLIONE "Bruciare il paglione" significa "ingannare",sottrarre con malizia a un socio la propria parte in un affare comune.

BRUTTE COMME E LA PESTE "Brutto come la peste"; si dice di cose e di persone molto brutte.

BUON GIORNE E BUONA SERE, OGNUNO A CASA SEJE Buon giorno e buona sera, ognuno a casa sua

BUON GIORNE E PASSE "Buon giorno e passa". Cu chiglie buon giorne e passe. Cioè: quello èun tipo con il quale non intendo allacciare alcun rapporto, per cui mi limito allo scambio di un solo cenno di saluto di fredda cortesia e tiro per i fatti miei.

BUON GIORNE E SALUTE Con questo modo cortese alle volte si risponde ad un saluto. Ma questo modo di ricambiare il saluto, spesso richiama a chi ascolta un seguito che suona così: Buon giorne e salute, ogni passe na carute. Quanne arrive agliu purtone puozze fà nu ruzzulone. (Buon giorno e salute,/ ogni passo una caduta./ Quando arrivi al portone/ possa fare un ruzzolone.

CA U Singolare modo per dare una risposta affermativa. "C'ha ditte pàtete?" (che ha detto tuo padre? "Ha ditte ca u" (ha detto di si).

CACÀ ALL’ADERTE "Cacare all’impiedi". Mordace ed eloquente modo per ridicolizzare chi sta tessendo servilmente le lodi di uno che assolutamente non le merita

CACAZZIEGLIE Si indica con questo termine un ragazzo minuto e di bassa statura. Deriva da cacazze, piccola pallottola di sterco.

CACCIA LA CAPE DAGLIU SACCHE "Cacciar la testa fuori dal sacco". Si usa con lo stesso significato di iscì da derete gliu però. (Vedi).

CACCIÀ PASCHE "Cacciare Pasqua". Offrire agli ospiti un ottimo e abbondante pranzo

CACHE E SECCHE "Caca e secca". Attribuita a una persona, questa locuzione rappresenta il colmo dell'avarizia, che non vorrebbe buttar via neppure gli escrementi.

CAGLINA BIANCHE "Gallina bianca". L'espressione gallinaefilius albae si trova in Giovenale. Chi te crire d'esse, figlie de la caglina bianche? (chi credi di essere, figlio della gallina bianca?) cioè figlio di un privilegiato?

CAGNÀ FUOGLIE "Cambiare foglio" voltar pagina, cambiar argomento

CAGNÀ L'ACQUE ALL'AUGLIVE "Cambiare l'acqua alle ulive"; metafora che ha il significato di "andare con una donna".

CALÀ A RIENTE E TRAETTE Fa parte del gergo marinaro e vuol dire calare la rete in mare giunti all’allineamento con il Monte d’Argento (Riente) e Minturno (Traette)

CALAMARE SENZA RANCE "Calamaro senza tentacoli". La gustosa espressione è usata per definire un minchione, uno sciocco, un grullo. InizioPagina

CANNELELLE Non è il diminutivo di cannele (candela) ma è la lucerna ad olio. I truenne cu la cannelelle sigriifica andar cercando attentamente in ogni dove una cosa o una persona introvabili, cercare con il lanternino. I TRUENNE UAJE CU LA CANNELELLE vuol dire andarsi a ficcare spontaneamente nei guai. Cannelelle, in senso figurato, vuole indicare il moccio che cola dal naso dei bambini.

CANOSCE ASUORVE "Conoscere il sorbo" significa conoscere a fondo una persona, con tutti i suoi pregi e difetti. Si racconta di un contadino che, curvatosi a baciare un Crocifisso posato ai piedi dell'altare, la sera del giovedì santo, restò impigliato con il bavero a un chiodo della croce. Il contadino, che aveva fornito il tronco di un suo sorbo per scolpire quel Cristo, allora esclamò serio: "lamme mò làsseme, te crire ca me fai mette paure? I te canosce asuorve!" (Orsù lasciami, credi di spaventarmi? Io ti conosco da quando eri un sorbo!). Della storiella esiste una seconda versione.

CANOSCE PIĜLIE PIĜLIE "Conoscere pelo per pelo". La locuzione ha lo stesso significato della precedente, cioè conoscere minutamente una persona (pelo per pelo), sotto tutti i punti di vista.

CANTA' GLIU VANGELE 'N CAPE Se un bambino è troppo vispo, irrequieto, turbolento, non è raro che qualcuno di famiglia suggerisca alla madre: "A ssu figlie gli 'ha fa cantà gliu Vangele 'n cape" (a cotesto figlio devi far cantare il Vangelo in testa); cioè le consigliano di condurre il bambino in chiesa per farlo esorcizzare dal parroco, il quale, mentre recita l'apposita formula, gli tiene posato il Vangelo sul capo. A questa pratica si ricorreva sino a tempo fa, non solo per il bambino turbolento, ma anche per il malaticcio, credendoli preda di un maleficio.

CANTA' LA DIASILLE "Cantare il Dies irae" significa ridursi ad elemosinare, fare il pezzente che gira per le strade chiedendo la carità. Il Dies irae è la preghiera per i defunti che un tempo recitavano i mendicanti (ciechi e storpi su carrettini tirati da cani), il 2 novembre lungo la strada per il cimitero, a suffragio delle anime del Purgatorio, ricevendo oboli dai passanti che si recavano a visita re le tombe dei loro cari.

CANTA' LA WÀLLERE "Cantare l'ernia scrotale". Chi è affetto da tale male, burlescamente, è ritenuto capace di pronosticare i mutamenti metereologici allorché glie cante la wòllere (gli canta l'ernia), cioè accusa qualche disturbo. Metaforicamente il detto vale anche per chi fa previsioni di eventi sfavorevoli, pur non essendo affetto da questo male. Allora si sentirà dire: "Ma che te cante la wàllere?" (ma che ti canta l'ernia?).

CAPACE Si può tradurre con forse, è probabile, può darsi. Purtimmece gliu mbrelle, capace piove (Portiamoci l'ombrello, può darsi che piova).

CAPE DE BOMME "Capo di bomba" vale a dire testone, grande come le palle di cannone di una volta.

CAPE DE CESTUNIE "Capo di testuggine" si adopera per indicare una persona dalla testa piccola su un busto piuttosto voluminoso, che fa notare maggiormente il contrasto.

CAPE DE PEZZE "Capo di pezza". La monaca moderna si è evoluta anche lei: porta la gonna a metà gamba, scarpe e calze comuni, cuffietta dalla quale spuntano riccioli di capelli. Una volta non era cosi; della suora erano visibili le mani e la parte anteriore del viso, tutto il resto era nascosto dall'abbigliamento. Le gonne, ampie e lunghe, sfioravano il suolo e lasciavano scorgere soltanto la punta delle scarpe. La cuffia, poi, spesso molto complicata ed appariscente, scendeva sulla fronte, copriva la maggior parte delle guance, la gola e le orecchie, non lasciando sfuggire neppure un capello. Conciata a quel modo si comprende benissimo come la fantàsia popolare non poteva inventare per loro una espressione più indovinata di cape de pezze.

CAPE DE ZAZZAELE "Capo di Zazzaele" si dice a chi ha un testone. Zazzaele era un idrocefalo con un grosso testone, abitualmente seduto in capo a un vicolo nei pressi degli Scalzi. Gli scolari che si recavano a S. Antonio lo molestavano e lui minaccioso gridava: "Mò te mene gliu bòtte" (ora ti lancio il bòtte) un bicchiere ricavato dagli stagnini locali saldando un manico a un barattolo di estratto di pomodori. Il bòtte era usato a bordo e nelle famiglie meno abbienti al posto del bicchiere di vetro: cadendo non si rompeva. Deriva dall’inglese pot InizioPagina

CAPE DE ZI VICIENZE! "Testa di zio Vincenzo!". Corrisponde a caspita, accipicchia, accidenti, perbacco.

CAPE E ROCE "Testa e croce". Questo giuoco, diffuso dappertutto, si fa lanciando due monete in aria: si vince se due teste capitano sù, mentre si perde se capitano due rovesci. Si possono vincere e perdere anche grosse somme.Ispirata al giuoco si canta questa strofetta: Glie denare de Zucabrode me gli 'ho iucate a cape e roce. lesce cape e iesce roce: gliu cape e roce m'ha misse 'n croce.(I denari di Zucabrodo/ li ho giocati a testa e croce./ Esce testa ed esce croce: il testa e croce mi ha messo in croce).

CAPE MARIUOĜLIE Come esiste il capo mastro così c'è anche il capo ladro (cape manuoĝlie), cioè il primo dei ladri, il ladro abile tra gli abili. Esiste il capo imbroglione, il capo imbecille e così via, come anche la capafémmene (la più bella donna), la capa sarte ('a migliore sarta) ecc.

CAPISCRAJE Formato da craje e piscraje (domani, dopodomani) significa uno dei prossimi giorni, un giorno o l'altro. PISCRIGNE (oggi a tre).

CAPÒTECHE Chiste è nu uaglione capòteche (questo è un ragazzo caparbio). Si traduce anche con testardo, ostinato, cocciuto.

CAPPIEGLIE ALLA SGHERRE Il cappello alla sgherre, molto inclinato da un lato, lo portavano i camorristi di una volta come segno di distinzione insieme con il bastone, un grosso anello al mignolo e la catena dell'orologio da tasca bene in vista. Erano degli angioletti di fronte ai feroci criminali di oggi, di solito mascherati sotto rispettabili etichette. La locuzione corrisponde a "cappello sulle ventitré".

CAPUANIEGLIE E il nome dato al melone capuano. "Capuanieglie chine 'e zucchere" (capuanelli pienI di zucchero) era il richiamo dei venditori di meloni, provenienti da Capua con i carri carichi dei gustosi frutti. "Appienne, appienne continuavano ve donghe pure 'o chiuove" (appendi, appendi, vi dò anche il chiodo).

CAPUNATE E' un pasto assai usato in navigazione nei giorni in cui il mare agitato non permette di mantenere dritta una pentola sul fuoco. Inoltre pare che la capunate non provochi il vomito, fenomeno connesso al mal di mare. Si prepara con pezzi di galletta rinvenuti in acqua, quindi conditi con sale, aceto, olio, peperoncino forte e aglio.

CARAMELLE DE VETRE "Caramelle di vetro" dette così perchè somiglianti a pezzetti di vetro. Un tempo le producevano i pasticcieri locali con zucchero caramellato, steso su una lastra di marmo unta di olio e tagliato a quadratini, ancora caldo, con un apposito rullo munito di lame. Erano le più economiche ed erano ritenute efficaci per calmare la tosse

CARDA' LA LANE "Cardare la lana" significa vincere al gioco tutto il denaro posseduto dall'avversario. In senso più generico vuol dire "sistemar bene per le feste".

CARE TE COSTE SSA RAOSTE! "Caro ti costa cotesta aragosta"!. L’aragosta sarebbe un regalo o un favore da ricambiareInizioPagina

CARIÀ ACCUOGLIE "Trasportare pesi addosso". Un tempo questo lavoro duro era riservato a chi non aveva imparato un mestiere; oggi con tutte le macchine che esistono capita assai eccezionalmente. "Te manne a carià accuoglie" (ti mando a portar pesi sulle spalle) è la minaccia rivolta dal padre al figlio che non ha volontà di frequentare la scuola o di imparare un mestiere in una bottega artigiana.

CARNE DE GLIE ZAPPATURE "Carne dei contadini" sono le lumache. Si faceva la provvista catturandole nei giorni di pioggia e si conservavano prigioniere in una biconcia, dove restavano a spurgà tutto il tempo necessario per liberarsi completamente l’intestino. Quando ce n’era bisogno se ne prendeva la quantità necessaria

CAROCCHIE Così si dice il colpo secco picchiato con le nocche sulla testa altrui.

CARROZZE DE SPOSE "Carrozza di sposa". Locuzione con la quale si indica il "landau", vettura elegante a due mantici e due sedili contrapposti, tirata da una pariglia. Una volta, quando automobili non ne circolavano, con essa gli sposi si recavano in chiesa a contrarre matrimonio e per ciò è chiamata a questo modo.

CARTE ‘N TERRE, SANTE ‘N CIEĜLIE "Carta in terra Santo in cielo". Quando una figurina di Santo è diventata così sciupata da ritenersi inservibile, non si strappa come una carta qualunque e si butta tra i rifiuti. Quella è una immagine di un Santo e va trattata con tutto il rispetto e la venerazione che merita. Trattare l’immagine come una cartaccia qualunque è un necrilegio; nessuno si sentirebbe di fare una cosa simile. Perciò si ricorre al fuoco, alla fiamma rigeneratrice che lascia a noi le ceneri della carta, che appartengono alla Terra e libera lo spirito del Santo che appartiene al Cielo. Mentre dura la fiamma si ripete: "Carta ‘n Terre, Sante ‘n Cieĝlie"

CASCETTE "Cassetta" o serpa della vettura. TE NE VAlE 'N CASCETTE (te ne vai in cassetta) cioè in carrozza come un gran signore che può permettersi la spesa di grosse somme. Così si dice ironicamente a chi con leggerezza si invischia in un affare, rischiando di spendere troppo.

CASE CAVAGLIE "Cacio cavallo". Il cacio cavallo, appena fatto, viene messo in un intreccio di quattro cordicelle di fibre vegetali e poi appeso. Stagionando, le quattro cordicelle lo penetrano un poco, segnandolo in quattro settori, ognuno dei quali viene paragonato ad una faccia di una medesima cosa. Quando si vuol dire che una persona è finta, che fa più parti in commedia si dice che FA QUATTE FACCE COMME E GLILJ CASE CAVAGLIE (fa quattro facce come il cacio cavallo).

CASE E PUTEJE "Casa e bottega" con il significato di vicinissimo, a due passi. Il modo di dire ha origine dal fatto che una volta molti negozianti vivevano nel retrobottega dove avevano cucina, letto e tutto il resto.

CASSETELLE Così è detto lo scaldino di un tempo, formato da una cassettina di legno con due traversine nella parte superiore, dentro la quale si mette un recipiente metallico pieno di carbonella accesa.

CATARATTE Si tratta della porta che conduce alla terrazza di copertura delle case.

CATUCCE E il protagonista di alcuni racconti nei quali ne combina di tutti i colori. "NE FA CCHIÙ ISSE CHE CATUCCE" (ne fa più lui che Catucce si dice di chi una ne fa e cento ne pensa. InizioPagina

CAUZUNE A ZOMPAFUOSSE "Calzoni a saltafosso". Viene detto così un paio di calzoni che non scendono a meno di un 20 centimetri dal suolo. Infatti chi deve attraversare un tratto piuttosto inzaccherato se li tira un poco sù per non farli imbrattare

CAZZA CAZZE, PRIESTEME SSA SCOPE Se uno sta spazzando e un altro gli viene a chiedere la scopa, evidentemente fa una richiesta inopportuna, costringendo il primo ad interrompere il lavoro. Cosi se un tale va a chiedere un favore qualsiasi a una persona mettendola in difficoltà, è il caso che questa gli risponda: "Te ne vié cazza cazze, priésteme ssa scope" (te ne vieni bel bello, prestami cotesta scopa) che in altre parole significa: una volta che ti faccio questo favore, io come me la caverò?

CAZZE NFASCIATE"Membro fasciato". Maliziosa allegoria equivalente a minghione

CAZZELLI E CAPE D'ACHIUOVE "Cazzelli e testa di chiodo" non significa nulla; sono due termini che non hanno alcuna relazione tra loro, appunto perché cazzelli non si sa neppure che cosa voglia dire. Con questa locuzione si interrompe chi interviene con un ragionamento per nulla pertinente alla discussione in atto.

CCHIÒ CCHIÒ PAPERACCHIÒ È il beffardo commento, quanto mai coinciso, a un discorso pieno di enfasi e di retorica ma privo di contenuto. L’oratore ha parlato, magari è stato prolisso, in sostanza, però non ha detto alcunchè di interessante o di convincente. Parole, solo parole vuote come il verso del merlo (cchiò cchiò) sottolineato dal paperacchiò, parola canzonatoria senza significato aggiunta per rima e rafforzare il motto

CCHIÙ AFORE IAMME, CCHIÙ MARE TRUIMME "Più ci spingiamo al largo e più mare grosso troviamo". La frase viene detta con una certa preoccupazione da chi, essendosi impegnato seriamente a portare a termine un lavoro, a un certo punto si accorge, sfiduciato, che più avanti va e maggiori sono le difficoltà.

CCHIÙ MEGLIE "Più meglio", tradotto letteralmente. Il comparativo di maggioranza viene rafforzato dall'avverbio più. Per distinguere che questo vino è migliore di quello, si dice: "Stu vine è cchiu' meglie de chiglie".

CCHIÙ NIRE DE LA MEZANOTTE NE' PÒ ESSE "Più nero della mezzanotte non può essere". C'è un pover'uomo che ha dei grossi problemi e si sente sfiduciato, avvilito, depresso perché li considera talmente gravi da non vedere una via di uscita. L'amico lo ascolta e alla fine, per rincuorarlo, commenta: "Cchiù nire de la mezanotte ne' pò esse!". Con questa frase espressiva ed ottimista, l'amico lo invita a non disperare e a non preoccuparsi più del necessario, poiché a tutto c'è rimedio e qualche spiraglio di luce è sempre possibile.

CE NE ULESSE UNE PE SIGNE "Ce ne vorrebbe uno (soltanto) per segno". Si sa che i figli spesso fanno chiasso stando in casa, mettendo a dura prova la pazienza dei genitori. Ebbene, quando una madre la perde e li manda al diavolo, grida loro questa invettiva il cui significato è chiaro: di figli basterebbe averne soltanto uno per dare il segno della propria capacità di procrearne. Riferendosi a donne si va ancora oltre; infatti di esse si dice che CE NE ULESSE UNE PE REGNE (ce ne vorrebbe una per regno).

CE POZZE PENZÀ....."Ci possa pensare...." Imprecazione rivolta a chi ci fa del male. La frase viene completata con il nome della persona o anche del santo che dovrebbe ristabilire l’equilibrio, facendo pagare il prezzo del torto subito con la stessa moneta. Di solito si tratta di un parente stesso: il figlio, il marito, la nuora o la suocera. InizioPagina

CE STA N'UORTE A SANTU VITE! "C'è un orto a San Vito!". In un orto c'è sempre da lavorare, le culture stagionali si avvicendano senza sosta in tutto il corso dell'anno: insomma c'è sempre fervore, movimento. L'allegoria ce sta n 'uorte a Santu Vite! indica un luogo che si distingue per animosità ed attività, ma anche per la confusione, l'allegria ed il chiasso.

CE ULEJE SSU BARCONE A SSU PALAZZE "Ci voleva cotesto balcone per cotesto palazzo", quando un naso per grandezza o per forma è di un tipo poco comune, per non mortificare il proprietario viene usata questa frase. In sostanza vorrebbe dire che per quel viso non ci sarebbe naso più adatto

CE VO' GLIU BANCHE DE NÀPÈGLIE! "Ci vuole il Banco di Napoli!". Questa amara espressione si dice di fronte a una circostanza che richiede l'impiego di un grosso capitale di cui non si può disporre. Si dice anche CE VONNE LE CARTE CU GLIE CAVAGLIE (ci vogliono le carte con i cavalli) le quali erano banconote da 50 lire emesse dal Banco di Napoli il 1877, con un valore di tutto rispetto in quell'epoca.

CE VO' LA DOTE DE SANTA RITE "Ci vuole la dote di Santa Rita". Quando una ragazza è piuttosto bruttina, si dice che ha bisogno della dote di Santa Rita, una dote molto ricca, perché qualcuno, allettato, si decida a sposarla.

CE VÒ L'INNIE "Ci vuole l'India". Si commenta con animo sfiduciato in questo modo, allorché si è convinti che sarebbero necessarie enormi risorse per poter affrontare problemi che appaiono insormontabili. Si dice anche CE VONNE LE MARGIATE DE SERBE (ci vogliono le onde di Serapo) che, come si sa, sono molto più grandi e potenti di quelle prodotte all'interno della rada.

CE VO' MARE MUORTE "Ci vuole mare morto". Un motto alquanto strano per dire che occorre una notevole quantità di cibo per soddisfare la voracità di una persona.

CE VÒ NA DOTE DE FIGLIA FEMMENE "Ci vuole una dote di figlia femmina". Perché una ragazza vada a marito con una discreta dote, la madre incomincia a prepararle il corredo sin dall'infanzia. Mrivata alle nozze, si è impiegata una bella somma. Questa frase si usa quando bisogna affrontare una grossa spesa.

CE VO' PIETE BAIALARDE "Ci vuole Pietro Baialardo". Diciamo proprio cosi quando ci troviamo di fronte a una questione assai intricata che appare insolubile senza l'aiuto di un potere al di là delle facoltà umane. La locuzione risale a un personaggio leggendario, che pare sia vissuto a Salerno, nel secolo XII, un certo Pietro Berliario (trasformatosi prima in Bailardo e poi in Baialardo), studioso di alchimia, di astrologia e di scienze naturali. La leggenda se n'è impossessato, facendolo diventare il più famoso degli stregoni. Di lui se ne raccontano diverse; consultando i suoi libri era capace di stregonerie favolose, come quando, chiuso in prigione, fece sollevare il carcere con tutti gli occupanti. Condotto sul patibolo, sostituì se stesso con un asino nelle mani del boia. Finì per convertirsi dopo che due suoi nipotini, rinvenuti per caso i suoi libri ed evocati gli spiriti infernali, morirono di spavento quando se li videro apparire davanti; altri dicono che la sua conversione fu opera del miracoloso intervento di un Crocifisso. Sarebbe morto, frate benedettino, il 25 marzo 1149. Con una variante esiste un secondo modo di dire simile al precedente ma con un significato diverso: CE VÒ GLIU CURAGGE DE PIETE BAIALARDE. Non si tratta più di ricorrere a stregonerie per risolvere un caso impossibile, ma al coraggio schietto di un valoroso che affronti la situazione fidando esclusivamente sulle proprie forze fisiche. La variante è stata apportata nel periodo in cui, durante le lotte tra Francesi e Spagnoli, si sparse la fama di Baiardo (Pierre Terrail, signore di Bayard) il cavaliere senza macchia e senza paura. Baiardo e Baialardo suonano quasi identici all'orecchio e quindi fu facile confondere un personaggio con l'altro e identificarli. Pierre de Bayard venne la prima volta in Italia al seguito del conte di Ligny e prese parte alla spedizione di Carlo VIII (1494). Da allora sino alla morte si distinse per il coraggio, ma soprattutto per la lealtà e la generosità. Non si contano le sue gesta eroiche. Dato il ruolo che Gaeta svolse in quel movimentato periodo, è certo che i Gaetani lo conobbero di persona sin dal 1495, quando la città si arrese a Carlo VIII. Nel 1503 i Francesi, sconfitti da Consalvo di Cordova prima a Seminara e poi a Cerignola, si ritirarono sino al Garigliano, dove opposero una tenace resistenza. Il 27 dicembre dovettero cedere e si racconta che Pierre de Bayard, novello Orazio Coclite, da solo, sul ponte del Garigliano, tenne testa per una mezz 'ora a duecento cavalieri spagnoli. I Francesi si rifugiarono in cinquemila nella fortezza di Gaeta e con loro c'era anche Baiardo. Pochi giorni dopo, il l gennaio 1504, i Francesi cedettero la fortezza e ne uscirono con tutti gli onori militari. Il gesto del prode cavaliere volò senza dubbio di bocca in bocca in tutta la città, perciò nulla di straordinario se la più antica locuzione si adattò al prode Bayard. Pierre combatté tante altre battaglie sempre con eguale valore, finché nel 1524, a capo della retroguardia che contrastava il passo alle truppe imperiali al comando di Carlo di Borbone, fu colpito a morte nei pressi di Roario, fra Gattinara e Ivrea. Onorato da amici e nemici, la storia lo ha consacrato come l'ultimo grande rappresentante della cavalleria medievale ormai al tramonto. InizioPagina

CE VONA MUGLIERE COMME E NUSTEPONE "Ci vuole una moglie come un armadio". Un ragazzo piuttosto sviluppato di corporatura ma non abbastanza di cervello gioca con compagni più piccoli e magari finisce che con una spinta ne manda a finireuno a urtare in qualche parte e procurargli del male. Qualcuno vede e gli dice" Ma come, ci vuole una moglie grande e grossa come un armadio e tu ancora giochi con questi ragazzini?

CE VONNE DUDDACE MADÒNNE E MEZE "Ci vogliono dodici Madonne e mezzo" quando il caso è estremamente difficile, occorre qualcosa in più e non basta rivolgersi alla Madonna con i sette titoli noti e venerati nel paese:Portosalvo, Cintura, Carmelo, Rosario, Catena, Longato, Casalarga

CE VONNE QUATTE MÒNECHE SCÀUZE "Ci vogliono quattro monache scalze" a sevire certe persone esigenti oppure non capaci

CE VONNE SÈTTE MADÒNNE "Ci vogliono sette Madonne" si dice nei casi difficili

CECA N'UOCCHIE "Accecare un occhio". Quando si risolve la prima parte di un lavoro che si presenta difficile, si esclama soddisfatti: "Avimme cecate n' uocchie!". Il Basile usa il verbo cecare nel significato di "far centro".

C'ESCE GLIU BRORE C'ESCE LA ZUPPE "C'esce il brodo", "c'esce la zuppa".Sono due modi di dire con il medesimo significato, vale a dire che, chiamati a fare un lavoretto o impegnati in una piccola speculazione, si è sicuri di ricavarci quel tanto di guadagno (il brodo o la zuppa) per cui vale la pena di accettare.

CETRUĜLIE SEMENTUSE E' quel cetriolo rimasto troppo a lungo sulla pianta, i cui semi si sono induriti e, quindi, è diventato immangiabile. Dare del cetruĝlie sementuse a una persona si intende definirla buona a nulla, sciocca, un vero citrullo e per di più sementuse. Citrullo deriva da citriolum.

CHE BEGLIE ACQUISTE CH’HO FATTE! "Che bell’acquisto che ho fatto!" Lo ripete con ironia, a vergogna di se stesso, chi, credendo di ottenere un tornaconto, si caccia in un affare finito in perdita

CHE' CHE' CHE'CHERECCHE' Curioso modo, tra lo scherzo e l'ironia, con il quale si intende stroncare i cavilli di uno che, durante una discussione, interrompe con frequenti che?, in segno di disapprovazione.

CHE CI’HA A CHE FÀ GLIU CAZZE CU GLIU MARAZZE? "Che centra il pene con il marasso (vipera molto pericolosa)?. Se uno interviene in una questione con un argomento del tutto estraneo è questa la risposta che può ricevere

CHE GLIE VAJE A TOGLIE, LA BANCHE DE LA SCIGNE? "Che gli vai a togliere, la banca della scimmia?". È il consiglio che si dà a un amico per dissuaderlo da un litigio con uno che non ha nulla da perdere. Non ne vale la pena, che lo lasci andare. Quando ben bene avrà la meglio ci guadagnerà un bel nulla: la banca della scimmia

CHECCHINE NE' CANOSCE LA TRE RANE "Checchina non conosce la tre grana", moneta di rame del Regno di Napoli; occorrevano 10 grana per formare il carlino, 100 per il ducato e 120 per la pezza o piastra. Un grano equivaleva a 0,0425 lire del tempo. La frase si dice ironicamente a chi, avendo fatto fortuna, finge di aver dimenticato i tempi della miseria.

CHELLE CHE VÈNA VÈNE! "Ciò che viene viene!". Esclamazione che denota rassegnazione e scetticismo. Facce comme diche i e chelle che vèna vene (farò come dico io qualunque cosa avvenga). InizioPagina

CHELLE S’ARRECORDE LA VENUTE DE CRISTE "Quella ricorda la venuta di Cristo" si dice di una persona molto anziana

CHESTE E' LA RICETTE E DIE TE LA MANNE BONE "Questa è la ricetta e Dio te la mandi buona". La frase si adopera per ribadire che le condizioni sono quelle già convenute e non c'è da fare altro: se conviene è bene, altrimenti bisogna arrangiarsi.

CHESTE PASSE GLIU CUMMENTE "Questo passa il convento". Non c’è scelta, bisogna accontentarsi, o prendere o lasciare. Ha origine dalla scodella di minestra che i conventi offrivano ai questuanti che bussavano alla loro porta

CH'HE VISTE LA lATTE ANNURE? "Che hai visto la gatta nuda?". Frase scherzosa diretta a chi ha preso tanta paura per nulla.

CHI HA VISTE GLI'ASENU MIE? "Chi ha visto il mio asino?". Si racconta di un tale che, sedendo in groppa al proprio asino, andasse in giro a domandare se qualcuno lo avesse visto. Il traslato, di chiara origine contadina, vale per coloro che non si accorgono di avere sotto gli occhi un oggetto e lo chiedono agli altri.

CHI SA CHE TE CRIRE! ABBARE CH'HANNE ITE 'N FUNNE ĜLIE MARESCHE "Chi credi di essere? Sta attento, perché anche i Maresca sono andati a fondo". Monito che si rivolge a un prepotente, a un superbo, a un neo arricchito. Certamente la frase si riferisce ai Maresca dell'antica famiglia di armatori di Piano di Sorrento.

CHI TE FA GLIUCE? "Chi ti fa luce?". Anticamente il signore che usciva di notte le strade restavano completamente al buio si faceva precedere dal famiglio che reggeva una fiaccola. Un povero, che non solo non aveva un famiglio ma non poteva disporre neppure di una fiaccola, doveva arrangiarsi procedendo nel buio. Oggi si risponde con un "chi ti fa luce?" a uno che ci chiede un favore e non possiamo accontentarlo perché non possediamo quanto ci ha chiesto, denaro o cosa che sia.

CH'IE' E CHE N'lE' "Che è e che non è". Espressione che risponde a "comunque sia".

CHISTE E SPELONCHE! "Questa è Sperlonga!". Sino a che non fu aperta la moderna via Flacca, Sperlonga restò un piccolo grazioso paesino, modesto e senza pretese, poche case arroccate su uno scoglio. Se a uno si chiede più delle sue possibilità, questi, paragonandosi alla modesta Sperlonga, per dire che non possiede mezzi sufficienti, che le sue possibilità sono piuttosto limitate, esclama: "Chiste è Spelonche!". Sempre riferendosi all'antico e piccolo centro di Sperlonga ci è rimasto questo detto: SPELONCHE CU NA CACATE SE IEMPE E CU NA PISCIATE SBERZE (Sperlonga con una cacata si riempie e con una pisciata trabocca).Ed anche SPELONCHE, CHIÙ GLI TIRE E CHIÙ SI ALLONCHE (Sperlonga,più la tiri, più si allunga)

CI 'ADDICE "Ci intona", "ci sta bene". Cu ssu vestite ci 'addice nu cogliette de puntine (con cotesto abito ci intona un colletto di pizzo). N'coppe la zuppe de pesce ci 'addice lu vine bianche (sulla zuppa di pesce ci sta bene il vino bianco).

CIANFÒ Minestra a base di melanzane tagliate a pezzi (meglio se ripiene), patate, pomodori maturi, odori, maccheroni buttati negli ultimi dieci minuti di cottura e condimento di olio di oliva piuttosto abbondante. E più gustosa mangiata tiepida, dopo essere rimasta a riposo. In piena estate è, perciò, doppiamente apprezzata InizioPagina

CICCE GIÓVENE "Germoglio giovane" letteralmente tradotto. Delicata allegoria indicante un adolescente

CICCE ME TOCCHE... TÒCCHEME CICCE "Ciccio mi tocca... Toccami Ciccio". Un bimbo corre dalla mamma perché dopo aver provocato il fratello più grande questi lo rincorre minaccioso; chiede protezione: Ciccio mi tocca. Cessato il pericolo, torna a stuzzicare il fratello: toccami Ciccio. La frase allude a quelle persone che prima provocano gli altri e poi, di fronte alla reazione, corrono a chiedere aiuto con la veste di vittime innocenti.

CICE E PUORCE "Ceci e porci" significa di dominio pubblico. Le sanne cice epuorce ca sta nzeliate de diébbete (ormai lo sanno tutti che sta carico di debiti).

CIENTE CANNE DE RAGGIONE "Cento canne di ragione". La canna era una misura di lunghezza del Napoletano, (equivalente a metri 2,11) rimasta in uso sino a che non fu introdotto il sistema metrico decimale; cento canne perciò rappresentano una entità abbastanza notevole. Tené dente canne de raggione (avere cento canne di ragione) in una questione è come dire avere ragione in abbondanza, da vendere.

CI'HANNE RUMASTE LE RAPPELELLE "Ci sono rimasti i racimoli" cioè quelli sfuggiti o lasciati di proposito dal vendemmiatore sulle viti. In senso più lato il traslato sta ad indicare i residui di qualsiasi natura; equivale, quindi, all'italiano: "ci sono restate le briciole".

CIUCIÙ MAZZATE E DIUNE "Ciuciù, bastonate e digiuno":l 'amaro commento di chi finisce per soffrire un danno immeritato e per di più, date le circostanze particolari, è costretto a subire senza neppure poter reagire.

CIUCIÙ Voce onomatopeica derivante dal francese chuchoter (bisbigliare, sussurrare all'orecchio). Fà ciuciù è il parlottare delle femminuccie che, di solito, criticano e sparlano degli altri, sottovoce e furtivamente, per non destare sospetti agli interessati.

COGLIE NA VERMENATE (oppure VERMECATE) "Prendere una verminara" vuoi dire prendere uno spavento. Si crede che in seguito ad una paùra si sciolga la treccia di vermi che ogni persona ha nell'intestino, procurando febbre e disturbi. Per far rientrare i vermi nella treccia è necessario che sulla pancia del paziente posi la sua mano uno che possiede la "virtù".

COMME È ITE E COMME È MENUTE "Come è andata e come è venuta". Allocuzione che sta per comunque sia andata, alla fine dei conti, in conclusione

COMME E LA CARROZZE DE ZI DON NICOLE "Come la carrozza di zio don Nicola". Il modo di dire è ricavato da un gioco di ragazzi in cui la carrozza di questo tale resta completa solo a metà. Perciò quando un'opera, un lavoro qualsiasi, viene paragonata alla carrozza di don Nicola vuoi dire che essa non è arrivata a compimento.

COMME E LA RENE DE SERBE "Come la rena di Serapo". Quanti sono i granellini della spiaggia di Serapo? E quanti di più erano quando la spiaggia con le sue dune si spingeva sino alla vetreria e a via S. Nilo? Dirne tante a una persona "quanto la rena di Serapo" è come dirgliene infinite. Questo modo di dire, tratto dalla Bibbia, deve essere molto antico. Nel Libro dei Re (cap. IV 29 32) si legge: "E Iddio diede sapienza a Salomone, e grandissimo senno ed un animo capace di tante cose quanta è la rena del mare". Alla parola mare si è sostituito Serapo, essendo il luogo dove, meglio che altrove, era possibile avere l'idea tangibile e immediata di una grande quantità di sabbia. Vale lo stesso dirgliene COMME E GLIE FIURE DE LA CANNELORE (come i fiori della Candelora) i narcisi che, al principio di febbraio, fioriscono a miriadi, coprendo i campi interi.

COMME E NA FUNA FRÀCETE "Come una fune fradicia". Una fune non si regge ovviamente in piedi, una fune fradicia ancor meno. Sentirsi come una fune fradicia vuoi dire sentirsi stanco morto da non reggersi in piedi.

COMME E NA SCARPA VECCHIE "Come una scarpa vecchia". Le scarpe vecchie sono le più comode e ce le teniamo care il più a lungo possibile. Non ci tradiscono mai e ci dispiace allorché dobbiamo disfarcene. Voler bene a una persona come una scarpa vecchia vuoi dire volerle bene sinceramente ed effettivamente. InizioPagina

COMME E N'ÀNGEGLIE "Come un angelo", cioè tutto alla perfezione, in tutti i sensi.

COMME E NU STEPONE "Come un grosso armadio". Una persona alta e obesa viene definita in questo modo. Alle volte si sente dire ai ragazzi che si comportano come i fanciullini: "E come, ti sei fatto grande, ce vò na mugliere comme e nu stepone (ci vuole una moglie come un armadio) e ti comporti come un bambino".

COMME È STATE E COMME N’È STATE Come è stato, come non è stato, qualunque cosa sia accaduta

COMME ME VIRE ME SCRIVE "Come mi vedi mi scrivi". Significa io sono così come mi vedi, non possiedo beni e ricchezze.

CORE RISULUTE "Cuore risoluto". Colui che deve affrontare una questione difficile adda fà nu core risulute, la deve affrontare con fermezza e coraggio.

CORPE DE MANE "Colpo di mano". Fare un colpo di mano significa portare a compimento un lavoro urgente entro un determinato tempo, lavorando senza interruzione sino alla fine, come succede, ad esempio, per una gettata di ce mento.

CÒRPE SCUSTUMATE "Corpo scostumato" è colui che mangia esageratamente.

CÒRPU MIE MALU PATUTE "Corpo mio mal patito", cioè un corpo che ha patito la fame. Allora che fa un corpo simile quando viene a trovarsi davanti a una tavola imbandita e ricca di vivande? Si rimpinza a crepapelle, è naturale. Ma ci può essere anche chi, pur non essendo un morto di fame, si rimpinzi ugualmente soltanto perche' è nu corpu scustumate, un mangione. Chi lo osserva, sorride e mormora ironicamente: "Corpu mie malu patute!".

CORVACANTE E il nome che si dà all'altalena.

COTA D'UOCCHIE "Colpo d'occhio" ossia malocchio. Comunemente un malessere, del quale non si conoscono le cause, si attribuisce a una cota d'uocchie.

CÓTENE A CAGNA LARDE "Cotiche in cambio del lardo". Fare questo vuol dire cedere una cosa in cambio di un ‘altra di minore valore, fare un cattivo affare

CRAJE PISCRAJE "Oggi domani" un giorno o l’altro, prossimamente. Dal latino cras e bis cras

CRASTECÀ "Castrare" In particolare significa mettere a dimora provvisoria giovani pianticine prese dal vivaio e ragruppate a mazzi da sistemare successivamente in quella definitiva. In questo caso deriva procrastinare

CRESCE ALLA FORCHE "Crescere per la forca". Cioè viziare un bambino così male da farne un aspirante allà forca, un tempo, oggi alla galera. Se con tuo figlio non cambi sistema, tu glie crisce alla forche (ne farai un delinquente).

CRISCE SANTE, BUONE E RANNE, 'N PARAVISE QUANN'HAI CIENT'ANNE "Cresci santo, buono e grande, in Paradiso quando hai cent'anni". E questo l'augurio che si rivolge al bambino che starnutisce. All'adulto si dice soltanto: salute; e quello risponde: salute e bene. InizioPagina

CRISCENZE DE GLIUNE "Crescenza di luna" è detto il periodo in cui la luna è in fase crescente; questo periodo è ritenuto un momento favorevole a molti, uomini e cose. Nei campi determinati lavori devono aver luogo in questa fase se si vuole ottenere un buon raccolto. I pomodori, ad esempio, si piantano a criscenze de gliune.

CÙ CÙ "Corri corri" va’ va’, alla larga!

CU L’ACQUA ĜLIORDE ITTÀ LA CRIATURE "Con l’acqua sporca gettare anche il neonato". Fare una cosa avventata, senza distinguere e separare il buono dal cattivo.

CU LA SANGHE AGLI'UOCCHIE "Con il sangue agli occhi" corrisponde a "molto adirato", "su tutte le furie", come il toro cui si agita davanti il drappo rosso.

CU NU SORDE T’ACCATTIJE GAETE, MA NU SORDE NE’ CE STEJE "Con un soldo comperavi Gaeta, ma il soldo non c’era". Un tempo con poco denaro si comperavano tante cose, ma la miseria era tanto grande che a volte mancavano quei pochi soldi necessari per soddisfare i bisogni più urgenti

CU NU ZUŐCCHEĜLIE E NA SCARPETTE "Con uno zoccolo e una scarpa rotta". E evidente che chi va in giro con uno zoccolo a un piede e una scarpa rotta all'altro non è che una persona ridotta ad estrema indigenza. Quindi si comprende chiaramente a che si vuole alludere quando metaforicamente si dice che un tale si è ridotto cu nu zuo'ccheĝlie e na scarpette.

CUA' L'OVE "Covare le uova". Un tale se ne sta seduto da parecchio. Gli amici lo invitano a fare una passeggiata ed egli rifiuta. Allora, paragonandolo a una chioccia, gli dicono: "E muoviti! Che staje a cuà l'ove?" (che stai a covare le uova?).

CUCCHE DE MAMME "Cucco di mamma". Questo attributo si adatta al figlio (ed anche alla figlia) troppo legato alla madre, dalla quale si lascia influenzare eccessivamente, nonostante non sia più un ragazzo o abbia addirittura formato una famiglia.

CUMENZÀ DALLA MAZZE DE SCOPE "Cominciare dal manico della scopa" cioè da zero. Quando si mette sù casa, quando si apre un negozio o si inizia una qualsiasi attività nuova, si deve pensare a preparare tutto l'occorrente a cominciare dalle cose. meno importanti, ma pur esse necessarie, come può essere la mazze de scope.

CUMENZÀ LA RAZIONE DE GLIU MESE D'AUSTE "Cominciare l'orazione del mese di agosto" vuoi dire cominciare un discorso lungo e noioso. Il mese di agosto è dedicato all'Assunta e tutti i pomeriggi gruppi di donne si riuniscono a recitare preghiere e a levare canti che durano a lungo e sono interessanti per quanto riguarda il costume e le tradizioni. Il giorno della festa (15 agosto) le orazioni si protraggono piu' del solito, incominciando con questa che segue, ripetuta ben cenio volte. Mò le sante porte 'n cieĝlie s'àprene, ànema mie apporte la fé, Gesu' Criste è muorte pe mé. Alla valle de Giosafatte hai da passà: Falsu mie ne' te fà truà, Falsu mie vattenne allà; tu cu miche ne' ci 'hai che dice e né che fà. Gliu iuarne de la Vergine Marie me facce ciente ruce e ciente A ve Marie. (Ora le sante porte in cielo si aprono,/ anima mia dammi la fede,/ Gesù Cristo è morto per me. / Nella valle di Giosafat devi passare:/ Demone mio non farti trovare, / Demone mio vattene lontano; / tu con me non hai che direi e nè che fare. / Il giorno della Vergine Maria/ mi faccio cento croci e recito cento Ave Maria). InizioPagina

CUNTÀ GLIE PASSE "Contare i passi", pedinare una persona

CUNTÀ GLIE SPICCE "Contare gli spiccioli". Motto appioppato all'ozioso, al pigro e, in generale, a chi perde tempo prezioso. Equivale a "starsene con le mani in mano". "Figlia mia ancora a nulla stai? Ma che hai fatto sinora? Te si misse a cuntà glie spicce?" (ti sei messa a contare gli spiccioli?) rimprovera la madre, accortasi che la figlia non ha ancora compiuto il lavoro affidatole o che, addirittura, non ha neppure cominciato.

CUNTA PAPESSE "Raccontare scemenze", "dire un sacco di frottole".

CUÒFENE "Cofano", "cesta", Tra i modi di lanciarsi in acqua ce n'è uno che si fa stando rannicchiato, come accoccolato in una cesta, reggendosi le ginocchia con le mani. Tuffarsi in questo modo si dice FÀ GLIU CUÒFENE (fare il cofano). E il tuffo più facile e divertente per i più piccini.

CUÒFENE SAGLIE E CUÒFENE SCEGNE "Cesto sale e cesto scende". E un modo di dire riferibile a quelle persone che restano indifferenti, insensibili, apatiche di fronte a eventi e questioni, che ai più fanno salire il cuore in gola, provocando emozioni, agitazioni e turbamenti. Costoro vengono paragonati a un cesto che sale e che scende e che tale resta, insensibile, come tutti gli oggetti privi di sentimento.

CUOGLIE LUONGHE "Collo lungo". Chi sta aspettando impazientemente l'arrivo di qualcuno che ritarda, ogni tanto allunga il collo per vedere se compare. "Ci 'he fatte fà gliu cuoglie luonghe" (ci hai fatto fare il collo lungo) si dice a chi si è fatto lungamente aspettare. il modo di dire vale anche quando si tratta di una lunga attesa per ottenere una cosa desiderata.

CUONCE CUONCE Locuzione avverbiale che significa adagio adagio, con calma, senza fretta. MÒ, cuonce cuonce (adesso, adagio adagio) ce ne torniamo a casa.

CUOZZE E lo strato di sudiciume che si accumula sul corpo, particolarmente sulle ginocchia dei ragazzi. Treminte ntu cuozze ch'he fatte alle rennocchie! Quanne te le lave? Guarda quanto sudicio hai fatto sulle ginocchia! Quando te le lavi?).

CUPPINE Tradotto alla lettera diventa "mestolo", ma nel nostro caso si riferisce a "scapaccione". Chiave nu cuppine a ssu uaglione, accussì lafenisce defà bagattelle (molla uno scapaccione a cotesto ragazzo, così la finisce di far chiasso).

CURTE E MALE CAVATE (oppure CAPATE) "Corto e mal nuscito" Con questa locuzione si vuole indicare persona bassa di statura e cattiva di animo

CUTULONE "Bastonatura". Te miérete pròpete nu cutulone (meriti proprio una solenne bastonatura!)

DÀ A PARÉ Allocuzione con la quale si traduce il verbo parere nel senso di avere l’apparenza senza essere

DÀ AGLIU CORE "Dare al cuore": qualche cosa che gli procura del male quindi rattristare, addolorare, dispiacere, angosciare

DA BEGLIE A BEGLIE Si traduce alla lettera "da bello a bello" e significa improvvisamente, inaspettatamente, di punto in bianco. Da beglie a beglie s'è misse a fui (improvvisamente s'è messo a correre).

DÀ CANAVENCE Vuoi dire darle tutte vinte ad una persona, in modo particolare ai figli piccoli, i quali, in seguito, fattisi grandi, diventano prepotenti, ribelli ed incontrollabili. Deriva da ch 'anna vence (che devono vincere). A ssu uaglione glie dai troppa canavence (a cotesto ragazzo gliele dai tutte vinte); in altri termini: lo abitui male.

DÀ CORDE Caricare la molla di un orologio si dice dà la corde. Un tempo gli orologi funzionavano con un peso legato ad una corda. Erano molto diffusi quelli a muro, prodotti nel Tirolo, dai quali il cuculo metteva fuori la testa a suonare le ore. Fino a che non vennero messi fuori uso dalla guerra funzionavano in questa maniera anche gli orologi della chiesa degli Scalzi e dell'Annunziata e quello del campanile del duomo. Il modo di dire dà corde a une è rimasto con il significato di provocare una persona, caricarla come un orologio perché continui a parlare. InizioPagina

DÀ DE MANE "Dare di mano", cioè picchiare, aggredire. Ne' te fà veré cchiu' accà sennò te donghe de mane (non farti più vedere qui altrimenti ti picchio).

DA DISGRAZIE È FENUTE A GRAZIE "Da disgrazia è finita a grazia" quando una vicenda iniziata male finisce bene

DÀ GLIU CANZE "Dar motivo", "dar pretesto". Canze deriva da cansare. Ne' glie dà gliu canze, ca sennò se n 'apprufitte (non dargli il pretesto, altrimenti ne approfitta).

DA GLIU CUOGLIE A I' NCOPPE E' TUTTA CAPE "Dal collo in sù e' tutta testa", cioe' possiede una grande intelligenza, si dice ironicamente di chi, al contrario, ne ha pochissima.

DA' GLIU NTRATTIENE "Intrattenere", quindi anche distrarre o tenere a bada qualcuno. Una casalinga che non riuscirebbe a sbrigare le molteplici faccende, ostacolata dalla vivacità dei figli, si rivolge al marito, per esempio, perché si adoperi a mantenerli calmi, impegnandoli in un gioco da fermi o raccontando favole e storielle. Quindi gli dice: "Dà gliu ntrattiene a sse uagliune (intrattieni in qualche modo cotesti ragazzi) altrimenti non mi fanno concludere molto questa giornata". Alle volte gliu ntrattiene bisogna darlo anche agli adulti, quando conviene distrarre la loro attenzione. E qui, naturalmente, si ricorre a mezzi più adatti, anche all'astuzia se è necessaria, come fece Agnese con Perpetua nei "Promessi Sposi".

DA GLIU TUM TUM "Dare l'ultimatum". E' evidente la storpiatura del vocabolo originario.

DÀ LA MUNTATE A UNE Incolpare uno di qualche cosa

DÀ LA ROSE Si dice che il pane nel forno dà la rose (dà la rosa), quando la crosta incomincia a colorarsi, indicando che la cottura è bene avviata.

DA MARE E DALLA VIE "Da mare e dalla via". Una volta il Borgo era attraversato in tutta la sua lunghezza (da Calegna a Montesecco) da un'unica via, poi dell'Indipendenza, mentre una spiaggia esisteva dalla parte del mare. Così che, andando dalla via e ritornando dalla parte del mare, si ispezionava il Borgo intero. Ora tutto è cambiato, ma è rimasto il modo di dire. Glie so ite truenne da mare e dalla vie (sono andato a cercarlo da mare e dalla via) equivale a una ricerca fatta dappertutto attentamente.

DÀ MMUORZE ACCÀ "Dar morsi qua". Uno che minaccia un altro di procurargli tanti di quei fastidi, da non poter immaginare, gli dice, battendosi con una mano il gomito dell'altro braccio: "T'aggia fà dà mmuorze accà" (ti devo far mordere qua). Come si sa è impossibile mordersi il gomito.

DÀ MPICCE "Dar fastidio", come pure dar disturbo o dar noia. C'è gente così intollerante, cui tutto dà fastidio, anche le cose più innocenti. Si osserva, allora, che a costoro glie dà mpicce pure la pisciutelle de la mòneche, ossia gli dà noia anche il sesso della monaca.

DÀ 'N CAPE "Dare in testa" nel senso di colpire energicamente l'individuo molesto o pericoloso; colpirlo, secondo i casi, moralmente o fisicamente, allo scopo di sbarazzarsene una volta per sempre. Si narra di un tale che, essendo stato ferito da un grosso Crocifisso cadutogli in testa, acquistò un gran numero di piccoli Crocifissi e incominciò a farli a pezzi. Richiesto perché lo facesse, rispose candidamente: A chiste gli'ha dà 'n cape quanne so piccheghe, ca se se fanne ruosse te ponne pure accire (questi devi toglierli di mezzo quando sono piccoli, perché se riescono a farsi grandi possono anche ammazzarti).

DA NA RECCHIE ME TRASE E DA N’ATE ME IESCE "Da un orecchio mi entra e da un altro mi esce" un discorso che non mi interessa, che non mi importa un fico secco. Un discorso che non merita la mia attenzione come, dicono a Roma, Il Papa non da retta ai passerotti

DÀ NA ZIZZE DE CÒLLERE "Dare una mammella di collera" vuol dire dare una poppata di latte a un neonato dopo aver avuto un dispiacere. Si crede che quel latte faccia male al bambino producendogli per il corpo eruzioni cutanee e, un tempo, addirittura la paralisi infantile, quando ancora non si conoscevano la poliomielite e le cause che la provocano.

DÀ NCOPPE ALLE RECCHIE Colpire alle orecchie ossia in un posto delicato. in senso figurato vuol dire approfittare di un occasione, non dar tregua a uno in modo da metterlo in difficoltà. Dà ncoppe alle recchie a uno che al gioco gli vuota le tasche oppure che gli fa pagare un oggetto più del reale valore

DA NU RENZUOGLIE CI'HE FATTE NU MUCCATURE "Da un lenzuolo ci hai fatto un fazzoletto", si dice quando da una cosa grande se ne ricava una piccolissima, sprecando tutto il resto.

DÀ PE CURTE Letteralmente "dar per corto". La locuzione ha il significato di darla vinta, dar tregua. Ne' ce la donghepe curtepe nisciuna manere (non gliela dò per vinta in nessun modo). InizioPagina

DA PEZZONE A MONTESICCHE Pizzone e Montesecco sono i punti estremi del Borgo di una volta. "Da Pezzone a Montesicche" vuol significare, quindi, l'intero Borgo.

DA PIZZE A PONTE "Da un capo all'altro", "da cima a fondo" e simili. Me so fumate nu zigarre da pizze a ponte (ho fumato un sigaro intero); ho gerate gliu paese da pizze a ponte (ho girato il paese da un capo all'altro).

DA QUANNE ME SO MISSE A FÀ COPPELE LE CRIATURE NÀSCENE SENZA CAPE Amara delusione di chi intrapeso un’ attività non ottiene i risultati sperati a causa di ostacoli imprevisti

DA RÒTE A PILATE "Da Erode a Pilato" con il medesimo significato che ha in italiano.

DA STINGE A PETINGE Mandare un individuo da stinge a petinge (due parole senza significato) è lo stesso che mandarlo da Erode a Pilato. (Una a Stinge e n'ata a Petinge : due cose o persone molto lontane)

DÀ TANTE DE CHELLE PERATE "Dar tante di quelle pedate", ossia camminare moltissimo.

DÀ TRUPEJE "Dare tormento" in tutti i sensi, dalla semplice noia a molestie più gravi e consistenti. Trupeje = tempesta, termine usato anche dal Basile.

DA UOCCHIE A UOCCHIE "Da occhio a occhio", ossia destramente, proprio sotto gli occhi dell'interessato, senza farsene accorgere. Da uocchie a uocchie m'ha frecate mille glire (abilmente, sotto i miei occhi, mi ha fregato mille lire).

DALL’ÓNGHERE DE GLIE PIERE"Dalle unghie del piede" dal profondo dell’animo, del cuore, dell’intimo

DALLE PENNE ME N'ADDONE "Dalle penne me ne accorgo". Si racconta che un tale, sul cui bavero era visibile un po' della polenta mangiata a pranzo, volesse far credere di aver mangiato un colombo. Ma l'amico aveva notato la polenta e, maliziosamente, gli disse: "Dalle piume me ne accorgo". Trovandosi di fronte a un individuo che si vanta di aver compiuto azioni di cui non è assolutamente capace, sta a meraviglia il nostro motto: dalle penne me n'addone. InizioPagina

DAMME NU PO’, PIGLIE NU PO' "Mi dai per favore", "prendi per cortesia" e così via. Nu po' nel contesto di una frase significa per favore, per gentilezza, ecc.

D'ANDÒ SÌ, DE PANECUÒCHEĜLIE? "Di dove sei, di Panecuocolo?". Non esiste una località chiamata Panecuocolo. Apicella lo fa derivare da Panis (dio Pan) e cuculum (altura, monticello) e starebbe, quindi, ad indicare un monticello sacro al dio Pan. Infatti questa frase si rivolge a persona che dimostra di non conoscere cose e fatti di dominio pubblico, come se fosse sempre vissuta isolata sui monti. Si dice anche: D'ANDÒ SI', DE GLIU TUFE? (Di dove sei, del Tufo? frazione di Minturno).

DÀRESE QUATT'ÒSSELE "Darsi quattr'ossa" letteralmente. Per traslato: scambiarsi affettuosamente una stretta di mano.

DEFlETTE DE LA CRAPA RIGNOSE I "difetti della capra rognosa" devono essere tanti, ma quelli di certe persone, certamente viziate, sono tantissimi e peggiori. Ecco il modo di dire creato appositamente per loro: Tè cchiu' defiette isse che la crapa rignose (ha più difetti lui che la capra rognosa).

DENARE PAVATE E CUĜLIE MANIATE"Denaro pagato in cambio di una palpata al sedere" Non è per questo che si paga del denaro ma per ottenere un contavalore adeguato

DENTE A N'UOSSE "Dentro un osso" tradotto alla lettera. I dente a n 'uosse (andare in un osso) significa fare buon pro, arrivare a proposito, arrecare piacere, soddisfare, gustare. Sta zuppe de ruonche m'è ite dente a n 'uosse (questa zuppa di gronchi l'ho gustata moltissimo).

DENTE GLIU VENTE DE LA VACCHE "Dentro il ventre della mucca". Indubbiamente la mucca può essere portata a simbolo dell'abbondanza; chi viene a trovarsi nel suo ventre non può che nuotarci nell'abbondanza. Ecco perché, quando si parla di un individuo che vive in mezzo a cospicue ricchezze, si suole affermare che sta dente gliu vente de la vacche.

DESTINO NATE FUGGIR NON PUOI Se una cosa è destinata non si può evitare

DI' CA U CA N'È PECCATE "Dici sì ché non è peccato". È la tipica espressione, usata spesso per porre fine pacificamente ad una discussione su cose banali, che però potrebbe prendere una piega spiacevole.

DI' PANE PANE E VINE VINE "Dire pane pane e vino vino" corrisponde all'italiano "dire pane al pane", cioè parlare con chiarezza senza riguardi. In dialetto con l'aggiunta di "vino al vino", si rende più netto e più forte il concetto che esprime.

DISPRATE "Disperato" alla lettera, ma ancora: smanioso, infuriato, spericolato, temerario, squattrinato e anche poveraccio. Sta disprate (è al verde, non ha un quattrino in tasca). Chigliu disprate n 'ha paure de niente (quel temerario non ha paura di nulla. È iscite comme e nu disprate (è uscito come unà furia).

DIÀVEĜLIE SFUNNE "Diavolo sfonda"; espressione di meraviglia di fronte a ogni tipo di esagerazione. Se viene, ad esempio, un tale e conferma di aver mangiato a pranzo due tre piatti di maccheroni, chi sente commenta: "Diàveĝlie sfunne!" (accidenti che appetito!).

DICE 'N CUORPE A ISSE "Dire in corpo a sé" cioè "dire tra sé". InizioPagina

DICIANNOVE SÒRDE P'ACCUCCHIA NA ĜLIRE Il soldo (sòrde) era una moneta di bronzo del valore di cinque centesimi di lira, la minore in circolazione tra i due conflitti mondiali ne occorre vano venti per comporre (accucchià) una lira. Il soldo è stato cancellato dalla svalutazione; le nuove generazioni non sanno neppure che cosa sia, non conoscono la lira stessa perché la moneta più piccola in circolazione è quella di dieci lire (che in pratica non ha alcun valore ed è ancora buona sino a quando? solo per far salire qualche vecchio ascensore) per comporre la quale occorrerebbero ben duecento soldi! Nonostante ciò, ancora oggi, per uno che possiede pochi quattrini si dice che ce vonne diciannove sorde p 'accucchià na glire (gli mancano diciannove soldi per racimolare una lira).

DIE LE SA E LA MADONNE LE CRERE "Dio lo sa e la Madonna lo crede" Frase che si inserisce parlando di una persona che passa un difficile periodo finanziario o di cattiva salute. Pietro ha subito una grossa perdita e ora Die lo sa e la Madonne le crere, non sa come fare per pagare i debiti

DIRE GLIU PIZZE COMME E NBRIANE Dire gliu pizze = sorridere; Nbriane = Imbriana, il nome di una fata bellissima. Il motto, quindi, prende il significato di "sorridere come la fata Imbriana un sorriso appena accennato, di compiacimento, una specie di sorriso della Gioconda. Ci ha pensato pure Pino Daniele "Bella Mbriana"

DOI VELLOCCE "Due tuorli". A una donna molto fortunata, cui tutte le cose vanno bene, si adatta una espressione come questa: "A chella fémrnene le cagline glie fanne l'ove a doi vellocce" (a quella donna le galline fanno le uova a due tuorli).

DOMPE GLIE TIEMPE "Rompere i tempi". Quando sta per finire l'estate e cominciano i primi temporali che preannunciano l'autunno, è allora che se dòmpene glie tiempe (si rompono i tempi), cioè vengono le piogge e il tempo volge al peggio.

DOMPE LE PASTORE "Rompere le caviglie". Te dompe le pastore (ti rompo le caviglie) con questa minaccia la madre avverte il figlioletto di non recarsi in un luogo dove correrebbe il pericolo di procurarsi un danno. Pastore deriva da pastorale, caviglia del cavallo e propriamente l’osso del piede che costituisce la prima falange

DÒMPESE LE COSSE "Rompersi le gambe" non propriamente alla lettera, ma soltanto indolenzirsele dopo una lunga camminata. Me so dotte le cosse a i annanze e arrete pe trua' nu speziale dapierte (mi sono rotte le gambe per andare avanti e indietro per trovare un farmacista aperto). InizioPagina

DONNA TURDEJE "Donna Dorotea": modo generico per indicare qualsiasi donna di cui non si vuol dire il nome.

DOPPE VINT’ANNE D’AMÈRECHE IAMME A LACCE! "Dopo vent’anni di America andiamo a lacci". È l’amara riflessione di chi essendo vissuto agiatamente, si ritrova improvissamente nelle ristrettezze. Essere stato per vent’anni in America significava aver messo da parte il sufficiente per vivere tranquillo il resto della vita. Andare a lacci vuol dire andare a tirare la rete, il più umile e insicuro dei lavori dipendenti. Quando si comincia a tirare la sciabica il primo pezzo si dispone incrociato e su di esso si abbiscia il resto. Afferrando in due persone le quattro estremità della croce, che prende il nome di lacce, tutta la rete è facilmente trasportabile

DUI PIERE DENTE NA SCARPE "Due piedi dentro una scarpa", situazione di grande disagio, condizione critica al colmo. Mettere uno con duipiere dente na scarpe significa opporgli tanti di quegli ostacoli da metterlo in condizioni di non poter agire, proprio come chi, stando con i due piedi dentro la medesima scarpa, non può muovere neppure un passo.

DURMI' A FELLE DE PURTUAGLIE "Dormire a spicchi di arancio" cioè uno a stretto contatto con l'altro e in più persone in un solo letto, come si era costretti nelle famiglie proletarie di una volta dove i letti erano pochi e i figli troppi.

DURMÌ COMME E NU SCANNATE"Dormire come uno scannato" cioè come un morto, è lo stesso che dormire come un ghiro, dormire come un macigno

DURMI' CU SETTE CUSCINE "Dormire con sette guanciali" vale a dire essere tranquillo, non avere preoccupazioni di sorta.

DURMI' DAGLIE PIERE "Dormire dai piedi", cioè dormire con la testa dove di solito è il posto dei piedi, come capita nelle famiglie numerose dove i posti letto sono meno delle persone e i bambini devono dormire in due in un letto singolo. Uno dorme dalla cape (con il capo dalla parte della testata) e l'altro daglie piere (con il capo dalla parte opposta).

E CH’IÈ GLIU CUNTE DE GLIU CECE?" E cos’è il racconto del cece?" ci si chiede quando una discussione va per le lunghe, perchè si batte sempre sullo stesso argomento

E CH'ASPETTIMME LA SPOSE? "E che aspettiamo la sposa?". La domanda se la pongono coloro i quali, senza alcun motivo, ritardano l'inizio di una faccenda qualsiasi, come sedersi a tavola, partire per una gita, ecc. La sposa, si sa, anche non ritardando come di solito capita, è sempre l'ultima ad arrivare: senza di lei non si può fare nulla. Ora, non dovendo venire la sposa, siamo liberi da qualsiasi obbligo, e allora perché aspettiamo?

È COMME E MENÀ NA PRETE DENTE AGLIU PUZZE"È come buttare una pietra dentro il pozzo" Con un’unica pietra non si colma un pozzo. Si dice quando con pochi mezzi si vuol porre riparo a grossi problemi

È CUSITE MARE E TERRE"È cucito mare e terra" la terra e il mare fanno tutt’uno sono stretti tra loro in un solo elemento senza distinzione, essere sul mare è godere la garanzia cade sulla terra ferma. Si usa questa locuzione nell’ambiente marmaro quando segue la massima calma atmosferica ed il mare si presenta come una tavola

È FENUTE A FIETE "E finito a vescia": così si dice di un affare finito male. InizioPagina

È ITE A CONCHE "E' andata a Conca". Nella cappellina di Conca si venera la Vergine Maria bambina, la cui festa ricorre l'8 settembre. Secondo un'antica credenza, quando una donna sposata ci accompagna sette ragazze, una di esse si marita entro l'anno. Parlando di un'adolescente si dice che è ite a Conche quando ha avuto la prima mestruazione. In quella occasione la madre riceve le congratulazioni da parenti e amici, poiché la ragazza è ritenuta fisicamente sana e completa.

È L'ACQUE AGLIU FUOCHE "E l'acqua al fuoco", cioè un rimedio sicuro e immediato, come appunto è l'acqua che spegne il fuoco. Uno sciroppo che calma subito la tosse "è l'acqua al fuoco"; così pure un insetticida che distrugge le formiche, una vernice che preserva dalla ruggine, ecc...

È MALETIEMPE! "E' maltempo!". Esclamazione per far intendere che le cose prendono una brutta piega, oppure quando si nota il volto imbronciato del proprio superiore.

È MUORTE E N’VO STENNE GLIE PIERE "È morto e non vuole stendere i piedi". Si dice di chi è duro a cedere, pur essendo evidente che ha avuto la partita persa

È PASSATE N'ATU BASTEMINTE! "E passato un altro bastimento!". In questo modo si riprende ironicamente il bambino che, o per cattiva abitudine o perchè privo di fazzoletto, si pulisce il moccio che gli cola, passandosi sotto il naso la manica del vestito.

È VERE COMME E GLIU SOLE "È vero come il sole". Con la frase si ribadisce la veridicità di un discorso

ÉLECHE Se uno compie delle stravaganze oppure cambia improvvisamente opinione, si dice che GLIE GIRE L'ELECHE (gli gira l'elica).

TENÉ LA MOLE CU TUTTE GLIE RIENTE "Avere la mola (ossia la bocca) con tutti i denti" vale a dire in perfetta efficienza. Quindi, "non mancare di nulla" è il significato metaforico che acquista questa frase. InizioPagina

EROI DE LA MAPPATELLE Mappatelle, diminutivo di mappa, sta per indicare un involto di cibarie. Questi eroi sarebbero quei vigili urbani che, dimostrandosi indulgenti con i negozianti, vengono ricambiati adeguatamente con la mappatella.

ESERCETE DE FRANCISCHIEGLIE "Esercito di Franceschiello". L'esercito di Francesco Il di Borbone si dissolse per incapacità di capi e per tradimento di molti, nè valse a riabilitarlo l'eroica difesa di Gaeta del 1860 61. Dire di una organizzazione me pare gli 'esercete de Francischieglie, vuole indicare che in essa regnano confusione e disordine.

ESSE ARREVATE "Essere arrivato" e non sentirsela di andare oltre. Mò baste, so arrevate" (ora basta, sono arrivato), cioè non mangio più, sono arrivato al punto che non posso ingerire neanche un solo boccone. Analogamente dice chi, avendone abbastanza di una cosa qualsiasi, sente di dover smettere.

ESSE DE GLIU BUTTONE "Essere del bottone" significa far parte di uno stesso gruppo, una stessa società; avere interessi comuni come l'appartenere, ad esempio, a un gruppo camorristico. Simme de gliu buttone in termini più espliciti signifìca: Facciamo parte della stessa società, dobbiamo essere solidali e aiutarci vicendevolmente nella buona e nella cattiva sorte.

FA' A CAGNE"Fare a cambio" carattere usato in particolare dai ragazzi "Vuò fà a cagne"" chiede un ragazzo che vuol barattare la sua trottola con la palla vista in mano a un compagno

FÀ A FOTTA CUMPAGNE "Fare a frega compagno", ossia fare a gara fra compagni per imbrogliarsi l'un l'altro.

FÀ A RIATTE "Fare a gara". RIATTONE è chi partecipa all'asta del pesce.

FÀ A SANTE"Fare a santo" locuzione che tradotta letteralmente non ha significato preciso. Equivale a: fare a mo’ di santo, fare come un santo. Si usa quando uno si sottopone a privazioni per racimolare cose o denaro, quando prende particolari cure per persone o piante, quando fa molta attenzione a non sciupare cose utili e così via. "Ho fatte a sante pe sta piante de masenecole e tu l’ha acciaccate cu nu pere" ho fatto tanto per questa pianta di basilico e tu l’hai calpestata con un piede

FÀ A SPACCA STRÒMMELE "Fare a spacca trottole". In un giuoco di ragazzi che si fa con le trottole di legno, chi perde sottoponè la sua trottola (strùmmeglie) ai colpi di punta delle trottole impugnate dagli avversari. ta trottola penalizzata ne esce malconcia e alle volte addirittura spaccata. Parlare, oppure fà a spacca stròmmele significa comportarsi con leggerezza e senza troppi riguardi, con parole o con fatti, per nulla preoccupati di poter procurare danni anche consistenù. agli altri, rischiando di far finire male una questione, proprio come va a finire il gioco delle trottole.

FÀ ABBE FA' LA BAJE Sono due modi di dire con il medesimo significato: burlarsi di uno facendo le beffe con la bocca.

FÀ ALLA BURRENZE"Fare per scherzo, per burla, per celia". Burrenze deriva da borra (latino tardo burra da cui burla, burlare) che in senso figurato significa parole superflue, chiacchiere inutili; come pure potrebbe derivare dallo spagnolo borrega diminutivo di borra (avente lo stesso significato della parola italiana) che in senso figurativo vuol dire frottola, notizia falsaInizioPagina

FÀ ASCIARRE Locuzione che significa "bisticciare", sia verbalmente e sia venendo alle mani. STA' ASCIARRE (stare in lite) vuol dire continuare a non aver rapporti dopo un litigio.

FÀ BACCHE E BOCCHE Questa allitterazione in cui c'entrano Bacco e bocca è facilmente comprensibile. Povero te! Tu stai a preoccuparti e quelli stanne a fà bacche e bocche (se la godono allegramente a bere e a mangiare a più non posso).

FÀ BUTTUNE 'N CUORPE "Fare bottoni in corpo". Equivale a rodersi dentro, macerarsi il fegato, fare il sangue acido. Con il medesimo significato si adopera FA' VORZE 'N CUORPE (fare borse in corpo), FA ACHIÒVELE 'N CUORPE (fare chiodi in corpo).

FÀ CACA' "Far cacare": far pagare un torto subito. Crede di passarla liscia, ma i ce la facce cacà (ma io gliela farò pagare).

FÀ CAPE E TOZZE Un oggetto cade a terra; due persone contemporaneamente si chinano a raccoglierlo e, bùmmete, picchiano capo contro capo: questo significafò cape e tozze.

FÀ CARE CARE"Fare caro caro" Nel linguaggio familiare usato con i più piccoli significa accarezzare

FÀ CARE' LA TÒNECHE DA GLIU MURE "Fa cadere l'intonaco dal muro". Si dice del pessimista che vede le cose sempre dal lato peggiore.

FÀ CARNE DE PUORCHE "Fare carne di porco": vedersene bene come quando in casa si ammazza il maiale; approfittare sfacciatamente di una occasione opportuna. Ha fatte carne de puorche, ad esempio, chi ha sfruttato senza scrupoli momenti favorevoli a spese del prossimo, oppure chi, in breve tempo, è riuscito ad accumulare notevoli ricchezze, ricorrendo magari anche a mezzi illeciti.

FA CARTE SEMPE ISSE "Distribuisce le carte sempre lui" è il significato della traduzione. Il traslato riguarda colui che, in una conversazione, parla in continuazione e non dà modo agli altri interlocutori di intervenire ed esprimere la propria opinione.

FÀ CASE E CHIEZE "Fare casa e chiesa" vuol dire condurre vita molto ritirata.

FÀ CHECCHINE Checchine deriva da che. Ci sono delle persone le quali spesso nelle conversazioni interrompono con dei "che?" perché effettivamente non hanno capito o perché fingono di non capire. Di costoro si dicè che "fanno checchine", appropriata ed espressiva locuzione spontaneamente fiorita per questo tipo di persone.

FÀ CHIÀITE "Fare una discussione" aspra che si conclude con la rottura dei rapporti.

FÀ CHIGLIU SERVIZE "Fare quel servizio" vuoI dire evacuare. Questa locuzione viene usata in tono dispregiativo come in questa frase: "Quanne vache a fà chigliu servize penze a esse" (quando vado a fare quel servizio penso a lei). InizioPagina

FÀ COMME E GLI'ANTICHE: MAGNEVENE PE 'N TERRE E STUEVENE ACCUOGLIE "Fare come gli antichi: mangiavano per terra e si pulivano addosso". Volendo riprendere uno che si comporta rozzamente, al pari di un uomo primitivo che non conosce le norme della buona educazione, gli si dice:"Tu fai comme e gli 'antiche.." lasciando il resto sottinteso. Di questa frase esistono altre due varianti della seconda parte. Hanno un significato un po' diverso e si riferiscono a persone che si comportano stranamente. Fai come gli antichi: magne le scuorce e iette le fiche (mangi le bucce e butti i fichi); oppure.... magne 'a scorce e iette 'a mulliche (mangi la crosta e butti la mollica). Questa seconda si usa nel Centro storico. Un tempo era strano buttare la sola mollica, oggi di pane intero se ne butta a miliardi in un anno.

FÀ COMME E GLIU ZAPPATORE CHE ULEJE METTE LA FORCHE AGLIU SOLE"Fare come il contadino che voleva mettere la forca al sole". Si racconta di un contadino che, non bastandogli la giornata, voleva allungarla fermando il sole. Ma egli non era Giosuè che aveva il Signore dalla parte sua e gli bastò che gridasse al cospetto del popolo:" O sole, fermati su Gabaon." Voleva fermarlo con una forca e naturalmente non ci riuscì. La frase si dice quando il tempo a disposizione per compiere un lavoro non è sufficiente

FÀ COMME E NA SANGUETTE"Fare come una sanguisuga": muoversi continuamente, non stare un minuto fermo, essere svelto

FÀ COMME E SANTA MANCHE, DA NA MANE DÀ E DALL’ATE PIGLIE"Fare come santa Manca, da una mano dà e dall’altra piglia" si dice di chi dà una cosa solo se è sicuro di riceverne un’altra

FÀ COMME E ZI RAIME "Fare come lo zio Erasmo" significa provocare gli altri perché lo sfottano. La locuzione è legata ad una figura vissuta sino agli anni 20. Si tratta di un vecchio contadino che, di solito, tornato dai campi la sera sulla groppa dell'asinello, era seguito da una frotta di ragazzi, i quali, burlandosi di lui, lo accompagnavano sino all'uscio di casa. Se capitava che i ragazzi, impegnati a giocare, non si accorgessero di lui, zi Ràime li apostrofava: "Figli di puttana, ora fate finta di non avermi visto?".

FÀ CU TUTTE GLIE SIENZE "Fare con tutti i sensi". La locuzione vuol dire agire deliberatamente, con piena coscienza, con premeditazione.

FÀ CUOCCE E MURE Si dice anche fà cocce e mure e si traduce "fare testa e muro". Significa dedicarsi accanitamente a una cosa. S'è misse cuocce e mure a studià: si è completamente dedicato allo studio.

FÀ DA OME E DA FEMMENE "Fare da uomo e da donna". Negli usi gaetani, quando due giovani vanno a nozze, ci sono degli obblighi che competono all'uomo, come ad esempio le spese per la festa e per il mobilio, escluso il cassettone che deve portare la sposa insieme con la biancheria. Se uno dei due si accolla tutte le spese, o solo una parte di esse che spetterebbero all'altro, si dice che ha fatto da uomo e da donna.

FÀ DA OME E DA FÈMMENE Quando due giovani si sposano a ognuno di loro, secondo le consuetudini, spetta provvedere all’arredamento della casa, alla festa di nozze e a tutto il resto. Se uno di loro non ha possibilità finanziarie sufficienti e l’altro è disposto ad accolarsi le spese si dice che fa da uomo e da donna, ossia si sottopone alle spese spettanti sia allo sposo che alla sposa

FÀ FELONE "Marinare la scuola". InizioPagina

FÀ FETECCHIE "Fare vescia". Fa fetecchie l'arma o il botto che fa cilecca, l'iniziativa che fallisce, chi parte in quarta e si ferma per la strada, chi delude i propri ammiratori.

FÀ FRITTE "Fare fritto". Qualunque cibo fritto è sempre saporito. Vedete quante ne mangerebbero di patatine i ragazzi. Dicono che anche i mammacinge (lattuga di mare) siano buoni. Da ciò il modo di dire FATTELLE FRITTE (fattele fritte) per dire a uno che quelle cose, si intende non commestibili, che egli propone e che tiene tanto in conto, non valgono un bel nulla: se le facesse fritte e chissà...

FÀ GLI’AUTE E GLIU VASCE"Fare l’alto e il basso" è il sistema di chi cambia spesso opinione, chi dice una cosa e poco dopo il contrario della stessa

FA' GLI'AMORE CU UNE"Fare l'amore" significa semplicemente "essere fidanzato con uno".

FÀ GLIE CICE"Fare i ceci", fare punti lunghi e grossolani cucendo a mano

FÀ GLIE FIURIGLIE "Fare i fiorellini", ossia la muffa bianca che si vede nei vini poco alcoolici quando vanno a male. Il traslato significa "ridursi a mal partito", "fallire un obbiettivo".

FÀ GLIE PESIEGLIE CU LA QUAGLIE "Fare i piselli con la quaglia". A maggio si prendono le quaglie e ci sono i piselli freschi. Cucinati insieme formano un piattO raro e ricercato, possibile solo in un limitatissimo periodo dell'anno. Te la fai cu gliepesieglie la quaglie (te la fai con i piselli la quaglia) è il modo per far intendere a qualcuno che non riuscirà nei suoi propositi, i piselli con la quaglia non se li farà giammai. TE LA FAI CU L'OVE LA TRIPPE (te la fai con le uova la trippa) ha il medesimo significato.

FÀ GLIE PRUCCHIE "Fare i pidocchi" significa "ridursi in miseria".

FA GLIU BRODE Fare il brodoInizioPagina

FA GLIU CAGLIE A PAPPE Fermarsi, morire, interrompere qualcosa. Le paranze a vela quando dovevano tirare la rete a bordo per arrestare la marcia passano a poppa il caglio, il cavo che mantiene a prora l’antenna della vela latina. Perciò quando una persona si ferma si dice che ha fatto gliu caglie a poppe. Il traslato vale anche per dire che uno è morto, si è fermato per sempre

FA GLIU CAGLIE A POPPE"Fare il caglio a poppa". L’allegoria vuol dire non camminare più cioè morire. Il caglie a poppe lo spostavano le paranze quando si fermavano per tirare la rete a bordo

FÀ GLIU CIURNIEGLIE Un gruppo di donnicciole che sparlano tra di loro di qualcuno

FÀ GLIU CUĜLIE A CAPPIEGLIE DE PRÈUTE "Fare il culo a cappello di prete". Pestare uno di santa ragione.

FÀ GLIU FACCE FRONTE Vuol dire mettere a confronto due persone per chiarire una questione controversa.

FÀ GLIU FESSE PE N'I ALLA WERRE "Fare il fesso per non andare in guerra" vuoi dire "fingere di non capire".

FÀ GLIU MASTEOGIORGE Il masteggiorge era il sorvegliante dei pazzi quando esistevano i manicomi di una volta. Si trattava di un individuo molto robusto che, usando la forza, doveva domare e rendere innocuo il pazzo furioso, legandolo con la camicia di forza alletto di contenzione di farnigerata memoria. Fare il masteggiorge resta un modo di dire colorito che si affibbia, con una punta di ironia, a chi riesce a mettersi alla testa di un gruppo e pretende che gli altri accettino le sue disposizioni.

FÀ GLIU NGIGNIERE STRADALE "Fare l'ingegnere stradale". Spiritosa locuzione con la quale si vuole definire il disoccupato che, non trovando lavoro, si vede sempre in giro e pare impieghi il suo tempo a misurare le strade con i propri passi.

FÀ GLIU PARE E SPARE"Fare il pari e il dispari" cioè fare il pro e il controInizioPagina

FÀ GLIU PESCE NFANFERE Corrisponde a "fare il pesce in barile" cioè far finta di nulla, di non capire, non prendere posizione fra due schieramenti per non compromettersi. Il pesce nfànfere somiglia allo sgombro (tenne); preferisce starsene all'ombra dei pesci più grandi, o meglio a quella dei vascelli.

FÀ GLIU PIATTINE T'aggia fà nu piattine! (ti devo fare un piattino!) è un avvertimento di minaccia che corrisponde a "ti farò un servizio che non dimenticherai!". CUSÌ NU VESTITE ACCUOGLIE (cucire un vestito addosso) ha il medesimo significato.

FÀ GLIU PIZZE A DIRE in dialetto non esiste il verbo "sorridere" e il vuoto viene colmato con questa locuzione che in ricompensa è più efficace e più simpatica del verbo stesso. La traduzione letterale verrebbe un disastro ma il significato è bello: atteggiare le labbra al sorriso.

FÀ GLIU RUCCHE"Fare la pastinaca" pesce simile alla razza le cui punture sono dolorose

FÀ GLIU SAN GIUANNE "Fare il San Giovanni", cioè fare da compare. Il "compare di anello" è quello che regge in un piattino le fedi matrimoniali degli sposi durante la cerimonia religiosa, detto anche cumpare de tasse, e di solito fa anche da padrino al primogenito. "Compare di battesimo" è quello che tiene a battesimo uno dei figli. C'è anche il "compare di cresima" e infine la cummareille, quella che lava la cuffietta del neonato al ritorno dal battesimo.

FÀ GLIU SPIEGHE Fare un discorso pubblico, qualunque esso sia: conferenza, comizio, predica, ecc. L'espressione deriva dal fatto che, prima della riforma liturgica, il sacerdote leggeva il Vangelo in latino e poi lo spiegava ai fedeli, ossia faceva gliu spieghe.

FÀ GLIU TRICCABBALLA Significa far festa, divertirsi rumorosamente. il triccabballà è uno strumento popolare a percussione, formato da due martelletti mobili, incernierati alle estremità dei manici insieme con un terzo martelletto, fisso al centro, sul quale vengono battuti ritmicamente; applicati ai tre mar tele tti ci sono alcuni dischi di latta che tintinnano ad ogni colpo. Viene usato ancora, insieme con il putipu', dalle orchestrine che la sera di S. Silvestro portano le serenate di fine d'anno, dette sciusce. InizioPagina

FÀ GLIU ZEZA ZEZE Zeza zeze è una commedia dialettale di origine napoletana, dove figura la maschera di Pulcinella, un tempo recitata cantando durante il Carnevale nei vicoli del Borgo. Fà gliu zeza zeze significa comportarsi come Puicinella, fare il pagliaccio, cadere nel ridicolo.

FÀ LA CALATE "Fare la calata" vuol dire spingere un bagnante con la testa sotto l'acqua. È un divertimento al quale i giovani e i ragazzi prendono molto gusto.La calate è anche l'intero ciclo di una pescata della paranza, che va dal momento in cui la rete viene calata in mare sino a quando si scoccia cioè la si tira a bordo con tutto il pescato. Durante la pesca ogni paranza fa più di una calata.

FÀ LA CAPA PENE "Fare la testa piena" a uno, vuol dire riempirgliela di maldicenze allo scopo di istigarlo contro un terzo. Ha anche un altro significato. "La volete finire? M' avite fatte la capa pene" grida la mamma ai figli che stanno facendo un chiasso indemoniato e le pare che la testa, imbottita di strilli e di rumori, le scoppi. In questo caso si dice anche: "M'avite fatte la cape de tante".

FÀ LA CAPE "Fare la testa" ha due significati: l'uno significa "pettinare", "fare l'acconciatura" e l'altro "tuffarsi in acqua a testa in giù".

FÀ LA CAPPA LARGHE "Fare la cappa larga" vale a dire mostrarsi generoso, gentile, ben disposto.

FÀ LA CAPPA LARGHE"Fare la cappa larga". Fare una buona accoglienza, fare complimenti

FÀ LA FESTE "Fare la festa". Si dice cosi di un pollo, di un coniglio, di un animale qualsiasi che si uccide per mangiarlo. A stu crapitte glie facimme la feste a Pasche (questo capretto lo mangeremo a Pasqua). La festa si può fare anche a un bottiglione di vino e per estensione si fa la festa a un oggetto che si manda in frantumi o a un congegno fatto guastare.

FÀ LA MAFIE La famigerata mafia non c'entra affatto in questo caso. "Fare la mafia" vuol dire semplicemente vestire con eleganza. InizioPagina

FÀ LA PAGLIARELLE"Fare il nido" detto pagliarelle appunto perchè di solito è fatto in prevalenza con fili di paglia. In senso figurato "ha fatte la pagliarelle" si dice di una donna rimasta incinta

FÀ LA PANZIATE"Fare la panciata". Battere con la pancia sulla superficie dell'acqua in seguito a un tuffo sbagliato. Capita ai novellini e l'impatto può essere doloroso se il lancio è fatto da una certa altezza.

FÀ LA PARTE "Fare la parte". Certi pescatori vanne alla parte, cioè dividono fra di loro il ricavato della pesca, dopo avere detratto la spettanza del padrone dell'attrezzatura, che di solito ascende alla metà. Fà la parte vuol dire procedere alla distribuzione del guadagno singolo. Quando l'analfabetismo era totale fra loro, non era tanto facile ed allora tutti seduti per terra intorno al gruzzolo, il più bravo distribuiva le monete: una a te, una a te, una a te... sempre facendo il giro sino alla fine del mucchietto. Soltanto a quel punto si sapeva quanto toccava a ciascuno.

FÀ LA PEZZETTE Raggranellare un gruzzoletto. Pezzette deriva da "peseta", moneta spagnola.

FÀ LA REPASSATE "Fare la ripassata". Un tale viene derubato del portafogli; se ne duole còn un amico e questi, per di più, gli fa la repassate, cioè lo prende in giro, lo sfotte.

FÀ LA ROCE 'NCOPPE "Fare la croce sopra" qualche cosa vuol dire ripromettersi di non rifarla mai più in avvenire, di non ripetere il medesimo errore.

FÀ LA RRAGGE "Fare la rabbia" vuol dire provocare, stuzzicare, molestare e simili.

FÀ LA RRAGGE AGLIU VENTE "Fare la rabbia al ventre". Offrire troppo poco di un cibo prelibato non è un tiro che si fa allo stomaco, poiché non solo non lo soddisfa, ma lo stuzzica e gli provoca uno struggente desiderio di quel cibo. E questo il significato di fà la rragge agliu vente.

FÀ LA SCARPETTE "Fare la scarpetta" vuol dire ripulire con il pane tutto il condimento rimasto nel piatto. Fare la scarpetta a un tegame di terracotta è più gustoso. La credenza vuole che se una ragazza è solita fare la "scarpetta" al tegame, il giorno delle sue nozze pioverà. InizioPagina

FÀ LA SPALLERE "Fare la spalliera" significa fare i primi esercizi per imparare il lavoro a maglia con i ferri.

FÀ LA TREZZE DE VIERME "Fare la treccia di vermi" è il riprodursi di vermi, gli elminti, nelll'intestino umano. La fantasia popolare crede che ogni individuo abbia nell'intestino una treccia di ossiuri, la quale in seguito ad una paura presa si scioglie e i vermi, liberi, procurano disturbi e stati febbrili.

FÀ L'ACQUE ALLA PIPPE "Fare l'acqua alla pipa" vuol dire rimanere senza un quattrino, oppure rinunciare a una cosa per mancanza di mezzi.

FÀ L'ARTE DE GLIU PAJE "Fa l'arte del pazzo" chi ricorre a tutto pur di ottenere una cosa.

FÀ LE BONE SPENTE

FÀ LE PATELLE "Fare le patelle" non significa solamente staccare le conchigliette rotonde dagli scogli, ma anche far saltellare sulla superficie del mare una piastrellina lanciata con forza. Patelle è chiamata anche una macchia di unto su un abito, di solito rotonda come una patella.

FÀ LE RUCE ALLA CEMMERZE "Fare le croci alla rovescia". Di fronte ad azioni che non brillano per intelligenza, bontà o gusto, ma sbalordiscono per stupidità e insipienza, non ci resta che fare le ruce alla cemmerze. Di uno che incomincia male la giornata, oppure si è alzato di cattivo umore, si dice che s'ha fatte la roce cu la mana cemmerze (ha fatto il segno della croce con la mano mancina).

FÀ LE SCARPE"Fare le scarpe" a uno vuol dire agire di nascosto per soffiargli un impiego, per acquistare una cosa, per interesse delle trattative, dopo aver saputo dall’interessato stesso, o da altri, della faccenda in questioneInizioPagina

FÀ LE SEBBOLCRE "Fare i sepolcri". La sera del giovedì santo si usa far visita all'Eucaristia esposta nelle chiese. Chi esce per queste visite, che la tradizione prescrive in numero dispari, dice che fa le sebbolcre. Il motto parla di sepolcri perché si confondeva la morte di Gesù con l'istituzione della Eucaristia. Questa confusione anche perché un tempo, davanti all'altare, si posava sul pavimento un Crocifisso che i fedeli, inginocchiati, si curvavano a baciare e sull'altare stesso si deponeva, e ancora si depone, un'urna contenente l'Eucaristia. Nella chiesa di S. Giacomo, poi, si esponeva il simulacro del Cristo morto che, la sera successiva, si porta ancora oggi in processione per le vie del Borgo.

FÀ LE VERTE DE GLIU PEZZENTE "Fare la parte del pezzente" può essere la traduzione letterale. Il vocabolo verte, adoperato solo in questa locuzione, deriva dal latino verto,is nel significato di mutarsi, convertirsi. Vertereseformas in omnes: assumere tutte le forme (Ovidio); formam vertitur oris antiquum in Buten: assume l'aspetto del vecchio Bute (Virgilio). La locuzione si adatta a colui che per abitudine, pur non essendolo, si fa povero per la mania di lamentarsi del proprio stato, oppure si finge povero per ottenere aiuti e agevolazioni.

FÀ L'ERVE "Fare l'erba" significa ridursi a mal partito, cadere in miseria, essere in cattive condizioni di salute. L'erba cui si riferisce la locuzione è quell'alga verde, somigliante all'erba di un prato, che cresce sotto la carena delle vecchie barche in disarmo, abbandonate in rovina in un angolo della darsena.

FÀ LUPPE LAPPE Luppe lappe è una voce onomotopeica che imita il rumore di una bocca, in particolare quella del cane, che mangia avidamente. Fà luppe lappe riferito a una persona vuol dire appunto divorare un pasto in tempo brevissimo. Il traslato significa compiere una cosa in quattro e quattro otto, come ad esempio improvvisare, in caso di necessità un piatto di spaghetti col pomodoro per l’arrivo di un ospite

FÀ MACARÌE "Fare macarie". Il culto greco nella chiesa gaetana è durato a lungo. Ce ne restano diverse testimonianze; basta ricordarne una per tutte: le tracce della liturgia greca contenute negli "Exultet" custoditi nella cattedrale. Il passo della liturgia in cui si cantano le Beatitudini, in italiano è detto dei "macarismi", parola derivante dal greco "makàrioi" che significa appunto "beato". La parola, ripetuta ad ogni capoverso parecchie volte, in un lungo canto, di cui il volgo non capiva una sola parola, alle orecchie dei fedeli rimase bene impressa, e "makòrioi" si trasformò in macarìe. Per loro, dunque, i macarismi non erano altro che un lungo discorso noioso e incomprensibile e tale resta ancora il significato di fà macarìe. InizioPagina

FÀ MAGNÀ LA PORVE "Far mangiare la polvere" a uno vuol dire superarlo in una gara. Infatti un tempo, quando le strade non erano asfaltate, ogni veicolo viaggiava immerso nel polverone sollevato da quello che lo precedeva.

FÀ NA BÒTTE A DOI PERTÒSELE "Fare due buchi con un colpo solo". Corrisponde indubbiamente a "prendere due piccioni con una fava".

FÀ NA COSE CCHIÙ DA CRISTIANE"Fare una cosa più da cristiano". Comportarsi in maniera più civile, più educata, meno stravagante

FÀ NA COSE DA CIÒ"Fare una cosa da ciò" si dice quando si fa una cosa sensata, seria, avveduta giudiziosa, ragionata, opportuna rispondente alla questione di cui si sta trattando

FÀ NA COSE DE IUORNE "Fare una cosa di giorno" ovvero in breve tempo. In genere prende il significato di condurre sveltamente a termine un lavoro intrapreso.

FÀ NA DOTTA D’OSSELE"Fare una rottura di ossa" ossia una violenta bastonatura

FÀ NA ITE AGLIU VIENTE"Fare un'andata al vento"; corrisponde a "fare un viaggio a vuoto".

FÀ NA ITE E NA MENUTE"Fare un ‘andata e un ritorno" equivale a non perdere tempo, non indugiare, fare alla svelta

FÀ NA ITE E NA MENUTE Fare una commissione alla svelta senza indugi e senza perder tempo in altre divagazioni

FÀ NA PERATE E NU CAUTE "Fa un passo e un buco" chi cammina lentamente o chi interrompe il cammino soffermandosi spesso. InizioPagina

FA NA SECCE E MANCHE SOCCE"Fare una seppia e neppure buona". Ottiene questo risultato chi con tante cose da fare ne compie una sola che neppure riesce idonea allo scopo. Come il pescatore che, con tanto pesce nel mare, pesca una sola seppia e per di più di qualità non adatta al tipo di pietanza che si aspettava

FÀ NA SPARATE "Fare una sparata" ma il fucile non c'entra. Infatti l'espressione significa soltanto "fare una sfuriata verbale", "fare un rabbuffo" e basta.

FÀ NACCA NACCHE Nacche è voce onomatopeica che, come maumme e luppe lappe, imita il rumore di una bocca che mangia avidamente. Fare nacca nacche vuol dire, infatti, divorare sino all'ultimo tutto quanto capita davanti.

FÀ N'AMBE ASSUTTE "Fare un ambo asciutto". Riferibile ad una coppia di persone con le medesime idee.

FÀ NU CUONCE"Fare un condimento" tradotto alla lettera. Conciare in italiano significa condire e anche bastonare. La locuzione prende il secondo significato

FA' NU LISCE E BUSSE, FA' NA SPARATE "Fare un liscio e busso". Significa "redarguire", "rimproverare aspramente". Il liscio e busso è un modo usato nel gioco del tressette.

FÀ NU PUNTE DE FORZE "Fare un punto di forza" vuoi dire decidersi su una questione spinosa che va per le lunghe.

FÀ NU SBAGLIE "Fare uno sbaglio". In senso figurato, e riferito a una nubile, vuoi dire rimanere incinta.

FÀ NU ZUMPE "Fare un salto". Si può fare un salto di gioia, ma anche di spavento. E il secondo di questi casi che corrisponde alla locuzione m 'he fatte fà nu zumpe! (mi hai spaventato!). Come in italiano, significa anche "correre un momento in fretta". Fa nu zumpe a accattà le zigarrette (fa' un salto a comperare le sigarette).

FÀ NZOGNE "Fare strutto" vuoi dire "maltrattare", "bistrattare". Lo strutto si fa mettendo prima i grassi di maiale a sciogliere sul fuoco e poi spremendo al massimo le parti solide ancora rimaste. Dopo di che restano le cacicole, cioe i ciccioli o siccioli. La locuzione appare, quindi, molto appropriata. InizioPagina

FÀ PAPPE E CUCENELLE Si dice di due o più persone che vanno sempre d’accordo

FÀ PARTE E DUCE Modo di dire, intraducibile letteralmerìte, che vuoi dire: pettegolare, riportare (duce da duco,is) discorsi e fatti anche a chi non si dovrebbe. In napoletano si dice porta e adduce. Siente, nennillo mio, fatte capace,Nu' li sentire tanta porta e adduce.Si la partita mia nu' te piace Iza li ponte, ca lu sole coce (Molinari del Chiaro, "Canti popolari", p. 318, n. 497.)

FÀ PASCHE "Fare Pasqua", vale a dire godersela. Aimme fatte Pasche! (ce la siamo goduta!).

FÀ PIĜLIE E CONTRAPIĜLIE "Fare pelo e contropelo" come il barbiere che rade a dovere i propri clienti.Se mi capita tra le mani, glie facce piĝlie e contrapiĝlie (lo sistemerò bene per le feste). Significa anche togliere nel gioco sino all'ultimo centesimo dalle tasche dell'avversario.

FÀ POCA GLIUCE "Fa poca luce" un individuo che vale pochissimo.

FÀ PUORTE E FALANCHE Una barca di pescatori è sorpresa dal mare grosso durante la pesca. Il capobarca, ritenendo molto pericoloso restare al largo, dice: mò aimma fà puorte e falanche" (ora dobbiamo fare porto e falanga) cioè dobbiamo rientrare immediatamente in porto e; senza indugi, tirare la barca a secco, poiché neppure ormeggiata alla banchina è prudente lasciarla.

FÀ QUATTE A FA' E CINCHE A SCEGLIE "Fare quattro a fare e cinque a scegliere". Curiosa allegoria che ha lo stesso significato di "fare la parte del leone" in ogni senso.

FÀ QUATTE E DOJE DENTE LA CAIOLE "Fare quattro e due dentro la gabbia" non ha alcun senso preso alla lettera. In vernacolo, invece, fare quattro e due a una persona equivale a non farle assolutamente nulla, neppure torcerle un capello. Se ci minaccia un tizio, dal quale non abbiamo da temere, gli diciamo tranquillamente in faccia: "Me faje quatte e doije dente la caiole", ossia mi fai un baffo. Oppure: "MITTE LA MÒSCHELE 'N CAIOLE" (metti la mosca in gabbia). InizioPagina

FÀ RECAPETE Significa fare buon uso di una cosa sia pure di poco conto, sapere utilizzare, tenere in conto, non sciupare. Chella bona fémmene fa recapete pure a nu figlie de stramme (quella donna sa utilizzare anche un filo di sparto).

FÀ RESÌE A UNE"Fare eresia a uno", vale a dire accusano di eresia, ma non nel senso classico della parola. Per la Chiesa l'eresia, si sa, è un errore, è una deviazione dal dogma. Il popolo, avendo bisogno di un modo che si adattasse a coloro che non rispettano le regole della civile convivenza e dei rapporti familiari, se n'è creato uno molto efficace ispirato alla resìa.Se capita un tale che non rispetta queste regole, ci deve pur essere qualcuno che lo richiami al dovere, e allora glie fa resie, cioè lo rimprovera aspramente per costringerlo all'ubbidienza e al rispetto. Il modo di dire viene adoperato soprattutto in famiglia per richiamare con una severa sgridata i ragazzi capricciosi. Uno di loro disubbidisce e fa disperare la madre; interviene la nonna e dice: "Tu a chisse gli 'ha fà resie" (a costui devi imporre l'obbedienza e il rispetto e costringerlo a fare il proprio dovere).

FÀ SCOLE "Fare scuola" ossia insegnare.

FÀ SCORCE "Far buccia" ovvero rompere i rapporti di amicizia. Cu chiglie ne' ce pane cchiu', ci 'ho fatte scorce (con quello non parlo più, ho rotto ogni rapporto).

FÀ SECCÀ L’ÈRVE DE GENNAJE"Fare seccare l’erba in gennaio" l’allegoria si affibbia a chi si lagna sempre e vede nero in tutte le cose

FÀ SEMPE N'ARTE "Far sempre un'arte" si suol dire di chi mangia ogni momento, di chi canta spesso, di chi è solito brontolare, di chi, insomma, batte sempre sullo stesso tasto.

FÀ SPACCHE E PESE "Fare spacca e pesa" vuoI dire fare le cose alla svelta e con competenza. Si usa dire anche frienne e magnenne (vedi).

FÀ SPACCHE E PESE Si racconta di una donna la quale vendendo un chilo di fichi osservò che l’ultimo fico faceva pendere troppo la bilancia, allora ritenendo di perderci per farla equilibrare al punto giusto divise il fico a metà. È Chiaro quindi che il motto riguarda la persona precisa, pignola ma anche tirchia, taccagna, attaccata ai suoi beni, decisa a regalare neppure un briciolo del suo. Può avere anche un altro significato: fare le cose alla svelta e con competenza (vedi 1° raccolta pag.190)

FÀ SPADE E CURTEGLIE Litigare, bisticciareInizioPagina

FÀ TABBACCHE "Far tabacco":. trattare malissimo una persona.

FÀ TACCHE E CRIUOVE "Fare schegge e chiodi", ossia fracassare un mobile o altro, riducendoli a pezzi. Il traslato vale per qualsiasi cosa rovinata in maniera irreparabile.

FÀ TÉTÉ E MAMMÓ Frase intraducibile che può tradursi "Far capolino a ripetizione" come giuoco per divertire i più piccoli. In senso ironico si dice di chi insiste a sporgere il capo per curiosare nei fatti altrui, cercando di non darlo a vedere

FÀ TRENTE E TRENTUNE"Fare trenta e trentuno" andare in fretta

FA TUTTE SCIMANFU Fare molte chiacchiere ma fatti poco o nulla. Fare tutto fumo e niente arrosto

FÀ TUTTE ZIZZE E PACCHE "Fare tutto zizze e natiche" ossia diventare eccessivamente obesa.

FÀ U FURMAGGE SOTTE E I MACCARUNE NCOPPE"Fare il formaggio sotto e i maccheroni sopra" Fare le cose alla rovescia

FÀ UNE A DUJE O FÀ NU VENTE A DUJE"Fare uno a due o fare un ventre a due" significa partorire due gemelli

FÀ UOCCHIE PINE E MANE VACANTE "Fare occhi pieni e mani vuote". L'allegoria si addice agli sbruffoni, ai vanagloriosi, ai don Giovanni da strapazzo che solo con la fantasia si vantano di aver fatto cento conquiste. Essa esprime veramente con grande efficacia il suo significato: certe persone a parole si vantano di aver fatto mare e monti, ma in realtà non hanno fatto un bel nulla o quasi; gli occhi sono pieni di visioni ma le mani sono restate vuote. InizioPagina

FÀ VENI' A PIOVE "Far venire a piovere". Evidentemente nessuno ha questo potere, ma i faceti lo attribuiscono a colui il quale esce da casa e, per eccessiva prudenza, reca con sé l'ombrello, pur non essendo imminente la minaccia della pioggia. "MÒ fa venì a piove!" esclamano con aria canzonatoria. L'espressione si rivolge anche a quelle persone, solite ad arrivare in ritardo, il giorno in cui si presentano in orario, oppure a chi se ne sta ordinariamente tappato in casa se per avventura si incontra per la via.

FÀ VORZE 'N CUORPE "Fare borse in corpo", (vedi fà buttune 'n cuorpe).

FÀ ZARAFFE"Fare il prepotente e lo scostumato"

FÀ ZITTE ZITTE AMMIEZE AGLIU MERCATE "Fàre zitto zitto in mezzo al mercato"; com'è possibile fra tanta confusione? Il modo di dire ironizza il voler mantenere un segreto, quando già è sulla bocca di tutti.

FACCIA PRUIBBITE "Faccia proibita". Significa "faccia sospetta" di cui è bene diffidare.

FÀCIMME COMME E CHIGLIE DE GLIU CUNTE "Facciamo come quel tale del racconto", cioè ci ritroviamo in una condizione identica a quella riscontrata in un certo racconto, vale a dire in una situazione singolare, piuttosto fantastica che reale.

FACIMME UNE E UNA DOJE "Facciamo una e una due", ossia facciamo il bis. Una madre compera un cono gelato al figlioletto, che, purtroppo, lo lascia cadere a terra. Gliene compera un secondo e gli raccomanda: "Ora stai attento, altrimenti faje une e una doje (fai il bis)". Avendone fatta una, potrebbe farne allo stesso modo una seconda.

FACISSE NA SECCE E LA FACISSE SOCCE!

FAMORE Termine che si può tradurre: a causa di, dato che, poiché, per il fatto Famore ca sì cchiu' ruosse (per il fatto che sei più grande) fai il prepotente con i ragazzini.

FANNE GLI'UOCCHIE FANNE LE RECCHIE "Fanno gli occhi fanno le orecchie". Se una persona ha le traveggole si dice che glie fanne gli'uocchie e se le orecchie percepiscono suoni mesistenti glie fanne le recchie.

FANNE PAPPE E CUCENELLE "Fanno pappe e cucenelle" quelle persone che amano ritrovarsi intorno ad una tavola imbandita. In senso piu lato si riferisce a individui che in ogni evenienza trovi immancabilmente uniti e d'accordo.

FÀRESE TERÀ GLIU RIME DAGLIU PREPONE"Farsi tirare il remo dal polipo" vuol dire far scivolare fuori bordo una parte del remo. Non essendo questa la posizione giusta, il rematore voga male e con difficoltà. Ovviamente accade all’inesperto il quale viene canzonato con la comica allegoria

FÀRESE ACCUNTENE' Si può tradurre: credersela, stare sulle sue, farsi pregare, non concedere confidenze, mostrare alterigia o albagia. Mamma meje, quante se ne fa accuntené! Chi se crere d'esse, Torlò? (mamma mia, quanta alterigia! Chi crede di essere, Torlonia?).

FÀRESE ANEME E CURAGGE "Farsi animo e coraggio" equivale a "prendere il coraggio a due mani".

FÀRESE CIANCELATÈ Scambiarsi reciprocamente delle moine affettate, dei salamelecchi stucchevoli, delle cerimonie sdolcinate. InizioPagina

FÀRESE FRASTIERE "Farsi forestiero". Colui che si allontana dai luoghi frequentati, e si fa vedere di rado, è come se diventasse un forestiero agli occhi degli altri. "Non ti fai più vivo gli dicono vedendolo riapparire Te sì fatte frastiere?" (ti sei fatto forestiero?).

FÀRESE LA ROCE"Farsi la croce". L’inizio di lavori e di opere un tempo veniva aperto con il segno della croce. Oggi si ripete la frase fàcimece la roce quando per motivi imprevisti non possiamo esimerci dall’affrontare un compito, un lavoro, un impegno che non ci aspettavamo

FÀRESE METTE LA PARTE MMANE "Farsi mettere la parte in mano". Espressione derivata dal mondo dei pescatori: risale al momento in cui, come si è spiegato altrove (vedi fa la parte), i pescatori si sedevano in circolo e ricevevano la parte del guadagno spettante in moneta sonante. Si dice che "si fa mettere la parte in mano" chi si contenta di tutto, anche se poco, la persona priva di iniziative, l'incapace di fare progressi, il debole di volontà.

FÀRESE METTE LA UNNELLE 'N CAPE "Farsi mettere la gonna in testa", sottinteso dalla moglie, rappresenta una grande vergogna per un uomo. Infatti la gustosa allegoria significa che il marito in casa ha ceduto le sue prerogative alla moglie. È lei che dispone e impartisce ordini.

FÀRESE NA LAMPE DE FUOCHE"Farsi una lampa di fuoco". Il verbo arrossire non esiste in dialetto; si sostituisce con questa espressiva locuzione

FÀRESE PASSA' LA FANTASIE "Farsi passare la fàntasia". Distrarsi per allontanare cattivi pensieri e preoccupazioni dalla testa.

FATECA' A FEDE "Lavorare a fede", vale a dire lavorare con impegno, con scrupolo, onestamente.

FATÌE DE GLIU QUATRALE "Lavoro del quatrale" cioè dello scansafatiche, dell'ozioso, del fannullone, del mangia pane a tradimento. A chigile glie piace la fatie de gliu quatrale (a quello piace il dolce far nulla).

FATTE E BUONE M'ho accattate nu vestite fatte e buone (ho comperato un abito bell'e fatto).

FECOCCE Deriva da fecuocce (frutto del caprifico); è un bitorzolo sul capo.

FELLÀ CU L'ÓNGHELE E' ovvio che "affettare con l'unghia" è praticamente impossibile a meno che non si tratti di burro. La frase viene usata in senso figurato, e di solito quando si vuoI fare un complimento a un bel bambino in tenera età dall'aspetto florido e paffuto, dicendo: "Benediche, se po’ fellà cu I'o'nghele" (sia benedetto, si può affettare con l'unghia).

FENENNE FENENNE "Finendo finendo" tradotto letteralmente. La locuzione viene usata quando si vuole dire che uno si sta spegnendo lentamente. Gliu nonne va fenenne fenenne (il nonno si va spegnendo lentamente).

FENI' A TARAGLIUCCE E VINE "Finire a tarallucci e vino". I tarallucci con il pepe e lo strutto ci stanno assai bene accompagnati dal vino. Un tempo era usanza offrirli alla fine delle festicciuole paesane in famiglia. Se un'animata discussione, che minaccia di degenerare in rissa, finisce con una stretta di mano si dice che "è finita a tarallucci e vino", come tra buoni amici in una festicciuola di famiglia. InizioPagina

FESTE DE GLIU SCASSONE Scassone è un dispregiativo che si attribuisce a qualsiasi cosa ridotta in pessime condizioni, come ad esempio una vettura sconquassata, un mobile sgangherato e così via. Ai figlioletti che fanno i capricci perché vogliono un giocattolo o altro, le madri, per calmarli, promettono di accontentarli dicendo: "Quanne iamme alla feste de gliu scassone te gli 'accatte" (quando andremo alla festa dello scassone te lo comprerò). I piccoli si acquietano soddisfatti e sognano; ma la festa dello scassone non verrà mai, perché non esiste. Incontrando un tale tutto ripulito e rivestito, abito e scarpe nuovi, l'amico gli dice in tono scherzoso: "Ch 'ha ì alla feste de gliu scassone?" (che vai alla festa dello scassone?).

FETE DE CASE MARZUGLINE"Puzza di cacio marzolino". Il cacio marzolino è un formaggio sott’olio, prodotto a Itri, che al momento di immetterlo nel mercato viene cosparso con anici selvatici che assorbono l’olio e gli lasciano un odore forte e penetrante. La frase se la tira addosso chi ha molti difetti

FETÉ LA FATÌE "Puzzare il lavoro". Una cosa puzzolente ci fa scappare lontano. A certuni puzza terribilmente il lavoro (glie fete la fatìe) e se ne tengono il più lontano possibile. A questa categoria, si comprende subito, appartengono i fannulloni, gli oziosi, gli scansafatiche.

FIGLIE BUONE E FIGLIE DELLO STATE Un tempo adottare un bambino era una cosa facilissima: bastava che la madre lo cedesse e tutto stava a posto. Di solito si trattava di figli illegittimi le cui madri desideravano sbarazzarsene. In quelle famiglie dove non era nato un maschio o una femmina si cercava di rimediare prendendone uno in adozione. I maschi erano i preferiti perché ben presto diventavano braccia utili da impiegare nei poderi o sulle barche. Il figlio adottivo è detto figlie dello state, mentre quello legittimo è detto figlie buone.

FIGLIPPINE È un vento forte e freddo di tramontana. Oggi non esco, fuori fa na figlippine! (fa un freddo cane!).

FIÙ! Espressione di nausea, di disprezzo, di derisione, da tradursi con puah! puh! che schifo! vergogna! "Fiù fetente!" (vergogna sudicione!) dice la mamma al figlio che se l'è fatta addosso.

FOJE NGHETTE Foje in senso generico vuoi dire vezzo, moina. Nel contesto delle seguenti locuzioni assume diversi significati. FÀ LE FOJE = vezzeggiare: quante foje fa a chigliu figlie! (come se lo vezzeggia quel figlio! quante moine gli fa!). METTE LE FOJE significa avanzare pretese, pretendere lusso e comodità: Rosine doppe spusate ha misse le foje (Rosina dopo le nozze ha avanzato un sacco di pretese). DÀ 'N FOJE = viziare: glie denare glie danne 'n foje (i denari lo viziano). PASSÀ LA FOJE ha un duplice significato. Il primo vuol dire passare l'entusiasmo, il desiderio, la voglia di una cosa: M'è passate la foje d'ì a Rome (m'è passato il desiderio di andare a Roma); il secondo indica l'abbondanza di una cosa: E' fenute la foje de le cerasefinita l'abbondanza delle ciliegie). Nghette deriva da ghetto nel senso di baccano, confusione. FA NGHETTE vuol dire protestare, reclamare, lagnarsi, contestare, strepitare. In particolare fa nghette il ragazzo capriccioso che strepita battendo i piedi per ottenere qualche cosa dalla madre. InizioPagina

FRA ĜLIUME E ĜLIUSTRE Alle prime luci dell'alba, quando il cielo comincia a schiarirsi, oppure sul far della sera, al crepuscolo. Adoperata come locuzione avverbiale equivale a in un batter d'occhi, improvvisamente, in un attimo, in un baleno e simili. "Fra lusco e brusco" si dice in Toscana.

FRA UOCCHIE E UOCCHIE"Fra occhio e occhio". Dire o fare una cosa riservata, a quattr’occhi, all’insaputa degli altri, senza far trapelare alcunchè

FRANCISCHE ANTONIE LA MURTELLE "Francesco Antonio Mortella" fu un noto personaggio gaetano, colto ed esperto, vissuto nel XVI secolo, che per oltre quaranta anni ricoprì importanti cariche pubbliche, tra cui quelle di revisore dei conti e cassiere della città, e che lasciò tutti i suoi beni in eredità all'Istituto della SS. Annunziata. Il suo ricordo è rimasto in un modo di dire che ironicamente paragona a lui chi si dà arie di colto e competente, pur non avendone la stoffa. "Ecc'accà, ha parlate Francische Antònie la Murtelle" (ecco qua, ha parlato Francesco Antonio Mortella) si dice; il che significa che il suo discorso non cambia un bel niente, come non fosse stato mai detto.

FRATE MEJE!"Fratelli miei!". Esclamazione di meraviglia come: mamma mia

FREVA MAGNARELLE Si dice così una febbricciuola che in breve tempo scomparirà. Si crede che nei piccoli sia da collegare a un fenomeno di crescita.

FRIENNE E MAGNENNE "Friggendo e mangiando". I cibi fritti bisogna mangiarli subito, perché fatti freddare perdono molto della loro fragranza. Così succede per le cose, o faccende di qualsiasi genere: bisogna compierle alla svelta (frienne e magnenne) altrimenti, prese alla lunga, finiscono male, diventano inutili, si ritorcono in danno alle volte.

FRUSCE FRUSCE, RATTEME STA SCOPE Nei vicoli del Borgo, sul muro esterno dei bassi, a lato dell'ingresso c'è infisso un chiodo al quale si appende la scopa, una volta di sparto, infilata nel lungo manico, per farla asciugare. Durante i litigi tra vicine, poteva capitare che una di esse appendesse la scopa al chiodo e gridasse, rivolgendosi all'altra: "Frusce frusce, ràtteme sta scope". La frase voleva suonare scherno e dileggio; significava: io non ti curo, sta qui la scopa, tratta con essa e grattala, grattala quanto vuoi. Frusce frusce è il fruscio della scopa in opera. Le scope di sparto non si usano più da tempo, ma il modo di dire è rimasto con lo stesso significato e si usa anche lontano dai vicoli del Borgo e per qualsiasi motivo.

FUÌTE FÉMMENE, CA VÈNNE GLI’ UÓMMENE"Fuggite donne, perchè arrivano gli uomini" si gridava il tempo in cui uomini e donne formavano gruppi separati distinti e si evitava qualsiasi contatto fra loro. Nei tempi attuali il motto invita a sottrarsi da ben altri pericoli

FUMÀ GLIE BAFFE "Fumare i baffi". Sono due i tipi ai quali glie fumene glie baffe (fumano i baffi). Al primo appartiene per esempio un noto personaggio, degno di rispetto per cultura, doti morali e posizione sociale; al secondo un camorrista, un prepotente che il rispetto lo impone con la violenza. InizioPagina

FUMÀRESE A UNE DENTE LA PIPE "Fumarsi uno dentro la pipa" vuol dire sentirsene superiore sotto tutti i punti di vista.

FURIA FRANCESE E RITIRATA SPAGNOLE Questo modo di dire risale ai tempi in cui Francesi e Spagnoli si combattevano accanitamente per il predominio in Italia e si riferisce a chi, essendosi impegnato con fervore in una faccenda, improvvisamente si ritira sfiduciato. Il modo è certamente nato allorché a Gaeta giunse la notizia della battaglia di Seminara (1495), dove le truppe di Carlo VIII combatterono contro le milizie napoletane di Ferdinando Il d'Aragona, affiancate dagli Spagnoli al comando di Consalvo di Cordova.I Francesi attaccarono per primi, e gli Spagnoli, secondo un determinato piano, si ritirarono per manovrare in una posizione più favorevole. I soldati napoletani, convinti che si trattasse di una ritirata generale, presi dal panico, abbandonarono il campo disordinatamente. Dopo questo precipitoso scompiglio agli ispano napoletani non restò che riparare di corsa in Sicilia.

FÙTTEĜLIE CIANFÙTTEĜLIE, ACCUSSÌ SE PARLE SPAGNUOĜLIE

GELORME MAGNE E DORME "Girolamo mangia e dorme": il prototipo del pigro, che soddisfa esclusivamente i bisogni materiali.

GERÀ LA FRETTATE "Voltare la frittata". Invertire le responsabilità per trovare una scusa o una giustificazione. In particolare il motto indica il tentativo di passare dalla parte del torto a quella della ragione.

GERÀ LA USCE "Girare la bussola" significa cambiare idea, passare per la testa, schiarire la mente. Se me gire la usce ne'parte cchiu' (se cambio idea non parto più; se me gire la usce vache agliu cinematògrefe (se mi passa per la testa vado al cinema. Usce (bussola deriva dal napoletano ùsciola: s'è avutata a' ùsciola dicono a Napoli.

GESÙ CRISTE E' IUSTE E FA LE COSE IUSTE "Gesù Cristo è giusto e fa le cose giuste". Questa frase viene pronunciata con grande soddisfazione da chi, avendo subito un danno oppure ricevuto un torto da qualcuno, poco dopo vede costui subire il medesimo torto, oppure si rifà inaspettatamente del danno. E frequente tra i bambini durante i loro giochi, quando, in casi dubbi, c'è chi l'ha voluta vinta e al giro seguente deve cedere perché ha perso nettamente. InizioPagina

GESÙ CRISTE MAZZA BANNERE E l'appellativo di Gesù risorto dal sepolcro, recante in mano lo stendardo mazza bannere. Si scopre sull'altare maggiore al momento dello scampanio che annunzia la Resurrezione.

GESÙ CRISTU MIJE, HE FATTE MURÌ A TATE FA MURÌ PURE A MAMME"Gesù Cristo mio hai fatto morire babbo, fà morire anche mamma" Si dice quando dato il primo avvio ad una cosa, si spera che vada al più presto in porto, bene o male che vada

GIUVEDI' DE GLIU MURZIGLIE Si tratta del giovedì grasso, giorno in cui si usa preparare in ogni casa un pranzo abbondante e con piatti scelti (murziglie). Per allestirlo non si badava a spese e si contraevano anche dei debiti; da ciò il proverbio pervenutoci, giuvedì de gliu murziglie, chi ne' te' denare se mpegne glie figlie (giovedì grasso, chi non ha denari si impegna i figli.

GLI CAPITALE È SEMPE GLIU MIJE"Il capitale è sempre mio" dice senza prendersela molto la moglie quando viene a sapere di un’amante del marito. Valeva una volta quando il matrimonio era indissolubile, ma ora che c’è il divorzio come la mettiamo?

GLI'ÀSENE AMMIEZE AGLIE SUONE L'asino in mezzo ai suoni, è definito chi viene a trovarsi in un ambiente che non è quello abituale, nel quale si trova a disagio e per il quale non è nato, come l'asino, appunto, non nato per ascoltare la musica. Corrisponde a "pesce fuor d'acqua".

GLIE DENARE VANNE FUIENNE "I denari vanno scappando". Modo felice per definire il continuo giro della moneta che passa da una mano all'altra. E anche usato per significare che non si hanno soldi in tasca in quanto essi "se ne vanno correndo in giro" per conto loro.

GLIE FANNE L'OVE PURE LE lATTE "Gli fanno le uova finanche le gatte" si dice, secondo la fertile inventiva popolare, di quella persona particolarmente favorita dalla sorte, perfino nelle circostanze più difficili. InizioPagina

GLIE FANNE VENCE PURE GLIU CUĜLIE DE GLIU SUMARE"Gli fanno vincere anche il culo del somaro" per esempio quei genitori che permettono al figlio la soddisfazione di qualsiasi capriccio

GLIE FATTE DE LA TERNETÀ"I Fatti della Trinità": discorso difficile a capire come quello del mistero della SS. Trinità

GLIE FIGLIE GLIE FANNE GLIE FENUCCHIE "I figli li fanno i finocchi". I figli dei finocchi sono i germogli laterali della radice. Un padre deluso per i rapporti con i propri figli, a chi gliene parla, risponde sfiduciato con questo traslato. Trattandosi di fratelli (frate) o sorelle (sore) che hanno ugualmente deluso, si dice GLIE FRATE STANNE AGLIU CUMMENTE (i frati stanno nel convento) e LE SOLE (al posto di sore) STANNE SOTTE LE SCARPE (le suole stanno sotto le scarpe).

GLIE GRIECE SO FETIENTE!... "I greci sono gentaglia!..." Modo di dire ellittico che sottintende il seguito: "... ma voi li superate".

GLIE IATTARIEGLIE HANNE DAPIERTE GLI’UOCCHIE"I gattini hanno aperti gli occhi" è come dire gli ingenui sono diventati furbi, i piccoli cominciano a capire

GLIE PUOZZE STRUJE DANANZE AGLIU PELONE"Che tu lo possa consumare davanti alla pila". Con questo augurio la suocera infilava l’anello nel dito della nuora il giorno del fidanzamento. Oggi con le lavatrici che hanno liberato la donna da tanta schiavitù manderebbe la suocera al diavolo, ma un tempo si trattava effettivamente di un buon augurio. Il lavoro più pesante della casalinga era il bucato (culate) che le prendeva alcune ore al giorno (curva, le mani ammollate, spugnate, il grembo e i piedi umidi) il lunedì per insaponare, il martedì per il ranno, il mercoledì per la risciacquatura e la sciorinata al sole. Per riuscire, quindi a consumare l’anello davanti al lavatoio voleva dire avere tanta forza per sopportare quella fatica, godere buona salute, vivere a lungo. Ora, visto che nelle famiglie senza donna di servizio, la casalinga non poteva sottrarsi a questo pesante impegno è chiaro che l’eufemismo era da considerarsi un augurio accettabileInizioPagina

GLIE TENGHE TUTTE CAZZAMANE E PRONTE "Li ho tutti cazzamane e pronti". La parola cazzamane, di significato ed etimo incerto, è usata solo in questo modo di dire che si dà in risposta a chi chiede un prestito; esplicitamente significa che non è neppure il caso di parlarne.

GLIE VIAJE DE CICCHE LA ROCCHE "I viaggi di Cicco La Rocca". L'uso dell'appellativo Cicco, diminutivo di Francesco, è molto antico nel gaetano. Nel Codex Diplomaticus Caietanus compare molte volte. Ai tempi di Ladislao ci fu un Cicco del Borgo, certamente oriundo del Borgo gaetano, che fece parte della missione inviata, il 1389 in Sicilia, a prelevare la giovanissima Costanza, la figlia di Manfredi di Chiaromonte, che veniva sposa al quattordicenne Ladislao. Chi sarà stato mai questo Cicco La Rocca, così noto da passare in un motto? Forse un ambasciatore? Un funzionario noto per i continui viaggi? Il popolo si chiedeva incuriosito: "Cosa va facendo costui con il suo andare avanti e indietro?". Ignorandone il motivo, avrà pensato che Cicco La Rocca concludesse ben poco nell'intenso continuo trafficare. Dire oggi che un tale fa glie viaje de Cicche La Rocche vuoi significare una persona che, pur impegnandosi molto, non riesce a concludere gran che di utile.

ĜLIETTE FATTE "Letto fatto". Chi trova il letto già rifatto da altri non gli resta che da coricarsi e goderselo. Il modo di dire arrevà a gliette fatte (arrivare a letto fatto) riguarda coloro che riescono a inserirsi in una faccenda, quando già tutto è stato risolto, e a godersene i frutti senza aver mosso un dito.

GLI'HE VISTE MMANE A CACCHEDUNE! "L'hai visto in mano a qualcuno!" si risponde a chi chiede qualche cosa che non si vuole o non si può dare. Se quanto chiede lo ha visto in mano a qualcuno, se lo faccia dare, altrimenti chiederà invano.

ĜLITANI'E DE MARANELE Litanie di Maranola, per dire di cos che non finisce mai

GLIU BANCARIEGLIE E GLIU SCARPALE: NE' SE SA CHI HA FATTE GLIU PIRDE "Il deschetto e il calzolaio: non si sa chi ha fatto il peto". Come può essere se il deschetto è da escludere? E ovvio che è stato il calzolaio. Questa frase si rivolge a chi nega di aver commesso un fatto il cui autore, è chiaro a tutti, non può essere che lui. InizioPagina

GLIU BUTTONE DE SANT'ANDREJE "Il bottone di S. Andrea"; sarebbe l'ultimo particolare che, a volte, non si riesce a realizzare per completare un'opera. Si racconta che S. Andrea apostolo, con il ricavato di un solo giorno di pesca, era riuscito a farsi con fezionare un cappotto, ma il denaro non era bastato per comperare l'ultimo bottone. In seguito non pescò mai abbastanza per provvedere al bottone mancante. Accadeva così, infatti, ai pescatori di menaide di una volta. Poteva capitare che un giorno pescassero tante di quelle sarde da non riuscire a venderle, e poi passavano settimane intere di magra, senza neppure prendere una coda di sarda, a dirla con una loro frase.

GLIU CHIANUOZZE DE SAN GIUSEPPE "La pialletta di S. Giuseppe". Ci sono donne niente curve, magre, senza neppure un'ombra di seno, lisce come una tavola piallata; di esse si dice che S. Giuseppe ci 'ha passate gliu chianuozze (ci ha passato la pialletta).

GLIU CURAGGE GLIE TE; LA PAURE GLIE FOTTE "Il coraggio lo ha; la paura lo frega". E una strana situazione quella di un individuo il quale da una parte ha tanto coraggio da poter avventurarsi anche in una faccenda rischiosa, mentre dall'altra parte ha altrettanta paura da annullare il coraggio e quindi resta fregato, cioè non fa nulla. La feconda espressione si addice a chi vorrebbe prendere una iniziativa, ma di fronte alle possibili difficoltà da superare si scoraggia e rinuncia.

GLIU DIÀVEĞLIE A CAPE LA FOSSE Il diavolo a capo della fossa". Si crede che Satana si apposti presso i letti dei morenti per ghermirne l'anima al momento del trapasso. Il traslato si adatta a coloro che, per invidia o per interesse, aspettano il crollo di qualcuno

GLIU GIRE DE GLIU CIUCCE "Il giro dell'asino" è quello che l'asino fa legato alla nona e con gli occhi bendati: gira e gira per ore ed ore senza veder nulla e sempre rimanendo nello stesso luogo. Il traslato vuole indicare l'affannoso andirivieni di uno che va in cerca di un altro ma non lo incontra, pur raggirandosi entrambi nei medesimi dintorni. InizioPagina

GLIU GIUDEJE A FACCE 'N TERRE "Il giudeo a faccia a terra". Allude al soldato di guardia al sepolcro di Cristo che, abbagliato e spaventato dalla luce emanata dall'Angelo disceso a sollevare la pietra tombale, cade a faccia a terra. Me pare gliu giudeje a facce 'n terre (mi pare il giudeo a faccia a terra) si dice vedendo passare una persona, il viso rivolto al suolo, ritenuta di animo cattivo e con la coscienza rdsa dal rimorso. Si dice anche scherzosamente al bambino che, facendo i capricci, si butta a terra con il viso rivolto in giù.

GLIU MARE SAGLIE SOPE SANT’ÀGNEĜLIE"Il mare sale sopra Sant’Angelo" si dice quando il mare è molto agitato. Sant’Angelo è una delle maggiori cime degli Aurunci (m. 1402)

GLIU MEGLIU LEGUME E GLIU SAUCICCE DE FETECHE "Il miglior legume è la salsiccia di fegato" diceva una volta chi la carne la vedeva raramente, dovendosi accontentare quotidianamente di un piatto di legumi. Ora la salsiccia di fegato non si vede più, i tempi sono cambiati e trionfa la fettina di taglio scelto, a prezzi astronomici. Nel Mouse si dice: "Il miglior pesce è il maiale".

GLIU MÒNECHE DE TARRACINE HA IZATE LA TÒNECHE E HA DITTE: CÙNTELE A CHISTE"Il monaco di Terracina ha alzato la tonaca e ha detto: Raccontala a questo". In questo modo si replica a chi vuol darci da bere una cosa incredibile. Finisce così un racconto in cui si narra di un giovane che andatosi a confessare dal monaco, gli disse che aveva dormito in mezzo a quattro belle ragazze. E quando il monaco, incuriosito gli chiese: E che è successo?" quello candidamente gli rispose:"Assolutamente nulla!".

GLIU MPUOSTE S’ADDERIZZE CAMMENENNE CAMMENENNE

GLIU PATATERNE VIECCHIE "Il Padreterno vecchio". Cioè il Padreterno del Vecchio Testamento, cosi severo che non la lasciava passare liscia neppure al suo popolo prediletto e ne pumva severamente le disubbidienze. Per certe persone, cattive come sono, non ci vorrebbe il Padreterno nuovo, quello dei Vangeli, che perdona sempre e sacrificò addirittura il Figlio unigenito per redimere l'umanità. Per costoro ci vorrebbe gliu Pataterne viecchie per punirli a dovere, come è capitato all'ebreo che, essendosi recato a raccogliere il giorno del sabato, fu preso e portato davanti a Mosè. "E il Signore disse a Mosè: Muoia lapidato da tutta l'assemblea" (BIBBIA, Numeri, 15.32). InizioPagina

GLIU PRIME UOCCHIE D’ARBE"Il primo occhio dell’alba": le prime luci del mattino

GLIU PUORCHE CAMPE N'ANNE... "Il maiale campa un anno...". Si dice a chi fa una cattiva azione. L'uomo vive più a lungo di un maiale e verrà giorno in cui potrebbe pentirsene.

GLIU REUOCE DE LA MÉNELA DOCE "I vortici della mandorla dolce", come dire "molto rumore per nulla". Si usa questa espressione quando, ad esempio, un 'azione di protesta non raggiunge lo scopo, o quando si impiega molto fervore per approdare a un magro risultato, e così via. I vortici della mandorla dolce sono i blandi movimenti intestinali provocati dall'olio di mandorla, sornniinistrato, un tempo, ai bambini in tenera età che accusavano qualche disturbo. Tali reuoce sono contrapposti a quelli ben più violenti dell'olio di ricino che si dava a quei ragazzi che durante le feste natalizie avevano fatto scorpacciate di dolci e frutta secca. Del resto, allora, per qualsiasi indisposizione, veniva prescritta la purga di olio di ricino; sotto le armi, poi, si ordinava anche al militare che marcava visita per una distorsione alla caviglia.

GLIU SCHIAFFE DE GLIU TRANE "Lo schiaffo dell'itrano". Si racconta di un itrano che uccise per vendetta l'uomo che gli aveva mollato uno schiaffo ben sette anni prima. Se si parla di un tale, che conserva a lungo il risentimento per un torto ricevuto, si dice di lui: "Chiglie fa comme e gliu trane" (quello fa come l'itrano) non trova pace se non si vendica.

GLIU SPETALE S'ACCONCE CU LA UNZIATE "L'ospedale si acconcia con l'Istituto dell'Annunziata". Si dice di chi, stando meglio, cerca di sfruttare chi sta peggio.

GLIU SUMARE DE MARULLE: TÈ TOSSE, CATARRE E CIAMMURRE"L'asino di Marullo: tiene tosse, catarro e raffreddore". Si dice cosi di un tale, pieno di acciacchi, che facilmente si ammala.

GLIU SUMARE DE STREGAPANE... "L'asino di Stregapane...". Stregapane era il soprarinome di un commerciante di asini, assai noto quando nel Borgo ogni contadino ne aveva uno e ce n erano un cinquecento. Si narra che ne avesse uno con novanta nove piaghe e la coda marcia, per il quale, ovviamente, non trovava un acquirente. Una persona piena di malanni pare gliu sumare de Stregapane, tè nuvantaove piaje e la cola fràcete (sembra l'asino di Stregapane, tiene novantanove piaghe e la coda fradicia): ancora peggiore di quello di Marullo. InizioPagina

GLIU TRESORE DE FOSSANOVE "Fossanova" era la zona destinata agli orti, compresa tra le attuali vie Garibaldi, S. Nilo, Serapide fino ai piedi della collina della Catena. Il vero tesoro di Fossanova non era quello del tempio di Serapide, ma la grande quantità di ortaggi di ottima qualità ricavati da quel terreno fertilissimo ed esportati nei paesi vicini. Fossanova non esiste più; al suo posto è sorta una disordinata giungla di cemento e di asfalto che non ha lasciato spazio neppure per una scuola o per un triangolo di verde. Fossanova ormai è un tesoro perduto. Ci è restato il ricordo attraverso questa locuzione che si addice a quelle persone che si tengono talmente gelose le proprie cose da non lasciarle neppure toccare dagli altri. Allora si dice: "A bbare a chi ce le tocche! Ch 'iè gliu tresore de Fossanove?" (bada a chi gliele tocchi! Che è il tesoro di Fossanova?). "O Fossanova, a che sogni m'inviti, / e quante svegli in cor memorie care,/ così che accanto a te ravvicinare/mi par me stesso agli anni miei piu' miti!". S. BUONOMO, "Gaeta nelle sue campagne" 1937, p. 58.

GLIU VECCHIE S’È SCURDATE LA POPPE Uno che finge di dimenticare ciò che ha sempre fattoInizioPagina

GLIU VENTE DERETE LE RINE! "Il ventre dietro le reni!". Questa esclamazione sfugge a chi ha provato un forte spavento. Sentendosi scombussolato nell'interno, ha l'impressione che la pancia abbia preso il posto delle reni ed esclama turbato: "Mamma meje, 'nta brutta paure! Gliu vente derete le rine!" (mamma mia, che brutta paura! Il ventre è finito dietro le reni!).

GLIU WAPPE DE MARANELE "Il guappo di Maranola". Vale a dire un guappo da strapazzo.

ĜLIUNE "La ĝliune fa quinte" (la luna è al primo quarto). La ĝliune fa quinte e déceme (la luna è piena).

GRAGLIANE E' chiamato così il vento che spira da levante, dalla direzione in cui si trova la foce del Garigliano rispetto a Gaeta. Di solito porta il sereno, ma quando la sua velocità supera forza sette il mare diventa agitato in rada, mentre si mantiene calmo nella riviera di ponente.

HA FATTE CU TÈ, CU MÈ, CU PIRIPISSE E CU NAINANÀ Piripisse e nainanà sono parole prive di significato. La buffa allegoria è indicata per una persona in gamba, attiva, svelta, che se la vedere. Ma spesso viene usata in senso ironico anche per uno da poco

HAI DA SCARDÀ Curiosa allegoria che vuol dire: devi soffrire, devi faticare molto, devi penare a lungo per ottenere una cosa.

HE FATTE LA SCUPERTE....."Hai fatto la scoperta...." Si ripete a chi, intervenendo in una questione, crede di propore qualche cosa di eccezionale ma che in effetti è già conosciuta. Insomma è la risposta che merita chi dice di aver inventato l’acqua calda

HE VISTE LA IATT’ANNURE?"Hai visto la gatta nuda?" InizioPagina

I' A CAPE SOTTE "Andare a capo sotto", andare a capofitto, cadere pericolosamente. In senso metaforico significa subire una perdita, avere un rovescio finanziario. Va a cape sotte il commerciante che dichiara fallimento. I' SOTTE E NCOPPE "andare sottosopra" ha un significato analogo. Va sotte e 'n coppe una impresa che, facendo un lavoro, rifonde invece di guadagnare.

I' A CONCHE PE NA VEPPETE D'ACQUE "Andare a Conca per una bevuta d'acqua" vuol dire sciupare tempo ed energie per una sciocchezza a portata di mano. A Conca, presso la riva del mare, nelle vicinanze della cappella dedicata alla Vergine, esisteva un'abbondante sorgente ora scomparsa dopo l'imbonimento a mare. La sorgente, finché non venne prima l'acqua del Senno con i carri botte delle ferrovie e poi quella di Capodacqua con l'acquedotto, fu sempre utile per il rifornimento degli abitanti e dei velieri che faceva no scalo o si rifugiavano nel golfo. Alcuni ritengono che si tratti delle famose Fonti Artacie ricordate da Omero. I Romani, che li vicino avevano costruito vaste piscine per l'allevamento dei pesci, le avevano captate con opere murarie visibili sino a pochi anni or sono. Grosse barche riempivano di quell'acqua i loro serbatoi e venivano a venderla in paese. Recarsi a Conca al solo scopo di una semplice bevuta di acqua era effettivamente perdita di tempo e fatica sprecata: un bicchier d'acqua ci vuole così poco a procurarselo.

Ì A CURTE"Andare a corto" tradotto letteralmente. Di solito viene usato quando in una vicenda si ottiene un risultato deludente se non proprio negativoInizioPagina

I' A FA SCUNCIGLIE "Andare a fare i murici" significa andare a fare l'amore in casa della fidanzata, compuntamente, sotto l'occhio vigile della futura suocera. Un tempo la "sorveglianza" era tale che i due giovani non erano lasciati mai soli e sedevano uno in angolo e l'altra nell'angolo opposto. Quando il fidanzato andava via, la seggiola sulla quale era stato seduto veniva appesa a un chiodo, perché la fidanzata evitasse di usarla neppure per errore: tra loro non doveva esserci alcun contatto, sia pure attraverso una innocente sedia. Ma come c'entrano gli scunciglie in tutto ciò? Forse a causa degli aculei che pungono le mani a chi non li prende con la dovuta attenzione? Per un giovane, dunque, il recarsi a casa della innamorata soltanto per parlarsi a distanza, pià che un piacere, era un tormento, appunto come chi si punge prendendo i murici. I Toscani usano "a seggiola".

Ì A TRUÀ EDUARDE MUTE Eduardo Muto fu il custode del cimitero per molti anni. "Andare a trovare Eduardo Muto" è uno dei modi per dire che uno è morto. Oggi èpiù comune il detto "andare a via Garibaldi" da quando la via che conduce al cimitero ha preso questo nome ed Eduardo Muto da un pezzo è andato a far visita a se stesso. InizioPagina

Ì A TUORCE Guadagnare poco, andar male negli affari

Ì A VATTIA' SENZE LA CRIATURE "Andare al battesimo senza il neonato". Vuoi dire recarsi appositamente in un luogo per compiere una cosa, dimenticando di portare con sé il necessario per farla.

Ì ALLA PERDOSSE Vedi ì de chiatte (n. 1767).

Ì ALLA REZZE "Andare alla rete" cioè a tirare la sciabica. E noto che a tirare la rete ci vanno quelli che hanno più bisogno, i disoccupati, i poveri che non possiedono una barca propria e delle reti, ma solo due braccia per lavorare. Ì alla rezze significa subire un rovescio finanziario; interrompere un lavoro per mancanza di mezzi; spendere in una impresa molto più del previsto.

I' ALL'ACITE "Andare all'aceto". Si dice di cosa che va a male o di persona che peggiora nel modo di comportarsi.

Ì BUONE"Andare bene". So ite buone lo dice chi ritiene di aver fatto un buon affare, modesto o grosso che sia; chi ad esempio ha ottenuto a un prezzo conveniente uno scampolo di pesce da un banco in via di chiusura, oppure chi ha ricavato più di quanto si aspettava dalla vendita di un automobile o di un’abitazione.

Ì CANTERE CANTERE Locuzione che pronunciata in senso ironico (càntere = pitale) significa "andare rasente il muro", altrimenti si dice Ì RENTE RENTE.

Ì CASA CASE COMME E DONNA ROSE "Andare casa casa come donna Rosa". E lo stesso che fermarsi a pettegolare con tutti quelli che si incontrano. InizioPagina

Ì CU N’ATU VIENTE"Andare con l’altro vento" vale a dire avere altre idee, pensarla differentemente

Ì CU WANTE E MANECHITTE "Andare con guanti e manicotto" ossia vestire elegantemente.

Ì DE CHIATTE "Andare alla deriva". Manche glie cane se lasse gliu maiste, cu ssa lancetelle iate de chiatte (non sia mai scende il maestrale, con cotesta barchetta andrete alla deriva. Ì ALLA PERDOSSE ha il medesimo significato.

Ì DE QUARTE COMME E LA ĜLIUNE Si traduce "andare come le fasi lunari". Chiglie va de quarte comme e la ĝliune (quello cambia spesso opinione).

I DICHE CA PIOVE... È la parte ellittica di un modo di dire che si completa con:... ma tu fai venì le pisciarelle. Si traduce: "Io dico che piove... ma tu fai venire l'acqua a catinelle". Si dice quando uno si trova in una certa difficoltà, ma la situaziòne non è poi così disperata come la dipinge l'interlocutore.  InizioPagina

Ì FACENNE PEZZE CÀURE "Andar facendo pezze calde" è un modo che risale all'uso dei pannicelli caldi nella cura di alcuni disturbi dell'apparato respiratorio. Significa darsi da fare per trovare ad ogni costo i mezzi per far fronte ad una questione urgente. Pe me luà stu débbete so ite facenne pezze càure (per togliermi questo debito ho fatto l'impossibile).

Ì LEVA LEVE"Andare leva leve" si dice nel gergo marinaro quando, invece di alar e a stratti un cavo, viene tirato alla svelta. Per estensione si dice anche di tutto ciò che procede speditamente

Ì METTENNE LA TRUMMETTE Ancora quando ero ragazzo ricordo che le ordinanze del sindaco venivano lette da una guardia comunale che all'imbocco di ogni vicolo si fermava e suonava la tromba per richiamare la gente dalle case. In quel tempo pochi sapevano leggere e quello era il mezzo più economico, e nello stesso tempo pratico, perché tutta la popolazione venisse rapidamente a conoscenza delle ordinanze. I mettenne la trummette (alla lettera "andar mettendo la trombetta") significa andar propalando con leggerezza notizie che sarebbe prudente tenere riserbate. Ne' dice niente alla chiacchiarone, sennò chelle va mettenne la trummette (non dire nulla alla chiacchierona, altrimenti lo andrà spifferando per tutto il rione).  InizioPagina

Ì 'N PARAVISE PE SCAGNE "Andare in Paradiso per errore". Chi va in Paradiso al posto di un altro non potrebbe fare migliore affare. Un buon affare, ovviamente, lo fa anche chi, senza aspettarselo, si vede capitare addosso un colpo di fortuna. Cosi si dice, ad esempio, che va in Paradiso per errore chi ottiene un impiego perché quelli classificati avanti a lui rinunciano; chi perde un aereo che poi precipita; chi esce illeso da un incidente stradale con morti e feriti.

Ì NFUNNE DE TORRE "Andare in fondo alla torre" cioè finire nei sotterranei dove di solito c'erano le prigioni. L'allegoria vuol dire "andare in rovina".So ite nfunne de torre (sono andato in completa rovina); gli 'ha mannate nfunne de torre (lo ha mandato completamente in rovina). 

Ì PE LA CAMPATE "Andare per la campata" significa guadagnare quel tanto che basta per tirare avanti alla meglio. 

Ì PE LA IURNATE "Andare per la giornata significa guadagnare il necessario a sbarcare il lunario per quel giorno.

Ì PE LE TÒRZELE, Ì PE SOTTE Due modi di dire con un solo significato: pagare ingiustamente le colpe altrui. "Andar sotto" può corrispondere ad una posizione inferiore, dove in qualche modo si può essere bistrattato, calpestato; "andare per i torsoli" è forse difficile a spiegarsi. Ma bisogna considerare che ad essi non è riservato un buon trattamento: vanno a finire, comunque, tutti nelle immondizie.

Ì PE SSU CHESSE Locuzione letteralmente intraducibile. Significa vagare per le vicinanze, andare a zonzo, girovagare senza meta.  InizioPagina

Ì RÀTECHE Ràteche = radice, i ràteche: andare in giro, essere di moda, essere attuale. Va ràteche l'influenze (va in giro l'influenza); vanne ròteche le unnelle corte (vanno di moda le gonne corte); vanne ràteche glie mariuoĝlie (in giro ci sono troppi ladri).

Ì SEPA SEPE "Andare siepe siepe" ossia andare lungo la siepe e per traslato andare rasente un muro.

Ì SPIERTE E MENIERTE Nel Basile si trova "spierte e demierte". Spierte deriva dal latino volgare spartus (errante, randagio, ramingo,disprezzato); menierte è un termine che ritroviamo soltanto in questa locuzione, indubbiamente derivante da demierte che l'Andreoli traduce "respinto". Il modo di dire significa vagabondare, ramingare, girovagare. Chiglie va sempe spierte e menierte (quello va sempre girovagando). Al femminile fa sperte e menerte.

Ì STRITTE GLIU VESTITE "Andare stretto l'abito". L'abito che va stretto vuol dire che è fatto male; se un affare è andato male, si dice che a quel tale gli 'è ite stritte gliu vestite (gli è andato stretto il vestito).

Ì SUI TETTI Letteralmente significa "andare sui tetti", cioè in alto. Oggi c'è chi si vergogna di parlare dialetto, mentre sino a pochi anni fa si prendeva in giro chi parlava italiano. Se qualcuno lo faceva stando con gli amici, questi lo burlavano dicendo: "Ma che te ne stai ienne sui tetti?" (ma che te ne stai andando sui tetti?).

Ì TRUENNE CHI GLI'ACCIRE "Andare cercando chi lo uccida" nel senso di cercarsi guai da solo.

Ì TRUENNE CRISTE PE GLIE VUOSCHE "Andare cercando Cristo per i boschi". Somiglia al motto precedente. Significa agire in maniera insensata, cavillare, ficcarsi nei pasticci. 

Ì TRUENNE PERLEJE Cercare delle giustificazioni, delle scuse. Avanzare dei pretesti per uscire da una situazione sfavorevole

Ì ZERRIENNE, Ì SBRTTENNE Due semplici modi di dire che si equivalgono, andarea zonzo senza meta, perder tempo

I’N PARAVISE CU NU ZUOCCHEGLIE E LA CAMMISE"Andare in Paradiso con gli zoccoli e la camicia" Ottenere quanto si desidera senza alcuna contropartita

IATTA MARZOLLE "Gatta margolla". Margolla è un termine arcaico che vuol dire diavolessa, strega, verziera. La locuzione me pare na iatta marzolle indica una persona magra, irrequieta, spiritata, aggressiva. InizioPagina

IATTONE DE MALAZZERE "Gattone di magazzino". Il gatto che vive nel malazzere (magazzino dove si raccoglie e distribuisce il pesce) conduce una vita comoda in mezzo all'abbondanza del cibo preferito. L'inoperosità e la dovizia di cibo lo fanno diventare grasso e con il pelo arruffato. Metaforicamente il motto si riferisce a una persona obesa e trasandata.

IENNE MENENNE MELUNE CUGLIENNE"Andando venendo, meloni cogliendo" muoversi, agire, darsi da fare cogliendo meloni; insomma alla fine un risultato soddisfacente si è ottenuto. La frase viene pronunciata in senso ironico quando, dopo tanto ormeggaire si nota che tra due o più persone ci si mette d’accordo su una questione

IÉTTECE NA ĜLIRE..."Buttaci una lira..."Due amici passano accanto a un gruppo di persone che stanno discutendo per fatti loro. Uno di essi, che non ne ha una buona opinione, in segno di disprezzo mormora all’altro, alludendo al gruppo: "Iéttece na ĝlire..." omettendo il resto che direbbe"...in mezzo a loro e vedrai che senza alcun ritegno si precipiteranno a raccoglierla, azzuffandosi per contendersela". Alle volte per scherzo si dice anche con amici. La locuzione deriva dall’usanza, dimenticata da tempo, di lanciare dal balcone di casa, al rientro di una coppia di sposi dalla cerimonia nunziale, il contenuto di un vassoio pieno di petali di fiori, confetti, dolciumi secchi e soldi, le monetine di bronzo del valore di cinque centesimi di lira. Tutti i ragazzi del vicinato che erano in attesa si tuffavano a raccogliere dolci e monete, cercando di raggiungerli a furia di spintoni

IÉTTETE A MARE CU TUTTE GLIE PANNE"Gettati a mare con tutti i panni" si dice a chi vale nulla o ha combinato una sciocchezza

IÒCHELE "Giuochi". Se so mbrugliate le iòchele (si sono imbrogliati i giuochi) equivale a "si sono imbrogliate le acque", "si sono complicate le faccende". 

ÌRESE A ITTÀ "Andarsi a buttare". Cuòseme s'è ite a ittà pe na mez 'ore (Cosma si è andato a buttare per una mezz'ora) è sottinteso sul letto. 

IRESENNE AGLI'UÒSEME IRESENNE AGLI'ANNAMlENTE Sono due locuzioni che hanno significato identico: intuire, prevedere, accorgersi.Me ne so ite agli 'uoseme ca chiglie è nu mbruglione (ho subito intuito che quello è un imbroglione).Uòseme deriva da annusare; annamiente da andamento. InizioPagina

IRESENNE CUOTTE E PELATE"Andarsene cotto e pelato" Espressivo e colorito modo per significare andarsene a mani vuote

IRESENNE DE CAPE "Andarsene di testa" ossia "diventare folle" ed anche "perdere la testa", "innamorarsi follemente". Chiglie se n 'è ìte de cape pe na francese (quello ha perso la testa per una francese). Se ne va de cape anche il povero che, arricchitosi improvvisamente per un colpo di fortuna, si dà a spese folli, smarrendo il controllo di sé ed il senso della misura.

IRESENNE 'N ZÒCCHELE "Andare in sollucchero".

ISCÌ A MESSE "Uscire a messa". Dopo il matrimonio, di solito celebrato di domenica, quando il viaggio di nozze era privilegio di pochi, gli sposi restavano a casa in luna di miele, per otto giorni; uscivano solo la sera.Questo periodo si dice FÀ GLI OTTO GIORNI (fare gli otto giorni). La domenica successiva si recavano con la "carrozza di sposa" (vedi alla voce) ad ascoltare la messa al duomo. Glie spuse so iscite a messe dicevano i vicini. In quella occasione essi indossavano il migliore abito, e gli occhi dei curiosi puntavano particolarmente su quello della sposa.

ISCÌ A PERE ASSUTTE "Uscire a piede asciutto". Chi deve attraversare una strada allagata e riesce a farlo senza bagnarsi i piedi, è chiaro che se l'è cavata nel migliore dei modi. Così chi riesce a uscire indenne da pericolosi frangenti, se iscìte a pere assutte (se n'è uscito a piede asciutto).

ISCÌ CU L'ÒSSELA SANE ISCÌ CU L'ÒSSELA DOTTE "Uscire con le ossa sane" "Uscire con le ossa rotte". Uno che esce indenne da una rissa, si dice che ne esce con le ossa sane, e chi invece le prende si dice che ne esce con le ossa rotte. I due motti sono usati anche in senso metaforico, quando non si tratta di una disputa a base di percosse, ma di questioni economiche e di confronti morali come può essere per chi si getta in speculazioni finanziarie o chi si invischia in una polemica. FA NA DÒTTELA D'OSSE (fare una rottura di ossa) a un tizio, vuol dire pestarlo di santa ragione. InizioPagina

ISCÌ DA DERETE GLIU PERÒ "Uscire da dietro il cassettone". Una persona timida e riservata, che non si fa mai avanti a mettersi in mostra, se si libera dei suoi complessi e un bel giorno si fa avanti franca e disinvolta si dice che se n'è iscite da derete gliu però.

ISCÌ DAGLIE PANNE"Uscire dai panni". Cioè rivelarsi sotto un nuovo aspetto spogliandosi delle vesti che lo mascherano. Si dice di chi improvvisamente si comporta in maniere differenti da quelle cui si era abituati a conoscerlo

ISCÌ DALLU FUOCHE "Uscire dal fuoco" ovvero venir fuori da un pericolo, scamparla, liberarsi da un incubo, evitare un danno.

ISSE SE CANTE E ISSE SE SONE "Egli si canta ed egli si suona" vuole intendere la persona che fa tutto da sè, senza bisogno di altri. La spiritosa frase si appioppa a uno che fa un discorso noioso che nessuno sta ad ascoltare.

ISSE VA CU LE MALE PENNE, I VACHE CU LE MALE MESURE "Egli va con le cattive penne, io vado con le cattive misure". Questa espressione la usa chi non si lascia impressionare dalle minacce di un altro ed è disposto a rispondergli per le rime, a rendere pan per focaccia.

ITERZE"Avantieri"

ITTÀ GLI'OME A MARE "Gettare l'uomo in mare". Una persona ha bisogno impellente di qualche cosa e sa che è difficile ottenerla; tuttavia non rinuncia ad un estremo tentativo e in questo caso iette gli 'ome a mare (getta l'uomo a mare) cioè avanza una proposta, pur non nutrendo molta speranza. 

ITTÀ GLIU BANNE "Gettare il bando". Divulgare una notizia alla maniera del banditore che rendeva pubbliche le ordinanze delle autorità (vedi i mettenne la trummette).

ITTÀ LA PIGNE E ARRECOGLIE LE VÀCHELE"Gettare il grappolo e raccogliere gli acini" nel senso di recuperare i resti di ciò che si è sprecato per negligenza

ITTÀ LE COFFE "Gettare i palamiti". Il pescatore che molla in mare i palamiti si curva fuori bordo, come colui che, colto dal mal di mare, cerca di non vomitare dentro la barca. La locuzione Sta ittenne le coffe" (sta gettando i palamiti) indica un individuo che sta vomitando. 

ITTÀ NA SENTENZÈ "Buttare una sentenza" vuoi dire lanciare una maledizione.

ITTÀ NU CAPE SENZA CIME "Lanciare un capo senza cima". Per cape si intende l'estremità' di una fune; ogni fune, quindi, ha due capi. Allorché una barca deve ormeggiare alla banchina, da bordo si lancia il capo di una cima, che a terra viene legato a una bitta; l'altro capo viene fissato a bordo e così la barca è bella e ormeggiata. Se da bordo si lancia una estremità dietro alla quale non esiste una cima, è evidente che la barca non potrà mai essere assicurata alla banchina. Così la frase, di indiscussa origine marinara, "buttare un capo senza cima" vuole indicare un lavoro iniziato in maniera completamente sbagliata, tanto da non lasciare alcuna possibilità d'essere portato a termine. Significa anche avanzare una proposta talmente strana che esclude ogni opportunità di essere presa in considerazione.

IUCÀ CU DUJE MAZZE DE CARTE"Giocare con due mazzi di carte". Tenere il piede in due staffe, trattare la stessa vicenda con più persone contemporaneamente per trarne il maggior vantaggio

L’UOGLIE HA SBERZATE DALLA MESURE"L’olio è traboccato dalla misura" equivale a :si sono oltrepassati i limiti

LA BANCHE DE LA SCIGNE "La banca della scimmia" non si trova in nessun luogo. Perciò quando uno chiede un prestito e questi soldi non ci sono o non si vogliono prestare, oppure un figlio chiede una moto e il padre non ci pensa affatto, si sentono rispondere: "E dove li vado a prendere i soldi, alla banche de la scigne?". Scigne è la storpiatura del napoletano sciulio. T'i baie a piglià a u banco d'u sciùlio dicono a Napoli trattandosi di denari che nessuno mai riscuoterà. Il banco dello sciùlio fu un istituto bancario, attivo per un certo periodo, che allettava con forti interessi, ma poi a furia di imbrogli faceva sparire il capitale. Inventore di quella truffa fu Guglielmo Ruffo, principe di Scilla. Sciùlio può essere una corruzione di Scilla. InizioPagina

LA CAMMISE DE GLIU MPISE "La camicia dell'impiccato". Si dice di una cosa di cui ognuno approfitta come "la quercia caduta" del Pascoli.

LA CARRIERE DE SAN MARTINE "La carriera di S. Martino". Si dice che ha fatto la carriera di S. Martino il militare o l'impiegato rimasto sempre nei gradi più bassi. Si adattava a pennello per quei militari arruolatisi per il servizio presso il reclusorio militare che al di là di caporai maggiore non riuscivano ad andare.

LA FATÌE VA DA MARE E TU VAJE DALLA VIE"La fatica va dalla parte del mare e tu vai dalla via interna" si dice a chi ha poca volontà di lavorare, allo scansafatica che cambia strada se rischia di incontrarla. Da mare è detto il lungomare e la vie è quella dell’Indipendenza, le due strade parallele che attraversano il borgo intero, da Montesecco a Calegna. Percorrendo l’una ovviamente non si incontra chi percorre l’altra, pur spostandosi tra i medesimi punti

LA FIGURE DE SPAPECCHIE "Fare la figura di Spapecchie", che era un povero diavolo, significa fare una figura assai meschina.

LA FUNDIÀRIE E LA RICCHEZZA MÒBBELE La fondiaria è l’imposta sui terreni e i fabbricati, la ricchezza mobile è l’imposta sui beni mobili: sono paragonate a due persone brutte, viste insieme

LA GENTE STA COMME DIE SA E LA MADONNE CRERE "La gente sta come Dio sa e la Madonna credè". Questa frase nel contesto di un discorso, oppure data in risposta a uno che chiede dello stato di salute, vuoi dire che chi la pronuncia si trova in una difficile situazione, oppure in quel momento è preoccupato per il suo stato di salute. Uno che ha durato fatica per fare un lavoro e vuol dare credito al suo discorso conclude dicendo: "GESÙ CRISTE LE SA, LA MADONNE LE CRERE".

LA LIATINE DE ZI FRANCISCHE MO QUAGLIE E MO SQUAGLIE "La gelatina di zio Francesco, ora quaglia e ora si squaglia". Si dice di uno che cambia spesso opinione. La gelatina si fa nel periodo invernale ed è un brodo molto ristretto che quaglia spontaneamente a temperatura ambiente. Si ottiene mettendo a bollire cotiche, ossa e cami viscose di maiale, cipolla, peperoncini dolci e forti, cimino (ciumie), aglio e sale. Prima di versare il brodo nelle scodelle, nelle quali già sono stati distribuiti pezzi di carne e di cotiche, con un cucchiaio si toglie quanto più si può del grasso che galleggia. Il rimanente viene separato soffiando energicamente sulla superficie. Questo grasso, detto truffature (soffiatura), spalmato sul pane è più buono del burro.

LA MALA VICINE POZZE TRECÀ COMME TRICHE

LA MOLE CHE MÁCENE LU RANE: MMECE DE SE NCAZZÁ LU RANE, SE NCAZZE LA MOLE"La mola che macina il grano: invece di risentirsi il grano, si risente la mola". Un operaio è impegnato in un lavoro di scavo: a un tratto rischia di farsi male per una piccola frana che lo mette in difficoltà. Sopraggiunge l’assistente e incomincia a sbraitare. È a questo punto che l’operaio se ne esce con la frase

LA MORTE DE GLIU PECURIEGLIE È CHELLE D’ESSE SCANNATE"La morte dell’agnello è quella di essere scannato"

LA NEVA MARZUGLINE, DA LA SERE A LA MATINE: Cosa di breve durata

LA PRIME ACQUE T’ABBAGNE"La prima acqua ti bagna" Prenderai un bagno alla prima pioggia, un minimo di pioggia ti farà ammalare, basterà un nonulla perchè chi è cagionevole di salute si ammali seriamente. Si dice così appunto a chi deve riguardarsi dall’esporsi alle intemperie a causa della sua debole salute. Si dice anche in senso figurato quando uno naviga in precarie condizioni finanziarie e un minimo inconveniente può provocare un dissesto

LA RÉULE TE PORTE A CASARÉULE"La regola ti porta a Casarevole". Casarevole era una contrada molto fertile sulla strada di S. Agostino ai piedi di Monte Dragone, che in questo motto c’entra probabilmente per far rima. La regola in dialetto sta a significare anche una buona organizzazione della vita familiare infatti si dice anche che la fémmene te le règhele de la case, questo proverbio vuol dire che una saggia conduzione della vita familiare assicura il benessere e la tranquillitàInizioPagina

LA SAGLIUTE DE GLIU FÀMMEĜLIE In genere prende il nome di fàmmeĝlie qualsiasi coleottero e quindi anche lo scarabeo sacro, detto fàmmeĝlie de Serbe, perché era frequente nella spiaggia di Serapo nel tempo in cui questa era ampia e selvaggia. Quando lo scarabeo trasportava la sua pallottola di sterco per le dune di Serapo, capitava alle volte che, dopo un faticoso lavoro per spingerla in salita, arrivasse a un punto in cui, franando la sabbia, rotolava al punto di partenza insieme con essa. A chi, dopo tante fatiche, tutto va male e perde quanto ha guadagnato, si dice che ha fatte la sagliute de gliu fàmmeglie. Fàmmeĝlie deriva da famulus (famiglio) il servo in livrea nera che viveva nelle case dei nobili.

LA SCARPE TE' FAME"La scarpa ha fame" si dice quando ha la suola scucita davanti e a ogni passo si apre e si chiude come la mascella di un animale

LA SCIULATE DE GLI'AVARE "La scivolata dell'avaro". E detto cosi il gesto dell'avaro che, messa da parte momentaneamente, una volta tanto, la sua incallita avarizia, compie un atto di inattesa prodigalità.

LA SORTE DE CAZZELLE Cazzelle evidentemente doveva essere un individuo sfortunato. Tené la sorte de Cazzelle (avere la fortuna di Cazzelle) significa essere una persona cui non ne va una bene.

LA SORTE DE LA BRUTTE "La fortuna della brutta" è quella di maritarsi prima e meglio delle coetanee più belle di lei.

LA SPOSE D'ITRE Si racconta che a Itri una sposa, durante la sua festa di nozze, non voleva assolutamente ballare, nonostante fosse stata insistentemente sollecitata dai presenti. Ma dopo tanto, finalmente accondiscese e, presoci gusto, poi non la volle più smettere. Quando ci troviamo di fronte a un ritroso, che si fa eccessivamente pregare si dice che pare la spose d'Itre. La locuzione è ellittica poiché si sottintende: ce vonne ciente ducate per la fà iscì e duiciente pe la fà trasì (ci vogliono cento ducati per farla uscire a ballare e duecento per farla smettere). In Sicilia si dice: Prigamu la zita ch 'abbailassi ora la prigamu chi stancassi (pregammo la sposa che ballasse, ora vorremmo che smettesse).

LA TÀULE DE GLIU CUCCHIERE... "La mensa del cocchiere" non dovrebbe essere una mensa modello se si definisce in questo modo un luogo dove corre un linguaggio scurrile. Di solito si omette il seguito che continua così: . . .n 'alazze, nu pirde e nu chi t'è muorte (uno sbadiglio, un peto e una imprecazione ai morti. Variante Nu rutte, nu pirde e nu va' a fa ncuĝlie.

LA TÈ ACCUOGLIE "La tiene addosso" la donna che ha il mestruo.

LA VECCHIE 'N CIEĜLIE "La vecchia in cielo". Si suoi dire così ai bambini che tossiscono forte, invitandoli a guardare in alto. Si crede che facendo in questo modo l'accesso di tosse finisca o almeno si attenui. La stessa cosa vale per un boccone che va di traverso.

LA VENNEGNE DE SANTU CUÓSEME "La vendemmia di S. Cosma". Il giorno di S. Cosma cade il 26 settembre. Intorno a questa data i contadini di Gaeta vendemmiano. Ma per vennegne de Santu Cuóseme si intende l'insieme di tutti i doni, in moneta e in ori, che il Santo riceve dai fedeli il giorno della festa, in chiesa e durante la processione che attraversa buona parte del Borgo. L'immagine di S. Cosma è congiunta a quella del fratello Damiano, ambedue Martiri e medici, assai venerati in Gaeta e dintorni. InizioPagina

LA VERDATE E VIVA DIE "La verità e viva Dio". Locuzione con la quale si vuole dar forza ad un discorso, garantendone la veridicità.

LACERTE DE MACERE "Lucertola di macera". La lucertola che vive nelle macere è costretta a contorcersi maggiormente per infilarsi tra la pietre. Il traslato si usa per quelle persone che camminano ondeggiandosi.

LAGNÀRESE DE LU SUPIERCHIE "Lagnarsi del soverchio". Si dice di chi si lagna pur non avendone alcun motivo.

LAMBUCHE La lampuga è un pesce che somiglia grosso mòdo al pesce cipolla, ma molto più grande, lunga sino a un metro. La grossezza e la forma della testa, nonchè la posizione dei grossi occhi, le danno un aspetto strano. Me pare na lambuche (mi sembra una lampuga) si dice di una persona alta, allampanata e dinoccolata.

LAMIE E NCUSCIATURE: I UAGLIUNE CE L’HANNE ‘N CUĜLIE"Volte e piedi di volte: i ragazzi ce l’hanno dietro" lavorano sodo per trasportare a spalla, arrampicandosi per una scala a pioli, il materiale necessario. Questo succedeva quando anche ragazzi di 10-12 anni facevano lavori pesanti e pericolosi

LAMPIUNCELLE "Piccola lampa". La lampe era una misura di capacità per il vino, equivalente a due caraffe, e inoltre significa anche fiamma. STUTÀ NA LAMPIUNCELLE si traduce spegnere una fiammella. Ma, giocando sul doppio significato della parola, nel nostro caso, vuoi dire tracannare tutto il vino contenuto in un recipiente qualsiasi.

LARDIA' Dal francese larder, "lardare", "lardellare". In senso figurato vuoi dire percuotere bestialmente. Sotto la dominazione spagnola nel Reame di Napoli, come primo atto del carcere a vita, il sodomita era punito con la lardiata. Posto completamente nudo, bene in vista su un carro, veniva portato in giro per le vie della città, preceduto dalla trombetta della Vicaria annunciante la strana giustizia che di li a poco l'aguzzino avrebbe messo in atto ai danni del condannato. Lo lardiava, cioè gli faceva colare sulle cami gocce di lardo bollente, e poi lo fustigava sulle parti molli del corpo. Più avanti la scena si ripeteva, sicché alla fine il corpo del disgraziato ne rimaneva terribilmente straziato. Oggi quando si minaccia di percuotere brutalmente qualcuno ancora si dice: "Te facce na lardiate nnummero une".

LASCHE DE RINE "Lasco di reni". Si dice di persona debole di reni, che orina spesso, oppure di donna soggetta all'aborto.

LASSÀ ‘N BANDE"Lasciare in banda" nell’ambiente marinaro significa mollare una cima. Per estensione assume il significato di lasciar perdere, abbandonare quanto si è intrapreso

LASSÀ Ì Letteralmente si traduce "lasciare andare", ma significa lasciare in pace una persona o un animale. Lassa ì ssu cane (lascia in pace cotesto cane>.

LASSÀ STA "Lasciare stare" alla lettera. Significa: desistere, rinunciare, lasciar perdere. Ne' te ne ncarecà, lassa stà (non incaricartene, lascia perdere).

LASSÌTEME QUATTE, ACCHIAPPÌTEME CINCHE"Lasciatemi quattro, prendetemi cinque" si dice ironicamente di chi minaccia e sbraita teatralmente, tentato di liberarsi da chi lo trattiene, ma senza alcun seria intenzioneInizioPagina

LATTE DE MOSCHE "Latte di mosca". Metafora che prende il significato di cibo ricercato, raro, costoso. La mate ne' glie fa mancà manche lu latte de mosche (la madre non gli fa mancare neppure il latte di mosca). In altri termini non gli fa mancare nulla.

LATTE E NZOGNE!"Latte e strutto!" Il bambino succhia dal petto della madre e dopo qualche minuto fa il ruttino. Sino a che non viene, il piccino a volte è inquieto sino a quando si libera dal peso se messo in posizione eretta. Allora si dice: "Latte e nzogne", un buon pro per il bambino: il latte che ha preso lo faccia crescere sano e robusto.

LAVA' LE MANE AGLIU CANISTE "Lavare le mani nel canestro" è senza dubbio una cosa impossibile. Se uno ci riuscisse sarebbe capace di superare qualsiasi ostacolo. T'ha lavà prime le mane agliu caniste (ti devi lavare prima le mani nel canestro) si dice, perciò, a chi crede di poter risolvere una questione difficile, che non è assolutamente in grado di affrontare.

LE CIAMMARRÙCHELE TENNE LE CORNE

LE DU MORRUZZE, UNE FETE E 'NATE PUZZE"Le due lumache, una fete e l’altra puzze". Si dice così di due persone che pensano e agiscono allo stesso modo, poco raccomandabili dalle quali non si sa mai cosa aspettarsi

LE PÈCHERE FANNE ALLA MURIANE"Le pecore fanno alla muriane" oppure se méttene alla muriane oppure stanne accerriate, si dice delle pecore quando in estate, non avendo un luogo ombreggiato dove meriggiare, si addossano le une alle altre, il capo sotto il vello delle compagne per ripararselo dalla canicola. Muriane deriva da meria, luogo ombroso. "Stare a meria" si dice delle pecore quando meriggiano in un luogo ombroso, in vicinanza dell’acqua. Dal latino moror, moraris: trattenersi, fermarsi, soggiornare

LE SETTE SAGLIUTE "Le sette salite". Con questa locuzione si indicano le sette rampe della salita Guastaferri, fatte costruire da Ferdinando Il verso il 1850, che dal porto di S. Maria conducono nella parte alta del centro medievale.

LOCCHE LOCCHE Locuzione avverbiale che significa "adagio adagio", "lemme lemme". Si tratta di una voce onomatopeica che imita il rumore degli zoccoli di un asinello che procede a passo lento.

L'ORE DE LA GIURITTE "L'ora di Giuditta" è il periodo più caldo delle giornate estive, quelle seguenti il mezzogiorno, detto anche controre. Secondo la credenza popolare, in quelle ore, per aver fatto mozzare il capo a Giovanni, Giuditta (1) è stata condannata in eterno a passare per il cielo a cavallo di una trave di fuoco. Le madri preferiscono che, in quelle ore di canicola, i figli restino in casa. "Non uscire dicono è l'ore de la Giuritte". Chi invece volle la morte di Giovanni fu Erodiade che da sua figlia Salomè fece chiedere a Erode la testa del Battista in un piatto d'argento (Matteo 14, 3 6).

lOTTE Minestrone tipicamente locale a base di ortaggi freschi, come piselli, fave, patatine novelle, cavolo cappuccio e cipolline, condito con grassi suini.

LUÀ DA MIEZE- LUÀ DA SOTTE"Levare di mezzo"- "Levare da sotto"; smettere un’attività

LUÀ DA 'N PETTE E METTE 'N ZINE "Levare dal petto e mettere in grembo" vale a dire lasciare le cose come stanno. InizioPagina

LUÀ DA PERE Come in italiano significa "togliere dai piedi", ma vuol dire anche distogliere, dissuadere. Luimmeceglie da pere stu carnevale (togliamocelo dai piedi questo buffone). Lieveteglie da pere ssu male penziere (levatelo dalla testa cotesto cattivo pensiero).

LUÀ E METTE GLI'OBBE "Levare e mettere la gobba". Voltare il discorso in ogni verso, dire una cosa e il contrario della cosa stessa. Ha origine dalla leggenda delle ianare che a mastro Jaseppe prima fecero uscire la gobba e poi gliela tolsero.

LUÀ GLIE CÀCCHEGLIE AGLIE UAGLINACCE"Togliere i testicoli ai capponi" La curiosa allegoria riserva questo compito, ovviamente per scherzo, a colui che arriva sul posto a lavoro compiuto

LUÀ GLIU FIATE "Levare il fiato". I bambini più piccoli, quando piangono convulsamente, spesso rimangono per qualche attimo in apnea. Ebbene allora si dice che al bambino se gli 'è luate gliu fiate (gli si è tolto il respiro).

LUÀ GLI'UOSSE MMOCCHE A NU CANE Togliere l'osso in bocca a un cane non è una cosa facile. Altrettanto difficile è ottenere una cosa da un avaro e se qualcuno si illude di riuscirci gli si dice: "Mò ce glie lieve gh'uosse mmocche a chigliu cane! ". (Non toglierai mai l'osso in bocca a quel cane!). InizioPagina

LUÀ LA FRASCHE "Levare la frasca". Il contadino che incomincia la vendita al minuto di una botte di vino, mette la frasche per insegna in capo al vicolo, e la toglie quando è finita. Luà la frasche per traslato significa porre fine a una cosa, far repulisti, consumare tutto. Fumiamoci un'altra sigaretta ciascuno e accussì luimme la frasche (e così le togliamo di mezzo)

LUARESE GLIU SFIZIE Sfizie, di etimo incerto, significa gusto, capriccio, piacere, divertimento, soddisfazione, svago, voglia. La locuzione significa quindi togliersi il gusto, prendersi il capriccio e così via secondo i casi. "Togliersi lo sfizio" ora si dice anche in italiano.

LUOGHE CUMUNE E' detta così una buca, ben chiusa con un pesante coperchio di pietra, presso l'entrata dèi pianterreni delle vecchie case, direttamente in comunicazione con la fogna. Aveva la funzione del gabinetto, quando le moderne tazze a chiusura d'acqua non esistevano e l'acquedotto non c'era.

MA CHE STA ACCUCCHIENNE? Accucchià significa radunare, accatastare un mucchio di oggetti. La locuzione è il commento'ironico ad un discorso confuso e significa: Ma che va dicendo? Come fa a metter su tante sciocchezze?

MA' MEJE! CHE SÌ FRA' MATTEJE? "Mamma mia! Chi sei fra Matteo?". Qui Matteje non si sa bene se saita fuori per far rima o se fu personaggio veramente esistito. Il motto paragona a lui chi, distinguendosi per intelligenza e capacità, sa imporsi agli altri, divenendone la guida. In senso ironico si dice nei riguardi di un guappo da strapazzo.

MACCARONE SENZA PERTUSE "Maccherone senza buco". Così si definisce uno sciocco.

MACCARONE SENZA PERTUSE"Maccherone senza pertugio" equivale a minchione

MACCARUNE AGLIUZZITE"Maccheroni ben conditi con ragù"

MADONNE Madonna. Assume diversi significati secondo i casi. 1) E che madonne! abbare andò mitte glie piere, e che diavolo! bada dove metti i piedi. 2) Stu madonne che va truvanne da me, questo scocciatore che va cercando da me. 3) È menute nu povere madonne, è venuto un povero Cristo (poveraccio)

MADUNNELLE Diminutivo di Madonna, cioè "Madonnina". E il nome che dall'immagine della Vergine esposta nell'edicola a lato della via, o all'interno di una cappellina, è passato al portico antistante, utile a riparare i passanti dalle intemperie. Ci sono le "Madonnelle" di Conca, di Longato, del Colle, di Casaregola. La più conosciuta è quella di via Indipendenza detta semplicemente "la Madonnella". Quella di Serapo è scomparsa, ma è rimasto il nome a una via dove un tempo esisteva la stradina con l'edicola.

MAGGHIENE DE LE PRETE"Macchina delle pietre" ovvero rullo compressore per pavimentazione stradaleInizioPagina

MAGNÀ A QUATTE VECCÓNELE "Mangiare a quattro bocconi" cioè mangiare avidamente. In senso figurato vuol dire accanirsi senza scrupoli a guadagnare molto.

MAGNÀ A TARÌ A TARÌ Il tarì era una moneta della repubblica di Amalfi conosciuta anche a Gaeta. "Mangiare a tari a tarì", significa dar fondo, un poco alla volta, a tutte le proprie sostanze. Chelle che pussereje se l'ha magnate a tarì a tarì (ciò che possedeva lo ha mangiato a poco a poco).

MAGNÀ COLE DE SÙRECE "Mangiare code di topo" vuol dire essere incollerito, essere stizzito.

MAGNÀ CU GLI'UOCCHIE"Mangiare con gli occhi" vuoi dire guardare con forte desiderio.

MAGNÀ PANE A TRADIMENTE Mangia il pane a tradimento colui il quale vive alle spalle degli altri. A un giovane, che non ha voglia di lavorare e vive a carico dei genitori, si dice: "A mpàrete a fatià. Ne' te piglie scuorne a magnà pane a tradimente? "(impara a lavorare. Non ti vergogni a vivere sulle spalle dei tuoi familiari?).

MAGNÀ RASSE"Mangiare grasso". Si suoi dire che uno ha magnate rasse (ha mangiato grasso) quando, intervenendo in una conversazione, usa espressioni oscene e sconce.

MAGNÀRESE GLIE MACCARUNE"Mangiarsi i maccheroni" letteralmente tradotto. Capire, intuire una cosa da un lieve indizio, mangiare la foglia

MAGNÀRESE LE MANE A MÒRZELE "Mangiarsi le mani a morsi", è chiaro metaforicamente, per la rabbia.

MAGNARESE NU CANE MUORTE "Mangiarsi un cane morto" significa mangiare avidamente, senza fare lo schifiltoso, anche cibi niente appetibili. La minestra si è attaccata e la moglie si scusa con il marito. Ma egli, che ha una fame da lupo, le dice di non preoccuparsi poiché se magnesse pure nu cane muorte (mangerebbe anche un cane morto).

MAGNE FELETTE, CACHE SAETTE "Mangi filetto, evacui saette". In questo modo una madre apostrofa il figlio che lascia il gabinetto sporco e puzzolente.

MAGNE NU RUÓTEGLIE E PESE TRE QUARTE

MAGNE, VIVE E FUTTATENNE "Mangia, bevi e fregatene". E la frase che con sarcasmo si rivolge a colui che fa i propri comodi, senza badare minimamente agli altri e senza andare troppo per il sottile.

MAGNE, VIVE E TE LAVE LA FACCE "Mangi, bevi e ti lavi la faccia". Con questo richiamo il cocomeraio invita i passanti a mangiare una grossa fetta di cocomero, nelle calde giornate estive.

MAGNU UĜLÌE "Grande voglia". Locuzione usata soltanto in senso ironico per rispondere negativamente a chi ci propone una cosa che non desideriamo affatto. "Ntu magnu uĝlìe!" (che grande voglia!) gli rispondiamo secco. InizioPagina

MAI TE SE SECCHE LA LENGHE Si dice a chi non si stanca di parlare o a chi sparla degli altri. Che la lingua gli si asciughi tanto da non poter più parlare, gli si secchi come un legno così la finisce di annoiare. In Toscana seccare riferito a un membro del corpo vuol dire essere colpito da paralisi......................

MALA NIQUITÀ Cattiveria, perfidia, crudeltà

MALU CORPE "Uomo cattivo", "pessimo soggetto".

MANCA' SOTTE "Mancare sotto". Significa sentirsi fare il vuoto sotto i piedi sia nel senso figurato che in quello materiale. Me sente mancà sotte, ne' sacce i stesse ch 'aggia (mi sento avvilito, io stesso non so che fare). Ne' pozze cchiu' spenne, me manche sotte (non posso più spendere, mi mancano i mezzi).

MANCHE GLIE CANE "Neppure i cani". E una locuzione ellittica che intera suonerebbe "non augurano neppure ai cani". Equivale a "non sia mai", "Dio non voglia". Manche glie cane care d'alloche, te dumpe la cape (Dio non voglia cadi da costì, ti rompi la testa). Significa anche "lungi da me", "Dio ce ne liberi".Ch 'iè malamente chigli 'ome, manche glie cane! (quanto è cattivo quell'uomo, Dio ce ne liberi!).

MANCHE LA MADONNE CREREJE ALLA MMIRIE MA NÈ LA ULEJE DERETE LA UNNELLA SEJE

MANNA LINE ALLA REZZE

MANNAGGIA Significa "maledetto". Unita ad altre parole dà origine ad un'ampia serie di locuzioni che si dividono in due gruppi. Il primo gruppo comprende bestemmie e imprecazioni pesanti, il secondo comprende eufemismi esclamativi, adoperati in tono scherzoso. Alcuni esempi del primo gruppo: Mannaggia Die! la Madonne, questo e quel santo, glie muorte de pàtete, de màmmete, de sòrete, ecc. Esempi del secondo gruppo: Mannaggia gliu paranzieglie! gliu papore de fierre, gliu pataturche, la matine a iuorne, la morte, gliu diàveglie, ecc.

MANNE LA NEVE E SPANNE GLIU SOLE"Manda la neve e spanda il sole", chi fa una cosa e poi subito dopo ne fa una seconda che annulla la precedente

MANTENÉ ‘MMANE"Mantenere in mano" qualche cosa, in senso metaforico, in attesa di una decisione. Per esempio, all’operaio che sta eseguendo un lavoro, l’assistente dice mantiene ‘mmane quando si verifica un imprevisto o gli è venuto un dubbio e, nell’attesa che venga risolto, fa sospendere l’opera, che in un secondo tempo può essere ripresa, modificata o anche abbandonata

MANTENÉ A SICCHE"Mantenere a secco" è come dire mantenere a stecchetti

MANTENÉ LA CANNELE "Mantenere la candela" ossia reggere il moccolo.

MANTENÉ LA SERPE DENTE GLIU MANECONE "Mantenere la serpe nella manica" significa tenere segreta una cosa che, invece, andrebbe rivelata nell'interesse proprio e degli altri.

MANTENÉ LAMPA LAMPE La fiamma di una candela o di una lucerna che sta per finire vacilla e la minima folata è sufficiente a spegnerla. Allora per farla durare il più a lungo possibile si difende accortamente con le mani o con altro riparo. Risalendo a questa immagine il traslato di "mantenere lampa lampa" significa avere molte premure per la salute di un individuo bisognoso di assistenza. InizioPagina

MANTENÉ 'N FIORE "Mantenere in fiore", cioè procurare benessere e tranquillità a una persona. Minicucce uaragne buone e mantene 'n fiore mugliere e figlie (Menicuccio guadagna bene e non fa mancare nulla a moglie e figli).

MAPPATE DE FETIENTE La mappate è il contenuto di una mappa di tela, legata per le cocche. Si può parlare, quindi, di una "mappata" di biancheria, una "mappata" di verdura, e così via. In senso metaforico, 'mappate de fetiente vuole indicare un'accozzaglia di mascalzoni; mappate de mariuoĝlie un'accozaglia di ladri, eccetera, ma sempre sullo stesso tono.

MARAVÉ! Deriva da meraviglia. Esclamazione che equivale a "come mai!", "è possibile!".

MARE COMME E LA RAPESTE GLIU MESE DE LUGLIE "Amaro come il ravanello il mese di luglio". Il ravanello (in dialetto detto anche rafanieglie dal lat. raphanus) coltivato negli orti di Gaeta è rosso e di forma allungata, molto simile a una carota gialla (pastenache). Si mangia crudo da solo o intinto in olio e sale. Nei mesi estivi, finita la sua stagione, diventa amaro. La frase si addice a persone dal carattere acido ed indisponente.

MARE DE FAME Il pescatore sta per raggiungere la riva dopo una giornata di duro lavoro con pochissimo pesce in barca. Da terra gli domandano: Come è andata la pesca e quello di rimando: Mare de fame!

MARIUOĜLIE CU LA SCALE ACCUOGLIE "Ladro con la scala addosso". Un tempo i ladri erano tutt'altro che specialisti di lance termiche. L'attrezzo più utile era la scala con la quale, favoriti dal buio nelle strade prive di illuminazione, penetravano da finestre e balconi nelle abitazioni. Questa specie di ladri "pericolosissimi" ora èscomparsa da un pezzo. Ci è rimasto, però, il colorito motto affibbiato sarcasticamente, non più al ladro comune, ma ai professionisti, ai funzionari, agli amministratori pubblici, ai governanti i quali, senza scala e senza lancia termica, ma con altri sistemi più raffinati, sono sospettati di arricchirsi alle spalle della comunità. Tra il 1533 e il 1536 il Viceré don Pietro di Toledo, visto che la delinquenza notturna, già lamentata sin dall'epoca angioma, era in pauroso incremento, fu costretto ad emanare alcuni bandi contro di essa tra i quali il "bando delle scale", che Scipione Miccio nella "Vita di don Pietro di Toledo" così commenta: "Atteso che era molto in uso nella Città che i ladroni, e anco gli innamorati, e altri delinquenti, appiccavano di notte alle finestre scale di legno e di corda; le quali (finestre) ritrovando mal serrate, entravano a' compiere le loro scelerate voglie. Il che faceva stare tutta la Città inquieta; e di ciÒ lamentandosi li cittadini col Viceré, questi fece bando, sotto pena della vita, che nessuno ardisse di notte portare scale di nessuna sorte:il che fu confirmato con sangue di molti". (Vedi 6. Porcari, Apocalisse su Napoli, p. 45). InizioPagina

MÀSCHEĜLIE O FÉMMENE, CHEGLIE CHE SIJE CRISCIATELLE ‘N SIGNURÌE"Maschio o femmina, quello che sia crescilo in signoria" si suol rivolgere a una donna che aspetta un figlio, come consiglio ad allevarlo con tutte le accortezze, nel miglior modo possibile, superando vecchi pregiudizi discriminatori dei due sessi che riservano al maschio un accoglienza preferenziale

MASTE "Maestro". Maste de scole (maestro di scuola), masteferrale (fabbro), maste d'asce (carpentiere) maste cusutore (sarto) ecc... Il maste de feste èl'organizzatore di feste religiose. FÀRESE MASTE (farsi maestro) significa sedersi in cattedra, voler imporre la propria opinione.

MATARE Da matria (greco metrias) vedere il luogo natio, la patria, il paese della madre. Indica un luogo buono per la caccia. Matare pe le beccacce, pe gliu liepre è l’habitat favorevole per la beccaccia, per la lepre

MAZZAFRANCHE E' un giuoco fanciullesco che si fa con la mazza e la lippa. FA MAZZAFRANCHE D'ACCÀ E D'ALLÀ significa "far piazza pulita", "far asso pigliatutto".

MAZZE DE SCOPE Il "manico della scopa" è diritto e solido. Una persona dal portamento rigido cd impettito dà l'impressione che non possa piegarsi perché impedita da' un manico di scopa dentro di sé. "Treminte a chiglie ch 'è tiseche si osserva per scherno che s'ha ngruttite la mazze de scope?" (Guarda quello come è rigido, ha inghiottito il manico della scopa?). InizioPagina

MAZZUMAGLIE Modo di dire che significa marmaglia, plebaglia, gentaglia, accozzaglia di persone nel senso più comune.

MBRUÒGLIE ALLA PAGLIARE! "Imbroglio nel paghaio!". Con questa locuzione spigliata, intercalata in un discorso, si vuol mettere in guardia contro una cosa che non va, che non convince,poco chiara. Equivale a "gatta ci cova".

MBRUOGLIE, AIÙTEME TU! Esclamazione che si pronuncia quando, creatasi molta confusione in un luogo, si presenta la possibilità di passarla franca. La versione letterale è: "imbroglio aiutami tu".

ME GLIE SCHIAFFE... "Me lo schiaffo...". Modo di dire ellittico che si completa con... a chigliu pizze (...a quel posto). Viene adoperato quando, come chissà che di eccezionale, ci offrono una cosa di cui non sentiamo nè bisogno nè desiderio. Equivale a "non so che farmene".

ME GLIE SO AGGARBATE "Me lo sono lavorato" può essere la traduzione, nel significato preciso di l'ho convinto, con parole garbate e gentili, a fare una cosa che mi interessa.

ME GLIE SO ARRAUGLIATE Arrauglià (avvolgere) in senso figurato vuol dire "imbrogliare". Questa locuzione, al contrario della precedente, significa "l'ho abbindolato", "l'ho imbrogliato". Me glie so arraugliate, infatti, sottintende l'astuzia o la malizia.

ME GLIE SO VIPPETE DENTE A NU BICCHIERE D'ACQUE "L'ho bevuto in un bicchier d'acqua". Si dice quando si abbindola una persona con la stessa facilità con la quale si beve un bicchiere d'acqua.

ME LIEVE DA SARGENTE E ME FAI CAPURALE"Mi levi da sergente e mi fai caporale" è la risposta precisa che si dà a chi ci fa delle minacce, per fargli capire che le sue intimidazioni non ci impressionano.

ME PARE MIERCULDÌ AMMIEZE ALLA SEMMANE "Mi pare mercoledì in mezzo la settimana" si dice di uno che a sproposito si intromette in una questione.

ME PARE NA PÉTTEME"Mi sembra una pittima" si dice di una persona noiosa, pedante, importuna che si attacca alle costole di un altro come un empiastro. Difetto questo è il significato di pittima, vocabolo poco usato della lingua italiana, deriva dal latino tardo epithema

ME PIGLIE LA FIGLIE DE CIUFREGNE, TÈ LA VIGNE ALL’ERTE E GLI’UORTE A CALEGNE"Mi prendo per sposa la figlia di Ciufregne, possiede la vigna all’Erta e l’orto a Calegna" si dice ironicamente di chi fa un fidanzamento solo per motivi d’interesse

ME SENTE DE FOTTE"Mi sento di fottere" esclama indignato chi di fronte a un sopruso, un ingiustizia a un danno si sente dentro una gran rabbia perchè non si può opporre in nessun modo

ME SO ACCISE SENZA CURTIEGLIE "Mi sono ucciso senza coltello" cioè mi sono procurato da me stesso grossi danni, che possono riguardare sia i beni materiali e sia la salute. Pronuncia la frase, ad esempio, un tale che, accusando dei disturbi, trascura di recarsi dal medico e si decide soltanto quando il suo male si èaggravato. InizioPagina

MÉMÉ E CÉCÉ Questa locuzione indica due persone affiatate e d'accordo in tutto e che si vedono sempre insieme.

MENA' LA CULATE ACCUOGLIE AGLI'ATE "Buttare il ranno addosso agli altri" vuoi dire rovesciare la propria colpa sugli altri.

MENA MÉ!...Esortazione opportuna in un momento di fiacca: "Dai, sù, coraggio!".

MENÀ N'ATU RENNAGLIE "Introdurre un nuovo argomento". Curioso modo di dire di origine incerta.

MENESTA AMMARETATE "Minestra maritata": pietanza le cui origini sono antichissime (ne parla anche il Basile), che si mangia, come vuole la tradizione, il giorno di S. Stefano. Si prepara indifferentemente con verzi o cavoli cappuccio e carne di maiale particolarmente indicata la parte chiamata pettere), basilico, aglio, cipolla e lardo battuto.

METTE ‘N CIEĜLIE"Mettere in cielo": tessere le lodi di una persona, portare ai sette cieli: "Mette ‘n terre" è il contrario: sparlare, calunniare, screditare, denigrare

METTE A CAVAGLIE A NU PUORCHE "Mettere a cavalcioni di un maiale" vuoi dire esporre una persona al massimo del ridicolo. Non è possibile inventare una locuzione più indovinata di questa, uscita dalla fantasia popolare.

METTE A MMIEZE"Mettere in mezzo". Chi l’ha misse in mmieze? chi l’ha pensate? chi ha preso l’iniziativa. Uno fa una proposta che chi ascolta non crede opportuno e allora risponde "Ne mette a mmieze .....

METTE A PAGLIUOĜLIE METTE CU GLIU CUĜLIE PE 'N TERRE "mettere con il sedere per terra". Le due espressioni hanno il medesimo significato, cioè ridurre a mal partito un tale, mettendolo sul lastrico. Il pagliuolo è il rivestimento più basso della stiva di una nave.

METTE A REVIEGLIE"Mettere a soqquadro" Revieglie da revello, svellere, strappare, scassinare, rapire, violare, profanare

METTE A SIGNE"Mettere a segno" nel senso di ordine. Mette a signe la case, mettere in ordine la casa, la credenza. Mette a signe a uno, mettere uno sulla strada giusta, avviarlo a sbrigarselo da solo. Mette a signe glie proprie designe, realizzare i propri progetti

METTE AGLIU TRABBUCCHE "Mettere nel trabocchetto" ossia riporre un oggetto in un posto introvabile. Ne' se tróvene cchiu' le fruóvece; l'avite misse agliu trabbucche? (non si trovano più le forbici; le avete messe nel trabocchetto?).

METTE BANNERE (Mettere la bandiera). Sino a pochi anni or sono, Otto giorni prima di una festa religiosa, in alto davanti all'ingresso della chiesa, si esponeva una bandiera con l'immagine del Santo o del Sacramento, quando si trattava della festa del "Cristo" detta volgarmente Camaje. La breve cerimonia avveniva a mezzogiorno preciso con lo scampanio dei bronzi, lo sparo delle "batterie" e il suono della banda che poi faceva il giro della parrocchia. Essa apriva clamorosamente i festeggiamenti perché tutti i parrocchiani, ed anche fuori la parrocchia, ne venissero a cònoscenza; meglio dei manifesti, che non si usavano e molti non sapevano leggere, il suono della banda e i botti dei petardi non potevano passare inosservati. Allora chi sentiva si segnava con la croce ed esclamava: "Hanne misse bannere" (hanno messo la bandiera). Il traslato vuoi dire divulgare notizie riservate. Un tale racconta ad un amico un fatto da tenere riservato e infine gli raccomanda: "Mò n'i mettenne bannere" (ora non andar mettendo bandiera) ossia non andare a raccontarlo in giro. InizioPagina

METTE CAPE A FÀ BENE E CERVELLE A NFRACERA' "Mettere la testa a far bene e il cervello a marcire". La curiosa frase vuoI semplicemente significare: mettere seriamente la testa a posto; dedicarsi con impegno ad un lavoro; mettersi sulla strada giusta e buona.

METTE DA VANNE METTE DA GLIU PIZZE Due modi aventi lo stesso significato: conservare, risparmiare, mettere da parte.

METTE DENTE AGLIU MANECONE conservare una somma in un posto sicuro

METTE DENTE GLIU PORTAFOGLIE "Mettere dentro il portafoglio". Il traslato vuol dire mettere nel letto, andare a coricarsi.

METTE DENTE LE VÈRTECHE Un giovane si sfoga con la madre per problemi che lo assillano e pare che voglia coinvolgerla, se non altro perchè lo consigli e lo rinfranchi. Ma la madre non sa che dire, che fare. Infine dice:"mò le mette dente le vèrteche". Mettendo la questione dentro le vèrteche (parola di origine e significato incerto) la donna vuol significare che non può fare altro se non accantonarla momentaneamente e custodirla sino a che non decanti, le nuvole scompaiono e riapparisca il sereno

METTE FUOCHE ALL’ERVA VERDE "Mettere fuoco all’erba verde" fare l’impossibile, far di tutto per raggiungere un obiettivo

METTE GLI’UOCCHIE ACCUOGLIE...."Mettere gli occhi addosso a uno o a una cosa" vuol dire interessarsi di essi, esserne attratti, affascinati e intezionati a raggiungere lo scopo. Mette gli occhi addosso a una ragazza il giovane che vuole conquistarla. Mette gli occhi addosso a un oggetto colui che desidera venirne in possesso

METTE GLIE RIME DA LUONGHE"Mettere i remi in lungo" cioè ai lati della barca in senso longitudinale al rientro della pesca dopo averli tolti dagli scalini ai quali sono rimasti legati sin dall’uscita al mare. Disarmati i remi è finito il lavoro più impegnativo e pesante del pescatore. In senso figurativo vuol dire tirare i remi in barca ossia chiudere definitivamente con una attività

METTE GLIU MUSSE "Mettere il muso", lo stesso che offendersi; portare il broncio si dice PURTÀ GLIU MUSSE.

METTE GLIU NASE 'N CUĜLIE ALLA CRAPE "Mettere il naso nel sedere della capra", ossia fare il ficcanaso sino a tal punto che si andrebbe a curiosare nel sedere della capra per scoprire cosa c'è.

METTE GLIU RITE MMOCCHE A UNE "Mettere il dito in bocca a uno" come si fa con un bambino in fasce. La locuzione è usata ironicamente nei riguardi di chi, apparentemente ingenuo come un lattante, è in effetti un astuto furbacchione che la sa lunga. Mittiglie gliu rite mmocche (mettigli il dito in bocca) si suggerisce a chi crede il contrario.

METTE GLIU SCAGLIONE Mettere il dente del giudizio cioè mettere da parte la spensieratezza dell’adolescenza e cominciare a pensare seriamente e responsabilmente ai problemi della vita che ci stanno davanti. Ancora addà mette gliu scaglione si dice di un giovane che pur avendo una certà età si comporta ancora come un adolescente

METTE GLIU SCUORNE"Mettere la vergogna" vale a dire che si è giunti a una età in cui si capisce il bene e il male e quindi ci si vergogna quando il male si commette. Di solito si dice di una ragazza giunta alla pubertà. Ha misse gliu scuorne, cioè ormai è abbastanza matura per sapere come comportarsi autonomamente anche in momenti di responsabilità

METTE L’ARIE"Mettere l’aria" nel senso di darsi delle arie, di insuperbire

METTE LA CAMPANELLE ‘N CANNE ALLA IATTE"Mettere la campanella al collo del gatto" È come "ittà gliu banne", "ì mettene la trummette", ossia divulgare una notizia

METTE LA CAMPE ‘N CUĜLIE"Mettere il bruco della cavolaia nel pòdice" Il bruco non fa che muoversi e mangiare finchè non si addormenta: questa vitalità, secondo la fantasia popolare, la trasmetterebbe a chi ne fa l’uso del motto. Scherzosamente si dice che l’abbia praticato chi pur essendo molto avanti con gli anni tuttavia si mantiene arzillo. Si dice anche che ci vuole per i vecchi stanchi o per chi è fisicamente debitato.

METTE LA FOCHE 'N CANNE (anche 'N GANNE) "Mettere la foche alla gola" vale a dire afferrare la gola con le mani. Il termine foche (alle volte si usa il diminutivo fochette) si adopera soltanto in questa accezione e nell'altra: I CU LA FOCHE 'N CANNE. Foche deriva da focale,is, fascia di lana per coprire gola e orecchie. Stringendo la "focale" si soffoca una persona; adoperando le mani si ottiene lo stesso risultato. I cu la foche 'n canne vuoi dire andare in un luogo con il laccio al collo, contro la propria volontà.

METTE LA FRASCHE Vedi luà la frasche. InizioPagina

METTE LA IONTE "Mettere la giunta". La giunta, come è noto, è il soprappiù che il commerciante dà oltre il peso richiesto ed indica anche il pezzo di tessuto necessario per allungare l'abito di un ragazzo che è cresciuto. Il traslato significa lavorare con la fantasia su un fatto, aggiungendoci particolari inventati. Significa anche calcare la mano su una questione per se stessa già critica abbastanza. Quanne parle chelle ce mette sempe la ionte (quando parla lei ci aggiunge sempre del suo). Ce uleje pure la secche a mette la ionte (ci voleva anche la siccità ad aggravare la situazione).

METTE LA PEZZE A CULORE "Mettere la toppa a colore". Per fare un buon rattoppo è necessario innanzitutto un ritaglio di stoffa uguale o per lo meno dello stesso colore. Il traslato vuoi dire che per rimediare a una cosa che non va per il suo verso, occorre provvedere con fatti ed interventi adatti alla circostanza. Tore è une che sa sempe trua' la pezze a culore (Tore è uno che sa sempre trovare il rimedio a tutto).

METTE LA PRORE PE CAZZE E CUGLIUNE Modo di dire marinaresco per indicare l’allineamento a terra tra Monte Cefalo e Monte Carbonaro

METTE LA TÀULE "Mettere la tavola" significa apparecchiare. Al contrario LUÀ LA TÀULE (levare la tavola) vuoi dire sparecchiare. I due modi sono antichi e ci vengono dall'epoca in cui in ogni casa esisteva la madia che, per motivo di spazio era ricavata sotto il piano di un tavolo comune. Per apparecchiare bastava disporre al suo posto la tavola, cioè il piano del tavolo che copriva la madia. La tovaglia (mantile, dallo spagnolo manteI) raramente veniva usata, di solito nelle feste importanti: La madia, quando non serviva per impastare la farina, fungeva da ripostiglio per le provviste alimentari, al riparo dal gatto, o dai topolini, se il gatto non c'era.

METTE LA VARCHE ALL'ASSUTTE "Mettere la barca all'asciutto", vale a dire al sicuro, come fa il pescatore quando non si reca alla pesca. Il traslato significa smettere un'attività e ritirarsi a vita privata, dopo essersi assicurato il benessere per il resto della vita. Tirare i remi in barca.

METTE LA ZIZZE MMOCCHE "Mettere il seno in bocca". L'unica cosa che sanno fare i lattanti è quella di succhiare, a patto che gli mettano il capezzolo in bocca. Di una persona molto lenta, non tanto capace di esplicare un compito senza sentire il bisogno di chiedere consiglio, come il bambino che per succhiare ha bisogno della madre che gli porga il seno, si dice a chiglie gli 'ha mette ancore la zizze mmocche (a quello devi mettere ancora il seno in bocca).

METTE LE MANE ANNANZE"Mettere le mani avanti" evidentemente per non cadere in errori

METTE LE POE Le poe sono gli aculei dell'istrice. "Mettere le poe" vuol dire insuperbire, gonflaisi di presunzione, darsi delle arie, guardare dall'alto in basso.

METTE LE POE"Mettere le poe". Poe ha diversi significati: pula, pagliuzza, aculeo di istrice, rametto da iinestare a sprecco. In lingua la poa è una pianta da foraggio della famiglia delle graminacee con foglie ruvide e infiorescenza a pannocchia. Mettene le poe il superbo, chi si dà delle arie, chi guarda dall’alto in basso, il borioso, il presuntuoso, il vanitoso

METTE LE RECCHIE OGNE PERTUSE "Mettere le orecchie in ogni buco", cioè andare origliando a destra e a manca, per appurare i fatti altrui onde poi servirsene a proprio vantaggio, magari ricorrendo al ricatto.

METTE LU CASE MMOCCHE ALLA lATTE "Mettere il formaggio in bocca alla gatta". I gatti, è noto, sono ghiotti di formaggio, perciò offrire spontaneamente loro un tale gradito boccone rappresenta un ottimo regalo, che non meriterebbero in quanto, avendo l'opportunità, lo rubano volentieri alla padrona. Il traslato sta ad indicare un'agevolazione offerta a chi l'aspetta con ansia da tempo. InizioPagina

METTE LU FUOCHE MMOCCHE Il bambino che dice parolacce viene ripreso dalla mamma perché non lo faccia più, altrimenti, lo ammonisce, andrà a chiamare il parroco gnore patine) e gli farà mette lu fuoche mmocche (mettere il fuoco in bocca).

METTE LU SALE NCOPPE LA COLE "Mettere il sale sulla coda". A un bambino che vorrebbe catturare un passerotto, per scherzo, si dice: "Mettigli il sale sulla coda". Così fatto quello si farebbe prendere volentieri. Ammesso che fosse vero, il difficile è riuscirci. Lo stesso si dice quando un ladro, un prevaricatore, un bancarottiere, riusciti in tempo a prendere il largo, diventano irreperibili.

METTE MANE ‘N CUĜLIE E DICE"Mettere mano nel sedere e parlare: parlare a vanvera, dire cose inventate, fare un ragionamento strampalato. Varianti: "Mette mane ‘n cuĝlie e mette fore anelle" mettere mano nel sedere e mettere fuori anelli. "Mette mane ‘n cuĝlie e caccià fore maccarune" mettere mano nel sedere e cacciar fuori maccheroni

METTE MANE ALLA OTTE Mettere mano alla botte, significa incominciare a spillare vino da una botte piena. In senso generico si usa ogni volta che si dà inizio a un lavoro qualsiasi.

METTE MANE ALLA SACCHE "Mettere mano alla tasca", quindi al portafogli, intenzionati a pagare quanto si deve.

METTE 'N CIOCCHE "Mettere in testa" nel senso di ricordare bene.

METTE 'N SAPONE "Mettere in sapone" vale a dire mettere la biancheria in ammollo.

METTE NA ZEPPE "Mettere una zeppa". Con una semplice zeppa non si può fare molto se una impalcatura minaccia di cadere; perciò se un affare sta andando male, e non si vede il rimedio, si dice ironicamente all'interessato: "Mittece na zeppe" (mettici una zeppa), ben poca cosa per rimettere tutto in sesto.

METTE N'ACHIUOVE 'N CAPE "Mettere un chiodo in testa" cioè inculcare nella mente di una persona un sospetto, una preoccupazione, una idea fissa. Si dice anche METTE NU CRICCHE 'N CAPE.

METTE NU CRICCHE ‘N CAPE"Mettere un cricco in testa" letteralmente. Mettere in testa un dubbio, una fissazione, un tormento, un qualcosa che come il cricco o il martinetto si muove, spinge, solleva, lacera, non lascia tranquillo insomma

METTE PE STUPPACCE AGLIU CANNONE"Mettere per stoppaccio al cannone". Per stoppaccio s’intende un batuffolo di stoppa usato per comprimere la carica di polvere nelle vecchie bocche da fuoco ad avancarica. Si affibbia a chi, non sapendo far altro, può essere utile a far da stoppaccio

METTE UOCCHIE A PERTÒSELE "Mettere l'occhio in ogni pertugio". Vale a dire ficcare il naso in ogni dove allo scopo di appurare le faccende degli altri e di tenersi al corrente di tutto e, all'occasione, di approfittarne a proprio vantaggio.

METTE VOCCHE"Mettere bocca": intervenire in una discussione, fare commenti su una questione

METTECE LA FIRME Il popolano, si sa, è stato sempre restio a mettere una firma. Gabbato per secoli dalle persone istruite, teme di cacciarsi in un pasticcio e si decide solamente allorché è ben sicuro di ciò che firma. Ce mette la firme (ci metto la firma) si dice quando si è d'accordo su una questione, convinti che nessun danno ne potrà derivare.

METTESE A CAVAGLIE A NA VACCA D'ORE "Mettersi a cavallo di una vacca d'oro". L'immagine della vacca d'oro risponde efficacemente al motto che~vuol dire mettersi al sicùro nel trattare un affare, ottenendo tutte le garanzie indispensabili per evitare sgradite sorprese. InizioPagina

METTESE DE CUOCCE (oppure COCCE) Significa "mettersi di buzzo buono". vedi fà cuocce e mure.

METTESE FUJE E FUJE "Mettersi corri e corri". Locuzione che equivale a mettersi a correre di gran carriera, darsela a gambe. (Il ladro, appena visto i carabinieri, s'è misse fuje e fuje (se l'è data a gambe).

MÈTTESE GLIU DESDINE "Mettersi il destino" è la versione letterale che non ha significato preciso. In vernacolo si dice che a uno se gh'è misse gliu desdine (gli si è messo il destino), quando compie azioni che di solito fa abitualmente, come il brontolare, uscire a una certa ora, fumare, piangere (dei bambini capricciosi), spalancare le finestre anche nelle giornate fredde, ecc... In origine la locuzione si riferiva soltanto a quelli che soffrono il male de la gliune (il male della luna, cioè la licantropia) ai quali se glie mette gliu desdine gli si mette il destino) nel momento in cui si trasformano, come vuole la leggenda, in pupunare o pummunare (lupo mannaro).

METTESE IN SU "Mettersi in su". Si attira questa locuzione chi, essendo vissuto modestamente, a un tratto cambià tenore di vita, scimmiottando coloro che appartengono ad un livello sociale superiore. S'è misse in su', addavere se le crere? (si è messo a sfoggiare, davvero se lo crede?).

MÉTTESE LA LENGHE 'N CUĜLIE "Mettersi la lingua nel sedere" vuol dire tacere, zittire. La lingua per parlare ha bisogno di muoversi perciò se la si blocca in una maniera qualsiasi essa non può parlare. L'allegoria riguarda chi farebbe bene a tacere, non convenendogli riaprire una questione di carattere morale che si ritorcerebbe a proprio danno.

MÉTTESE LA MANE 'N CUĜLIE E DICE "Mettersi la mano nel sedere e dire". La frase si addice a coloro che, per mal vezzo, parlano a vanvera, fanno discorsi sconclusionati e privi di scnso comune, o addirittura inventati di sana pianta.

MÉTTESE LE CERVELLE A POSTE "Mettersi il cervello a posto". E lo stesso che mettere la testa a posto.

MÉTTESE LE COSSE ACCUOGLIE (Mettersi le gambe addosso). Si mette le gambe addosso chi si accinge intraprendere, a piedi, un lungo cammino.

MEZA CUGNETTE La cugnette è un barilotto per conservarci la carne di tonno salata, un tempo prodotta nei magazzini presso la Piazza della Verdura. La chiesa della Sorresca è sorta su uno di questi magazzini dove si pro duceva la "sor ra", fatta con la pancia del tonno, la parte più tenera e saporita. La mezza cugnette era, quindi, più bassa di quella intera. E chiaro allora che la locuzione indica una persona di statura bassa.

MIEZE MIEZE "Mezzo mezzo", cioè mezzo ubriaco, brillo. Ne' veve cchiu', già staje mieze mieze (non bere più, già stai brillo).

MIEZU VINE "Mezzo vino", detto anche acquate; è un vinello di bassissima gradazione alcooolica, ricavato dalla fermentazione della vinaccia nell'acqua. Va facilmente a male a causa di una muffa bianca detta fiuriglie. I Romani lo davano agli schiavi impegnati nei lavori pesanti. InizioPagina

MIMÌ, COCÒ E CARMENIEGLIE GLIU PAZZE ……CRICCHE, CROCCHE E MANECANCINE Sono due modi di dire per indicare una terna di individui della stessa risma. Si dice anche HANNE FATTE GLIU TRÉPENE, MÒ SOLE GLIU CAURARE CE MANCHE (hanno fatto il treppiede, adesso soltanto la pentola ci manca).

MITTE LU SALE CA LE CUORCE VANNE SUMME "Metti il sale così i galleggianti delle reti vengono a galla". Si dice a uno che si comporta come un bambino che ha bisogno di mettere giudizio.

MMANE A CHIGLIE "In mano a quello". Dopo la resa di Gaeta nel 1861 e la proclamazione del Regno, ci fu chi, ancora per molti anni, rimpianse i Borboni e, alludendo a quei tempi, diceva: mmane a chiglie se steje meglie". La locuzione è sempre attuale ogni qual volta un regime cade e ne subentra un altro.

MMECE D'Ì ALLU VINE IAMME ALL'ACITE "Invece di andare al vino andiamo all'aceto". La frase si usa ripetere quando una persona (o una cosa) invece di migliorare, peggiora.

MMUORZE DE LA CRIANZE "Boccone della creanza". E quello che oggi, tempo di abbondanza, si lascia ostentatamente nel piatto per dar a vedere che non siamo venuti per abbuffarci. Una volta non era così, nelle famiglie modeste si mangiava nella stessa grossa scodella al centro del tavolo e ciascuno prendeva con il proprio cucchiaio. Arrivati all'ultima cucchiaiata, nessuno aveva il coraggio di prenderla, desiderando lasciarla educatamente agli altri: era gliu mmuorze de la crianze.

MMUORZE DE VELENE "Boccone di veleno". E il misero pasto di chi stenta la vita, e per giunta guastato da dispiaceri.

MMUORZE 'N CUĜLIE "Morso in culo". I delfini, che fino a qualche decina di anni or sono erano tanti, alle volte a branchi si avvicinavano alla riva, dalla quale i ragazzi, scorgendoli, gridavano in coro: "Le fere, le fere, zi Raffaele" (i delfini, i delfini, zio Raffaele). Essi furono il terrore dei pescatori ai quali procuravano seri danni alle reti prima che venissero fatte con il nailon. Il giorno che si mettevano alle calcagna di una paranza era un giorno nero; finiva che gli intelligenti animali andavano a strappare, non in un punto qualsiasi, ma il fondo del sacco della rete, da cui tutto il pescato usciva ed essi, aspettandolo al varco, se ne saziavano. I pescatori, tirata la rete a bordo, la trovavano completamente vuota; dallo strappo era uscito ogni cosa: pesci, alghe e tutto il resto. Capitando questo infortunio, attualmente rarissimo, per la robustezza delle reti e per la quasi scomparsa dei delfini, i pescatori dicono che hanno avuto gliu mmuorze 'ncuĝlie. Per estensione lo dicono quelli che hanno subito una perdita o un danno qualsiasi.

MÒ CE MÀNNENE GLI'AMMANCAMIENTE "Ora ci mandano l'ammancamento". Il ricorso alla mezzadria fu molto diffuso per il passato nel territorio gaetano, dove un tempo la proprietà terriera, coltivata a vigna dovunque possibile, era in massima parte nelle mani della chiesa e dei ricchi proprietari. Le liti quindi erano inevitabili fra proprietari e mezzadri, quando il proprietario, vedendo deperire il fondo e diminuire il raccolto, ricorreva alla magistratura. La quale, ordinata una perizia, emanava una sentenza che risolveva il contratto per inadempienza da parte del mezzadro, venuto meno agli impegni di conservazione del fondo. La sentenza, volgarmente detta ammancamiente, condannava il mezzadro anche al risarcimento dei danni, qualora quelli prodotti al fondo risultassero rilevanti. Essa era molto temuta sia per il risarcimento da pagare (i mezzadri, e i contadini in genere, erano poverissimi) e sia per la cattiva reputazione acquistata che bollava l'interessato e gli rendeva difficile l'ottenere un altro podere a mezzadria. Ora il rischio di ricevere l'ammancamento non spaventa nessuno; i contadini poco alla volta sono diventati piccoli proprietari e siamo arrivati in un'epoca in cui cedono di buon grado i loro terreni in pasto alla speculazione edilizia, che in breve tempo ha divorato i migliori terreni agricoli, facendo dilatare abnormemente l'abitato con oltre 3.500 appartamenti vuoti (1984), da offrire soltanto per due mesi estivi a una folla di forestieri che creano gravi e complicati problemi cittadini, dal traffico all'igiene, per i quali non si sanno trovare rimedi adeguati. InizioPagina

MÒ CE VÒ! Alla lettera si traduce "ora ci vuole!". E una' esclamazione che equivale a: naturalmente! altro che! certamente! come no!

MÒ FA GLI'ANNE "Ora fa l'anno" cioè l'anno scorso, ora è un anno, un anno fa.

MÒ PE GLIU RISPE, MÒ PE LA RASPE Rispe, parola priva di senso, usata per rima con raspa. Il motto significa: ora per un motivo e ora per un altro

MÒ PE MÒ Sull’istante, immediatamente

MÒ PUMPE TU!"Ora pompi tu". Curiosa allegoria che può tradursi. Con questa flemma dove vuoi arrivare! mò vai! si usa con lo stesso significato

MÒ SE SPOGNE SSA VALLETTE! "Ce ne vuole perché si ammorbidisca cotesta galletta!". È questo il senso della frase. La galletta, biscotto schiacciato e rotondo, conservandosi a lungo, veniva usato per il rifornimento delle navi che restavano parecchio tempo in navigazione. È cosi dura che per poterla mangiare è preferibile bagnarla nell'acqua dopo averla fatta a pezzi con il martello. Per canzonare chi ha un pesante compito avanti a sè, oppure chi parte per il servizio militare (dove, specialmente in marina, l'uso della galletta era frequente; a Gaeta esisteva un apposito panificio militare che le produceva e le distribuiva in una vasta zona) gli si dice: "Mò se se spogne ssa vallette?" (ce ne vorrà perché si ammorbidisca cotesta galletta!), oppure:Spugnatelle ssa vallette!" (mettila a bagno cotesta galletta!). C'era ancora il motto RUSECATELLE SSA VALLETTE! (rosicchiatela cotesta galletta!) gridato dai ragazzi verso i compagni ai quali hanno aniato strettamente tra loro gli indumenti lasciati sulla riva prima di tufin acqua. I nodi non si riescono a sciogliere se non aiutandosi con i denti, proprio come si fa rosicchiando qualche cosa di eccezionalmente duro, come appunto una galletta.

MÒ SO CURECCE! "Ora son Cureccia!" o meglio "non sono mica Cureccia!". Espressione di rassegnazione pronunciata da chi si trova di fronte a molti problemi e sa di non poterli affrontare e risolvere tutti in una volta. Cureccia ci sarebbe riuscita. Ma chi è costei?

MÒ VE GLIU MAMMONE "Ora viene il mammone". Il mammone è un fantasma, un mago, un omaccione, qualche cosa di estremamente spaventoso, il diavolo stesso (Mammona è di origine biblica).

MÒ, MÒ MARIANTÒ! "Adesso, adesso Mariantonia!". La frase serve a commentare ironicamente la flemma di una persona e vuole essere un invito a fare più svelto.

MOLE STA VICINE A CASTELLONE Mola e Castellone sono i due antichi borghi che hanno formato la moderna Formia: il primo, sulla riva del mare, sotto la protezione di S. Giovanni Battista, e il secondo, in collina, abitato da contadini, sotto la prote:ione di S. Erasmo. La frase Mole sta vicine a Castellone serve come risposta severa a quanti se la prendono a comodo di fronte a impegni di una certa importanza e, a chi giustamente li sollecita, ogni volta rispondono: "Mò, mò" (adesso, adesso), da cui è venuto Mola e quindi il resto della frase.

MONTESICCHE E SERBE "Montesecco e Serapo" erano due vaste zone demaniali attualmente coperte entrambe da una disordinata colata di cemento e di asfalto. Essendo appunto proprietà demaniali, tutti potevano goderseli liberamente, ma nessuno poteva ovviamente disporne. Perciò uno che non possiede proprietà, ironicamente (ancora oggi) si dice che è padrone di Montesecco e Serapo. Come pure si dice che uno ha lasciato Montesecco e Serapo agli eredi, se ha lasciato loro un bel nulla. Anche Carnevale li lascia scritti nel suo testamento.

MPAPUCCHIÀ Significa "ingannare" uno, raggirandolo con le chiacchiere. InizioPagina

MPARÀ ACCUOGLIE A UNE "Imparare addosso a uno" vuol dire far tesoro dell'esperienza altrui.

MPIUMMÀRESE Deriva da piombo e letteralmente significa "impiombarsi", cioè ancorarsi saldamente in un luogo e non muoversi. Se mpiomme (si impiomba) chi va a fare una visita e non leva mai il disturbo; così pure chi si presenta a ora di cena e, tra una cosa e l'altra, finisce che rimane a tavola. Le ancore delle navi romane di solito erano di piombo.

MUCCHE FRESE Composto da mucche (dal latino mucus) e frese (spago). Alla lettera quindi si tradurrebbe filo di mucco. Mucche, da cui l’accrescitivo mucculone, in senso figurato (mucco, muccio in napoletano) sta per babbeo, stupido, fanciullone, sciocco, imbambolato, addormentato ecc. L’aggiunta di frese rende al superlativo il significato della parola

MUCCHÈTTE Si definisce così il "manrovescio" cioè uno schiaffo tirato sulla bocca con il dorso della mano. Deriva da mmocche (in bocca).

MUGLIÈREME SE CHIAME TÒRTENE E I ME MORE DE FAME Quando uno tra tanta abbondanza di cose non sa approfittare

MUMMURONE "Bitorzolo, bernaccolo" letteralmente tradotto. Il traslato vale per svagato, stordito, assente, smemorato

MUSCEPELLECCHIE Parola composta da moscio e pelle; con essa si indica una persona estremamente lenta in tutto.

MUSCIGOLIONE o MUSCHIGLIONE Accrescitivo di mosca, ossia il moscone che ronza intorno a qualche cosa presa di rnira. Il traslato si addice a certi uomini che hanno il vizio di corteggiare insistentemente qualunque gonnella passata a tiro, restando immancabilmente a bocca asciutta.

MÙSECHE DE GAĜLIBBARDE "Musica di Garibaldi". La fanno quelli che prendono una decisione improvvisa e tirano avanti alla meno peggio con quanto possono disporre su due piedi, ovviamente senza aspettarsi alcunché di perfetto. Equivale presso a poco a "fare alla garibaldina", locuzione meno spiritosa della "musica di Garibaldi".

MUSTE CUOTTE"Mosto cotto". Marmellata fatta dalle casalinghe mettendo a bollire mosto spillato ottenuto e mele catogne che poi conservavano in barattoli di vetro

MUSTE CUOTTE Mosto cotto

'N CARNE ANNURE "In carne nuda" ossia completamente nudo.

'N CATELLE Catelle, di etimo incerto, si usa nel modo di dire PURTÀ 'N CATELLE e significa portare una persona a cavalluccio dietro la schiena. Si può re così un ferito non grave in caso di emergenza. Per i ragazzi è un gioco assai comune. FA NA CORVE ha il medesimo significato.

N CE POZZE PASSÀ

'N CUORPE ME CAPISCE Alla lettera "in corpo mi capisci". Significa: tu mi comprendi perché sai benissimo come la penso. InizioPagina

'N FUNNE DE ĜLIETTE Giace in fondo a un letto, è ovvio, un paralitico o un malato inguaribile. Te pozze veré 'n funne de ĝliette (ti possa io vedere in fondo a un letto) è una delle invettive che si scambiano le popolane durante i litigi nei vicoli.

'N GANNE 'N GANNE 'Nganne (anche 'ncanne) si traduce letteralmente "alla gola". Ripetuta due volte vuol dire all'ultimo momento, in extremis, appena in tempo. Aimme arrevate 'n ganne 'n ganne a piglià gliu trene (siamp arrivati appena in tempo a prendere il treno).

'N PIUMME Alla lettera si traduce "in piombo" ma significa "completamente privo" di qualche cosa. Si usa in espressioni di questo tipo: So rumaste 'n piumme (sono rimasto al verde); chiglie è surde 'n piumme (quello è completamente sordo)

'N ZINE "In grembo". Deriva dal latino "in sinu". "Vié 'n zine a mamme" dice la madre al figlioletto, sedendoselo sulle ginocchia.

N’ABBASTE A RINGRAZIÀ"Non basta a ringraziare" Corrisponde a qualcosa di più del semplice grazie

N’ATU UGLIE È CUOTTE! Al marito che impaziente aspetta il pranzo, al figlio che brontola per l’appetito, la mamma risponde di avere un pizzico di pazienza. "Un altro bollore ed è cotto" dice. In senso ironico, l’espressione viene usata per lavori o questioni che vanno per le lunghe e si nutrono poche speranze per un prossimo arrivo in porto

NA CAURARE DE REZZE VECCHIE "Un pentolone di reti vecchie". Si definisce in questo modo una faccenda complicata da imbrogli e malefatte. Il modo proviene dall'ambiente dei pescatori i quali, finché le reti da pesca furono di cotone (adesso sono di nailon), usavano tingerle periodicamente in un grosso pentolone di rame, detto la caurare de la tente.

NA COSE FATTA A CIPPE Si dice di cosa fatta rozzamente, con negligenza, in modo trasandato, senza cura

NA LÀCREME"Una lacrima". Per estensione serve a indicare una piccola quantità. Na làcreme d’uoglie, proprio una goggia di olio

NA NTICCHIE "Appena appena", "pochino pochino". Devi spostare il quadro ancora na nticchie (appena appena).

NA PETRIATE DENTE NU CURTIGLIE STRITTE"Una sassaiola in un vicolo stretto" è una situazione pericolosissima per chi vi resta coinvolto, essendo difficilissimo evitare i sassi in uno spazio tanto ristretto. Si dice quando uno si trova implicato in una vicenda dalla quale difficilmente potrà uscirne senza noie o danni

NA ROCE D'UOGLIE "Una croce d'olio". L'olio versato con l'agliare, oliera di latta fatta a mano dagli stagnari, esce sottile come un filo e può essere dosato alla perfezione. Quando se ne versa pochino, e un tempo era necessario perché costava troppo e bisognava risparmiarlo, il filo che ne esce traccia sul cibo da condire, pane, pizza o altro che sia, una specie di geroglifico, paragonabile a una croce. Questa è la roce d'uoglie, cioè una minima quantità, un filo di olio. InizioPagina

NA SANTA COSE"Una santa cosa" può essere un buon rimedio a qualche guasto, un efficace decotto per calmare la tosse, un attrezzo molto utile

N'ACCOCCHIE E NE' CONTE "Non ammucchia e non conta" denari l'individuo che manca di abilità, e a volte di volontà, oppure che viene a trovarsi in situazioni difficili. Per estensione la locuzione si adatta a chi nella vita riesce a combinare poco o nulla, per cui il suo ruolo nella società è di scarso conto o, comunque, assai modesto.

N'AIMME MAI MAGNATE DENTE AGLIU STESSE PIATTE "Non abbiamo mai mangiato dentro lo stesso piatto" si dice, per ristabilire le distanze, a chi si prende delle confidenze. (Vedi n. 1933).

N'ARREVÀ A CAMMISE DE TRE RACCE Significa morire in giovanissima età, prima di poter indossare una camicia di "tre braccia", cioè di adulto. Si usa nella seguente imprecazione forte e cruda: ne' puozze arrevà a cammise de tre racce" Possa tu non arrivare a indossare una camicia di adulto.

NASCE CU LA CAMMISE "Nascere con la camicia". Alcuni neonati vengono al mondo in una sottile membrana amniotica volgarmente chiamata camicia. Si crede che chi nasce cu la cammise sia una persona amica della fortuna.

NATÀ DENTE "Nuotare dentro"; metaforicamente si può fare nell'abbondanza, nell'oro, in qualsiasi cosa ed anche nelle scarpe e nei vestiti, quando sono troppo grandi per chi li porta: di solito un ragazzo al quale sono passati gli indumenti del fratello maggiore o un poveraccio in quelli del donatore. In, questi ultimi casi si trova sempre qualcuno che maliziosamente osserva:"Ce va natenne dente a chigliu vestite!" (ci va nuotando dentro in quel vestito!).

NATA VOTE MÒ! Letteralmente "un'altra volta adesso!". E' un ammonimento a smetterla per chi insiste su un discorso o un'azione. Si pùò tradurre con "e dai!", "ancora insisti!", "quando la finisci!".

NCASÀ GLIU PIEZZE Letteralmente "pressare il tronco"; metaforicamente significa "calcati la mano".

NCHIARUTE "Brillo", alticcio per aver bevuto abbastanza, ma non sconciamente. CHIARENZA è il vino o qualsiasi bevanda alcoolica. Sta nchiarute e sta 'n chiarenze significano la stessa cosa: "essere brillo".

NCIAREMÀ Nell'ambiente marinaro significa "legare"; in particolare allestire una rete, coordinandone tutti i vari elementi che la compongono: reti vere e proprie, piombi e galleggianti, adesso di plastica ma una volta di sughero, chiamati cuorce (dallo spagnolo corcho,pron. corcio). Il termine ha anche un altro significato molto distante dal primo, e cioè ricorrere a formule magiche e a stregonerie per affatturare una persona perché essa si allontani da un altro o se n'innamori, o perché le venga un male misterioso e inguaribile sino a che la fattura non venga tolta. NCIAREMÀ GLIE VIERME significa legare tra loro i vermi che, scioltisi nell'intestino in seguito ad una paura, procurano febbre e disturbi. Per legarli nuovamente nella treccia, si posa la mano sul ventre e si ripete mentalmente una formula particolare e segreta, conosciuta solo dagli nciaremature. InizioPagina

NE' CAPÌ NE DE MARE E NE DE TERRE "Non intendersi né di mare e né di terra". Gli abitanti del Borgo erano in massima parte pescatori e contadini: i primi esperti nella pesca e i secondi in agricoltura, insomma ciascuno era pratico del proprio mestiere. Chi non si intende né dell'uno e né dell'altro è classificato un ignorante che non capisce nulla di nulla. Oggi in senso lato è questo il significato della frase.

NE' CE SERVE A DICE "Non ci serve a dire". Corrisponde a non occorre, non preoccuparsi, non è necessario, non c'è di che, è chiaro, è evidente.

NE' CE STA MANCHE A SERVE "Non ci sta neppure per servo". L'espressione si usa per mettere in evidenza una grande differenza ed è riferibile indifferentemente a persone e a cose. Ssu rullogge cu gliu mije? Cammì, ne' cesta manche a serve! (il tuo orologio con il mio? Ma va, non c'è confronto!).

NE' CE VERÉ "Non vederci" nel senso di stravedere. La mate ne' ce vere pe stu figlie significa che la madre nutre un amore cieco per il figlio.

NE' CE VERÉ MANCHE A RASTEMÀ "Non vederci neppure a bestemmiare". Cioè è tale il buio in cui si è capitati che si resta fermi, come paralizzati, neppure capaci di pronunciare una bestemmia, cosa che riesce sempre, anche quando ci mancano le altre parole.

NE' CI'AZZECCHE E NE' CE QUAGLIE "Non ci azzecca e non ci quaglia" si dice di un discorso fuori luogo, pronunciato a sproposito, che non ha nulla di comune con l'argomento trattato.

NÈ DÀ ARRICIETTE Non dar tregua

NE' DÀ NÉ GÀUDIE E NÉ DULORE "Non dà nè gaudio e nè dolore" affermasi di una cosa che lascia indifferenti, di cui non importa un bel nulla.

NE' DISPREZZENNE "Non disprezzando". E una espressione che si usa intercalare in un discorso in cui si elogia una persona o si vantano le qualità di una cosa posseduta. Essa vuole sottolineare che non si ha alcuna intenzione di umiliare i presenti. Ho un televisore, ne' disprezzenne (sott inteso i vostri), che da quando l'ho acquistato non si è mai guastato. Mio figlio, ne' disprezzenne (i figli dei presenti), è un bravo ragazzo.

NE' GIRE E N'ARRANCRE "Non vira e non arranca". Ancora una locuzione tratta dal linguaggio marinaresco: si riferisce ad un cattivo vascello cui mancano le qualità essenziali, cioè virare facilmente di bordo e prendere lestamente l'abbrivio. Il traslato n 'aggire e n 'arranche, riferito a persona, fa capire che si tratta di un individuo apatico, titubante, inconcludente, incapace di prendere una decisione, come la barca che, non potendo virare e neppure arrancare, resta immobile.

NÉ Ì E NÉ MENÌ "Né andare e nè venire", ossia rimanere fermi nel luogo dove ci si trova. Il traslato significa restare indifferenti, non importarsi di quanto avviene intorno. De tutte glie mbruoglie vuoste ne'me ne facce né te né meni (di tutti i vostri imbrogli non me ne importa completamente nulla).

NE' MAGNE PE NE' CACÀ "Non mangia per non andare di corpo". Esiste gente accidiosa a tal punto che per non andare al gabinetto, si asterrebbe dal mangiare. A costoro si affibbia il modo di dire.

NE' ME DICE NIENTE "Non dirmi nulla" cioè scusami. InizioPagina

NE' ME NE VÈ NÉ PIĜLIE E NÉ PELLE "Non me ne viene nè pelo e nè pelle". Non fa alcun pro, neppure a favore di peli e pelle, quel cibo consumato in alcune circostanze sgradevoli come possono essere una discussione inquietante, un litigio, una notizia allarmante, un incidente, ecc. Il traslato è usato da chi tiene a precisare che da una certa questione non gli verrà alcun vantaggio, contrariamente a quanto si potrebbe supporre.

NE' SAPÉ CUNTÀ NU PANARE DE CUCÙMMERE "Non saper contare un paniere di cocomeri". Espressiva locuzione per indicare una persona talmente sciocca ed ignorante da non saper contare l'unica anguria contenuta nel paniere. E chiaramente il colmo, poiché, per quanto stupido, chiunque sarebbe capace di farlo. Lo stesso significato si ricava dalla gustosa espressione NE' SAPE' FÀ O CU GLIU BICCHIERE (non saper fare o con un bicchiere).

NE' SAPÉ NÉ NOVE E NÉ NUVELLE "Non sapere nè nuove e nè novelle", vale a dire non sapere che fine abbia fatto una persona o una cosa.

NE' SAPÉ TENÉ NU CECE MMOCCHE "Non saper tenere un cece in bocca" vuol dire "non saper mantenere un segreto". Il Basile usa reiere cecere (trattenere ceci in bocca) per dire la stessa cosa.

NE' SE FERÀ MANCHE A SPUTÀ 'N TERRE "Non fidarsela neppure a sputare in terra". Si dice di chi è privo di forze o perché gravemente malato o perché stanco morto dopo una grossa fatica. InizioPagina

NE' SE LA TENÉ "Non tenersela". Chi ottiene un favore o riceve un regalo di solito ricambia opportunamente e adeguatamente; si dice in questo caso che ne' se. la tè (non se la tiene).

NE' SE MOVE E NE' SE FRÌCCECHE "Non si muove e non si dimena minimamente" può tradursi alla lettera. Friccecà è un verbo intraducibile con una sola parola: significa un dimenarsi a lungo ma intermittente, anche stando seduto o a letto. La gustosa locuzione si riferisce a persona che se ne sta assolutamente immobile. E usata anche in senso figurato come, ad esempio, nel caso di una persona che resti interdetta, che non sappia prendere una decisione e dica avvilita: "So rumaste ncagliate! Ne' me pozze né move e né friccecà" (sono rimasto incagliato! Non sono in grado di prendere una decisione).

NE' SO DE STA PARROCCHIE "Non sono di questa parrocchia". Equivale a "non me ne importa nulla", "non m'interessa". Una donna si recò nella chiesa di un altro rione e, mentre tutti si commuovevano alle parole del predicatore sulle sofferenze di Cristo sul Calvario, se ne restava indifferente. Una che le stava affianco gliene chiese il motivo ed ella, stupita per la domanda, rispose senza scomporsi: "Ma io non sono di questa parrocchia!".

NE' STÀ NÉ PAZZE E NÉ MBRIACHE "Non essere né pazzo e né ubriaco". Il pazzo e l'ubriaco hanno la mente annebbiata, non ragionano, il loro discorso non connette. Una persona che vuole ribadire la fondatezza e la serietà dei suoi argomenti, di fronte a gente che sembra restare incredula, che pare voglia mettere in dubbio il suo discorso, dice, per dar forza alle sue argomentazioni: "Accà ne stonghe né pazze e né mbriache" (qui, io che vi parlo, non sono un pazzo e neppure un ubriaco).

NE' TAGLIE MANCHE LA RECCHIE A MARCHE (O AGLIU SUMARE) "Non taglia nemmeno l'orecchio a Marco, ( o al somaro) si dice di un coltello che taglia poco o nulla. InizioPagina

NE' TÈ NÉ GARBE E NÉ MESURE "Non ha nè garbo e nè misura", ad esempio, un abito riuscito male. La locuzione, riferita a persona, definisce un tipo dai modi sgarbati, scortesi, rozzi, villani, oppure fisicamente irregolare.

NE' TENÉ NÉ DA PISTE NÉ DA PESTÀ "Non avere nulla da pestare" si dice di chi non ha nulla da fare ed ha molto tempo da perdere. Si dice anche NE' TENÉ NÉ FIGLIE E NÉ SFETTIGLIE (non avere nè figli e nè impegni).

NE' TRUÀ ARRICCIETTE "Non trovare ricetto" nel senso di non trovare pace, tranquillità, riposo; essere agitato, irrequieto.

NE' VALE NU TURNESE "Non vale un soldo papalino", "non vale un tornese". Sono due locuzioni con il medesimo significato e cioè "non vale nulla". Il tornese era una moneta di poco valore in corso nel Regno di Napoli; il soldo papalino è una moneta falsa. (Vedi sorde paparine).

NE' VIAGGE E MAI ME MOVE, SEMPE DANANZE CÀSEME ME TROVE "Non viaggio e mai mi muovo, sempre davanti casa mi ritrovo". La frase viene detta in senso canzonatorio a chi va e viene senza tregua e, gira c rigira, te lo ritrovi immancabilmente tra i piedi.

NE' VÒ NÉ CORRE E NÉ FUÌ Modo di dire che non può gustare in pieno chi non conosce il dialetto poiché corre e fui sono due verbi che significano la stessa cosa, cioè correre. L'espressione vuole accentuare la volontà di non muoversi in nessui modo, restare assolutamente fermo. Si dice che non vuole né corre e né fuì colui il quale non è capace di prendere una decisione, che resta indifferent davanti a problemi che lo riguardano, che non si decide ad imparare un mestiere, che non vuol fare nulla di nulla.

NE’ CE STA CCHIÙ MERDE PE FA PALLÒTTELE

NE’ ME NE FACCE NE’ I NE’ MENÌ"Non me ne faccio ne andare e ne venire" Non mi importa un bel nulla

NE’ ME SAPEJE DOMPE LE COSSE!"Non mi sapevo rompere le gambe!" Lo dice deluso chi va per realizzare un buon affare e ne torna con un danno, chi si adopera per favorire un amico e ne riceve ingratitudine; si ripete, insomma, tutte le volte che avremmo fatto bene a non muovere un dito: da preferirsi una frattura alle gambe che avrebbe impedito il nostro intervento

NE’ PASSE DALLA CHIEZE PE NE’ SE LUÀ GLIU CAPPIEGLIE"Non passa dalla chiesa per non togliersi il cappello" si dice di chi evita qualunque approccio per il timore di essere coinvolto in una vicenda che non lo riguarda

NE’ S’È NCRIATE NIENTE"Non ne è nato nulla" si afferma quando un’iniziativa, nonostante l’impegno, non approda ad alcun risultato. InizioPagina

NE’ SE FÀ MAGNE NCRESCE Frase intraducibile letteralmente. Si adatta a persona facilmente disponibile, che accetta subito e senza rifletterci una proposta, un’offerta, un invito

NE’ SE VERE MANCHE DALLA TERRE"Non si vede neppure dalla terra" come può capitare per uno spillo o altro oggetto minuscolo. Si usa per indicare cose minute o ironicamente ragazzi di piccola statura

NE’ SI BUONE PE GLIU RE, NE’ SI BUONE MANCHE PE MÉ

NE’ TÈ NE’ PIĜLIE E NÉ PELLE"Non hai nè peli e ne’ pelle" una cosa che vale nulla, una persona di poco conto

NE’ TENÉ MANCHE GLI’UOCCHIE PE PIAGNE"Non avere neanche gli occhi per piangere". L’espressione indica in generale chi si trova in miseria o anche solo in difficoltà finanziarie

NE’ TENÉ NE’ FIGLIE E NÉ SFITTIGLIE"Non tenere né figli e né altre obbligazioni" per cui si è in piena libertà

NE’ TENE’ TERRE PE CAMMENÀ E CIEGLIE PE TREMENTE"Non avere terra per camminare e cielo da guardare" Suolo pubblico per camminare e cielo da guardare ce n’è per tutti; sono le cose più abbondanti nel mondo di cui nessuno può privarci. Non avere questa possibilità costituisce un assurdo al quale ricorre la fantasia popolare per rappresentarci uno che vive nella indigenza assoluta

NFESSÌRESE "Innamorarsi follemente", tanto da sembrare un fesso.

NFRACERÀRESE 'N CUORPE "Infradiciarsi in corpo", cioè rodersi dentro dalla rabbia, dannarsi l'animo.

NFRANZESÀ Contagiare una malattia venerea. Il termine risale all'epoca della invasione di Carlo VIII, quando le milizie francesi portarono e diffusero in Italia la sifilide che venne detta male francese.

NGREFÀ LE SPALLE "Scrollare le spalle", fare spallucce in segno di indifferenza, di non sapere, di strafottenza. Ngrefà deriva dallo spagnolo "engrifar" e significa drizzare. NGREFÀ GLIU PIĜLIE (drizzare il pelo). NGREFÀ LA FRONTE (arricciare la fronte).

N'HA FATTE VINE E NE' FA MANCHE ACITE "Non ha fatto vino e neppure farà aceto". Questa frase se la tira addosso chi, non avendo saputo approfittare nel momento favorevole, lascia prcsumere che sarà ancor meno capace in quello difficile.

N'HA TERATE D'ACHIÒVELE CHELLA NTENAGLIE! "Ne ha tirati di chiodi quella tenaglia!" si dice alludendo a una donna di facili costumi.

N'HE DITTE NIENTE! "Non hai detto niente!" ossia "e ti pare poco!". Un tale parla ad un amico della vasta cultura, della intelligenza, delle opere di un personaggio. L'amico ascolta con interesse e ad un certo punto interviene esclamando, con un misto di stupore, di ammirazione e di rispetto: "N'he ditte niente!" Cioè: Perbacco, mica poco!

N'HE SAPUTE ALLECCÀ MELE, ALLICCHE MMERDE

NTA FINE C’HA FATTE RISCIOTTE"Che fine ha fatto Risciotto" Fare una fine meschina, rimanere squattrinato, al verde, in miseria. Risciotto era un emigrato negli Stati Uniti, ritornato con un bel gruzzolo volatizzatosi in breve. Fu costretto a lavorare finchè visse

NTA FINE HANNE FATTE GLIE PESIEGLIE!"Che fine hanno fatto i piselli! Piselli sta per quattrini: lo stesso significato del motto precedente

NTA MMINTE!"Che mente!" alla lettera. Vale per: che intelligenza! che uomo straordinario!

NTA QUAGLIE CHE TIE NTA QUAGLIE CH'HE FATTE! "Che quaglia che tieni!" "Che quaglia che hai fatto!". Esclamazioni con le quali si rifiuta una proposta vantaggi osa soltanto per l'interlocutore; può tradursi: "Quanto sei furbo!" oppure "quanto sei stupido!". Se un tale propone, ad esempio, lo scambio di un accendino di scarso valore con uno migliore, l'altro che sa di perderci gli dice, ridendogli in faccia: "Nta quaglie che tié! M'he pigliate pe nu fesse?" (quanto sei cretino! M'hai preso per un fesso?.

NTANNE NTANNE"Allora allora" proprio un istante primaInizioPagina

NT'ARÉFECE! "Che orefice!". L'orefice che vende i suoi monili sta molto attento alla sua bilancina; considerato il prezzo dell'oro, owiamente non può dare il buon peso come potrebbe fare il fruttivendolo. Se invece capita che proprio il fruttivendolo, o qualche altro bottegaio, lesina sul peso, come se vendesse oro, allora è il momento di esclamare con ironia: nt'aréfece! Con il motto si indica un avaro, un tirchio, un pitocco, uno spilorcio.

NTU CUFUNATURE! Espressione di stupore davanti a un sedere esageratamente voluminoso. Il cufunature, infatti, è un grosso recipiente di terracotta, a forma tronco conica rovesciata, nel quale si faceva la culate (il bucato) prima che venissero le lavatrici elettriche.

NTU MÀFERE!"Che tafanario!" Esclamazione spontanea davanti a un sedere sproporzionatamente grosso. Màfere è il termine per indicare il foro superiore della botte

NTU MALETIEMPE! VANNE NFUNNE LE TURRE!"Che temporale! affondano le torri!" Lo dicono i pescatori quando il mare è eccezionalmente in tempesta. Le torri sono evidentemente quelle costiere, lungo il litorale del golfo

NT'URAJE CHE M'HE FATTE "Che regalo mi hai fatto!". Detto in senso ironico vuol dire: "che bel pasticcio mi hai combinato!".

NTUSSUCUSE Deriva da tossico. Ntussucuse è, quindi, colui che, spargendo zizzania è metaforicamente tossico, avvelena i rapporti. Definisce, insomma, il tipico permaloso che si adombra facilmente, che porta malumore dove si presenta.

NTUSTÀ L'ACQUE "Indurire l'acqua" è cosa ovviamente impossibile. Questo incarico viene affidato a un ragazzo quando lo si vuole burlare. Con una mestola deve battere l'acqua in un recipiente sino a che indurisca.

NU PARE DE CASE "Un paio di case". Chi nel Borgo possedeva un terraneo era considerato proprietario di una casa e se era proprietario anche della camera sovrastante era padrone de nu pare de case. Oggi la situazione è cambiata ma èrimasto il modo di dire che, però, non si riferisce più al semplice "paio di Case", ma chiaramente a qualcosa di più e si dice NU PALAZZE DE CASE.

NU PO' DE CCHIÙ una locuzione che rafforza un'affermazione precedente e si può tradurre: certo, altrò che, sicuro, come no... "Come, ti compri un altro paio di scarpe?" domanda incredulo l'amico. E l'altro: "Me l'accatte e nu po' de cchiu'!" (le compro, altro che se le compro!. "Con questo freddo ti azzardi a uscire?" "Esco e nu po' de cchiù!" (sicuro che esco!).

NU SIGNORE COMME E TÉ GLI'HO VISTE ABBASCE A MARE "Un signore come te l'ho visto in riva al mare". Un tempo, quando nella maggior parte delle case non esistevano i servizi igienici, di solito gli uomini si recavano in riva al mare per soddisfare, tra le barche tirate a secco, i bisogni corporali. Perciò abbasce a mare era costretto ad andarci chi non aveva la possibilità di farlo comodamente in casa, vale a dire chi non disponeva di un'abitazione decente, essendo tutt'altro che un benestante. La frase è usata ancora oggi che tutte le abitazioni dispongono di servizi igienici, e si rivolge in tono ironico a chi, pur non disponendo di risorse, si vanta di fare cose che le sue condizioni finanziarie non gli permettono. InizioPagina

N'UOCCHIE ALLA lATTE E UNE AGLIU PESCE "Un occhio alla gatta e uno al pesce". Significa seguire attentamente due azioni contemporanee, come la massaia che frigge il pesce e deve stare attenta non solo alla padella, ma anche alla gatta in agguato, pronta a rubargliene qualcuno.

N'UOCCHIE NE' VERE N'ÀUTE "Un occhio non vede l'altro" si dice notando un individuo in stato di ubbriachezza.

NZÀVENE Sostantivo maschile intraducibile. Si tratta della somma di danaro messa da parte per le spese da sostenere per il proprio funerale. Deriva da nzavanà che significa avvolgere il cadavere nel sudario (lenzuolo funebre): dallo spagnolo sabana (lenzuolo)

NZUCCÀ Verbo che corrisponde a rovinare, guastare, non tanto materialmente quanto spiritualmente. Se durante una festicciuola, giunge una brutta notizia, la mala nove ha nzuccate la festarelle. Quando in casa va in frantumi un oggetto prezioso, si esclama con dispiacere: "Me so nzuccate la iurnate"

O DENTE O FORE "O dentro o fuori", nel senso di prendere o lasciare, agire o ritirarsi, autentico aut aut. Espressione, quindi, diimpazienza per chi è incerto e non riesce a prendere una decisione.

O MARCHE PIGLIE A TURCHE O TURCHE PIGLIE A MARCHE È una espressione che risale alle lunghe e dure lotte per il predominio nel Mediterraneo orientale, dove la presenza di Venezia fu di estrema importanza per il ruolo di primo piano che ebbe in quel settore. Non ci poteva essere una via di mezzo: o S. Marco o i Turchi. Si usa quando un dilemma esclude la possibilità di altra scelta.

O 'N CARRE O 'N CARROZZE O nel carro o nella carrozza, lo dice chi sta per prendere una decisione e non è in grado di prevedere il risultato.

OGNI CINCHE LE DOJE "Ogni cinque le due". Curiosa locuzione avverbiale che Vuoi dire: frequentemente, molto spesso.

OHI PIÈCHERE, È FENUTE L'ERVE! "Ohi pecoro, è finita l'erba!". Vale a dire: Hai finito di sfruttare la situazione! È finita la cuccagna!

OME CAMPATE "Uomo campato" è quello che non lavora e vive alle spalle della famiglia.

OME CARUTE "Uomo caduto". Così tradotto alla lettera; il traslato indica la sciatici. Chi ha un attacco di questo male si dice che tè gli 'ome carute (tiene l'uomo caduto).

OME DE MEZA PARTE Uomo che si prendeva per tirare la sciabica

PACCARIEGLIE Si dice così il pane di granturco. Un tempo si usava venderlo in inverno, girando per le strade di prima mattina. Fatti a forma di sfilatini, sono ottimi ancora caldi di forno e ripieni con acciughe salate e olio di oliva. InizioPagina

PALAZZE DE QUARINELLE Il palazzo di Guarinelli si trova in via Guastaferri, nei pressi della chiesa di S. Domenico. E senza dubbio il piu vasto palazzo del centro storico e fu costruito, contemporaneamente al tempio di S. Francesco, dal capitano del genio militare Giacomo Guarinelli. Si racconta che Ferdinando Il, notando che la costruzione del tempio andava per le lunghe, domandasse spesso al Guarinelli a che punto fossero i lavori del suo palazzo: pensava il Re che una volta finito, sarebbe mancato il motivo per prolungare i lavori di S. Francesco. A torto o a ragione si pensava che il Guarinelli ne approfittasse per dirottare materiali dal tempio al suo palazzo. G. Buttà nel suo libro "Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta" così scrive di lui "... costui già ufficiale dello stesso corpo si era fatto ricco appunto coi lavori eseguiti a Gaeta; ed essendo protetto da Ferdinando Il, si eresse il migliore palazzo che vi fosse in quella Piazza". L'edificio con la sua mole sovrasta tutti gli altri ed è visibile da ogni parte. La sua notorietà ha dato origine a un modo di dire. ME PARE GLIU PALAZZE DE QUARINELLE (mi sembra il palazzo Guarinelli si dice di un edificio di una certa mole, oppure di una costruzione che va molto a rilento.

PALLE AGLIU CORE "Palla al cuore". Sentire una palla al cuore vuol dire accusare sensibili palpitazioni cardiache, dopo aver ricevuto una cattiva notizia o aver assistito a un episodio raccapricciante.

PANE E CEPOLLE "Pane e cipolla" è il pasto più semplie e frugale che si possa pensare. Eppure ci sono dei casi in~ cui si preferirebbe a qualunquè altro cibo, prelibato che sia, pur di evitare grattacapi. Pane e cepolle e quiete a cara meje Pane e cipolla e tranquillo a casa mia è il detto di chi non vuole immischiarsi nei fatti altrui, temendo di ritrovarsi nei pasticci.

PANE POCHE E POCA PASTE "Poco pane e poca pasta". E chiaro che con poco pane e poca pasta in casa la famiglia non può tirare avanti a lungo. Il traslato indica una tale deficienza di mezzi da non poter garantire il regolare andamento di un lavoro, compromettendone l'esito desiderato.

PANNE DELL'ACQUE "Panni dell'acqua". Sono i vestimenti impermeabili dei naviganti e dei pescatori, indossati nei giorni di tempo cattivo. Una volta erano dei semplici indumenti di tela di olona, resi impermeabili da una passata di olio di lino. Il berretto, il cosiddetto sud ovest, con la tesa posteriore più lunga, per evitare lo scolo della pioggia dentro il colletto, è chiamato SCUCCEMAGNE. Il sarto che ne confezionò sino al 1937 fu Luciano Di Palma, nella sua bottega in Corso Attico. Morto lui, ci rimase Alessandra Rosa Lazzarino in Gallinaro che, lavorando in casa, continuò sino agli anni 50.

PARDIÀ Significa andare avanti e indietro con la parde, gancio a più punte con il quale i pescatori tentano di agganciare le reti perdute nel fondo marino. Un tipo più piccolo si adopera anche nelle case per ricuperare il secchio caduto nel pozzo. Il traslato si adatta a quelle persone che se ne vanno sù e giù per la strada, senza meta e senza scopo. Sta matenate ce ne iamme pardienne (stamattina andiamo a zonzo perdendo tempo).

PARDUMERE É una tasca capace che si lega con una fettuccia alla vita sotto la gonna. Oggi è rarissima, ma un tempo era di uso comune per le donne che, non servendosi della borsa, riponevano in essa tutto il necessario di cui potevano aver bisogno. Era comodissima in quanto lasciava libere le mani, specialmente a chi doveva servirsene per i suoi impegni, sia in casa che fuori come, ad esempio, le venditrici ambulanti. Oggi la pardumere sarebbe utilissima per evitare gli scippi delle borse.

PARE ACQUE DE PUZZE"Pare acqua di pozzo" una bevanda o ad esempio un cocomero che non hanno sapore graditoInizioPagina

PARE BACCHE SOPE LA OTTE "Sembra Bacco sopra la botte" un uomo seduto, di statura bassa e piuttosto grasso. Per fare rima di solito si aggiunge: "Vè gliu cane e se glie ngrotte" (viene il cane e lo inghiotte).

PARE CA GLI’HO ACCISE GLIU FIGLIE DENTE LA CÒNNELE"Pare che gli abbia ucciso il figlio dentro la culla" commenta colui che nota il comportamento di un conoscente, che d’improvviso lo tratta con fredezza o addirittura gli volta le spalle, a causa di futili motivi secondo lui, evidentemente ritenuti gravi dall’altro. Si crede che le streghe, le fattucchiere, intervengano con i loro malefici soprattutto contro i lattanti, mentre sono nella culla. Si narra di bambini trovati rimossi dal loro posto, in posizioni diverse, posati sul pavimento, morti addirittura. Questi ultimi casi si verificano ancora oggi, ma la scienza ha accertato trattarsi di un male improvviso che colpisce a quell’età. L’origine del modo di dire, quindi, è legato a tale credenza popolare

PARE CA SÌ!"Pare di sì!" Esclamazione di soddisfazione in seguito a un risultato positivo, davanti a un bel regalo

PARE CECCUGNACCHE DENTE LA BUTTIGLIE "Pare il diavoletto dentro la bottiglia". Si tratta del diavoletto di Cartesio che sale e discende, immerso in una bottiglia piena d'acqua. A questo si paragona un uomo mingherlino.

PARE CH’AVANZE CACCHE COSE"Pare che avanzi qualche cosa" che abbia dei crediti. Si addice a un tipo apparentemente spocchioso, che ostenta un’aria di superiorità

PARE C'HA PERDUTE ÒTTE, VINTE E NUVANTE "Sembra che abbia perso 8, 20 e 90", si suoi dire di un tale che appare depresso e avvilito. Questo temo popolare napoletano viene giocato al lotto anche a Gaeta, per anni di seguito, tuttora oggi che il totocalcio ha preso piede. Se per caso capita che uno non lo giochi proprio la settimana che esce, è immaginabile l'amara delusione del poveraccio! A Gaeta i tre numeri popolari si agganciano alla festa della Madonna nosta cioè Maria SS. di Porto Salvo: la Madonna 8, la festa 20 ed il mare 90.

PARE CHE GLI’HA PIGLIATE LA SFERRATURE"Pare che l’abbia preso la sferrature". Sferrature è denominato il vento forte e freddo di Nord-Est, noto sotto il nome di viente de la terre. Si usa per definire una persona magrissima

PARE GLIU PAJE D'ITRE "Sembra il pazzo di Itri" è come dire "sembra lo scemo del paese".

PARE LA CASE DE LA MAMMANE (o VAMMANE) "Pare la casa dell'ostetrica" quella casa in cui si nota un via vai di persone.

PARE LA MADONNE VESTUTA D'ORE "Sembra la Madonna vestita d'oro" si dice di una donna che, approfittando di ogni occasione, indossa molti gioielli. Il paragone deriva dal cos'urne di mettere addosso alla statua della Madonna, portata in processione, molti oggetti preziosi, ex voti per grazie ricevute. Indicafivo è l'esempio della Madonna delle Grazie di Carano di Sessa, festeggiata la prima domeDica di maggio, dove accorre un gran numero di Gaetani: la sacra immagine viene letteralmente coperta di monili antichi di grande valore. Una nenia dai bambini comincia cosi: La Madonne vestuta d'òre ieje a coglie le viole...

PARE LA MAMMONE DE PUÓRTECE Chi ha sempre un gran da fare, è in continuo andare in giro

PARE LA MULE DE PETTOLONE: SE FACEJE MAGNÀ DA LE MOSCHE PE NE' MOVE LA COLE "Pare la mula di Pettolone: si faceva mangiare dalle mosche per non muovere la coda". La loquente espressione si adatta alla perfezione a una persona molto pigra.

PARE LA PIZZE DE SANTA FELUMENE "Pare la pizza di Santa Filomena". Si racconta che S. Filomena non fosse una buona cuoca, sicché, davanti a un piatto insipido o scondito, si esclama: "Pare la pizze de Santa Felumene!". InizioPagina

PARE LA SPOSE DE MINTURNE"Pare la sposa di Minturno" si affibbia a chi passa parecchio tempo davanti allo specchio. A Minturno le donne indossavano il caratteristico costume locale di pacchiana, con tovaglia di mussola bianca inamidata sul capo; camicia ugualmente bianca con maniche ampie; sottana lunga di lana o di fustagno; busto o corpetto allacciato al petto; scolla o scialle, grembiule e la pannuccia (pagnuccia) rossa sui fianchi. Nel costume festivo i capi erano bordati con merletti, ricami e arricciature. Quello da sposa era più complicato e ricco: i ricami sul corpetto, sullo scialle e alle maniche della camicia erano in oro; il panno rosso ricadeva fino ai piedi ed era coperto ai lati da due zendali con galloni d’oro. Era completato da scarpe di stoffa con ricami d’oro e monili: lacci d’oro, collane, ciondoli, orecchini e fermagli

PARE MONTESICCHE "Sembra Montesecco". Anche oggi che vi è sorto un rione densamente costruito, la locuzione si riferisce ancora ad una zona brulla e deserta, come era appunto Montesecco una volta, allorché, destinato a piazza d'armi, era riservato alle esercitazioni dei contingenti militari di stanza a Gaeta.

PARE N’ACHIUOVE STUORTE"Pare un chiodo storto" chi ha l’abitudine di star curvo

PARE N’AUCIEGLIE DE PAGLIARELLE"Pare un uccello di nido" la persona magra, debole, bisognosa di aiuto come un uccellino implume

PARE NA IATTE AMMIEZE LE FRASCHE"Sembra una gatta tra le frasche" la persona che parla piano piano

PARE NA MAGGHINETTE "Pare una macchinetta" chi parla troppo svelto.

PARE NA MUSDEJE"sembra una musdea" una persona fiacca, priva di vigore, di energia, di forza di volontà: una pappa molla. La musdea è un pesce che ha una carne tenera e delicata, facilmente deperibile, da cucinare e mangiare al più presto

PARE NA PUNTINE A SPÌNGHELE"Sembra un chiodo a spillo" un uomo vestito elegantemente con abito attillato. Il chiodo a spillo è sottile e con la testa appena accentuata

PARE NA RETENEJE Vedi: Tu sì comme e na reteneja scuppate

PARE N'ANGEĜLIE ALLA 'N PÉTTELE Si dice di un bambino in lunga camicia da notte. La frase si ispira agli Angeli ritratti nei dipinti dei secoli XIV e XV, come quelli che figurano ai piedi della Madonna in Maestà, il lavoro di Giotto esposto nella Galleria degli Uffizi, e nei dipinti di Giovanni da Gaeta.

PARE NU BAMBENIEĜLIE DE ZÙCCHERE "Pare un bambinello di zucchero" si dice di un bel bambino dalla carnagione bianca e dalle guance rosee. Un tempo i bambinelli di zucchero, rappresentanti Gesù Bambino, si vendevano nel periodo natalizio; i pasticcieri li esponevano di varie grandezze nelle vetrine e come decorazione li ponevano al centro dei mostacciuoli più grandi. InizioPagina

PARE NU CAMELE"Sembra un cammello" L’individuo che ha L’atteggiamento di un babbeo

PARE NU CANE PAZZIGLIE"Sembra una donnola" una persona molto magra

PARE NU CUCÙ"Pare un cuculo" chi se ne sta rannicchiato a sedere dall’aspetto triste e crucciato.

PARE NU RAMUSCIEGLIE"Pare un gomitolo" colui che se ne sta tutto rannicchiato

PARE NU TUMMIGLIOTTE "Sembra un piccolo tomolo". Tummigliotte è il diminutivo di tomolo che, si sa, è una misura per aridi. Il motto sarcastico è attribuito a un individuo basso e obeso.

PARE NU UAGLIE STRUZZATE "Pare un gallo strozzato" la persona che ha la voce rauca. Molti altri animali entrano in questo tipo di locuzione; se ne riportano alcuni esempi:

pare na cestunie (pare una testuggine) l'intrigante;

pare na cicelle (pare una cinciallegra) la ragazza vivace e di corporatura minuta;

pare na ciceriotte (pare un serpentello) chi parla e si muove continuamente;

pare na ĝliuppeche (pare un'upupa) il capellone;

pare n 'ammarieglie (pare un gambero) uno con i capelli rossi o la pelle arrossata dal sole

pare na mule (pare una mula) una persona grossolana;

pare na nguille (pare un'anguilla) una persona sveltissima;

pare na paparelle (pare una farfalla) una bambina vispa;

pare na papénghela fuiarelle (pare ùn granchiolino) una persona che cammina svelto;

pare na pàpera wallarose (pare una papera erniosa) una donna bassa e obesa che cammina dondolandosi;

pare na parnocchia ncuragliate (pare una pannocchia piena di uova) una mgazza formosa;

pare na quaglia sparate (pare una quaglia sparata) una persona presa dallo spavento;

pare n 'ariglie (pare una cavalletta) un tipo magrissimo;

pare na tarnòcchele (pare una strega) chi rosicchia di continuo;

pare na ùfere (pare un bufalo) un tipo grosso;

pare na vacca sguizzere (pare una vacca svizzera) una donna grassa;

pare nu cane corze (pare un mastino) chi ha il viso rincagnato;

pare nu cardiglie (pare un cardellino) un tipo agghindato;

pare nu fàmmeglie (pare uno scarafaggio) uno molto scuro di carnagione;

pare nu frungiglie (pare un fringuello) un bambino con le labbra sottili;

pare nu lepre (pare una lepre) chi corre veloce;

pare nu puorche (pare un porco) un grassone;

pare nu tòtere (pare un totano) il minchione;

pare nu uótteĝlie de pantane (pare un rospo di pantano) un tipo grosso e

scuro di pelle. InizioPagina

PARE NU VASERONE "Sembra un mascherone", ad esempio, il bambino che si presenta alla madre, dopo essersi sbizzarrito a rincorrersi con i compagni, con il volto accaldato e grondante di sudore.

PARE PAPA SISTE"Pare papa Sisto" la persona autoritaria, prepotente

PARE PURTUNCIEGLIE Chi parla da solo. Così era soprannominato un uomo che per le strade del paese andava sempre parlando solo

PARE SAN CESARIE"Pare San Cesario" un tipo timido, indeciso, dubbioso

PARE SAN LUIGGE CUNZALE"Pare S. Luigi Conzaga" un ragazzo smunto e pallido. S. Luigi a nove anni fece voto di castità, dopo aver ricevuto la prima comunione dalle mani di S. Carlo Borromeo. In seguito mortificò il corpo con digiuni e privazioni: morì giovanissimo a 21 anni

PARLÀ A PUNTE E VIRGHELE (Parlare a punto e virgola) significa parlare con precisione, facendo attenzione a tutti i particolari.

PARLÀ COMME E NU ĜLIBBRE STRACCIATE Parlare come un libro strappato è tutto il contrario del motto precedente. Significa fare un discorso sconclusionato, incomprensibile, come può essere la lettura di un libro dove molte pagine mancano o sono strappate.

PARLÀ DA TERRE A Ì FORE Se uno fa un discorso inconcludente, strampalato, illogico si dice che parlà da terre a ì fore (da terra verso l'alto mare). È evidente la sua origine marinara.

PARLÀ D'APPÌCCECHE Appicceche = lite. Parlare d'appicceche vuoi dire fare un discorso provocatorio, inopportuno, che sarebbe meglio evitare.

PARLÀ MAZZECATE "Parlare masticato" come chi abbia qualcosa in bocca. Si riferisce a una persona che, per esempio, borbotta tra i denti perché le hanno negato un favore, o a chi sparla di un altro, non lasciando capire di proposito ciò che dice.

PARLÀ NCARTATE "Parlare incartato". Significa parlare per metafore, fare delle allusioni non chiare a tutti. Un involto di carta non lascia vedere che c'è dentro, così un discorso "incartato" non vuoi fare capire a tutti cosa nasconde.

PARLÀ SUĜLIE "Parlare da solo". Va parlenne suĝlie (va parlando da solo) chi ha grossi problemi per la testa e va cercando la maniera per affrontarli e risolverli, se è possibile. Parla da solo chi ha un grosso debito da saldare; chi ha i figli scapestrati; chi ha fatto un pessimo matrimonio...

PARLÀ TISCHE TOSCHE Parlare un linguaggio forestierio, poco comprensibile come poteva essre la stessa lingua italiana. Se capita a un compaesano di non essere capito certamente verrà ripreso con un discorso di questo genere "'N i’ parlà tische tosche, parle comme t’ha fatte màmmete", non parlare tische tosche, parla come ti ha fatto tua madre, cioè parla dialetto

PARLE COMME T'HA FATTE MAMMETE "Parla come ti ha fatto tua madre". Una volta quando, mosca bianca, uno osava parlare italiano tra amici suscitava il riso e veniva preso in giro. "Ma parle comme t'ha fatte màmmete!" gli dicevano. Espressione carica di tagliente sarcasmo che sottintendeva: "Sii tu stesso, quello che ha fatto tua madre; vergognati di rinnegarla". Ora è tutto il contrario; sono i genitori stessi che, mossi da un pesante complesso di inferiorità, si vergognano di parlare in dialetto ai propri figli (anziché esserne fieri) come se fossero degli estranei; obbligandoli all'uso dell'italiano, li privano incosciamente di una ricchezza spirituale e linguistica inestimabile poiché non sanno che ogni lingua in più che si conosce, sia pure un dialetto, è un cervello. Facendo in questo modo credono, e sono convinti, di trarli fuori da un ghetto e di porli un gradino più in alto. Ma non è cosi, non si rendono conto che, tagliando il cordone ombelicale che li lega alle radici, all'ambiente e alla cultura locale, ostacolano il processo di appropriazione della propria identità. Soffocato il dialetto, è l'identità dell'intera comunità che muore.

PARLE QUANNE PISCE LA CAGLINE"Parla quando orina la gallina" si consiglia di solito ai ragazzi che si intromettono nelle conversazioni degli adulti

PAROLE A POGNE"Parole a pungere" sono definite le parole offensive, provocatorie

PAROLE NCASATE Si tratta della pasta al forno ripiena di formaggini, uova sode a spicchi, polpettine di carne, parmigiano grattugiatoInizioPagina

PAROLE PUNTATE Vengono definite parole puntate quelle parole che si prestano a un doppio senso

PASCALE PASSAUAJE "Pasquale passaguai". Un altro personaggio ignoto dei nostri modi di dire non certo fortunato se la sua biografia si riassume in una sola parola: passaguai. Una persona perseguitata dalla sfortuna si dice che pare Pascale passauaje.

PASCE, CRISCE E DUORME "Pasci, cresci e dormi" è uno degli auguri che si rivolgono a un neonato. In senso ironico è rivolto anche a chi ama la vita dello sfaccendato.

PASSA LA VOGLIE E LA RATTATURE Vuoi dire passare tutta la voglia, non volerne più sapere di una certa questione.

PASTE E CICE "Pasta e ceci". E chiamato così il narciso, dai colori bianco e giallo, come la minestra popolare. E detto anche fiore de la Cannelore perché fiorisce ai primi di febbraio, al tempo della ricorrenza della Candelora, quand'inverno dovrebbe uscire fuori, secondo il proverbio.

PATRONE "Padrone". Si definisce con questo termine il baco delle ciliegie. Queste ciliegie non sono buone, ce sta gliu patrone dente (c'è il baco dentro).

PAZZIA' A FA MALE "Giuocare a far male" cioè fare un giuoco pericoloso. Il traslato signiessere spericolati, agire senza giudizio, non avere riguardi.

PE DUMINIE"Per dominio" lo dice chi vuol tenere un oggetto per ricordo, per soddisfazione di possederlo, per tradizione, per abitudine acquisita. Così il genitore che pretende dal figlio una pigione simbolica, o che ci tiene a ricevere il regalo a Natale, Pasqua e altre ricorrenze importanti. Così pure l’anziano che non vuole disfarsi di un oggetto che è appartenuto alla famiglia. In casi come questi si afferma con un certo orgoglio: "Le voglie pe duminie".

PE NA MAGNATE DE MACCARUNE... La frase ellittica ha un seguito che dice TE FAJE ARRUBBÀ LA SORE e si traduce "per una mangiata di maccheroni... ti fai rubare la sorella". Un tempo la festa di nozze era una rara occasione per partecipare a un lauto pranzo la cui portata base principale erano i maccheroni al forno. La frase in tono di scherzoso rimprovero si rivolge al fratello minore di una sposa, il quale la darebbe via per sempre in cambio di una semplice mangiata di maccheroni, un godimento passeggero della gola. In realta il motto è solitamente diretto a coloro che si lasciano prendere per la gola, che si fanno ingannare dallo specchietto per le allodole, che abboccano all'amo come i pesci.

PE QUANTE E' RUOSSE, PE QUANTE E' FESSE "Per quanto è grosso così è fesso". E un motto che si affibbia a un tipo alto e grosso, ogni volta che se lo merita.

PECURÀ GLIU CRIATURE "Fasciare il neonato"; SPECURA' è il contrario, cioè toglierlo dalle fasce. InizioPagina

PEGGE (O CCHIÙ NIRE) DE LA MEZANOTTE NE’ CE STA (O NE’ PO ESSE)"Peggiore (o più nera) della mezzanotte non ci sta (o non può essere)" si suole affermare come incoraggiamento quando una vicenda si presenta difficile

PERDE FIĜLIPPE E GLIU PANARE"Perdere Filippo e il paniere" si dice quando da un affare non si riceve un bel nulla. Il "filippo" era una moneta d’oro coniata da Filippo 2° di Spagna

PERDE MINECHE E GLIU PANARE "Perdere Menico ed il paniere". L'espressione, di solito, viene tirata in ballo quando un affare fallisce completamente. Si dice anche PERDE CUÒFENE E PANARE (perdere cofano e paniere).

PÈRE DE FICHE Père significa piede, ma anche pianta, grande o piccola che sia. Per dire fico, mandorlo, arancio, limone, ecc. si dice père de fiche, père de ménele, père de purtuaglie, père de ĝlimone ecc. Una pianta di lattuga, una pianta d'indivia sono similmente dette père de nzalate, père de cecarole.

PEREPACCHIE E MARIUOĜLIE"Piripacchio e ladro" è il gioco con le carte detto rubamazzetti

PESCE DE CANNUCCE "Pesce di cannuccia" è quello che abbocca facilmente all'amo della canna dapesca. Il traslato vale per quei tipi che si lasciano convincere facilmente còn regalucci, che si fanno corrompere per peccati di gola.

PÉSELE PÉSELE Dall’aggettivo pésolo, vuol dire penzolone, di peso

PÉSENE LE MANE"Pesano le mani" a chi trascura di compiere piccole mansioni, come chiudere una finestra, spegnere la lampadina, per infingardia: si comporta come se le mani gli pesassero e le muovesse a fatica

PESTECCHIE Nei giuochi dove è necessaria una posta, di solito i ragazzi si giocano un certo numero di pestecchie che il vincitore dà al perdente. La pestecchie è un colpo secco dato sul polso dell'avversario con l'indice e il medio distesi.

PETTELE ‘N CUĜLIE moccioso, ragazzo che vuol farla da grande

PÉTTELE 'N CUĜLIE E CUMPAGNE La péttele è il lembo della carnicia. Nel Basile si trova péttola a culo, che Croce traduce "lembo a culo, con il signiticato di "moccioso che la vuoi fare da adulto". La nostra espressione "Pettola in culo e compagni" definisce un gruppo di persone scalcinate e male in arnese.

PETTENÀ GLIU CANE "Pettinare il cane" ovvero perdere il tempo in cose completamente inutili.

PIACE' GLIU QUATTA QUATTE Quatta quatte è il termine attribuito ai cibi ricercati e ai dolciumi in particolare. Di un buongustaio o di un goloso si suoi dire similmente che glie piace gliu quatta quatte Gli piace mangiare bene).

PIERE DE PÀPERE "Piedi di papera" sono denominati quelli che camminano con le punte dei piedi divaricate.

PIGLIÀ' ACCUOGLIE "Prendere addosso" ossia canzonare. Chiglie se fa piglià accuoglie da quante (quello si fa prendere in giro da tutti). InizioPagina

PIGLIA' ASSE PE FIGURE "Prendere asso per figura" cioè scambiare una carta da gioco per uzi'altra. Si suoi ripetere l'espressione nei confronti di chi fa confusione e non sa distinguere fra le cose; equivale a "prendere lucciole per lanterne".

PIGLIA' CU L'ARGE 'N CANNE "Prendere con le branchie alla gola" è il modo di prendere con sicurezza un pesce. Vuoi dire costringere, coartare.

PIGLIÀ GLIE DENARE PE RENELLE"Prendere i denari per granellini di sabbia" si dice di chi spende senza criterio per cose inutili o per oggetti che valgono assai meno

PIGLIÀ GLIU PÀINE"Prendere il palio". Treminte chella magghine comme fuje. Ca da ì a piglià gliu paine, guarda quella macchina come corre. Che deve andare a prendere il palio

PIGLIÀ LA MÀNECHE CU TUTTE GLIU RACCE"Prendere la manica con tutto il braccio" prendere tutto, fare piazza pulita anche di ciò che non spetta

PIGLIA' LA MEZA CANNE "Prendere la mezza canna" vuoi dire impugnare un bastone. La mezza canna, fatta con un regolo di legno, era una misura di lunghezza pari a cm. 105. In ogni casa ne esisteva una ricavata da un bastone.

PIGLIA' LA PERENÒSPERE "Prendere la peronospera". La peronospera è quel fungo parassita della vite che, se non si combatte, non risparmia interi vigneti. Lo stesso fa la febbre influenzale con le persone, contagiando intere comunità. La fantasia popolare ha paragonato l'influenza alla peronospera, cosi se uno dice: "Ho ute la perenòspere" vuol dire che ha preso l'influenza.

PIGLIA' LA QUARTE ABBIENTE Significa appropriarsi di qualche cosa ai danni dei cointeressati come, ad esempio, chi con l'astuzia riesce a carpire preziosi o altri beni ai genitori, all'insaputa dei propri fratelli. La quarte, secondo gli Statuti gaetani, era la dote che il marito donava alla moglie dopo consumato il matrimonio: si denominava il "bacio del mattino" (lucrum primi osculi in ter coniuges) oppure "basatico" ed era un residuo delle vecchie leggi longobarde, fissate da Liutprando. All'inizio la quarte non poteva superare il quarto delle sostanze del marito, ma in seguito fu ridotta a una somma di denaro e infine abolita. Si legge negli Statuti (III 13): . . consuetudo antiqua erat et apparet in primis statutis de quartibus et iuribus quartarum lucrandis mulieribur in boni viri, quae in desuetudinem abii et non observatur". Quindi nei primi Statuti, il dono del "bacio del mattino" o "basatico" era fissato nella quarta parte dei beni del marito (viri), poi era caduto in desuetudine fino a non essere più osservato (abiit et non observatur).

PIGLIA' LA SCIGNE "Prendere la scimmia" significa prendere una grossa arrabbiatura, avere un diavolo per capello. A Napoli tené a cimme scerocche (tenere la cima dello scirocco) ha il medesimo significato. La scimmia quindi non c'entra, è soltanto la deformazione di cimme.

PIGLIA' LA TERZIONE "Prendere la direzione" vale a dire "prendere la mira".

PIGLIA' NA PELLE "Prendere una pelle" vuol dire' "prendere una solenne sbornia". FA LA PELLE a uno significa ucciderlo. PELLA PELLE equivale a fior di pelle.

PIGLIÀ NA SPUTAZZE PE CINCHE ĜLIRE D’ARGIENTE"Prendere uno sputo di saliva per cinque lire d’argento" ossia prendere un abbaglio, prendere lucciole per lanterne. Deriva da un raccontino. Due amici passeggiano insieme, quando uno di loro si ferma improvvisamente e si curva per raccogliere una moneta di cinque lire di argento (di un valore superiore a 5000 lire di oggi). Ma quel dischetto bianco è soltanto uno sputo di saliva. Allora l’altro gli fa: Ma che fai, piglie (prendi) na sputazze pe cinche ĝlire d’argiente?

PIGLIA' NA VERMECATE "Prendere una verminara" vuol dire prendere un grosso spavento.

PIGLIARESE GLIU PASSAGGE "Prendersi il passaggio". La locuzione, di sicura origine napoletana, pare si sia diffusa in gran parte della penisola. Indica la furtiva ed effimera audacia di un uomo che, approfittando di un momento favorevole, palpa con la mano le rotondità di una donna. InizioPagina

PIGLIE FRASCHE E PIGLIE FIENE "Prendi frasche e prendi fieno", come dire fare una grande confusione, fare una torre di Babele.

PIGNE CU L'OVE "Pigna con le uova". Si tratta del tradizionale dolce di Pasqua con uova intere di sopra. Ce la ricorda questa cantilena: Pascarelle vietenne currenne, tutte glie ninne te stanne aspettenne; te stanne aspettenne cu tutte gli 'umore, ca vanne truenne la pigne cu l'ove. Pasquarella vieni correndo, tutti i bambini ti stanno aspettando; ti stanno aspettando con tanto amore,perché vogliono la pigna con le uova).

PIOVE E ACQUA FA, ‘N CASE DE LA NNAMMURATE N’È BUONE A STÀ

PISCÀ CU DOI LENZE MMANE Equivale a tenere al piede in due staffe, esser pronto a tutti e due i casi, partiti. Si dice, di chi avendo davanti due opportunità le controlla entrambe come il pescatore che regge due lenze, in attesa del momento opportuno per agrapparsi e tirare in barca la migliore. Uscita indubbiamente dall’ambiente marinaro ci sembra più colorita e più appropriata

PISCE A MARE CA' NE' CI'APPARE "Orina a mare perché non si nota". Due vicine non stanno in buoni rapporti e una di esse, credendo di fare dispetto all'altra, sbatte finestre, mette la radio al massimo, canta a dispetto, sfoggia abiti e gioielli. L'altra, cui questi sfoghi non fanno alcun effetto, commenta: "Pisce a mare ca ne' ci'apparel". Cioè le tue sciocche azioni non impressionano nessuno, mi lasciano completamente indifferente; puoi risparmiartele poiché fanno il medesimo effetto di una orinata a mare, vale a dire assolutamente nulla.

PISCIA' MMANE "Orinare in mano" è un aspro modo di dire che significa compensare chi ha compiuto un lavoro.

PISCIA' NCOPPE LA SCOPA NOVE "Orinare sulla scopa nuova". La scopa nuova di sparto o di saggina è dura e non spazza bene se prima di usarla non è messa a bagno nell'acqua. Chi, contrariamente alle sue intenzioni, procura vantaggi anziché noie, ha pisciate ncoppe la scopa nove. Credeva di fare dispetto, invece ha fatto un favore, bagnandola, sia pure con l'orina.

PISTE E MITTE 'N CAPE "Pesta e metti in testa". Comunemente si dice che manchi il sale in testa a chi non ragiona tanto, quel sale che il sacerdote dà con il battesimo. Per rimediare non ci vuole molto, è sufficiente pestare il sale nel mortaio (si usava così quando il sale fino non era in commercio) e metterselo nella zucca. Che bel sistema, se funzionasse davvero, per raddrizzare tante teste bislacche! (Vedi n. 1930).

PÒ RENUNZIÀ PURE AGLIU BAMBINE DE SANTU RAIME "Può rinunciare anche al Bambino di S. Erasmo". Si tramanda che il Bambino di S. Erasmo, il duomo di Gaeta, sia stato di oro e, quindi, di grande valore. Il motto si adatta a chi possiede molte ricchezze.

POCHE, FUTE E FRÀRECE! "Poche, vuote e fradicie!" commenta avvilito chi ha fatto un cattivo affare come colui che, comperate le noci, le trova marce in gran parte.

POMPE DE MUNNE "Pompa di mondo" ossia vanità delle vanità, come si legge nell'Ecclesiaste (1 2).

PORTE CEPOLLE "Porto cipolle". Si racconta di due sordi che si incontrano per la strada e fanno questo dialogo: "Dove vai?" "Porto cipolle"; "Che porti?" "Vado al mercato". Porte cepolle è il motto con il quale si interrompe un interlocutore che sfugge all'argomento trattato o perché non ha capito veramente o, spesso, perché finge.

POSAPIANE Definisce questo vocabolo chi cammina attentamente, badando bene, ad ogni passo, dove mette i piedi. InizioPagina

POSTE DE SOLE Dallo spagnolo puesta de sol, equivale a tramonto

POSTO MIO PELLECCHIE, CHI CI TROVE CE TIRE NA RECCHIE Lo dicono i ragazzi quando trovano il loro posto, lasciato momentaneamente, occupato da un compagno. Contemporaneamente lo afferrano per un orecchio e lo costringono ad alzarsi.

PÒVERE ARIGLIE MMANE A RE! "Povero grillo in mano ai re!". E la rassegnata espressione che viene spontaneamente sulla bocca di chi si trova di fronte a un dilemma difficile da risolvere; significa "povero me se sbaglio!". E tratta da questa storiella. Una volta Re Burlone, passarido in rivista un reparto, chiese a un soldato che cosa stringesse in pugno. Il soldato,soprannominato Grillo, sicuro di non poter indovinare, sospirando disse: "Pòvere ariglie mmane a re". Il Re, che effettivamente stringeva un grillo, gli fece avere un premio.

POZZE ESSE ACCISE CHI TE CRERE! "Possa essere ammazzato chi ti crede!". E sottinteso: "perché io non ti ho mai creduto". La frase non ha bisogno di commenti, essendo facilmente individuabile a chi si riferisce.

POZZE ESSE ACCISE CHI TE CRERE"Possa essere ucciso chi ti crede" si dice scherzando a chi racconta una bugia

POZZE PASSA GLI 'ANGEĜLIE... "Possa passare l'angelo...". La frase ellittica continua con "e dica amen" che di solito è sottinteso. Quando uno fa un discorso ottimista e preconizza risultati favorevoli, in attesa di un evento dall'esito incerto, l'interessato invoca l'aiuto divino dicendo: "Pozze passà gh'àngeĝlie... messaggero del cielo e dicesse ammenne". Cioè dia il suggello perché quanto è stato previsto diventi realtà.

PRIENA RÒSSE "Gravida grossa", ossia donna agli ultimi mesi di gravidanza.

PRORE GLIU NASE PRORE GLIU CUĜLIE PRORE LE MANE "Prudere il naso" e "prudere il sedere" hanno ambedue il significato andare a cacciarsi nei guai. "Prudere le mani" vuoI dire venir voglia di menare le mani quando capita un provocatore che questo prurito fa venire.

PRUCCHIE SAGLIUTE "Pidocchio salito". E tale un pezzente che, dai più bassi gradi sociali, è salito in alto, conservando intatta la rozzezza originaria.

PUNTIA' NU MATARAZZE Punteggiare un materasso" vuol dire segnare, rinforzare e fare le tre file di coppie di buchi sul guscio di un materasso di lana nei quali si infila e poi si lega una fettuccia.

PUÓ ME DAJE NA VOCE Due amici non si trovano d’accordo su una vicenda: Alla fine uno cede, ma convinto di aver ragione lo ammonisce: Tu non vuoi darmi retta, ma verrà il momento che te ne pentirai: Puó me daje na voce (poi mi darai una voce)

PUORTAMECCE CA CE VENGHE"Portamici che ci vengo" motto riservato persona lenta, pigra, priva di iniziative, che si lascia trascinare dagli altri

PUOSE GLI'UOSSE! "Posa l'osso!" si ordina al cane. Il traslato è usato per ingiungere la restituzione di quanto è stato preso indebitamente.

PUOZZE AVÉ NU MALE MATRONE Matrone= ventre, deriva dal latino tardo matra (matrice, utero). Usato solo in questa locuzione che si può tradurre: possa tu avere un terribile dolore di ventre. InizioPagina

PUOZZE AVÉ NU TOCCHE ‘N CAPE, ALLA LENGHE, ALLE MANE"Possa avere un tocco in testa, alla lingua, alle mani"

PUOZZE AVE'... Possa tu avere..." è l'inizio di una lunga serie di imprecazioni, di cui se

ne riportano le più comuni.

Puozze avé glie delure a triddece (Possa tu avere i dolori artritici).

Puozze avé la peste che te chiave (Possa tu avere la peste).

Puozze avé le pulacre aglie piere (Possa tu avere la podagra ai piedi).

Puozze avé na cacarelle (Possa tu avere una diarrea).

Puozze avé na fune 'n ganne (Possa tu avere un cappio al collo).

Puozze avé na mala nove (Possa tu avere una cattiva nuova).

Puozze avé na petine alla lenghe (Possa tu avere una pepita alla lingua).

Puozze avé na saette (Possa tu avere una saetta).

Puozze avé n 'occe agliu core (Possa tu avere un colpo al cuore).

Puozze avé nu butte de sanghe (Possa tu avere un vomito di sangue).

Puozze avé nu culere (Possa tu avere il colera).

Puozze avé nu malu marite (Possa tu avere un cattivo marito).

Puozze avé nu morbe (Possa tu avere un morbo). InizioPagina

Puozze avé nu pànteche (Possa tu avere un forte dolore intestinale).

Puozze avé nu tocche (Possa tu avere una paralisi).

Puozze avé nu truone 'n cape (Possa tu avere un fulmine in testa).

Puozze cecà (Possa tu diventare cieco).

Puozze crepà (Possa tu crepare).

Puozze esse accise (Possa tu essere ammazzato).

Puozze esse fucelate (Possa tu essere fucilato).

Puozze esse mpise (Possa tu essere impiccato).

Puozze fà la sagliute de gliu fàmmeglie (Possa tu fare la salita dello scarabeo, vedi la sagliute de gliu fàmmeglie).

Puozze fà na brutta carute (Possa tu fare una brutta caduta).

Puozze fà na brutta morte (Possa tu fare una brutta morte).

Puozze ittà l'acite (Possa tu buttare l'aceto).

Puozze ittà la sanghe (Possa tu buttare il sangue).

Puozze ittà lu velene (Possa tu buttare il veleno).

Puozze magnà e ummecà (Possa tu mangiare e vomitare).

Puozze murì (Possa tu morire).

Puozze murì accise (Possa tu morire ammazzato).

Puozze murì de sùbbete (Possa tu morire all'istante). InizioPagina

Puozze passà nu uaje (Possa tu passare un guaio).

Puozze rumanì alla scurde (Possa tu rimanere all'oscuro, cioè cieco).

Puozze trasì de cape e iscì de piere (Possa tu entrare di testa e uscire di piedi; il morto esce con i piedi avanti).O anche Puozze fa le mane comme gli piere, vedi Puozze passà pe la loggia (Percorso obbligato per il Cimitero)

Puozze sculà (Possa tu colare) (1).

Puozze trecà comme e la neva marzugline (Possa tu durare come la neve di

marzo, cioè morire presto).

Te puozze arralà (che tu possa morire di sete).

Te puozze mperì (che tu possa rimanere paralizzato).

Te puozze nfracerà 'n funne de gliette (che tu possa infradiciare in fondo a un letto).

Te se pòzzene caré le mane (ti possano cadere le mani).

Te se pozze seccà la lenghe (ti si possa seccare la lingua).

Aja parce (devi avere molte sofferenze).

Hai da scardà (devi penare).

Hai da rusecà (devi roderti dentro).

Ha perce 'ncoppe nu gliette (devi soffrire su un letto).

Di fronte a tante imprecazioni esistono alcune formule di buon augurio, di cui seguono alcuni esempi. InizioPagina

Puozze avé chelle che te manche (che tu possa avere ciò che ti manca).

Puozze avé la sorte de la brutte (Possa tu avere la sorte della brutta, cioè fare un buon matrimonio).

Puozze avé lu bbene a tòmmele (Possa tu avere il bene a mucchi).

Puozze avé la sorta sciote (Possa tu avere la fortuna favorevole).

Puozze avé na bona nove (Possa tu avere una buona nuova).

Puozze avé na cosa bbone (Possa tu avere una buona cosa).

Puozze aunnà (Possa tu aumentare il tu6 benessere).

Puozze cacà denare (Possa tu cacar denari).

Puozze esse beneditte (Possa tu essere benedetto).

Puozze esse sante (Possa tu essere santo).

(1) E' tra le più brutte e volgari imprecazioni di origine antica. Quando non esistevano i cimiteri, nei sotterranei di alcune chiese i morti venivano deposti in posizione seduta nei loculi, su una lastra di pietra con alcuni fori, dai quali stillavano gli umori dei cadaveri.

PUOZZE CAMPÀ CIENT’ANNE"Possa vivere cento anni" augurio di vita lunga

PUOZZE PASSÀ DALLA LOGGE"Che tu possa passare dalla Loggia" Il vico Loggia adesso congiunge i vichi 2 e 3 Indipendenza con la via Cavour, una scorciatoia che un tempo li congiungeva alla via Cappella che portava direttamente al Cimitero dove i feretri venivano portati a spalla. Passare il vico Loggia in questa invettiva vuole intendere dentro una bara

PURDUSINE OGNI MENESTE Prezzemolo in ogni minestra. Il prezzemolo è presente in molti piatti, non deve mancare mai in cucina. Il traslato calza bene a quelle persone, intromettenti e ficcanaso, che si ritrovano sempre davanti, dovunque si vada, e che si immischiano in qualunque conversazione.

PURE LA TERRE VO MAGNÀ"Anche la terra vuole mangiare" si usa dire quando ci cade un cibo per terra

PURPESECCE Polposeppia, curioso modo di dire per indicare un appartenente alla Guardia di Finanza.

PURTA GLIU CANISTE PURTA GLIU SIGNE Il giorno del fidanzamento ufficiale, il fidanzato, accompagnato dai genitori e dai fratelli, si reca in casa della fidanzata e le porta l'anello gliu signe) ed altri regali. La settimana successiva, la famiglia della fidanzata ricambia regali ed anello al fidanzato, tramite una donna del rione, di solito esperta in tali impegni di vita pratica, la quale ha l'incarico di portare gliu caniste (la cesta) contenente i doni. Tra questi figura lo scialle di lana per la suocera, i calzettini di lana per il suocero, i fazzoletti per il fidanzato con la sigla ricamata a mano dalla fidanzata, un pensiero per ciascun fratello.

PURTÀ GLIU MUSSE Portare il muso significa tenere il muso, portare il broncio.

PURTÀ GLIU SCIUSCE Gliu sciusce e' la serenata di auguri per l'anno nuovo, portata dalle orchestrine la sera di S. Silvestro. La mattina seguente passano a ritirare la mancia. Una volta gliu sciusce si portava agli amici che, dopo la serenata, ricevevano in casa i suonatori e offrivano loro da mangiare e da bere. Il canto del sciuscio accenna a fichi secchi, prosciutto e bottiglione di vino. Ohi patrò Pascale e dacce nu sciusce, annanze che s 'ammosce dacce quatte fiche mosce; annanze che se secche dacce quatte fucusecche Cu nu bicchiere aprone èfenute gliu buttiglione.

PURTÀ GLIU SIGNE"Portare il segno" è lo stesso che fidanzarsi ufficialmente scambiandosi l’anello. La tradizione esige che il fidanzato, accompagnato dai genitori e i parenti più stretti, si rechi in casa della fidanzata, portando l’anello ed altri regali, secondo le proprie condizioni economiche

PURTÀ LA CAMMISE DE GLIU MPISE Portare la camicia dell'impiccato: essere un delinquente. InizioPagina

PURTÀ MANE MANE Portare mano mano ovvero guidare ed assistere uno di pochissima espenenza.

PURTA' PESELE PESELE Portare penzoloni una persona o una cosa.

PUTÉ SCEPPÀ GLIE RIENTE DALLA OCCHE"Poter cavare i denti dalla bocca" si suol dire di uno che ride felice e soddisfatto

PUTITE VATTIA' NU SUMARE Potete battezzare un somaro. La frase si rivolge per celia a tre persone con il medesimo nome di battesimo, che per caso vengano a trovarsi insieme in un gruppo di amici.

PUTRACCHE Parola che potrebbe derivare da polacchette, diminutivo di polacche, un tipo di scarpe allacciate. Significa scarpa fuori uso. In napoletano esiste burdacché, uno stivaletto a mezza gamba non più usato, che si fa derivare dal francese brodequin.

PUZZÀ LA CERE Puzzare la cera. Da un luogo che puzza ognuno se ne allontana il più possibile. Se uno sta alla larga dalle chiese, o perché non crede o perché non è praticante, si dice che glie puzze la cere (gli puzza la cera).

PUZZARESE DE LA FAME Puzzarsi dalla fame in senso generico vuol dire soffrire la fame. de la fame chi è povero, oppure chi non trova lavoro e quindi è disposto a ogni compromesso.

QUADRE E SQUADRE Qualsiasi oggetto a forma quadrata si dice che è quadre e squadre.

QUAGLIA' "Cagliare", coagulare, solidificare. Il traslato, riferito a persona, indica maturità intellettuale: CHIGLIE ANCORE N'HA QUAGLIATE (quell'individuo non è ancora abbastanza maturo). SO RUMASTE QUAGLIATE (sono rimasto stupefatto, sorpreso). AIMME QUAGLIATE (stiamo a buon punto).

QUANNE EJE VERDE LA MUNTAGNE "Quando la montagna era verde", cioè ai tempi buoni, nel tempo felice della giovinezza.

QUANNE PIOVE PASTE E FUCUSECCHE "Quando piovono pasta e fichi secchi", fenomeno impossibile a verificarsi, perciò equivale a mai. La frase è stata presa dal racconto di Vardiello del Basile, il quale dice però passe e fico secche. Passe (uva passa) si è trasformata in paste nel nostro motto. InizioPagina

QUANNE SE CONTE N'E NIENTE "Quando siracconta non è nulla". Un tale è stato gravemente malato e, tornato guarito a casa, racconta come ha trascorso quei brutti giorni in ospedale. Alla fine uno dei presenti dice per consolarlo: "Quanne se conte n 'è niente" cioè l'interessante è che ora tu stia bene, in casa con i propri cari e in grado di raccontare le tue vicende. Insomma è bene quel che finisce bene.

QUANNE SE FIGLIE DAMMENE UNE"Quando si figlia dammene uno" è il modo per burlarsi di uno che indossa un indumento che colpisce per l’originale fattura fuori del comune

QUANNE SE ZAPPE E QUANNE SE POTE, ZÌ PASCALE NE’ TÈ NEPUTE"Quando si zappa e si pota, zio Pasquale non ha nipoti"

QUANNE SO NATE I LA MAMMANE È MORTE PE LA VIE "Quando sono nato io la levatrice è morta per la via" lo dice con enfasi chi si ritiene sfortunato sin dalla nascita, solo perchè una gli è andata male

QUANNE SPOSE RAIME "Quando sposa Erasmo" è la risposta evasiva quando non si può o non si vuole precisare il momento di fare una certa cosa. "Quando mi compri la bicicletta?" chiede il figlio. "Quanne spose Ràime" risponde il padre che non ha intenzione di comprargliela. Il motto fa parte di una strofetta che comincia così: Quanne spose Raime? Sta state, sta state. Che glie fai magnane? Patane, patane...(Quando sposa Erasmo?/ Questa estate, questa estate./ Che gli fai mangiare?/ Patate, patate...).

QUANTE AIMME TRECATE! "Quanto abbiamo durato!". Il modo di dire si usa nel significato di "sarebbe ora di finirla!".

QUANTE TIÉ RASSE ACCUOGLIE! "Quanto grasso hai addosso!". Locuzione che può assumere diversi si;nificaù; in particolare è usata per sottolineare le pretese avanzate da chi non sembra averne diritto. Si risponde ugualmente con lo stesso motto a chi fa una proposta fuori luogo come, ad esempio, uscire a passeggio mentre fuori diluvia.

QUANTE TIÉ UOGLIE! "Quant' olio che hai!". Ha un significato non molto dissimile dalla ecedente espressione. Vuol dire "quanto sei fanafico!", "come te lo credi!".

QUANTE TIÉ ZENNÀCCHEGLIE! Gli zennàccheghe sono le bigiotterie, gli "strassi" che luccicano molto, valgono poco. La frase, rivolta a una donna, significa "quante moine itili fai!".

QUANTE VAVE! QUANTE VAVARIE! "Quante bave!" cioè quante smorfie!

QUANTE VRUÒCCHEGLIE! "Quanti broccoli!". Espressione spiritosa per burlarsi di chi fa un sacmoine, di cerimonie, di complimenti o salamelecchi spesso simulati. cc anche per canzonare due fidanzati che si scambiano svenevoli effussioniInizioPagina

QUARAESEME LONGHE E TESECHE "Quaresima lunga e rigida". Definizione affibbiata maliziosamente a una donna alta e magra, che richiama alla mente il fantoccio che si usava esporre nei vicoli, il giorno delle Ceneri, insieme con quaranta gusci di uova, che venivano tolti uno al giorno, sino alla domenica delle Palme. Dice una strofetta:Quaraéseme longhe e téseche,e chi t'ha ntussecate?E glie ruòccheglie de rape,e glie ruòccheglie de fonte. Quaraéseme s 'arravoglie, s'arravoglie alla funicelle,Quaraéseme la poverelle. (Quaresima lunga e rigida, I e chi ti ha angustiata? / E i broccoli di rapa,/ e i broccoli di fonte./ Quaresima si avvinghia,/ s'attorciglia alla funi cella, Quaresima la poverella).

QUARTIARESE Nel suo autentico significato, quartiarese è il mettersi di traverso di un natante qualsiasi, sotto la furia del vento e del mare. Ma altri significati può assumere il senso figurato. Se quartieje chi prende un'arrabbiatura, o chi è giù di morale e si abbandona non riuscendo a reagire contro le avversità fisiche e spirituali, o chi batte la fiacca, o il poltrone che non si impegna in nessun genere di attività. Se sa quartià, invece, colui che sa barcamenarsi.

RAIME UOCCHIE FUTE, GLIU IUORNE HA PAURE DE LE MOSCHELE E LA NOTTE VA ARRUBBENNE GLIE VUOVE"Erasmo occhi incavati, il giorno ha paura delle mosche e la notte va rubando buoi"

RANCE DE SOLE Scottatura dell’epidermide prodotta da esposizione ai raggi solari. Rance è anche il tentacolo del polpo o la chela del granchio: entrambi, come i raggi solari, offendono l’epidermide

RATTÀ GLIU CUGLIE ALLA CECALE "Grattare il sedere alla cicala". I ragazzi per sentire stridere la cicala la stuzzicano, cosi chi intende far parlare una persona la provoca. Il traslato significa, appunto, stuzzicare, provocare, stimolare a parlare una persona su un determinato argomento che interessa conoscere.

RAZIE A DIE CU LA FACCE PE TERRE "Sia ringraziato Dio con la faccia per terra", cioè prostrato a terra. E segno di gratitudine verso il Signore da parte di chi ha ricevuto una buona notizia o ha visto risolvere per il meglio una situazione molto delicata. quanto a prostrarsi e baciare la terra, poi, si dice ma non lo fa nessuno.

RE GIUANNE "Re Giovanni". Con questo spiritoso eufemismo si indica il grosso vaso da notte cilindrico con due anse, detto ruàgneglie o càntere (dal latino canthàrus).

RECANATE un modo di cuocere il pesce. Per preparare il pesce a recanate lo si insaporire per ventiquattro ore con abbondante prezzemolo, aglio e piccante. Poi si infarina e si frigge. E un piatto assai apprezzato daipescatori che lo ritengono una specialità.

RECCHIE A PANNELLE"Orecchie a sventola"

RECCHIE PÌCCHELE "Orecchie piccole". Sono quelle dei più giovani che non devono ascoldiscorsi scabrogi e parole sconce; oppure sono le orecchie indiscrete di chi non è opportuno venga a conoscenza di certi fatti. In entrambi i casi, prudentemente, si lancia questo avvertimento: "Zitte, ce stanne le recchiepicchele" (zitti ci sono le orecchie piccole). E si cambia argomento.

RECE VELENE Ricevere veleno" cioè l'amarezza di un dispiacere. Tu me fai rece sole velene (tu mi procuri soltanto dispiaceri). InizioPagina

RENTE RENTE Locuzione avverbiale che significa rasente.

RESUSCITA MUORTE "Risuscita morti" si dice di un liquore squisito.

RICCHE E BUONE La locuzione ricche e buone dopo un aggettivo o un sostantivo assume significati con sfumature diverse, secondo il contesto nella frase. Ecco alcuni esempi: Ricche e buone (pur essendo ricco) non fa alcun bene. Vecchie e bone (nonostante sia vecchia) esce tutti i giorni. Cecate e buone (cieco com'è) fa tutto da sé. Prèute e buone (nonostante sia prete) pensa solo al denaro.

RISPONNE A TENORE"Rispondere a tenore". Rispondere con energia e, passando dalla parte di chi si difende a quella di chi accusa, respingere tesi e accusa parlando con estrema chiarezza. Rispondere a tono, per le rime come i poeti medievali nelle loro gare poetiche

ROBBA GENUINE SO DULURE DE RINE "Roba genuina son dolori di reni". L'allegoria vuol dire che per ottenere prodotti genuini occorrono tanto impegno e tanto lavoro da rompersi le reni. Di conseguenza il loro costo è più alto e chi li vuole acquistare li deve pagare. Conclusione: il dolore di reni è del consumatore che è sempre quello che paga.

ROBBE COMUNE ROBBE DE NISCIUNE"Roba comune roba di nessuno

RUMANE' A PERE "Restare a piedi". Motto che ha il significato di rimanere a metà, come nel caso in cui bisogna interrompere un lavoro per mancanza di mezzi.

RUMANE' CU GLI'UOSSE 'N CANNE "Rimanere con l'osso nella gola", come la volpe della favola, vuol dire non poter mangiare. La frase, infatti, la dice chi, per un motivo qualsiasi, è costretto ad interrompere un pasto. La locuzione è estensibue ad altri casi. So rumaste cu gli 'uosse 'n canne dice anche, per esempio, chi all'ultimo momento ha dovuto rinunciare a un viaggio tanto desiderato, come pure chi vede sfumare un premio che era sicuro di avere in tasca. RUMANE 'N CANNE ha il medesimo significato.

RUMANE' DE SALE "Rimanere di sale". Traducibile in restarè stupito, meravigliato, sbalordito, scoraggiato.

RUMANE' MBARDATE "Rimanere bardato". Mbardà ha lo stesso significato del verbo italia no. La bardatura impaccia indubbiamente i movimenti di chi la indossa. So rumaste mbardate, per esempio, vuol dire che sono rimasto bloccato tra la folla o nel traffico stradale. L'espressione è usata anche con il significato di "rimanere interdetto", "rimanere confuso".

RUMANÉ MÉMÉ E TÉTÉ Restare in pochi (o in due) dove precedentemente si era in tanti

RUMANÉ QUAGLIATE Rimanere di stucco, meravigliato, stordito. Quagliate= cagliato, come se il sangue si coagulasse

RUMANE' SCARPE A SOLE Restare senza alcun risorsa, perdere tutto

RUTTE PE RUTTE "Rotto per rotto" locuzione traducibile in vari modi: oramai, accada quel che accada, giacché ci siamo, visto che è andata male. Comincia così l’estremo tentativo per concludere comunque (qualunque cosa accada) una vicenda che si presenta sfavorevole. Certuni aggiungono: féteche fritte (fegato fritto) InizioPagina

S’ADDA STÀ SEMPE CU CIENT’UOCCHIE APIERTE"Si deve stare sempre con cento occhi aperti" quando si tratta di affari con altri e non si vuole restare imbrogliati

S’È FATTE NA BREGANTE"S’è fatta una brigante" si dice di una ragazza cresciuta alta, robusta e svelta

S’È FATTE NU GALIOTE"S’è fatto un galeotto" si suol dire di un ragazzo robusto e muscoloso

S’È UNITE LA ĜLIME E LA RASPE"Si è unita la lima con la raspa" per indicare l’amicizia di due individui piuttosto violenti e litigiosi

SACCA MARIOLE "Tasca ladra". Così è detta la tasca interna della giacca, dove di solito si tiene il portafogli per difenderlo meglio dalle mani dei borsaioli.

S'ADDA PERDE LA STREPPEGNE "Si deve perdere la radice". E una terribile maledizione che si tira ad dosso chi fa del male. Non si desidera solo la sua scomparsa, ma la distruzione di tutta la famiglia sino alle radici, perché non gettino mai più germogli che possano continuare a nuocere.

SAGLIE E SCIGNE "Sali e scendi". Viene chiamata così la persona incaricata di chiamare, casa per casa, in piena notte, gli equipaggi dei pescherecci e portarli a bordo con il battellino. Oltre a fare la spola tra la banchina e la paranza per tutte le necessità, egli è addetto anche all'ormeggio del motopeschereocio.

SAGLIRESENNE "Salirsene" nel senso di innamorarsi follemente, oppure perdere il senno, secondo i casi. E lo stesso che iresenne de cape (vedi). Chiglie se n sagliute (quello è impazzito).

SALUTE A NUJE "Salute a noi". Espressione che si usa intercalare nei discorsi riguardanti disgrazie o morti. Sapete che è successo? E morto improvvisamente, salute a nuje, il negoziante all'angolo.

SAN GIUANNE MÒ DIRE E MÒ PIAGNE "San Giovanni, ora ride e ora piange". Cantilena canzonatoria riservata a quei bambini che dal riso passano facilmente al pianto e viceversa. E difficile spiegare come ci entri San Giovanni. InizioPagina

SAN PASCALE SPILECE LE RECCHIE! "San Pasquale sturaci le orecchie!". Motto ironico che si dice quando uno non sente o finge di non sentire.

SAN ZANZI' Il san zanzì sta in chiesa, ma invano si cercherà nel Martirologio. E il contenitore per raccogliere le offerte dei fedeli. Un tempo consisteva in una busta di cuoio che il sagrestano agitava per far tintinnare le monetine e richiamare l'attenzione. Aveva la peculiare dote di non lasciar vedere l'obolo offerto. San zanzì sarebbe, quindi, un termine onomatopeico che imita il tintinnio delle monete.

SANTA FERMINE FÉRMELA TU "Santa Fermina fermala tu". Si invoca in questo modo la Santa perché calmi chi dà noia con la sua irrequietezza.

SANTA LUTIERE OGGE N'lE COMME E AIERE "Santa Lutiera oggi non è come ieri". Oggi è un altro giorno, si ricomincia da capo; i discorsi fatti ieri non valgono più.

SANT'ANTUONE CI'HA PUOSTE 'O FUOCHE "S Antonio ci ha messo il fuoco". E il richiamo del cocomeraio, il quale assicura che le sue angurie sono ottime, rosse come il fuoco di S. Antonio abate, il Santo più popolare del Medioevo, più narrato dalle leggende, vissuto oltre ottanta anni nel deserto. E noto che per la sua festa (17 gennaio gli agricoltori e gli allevatori di bestiame usano ancora, in molti luoghi, accendere grossi falò.

SANTE CHE NE' FA MERÀCHEGLIE "Santo che non fa miracoli". Si riferisce a persona gretta e avara, da cui è impossibile sperare un aiuto, un favore o un qualsiasi gesto disinteressato di generosità.

SANTE E BENEDITTE "Santi e benedetti" sono, ad esempio, i soldi spesi bene, i sacrifici sopportati per le persone care.

SANTE NECOLE, ÙTTELA FORE! "S. Nicola, spingila fuori". Così si invoca il Santo perché ci liberi da una insopportabile seccatrice. Se invece sì vuol far voti per uno che parte o che esce da casa si dice: "SANTE NECOLE, FAGLIE TRUÀ LA VIA BONE", (San Nicola, fagli trovare la via buona).

SANT'ELISABBETTE, SCÀNZEME DA LAMPE, TRÒNELE E SAETTE "S.Elisabetta, scansami da lampi, tuoni e saette". Si invoca in questo modo la Santa, durante i temporali ed in caso di pericoli in genere.

SANTU ĜLIUCHE SE C’È SPASSATE!"San Luca ci si è divertito!". Una delle credenze popolari è quella di ritenere San Luca un celebre ritrattista: A lui si attribuiscono molte immagini della Madonna. L’espressione viene spontanea davanti a una donna bellissima: soltanto la mano di S. Luca poteva creare tale meraviglia

SANTU RAIMIEGLIE "S Erasmino". Si tratta della statua di S. Erasmo venerata nel rione Castellone di Formia. Si usa il diminutivo per distinguerlo dal S. Erasmo, patrono della città e dell'Archidiocesi di Gaeta, insieme con S. Marciano, come lui originario di Antiochia. Nel Duomo esistevano le statue in argento massiccio dei due Santi, rubate la notte tra il 14 e il 15 gennaio 1981, dopo un precedente tentativo fallito il 22 aprile 1980, durante il quale i ladri spogliarono di alcuni elementi la statua del Santo, compreso il prezioso pastorale gotico.La festa di Santu Raimieglie (diminutivo di Ràime) si celebrava a Formia la domenica successiva al 2 giugno per non farla coincidere con la festa celebrata a Gaeta, dove confluivano in massa dai paesi vicini. InizioPagina

SAPÉ DE CHÉ PANNE VÈSTE Conoscere una persona dal modo di vestirsi: dimmi vesti e ti dirò chi sei

SAPÉ DE RAME "Avere il sapore di rame". Il rame era, una volta, il metallo con il quale si coniavano le monete. Di conseguenza, dire che una cosa "sa di rame" significa che è costata denari; viceversa, tutto ciò che è gratuito e non costa nulla "non sa di rame". Ad esempio "non sa di rame" un regalo, un omaggio, un invito a cena, un biglietto gratis per il teatro e così via. Il motto latino olet lucernam (sa di lucerna) si riferisce ad una produzione letteraria costata lunga fatica di studi.

SAPÉ L’ECCHE, LA MECCHE E LA FRAULETTE"Sapere......." tre termini senza senso. Si affibbia a un tipo apparentemente ingenuo che, invece, la sa lunga; in particolare è usata nei riguardi di qualche ragazza ritenuta inesperta e che tale non risulta

S'ARRECORDE DE TUTTE: ACHE, FIĜLIE E FRUÒVECE "Si ricorda di tutto: aghi, filo e forbici". La frase si usa per definire un tipo preciso e scrupoloso al massimo in tutte le sue azioni e in tutte le sue cose.

S'ARROBBE PURE GLIU BAMBINE NCOPPE GLIU PERÒ "Ruba anche il bambino sul cassettone". Una volta non c'era casa, si può dire, dove sul cassettone non ci fosse, sotto un'apposita campana di vetro, la statuina di Gesù Bambino: era un ornamento preferito, oltre a rappresentare il segno tangibile della volontà della famiglia di porsi sotto la sua protezione. Attualmente i furti nelle chiese non si contano, ma allora nessun ladro, andando a rubare in una abitazione, portava via il Bambino sotto la campana: oltre ad essere un oggetto ingombrante non aveva un conveniente valore. Rubare, perciò, uno di quelli rappresentava un 'azione indiscutibilmente inconcepibile. Ancora oggi che il Bambino esiste su rarissimi cassettoni, con questa frase si indica un individuo senza scrupoli, capace di tutto.

S'ATTACCHE A PIGLIE E PENNE "Si attacca a peli e penne". Si dice di un tipo pignolo, che non fa passare niente liscio; di uno che approfitta di ogni occasione per piantar grane; di chi si attacca a tutto, anche ai minimi pretesti.

SÀULE DE MARE "Sagola di mare". I pescatori hanno un proprio metodo per misurare la forza del mare. Una volta quando dovevano uscire per la pesca con le barche a remi, per rendersi conto delle condizioni del mare al largo, si recavano al culmine di Montesecco, (ora non è più possibile perché è tutto coperto di fabbricati) nei pressi della croce, dove adesso c'è la scuola media, per osservare a che distanza dalla riva di Serapo rompevano le onde e a che altezza si alzavano i loro spruzzi contro la roccia della Trinità. "Ci sono due sagole di mare" oppure "tre o quattro", dicevano al capo barca il quale doveva decidere o meno di prendere il largo per la pesca e il luogo dove reirsi. La sàule quindi è l'unità di misura della forza del mare adoperata dai pescatori di Gaeta.

SAUNACCE DE PUORCHE "Sanguinaccio di porco". Specialità gastronomica che fa arricciare il 'io agli schifiltosi, ma non ai buongustai. E sangue di maiale, insaccato e bollito dentro l'intestino crasso, ben lavato e stropicciato con il limone. Vi si aggiungono sale, uva passa, semi di finocchio e strutto. Nel periodo di Carnevale i pasticcieri fanno il sanguinaccio dolce che consiste in una crema cioccolato con l'aggiunta di sangue di maiale, cedro e aromi. InizioPagina

SBATTENNE E MENECHENNE Vuol dire "andare in giro, ciarlando e perdendo tempo senza una meta". Mmece d'i sbattenne e menechenne, putisse menì a damme na mane (invece di andare in giro a ciarlare e perder tempo, potresti venire a darmi un aiuto).

SBRIMINOSSE Da sbremenì: spaventarsì, venir meno. E adoperato in tono scherzoso e canzonatorio. Per esempio: "Ne' tefa meni gliu sbriminosse!" (non farti venir nulla! non simulare spavento! Non fingere di venir meno!) si dice a chi, di fronte a inconvenienti niente affatto gravi, reagisce in maniera in controllata come se si trattasse di una brutta disgrazia.

SCAGLIONE E' il dente del giudizio. Si dice con ironia a giovani che non si comportano in modo serio: "Quanne glie mitte gliu scaglione?" (quando lo metterai il dente del giudizio?). Vale a dire: non sarebbe ora di mettere giudizio?

SCÀNZETE DA GLIU MUCRE SURDE"Guardati dal mucre surde". Mucre: taciturno, chiotto, quieto, tranquillo; surde: sordo nel senso figurato di muto, tacito, che non fa rumore, non si fa sentire. Mucre surde equivale quindi a gatta morta, lima sorda, è chi opera in sordina, cheton chetone, di soppiatto, chi lavora copertamente con inganno. È una persona apparantemente tranquilla che in realtà è di tutt’altra natura: mostra di essere semplice, appare indifferente, finge di disinteressarsi allo scopo di non attirare su di sé l’attenzione degli altri per agire di nascosto al momento opportuno a proprio vantaggio. Mucre dal latino mucro-onis (spada, punta di spada, punta acuta) Mucre surde sarebbe la punta che ferisce in silenzio, all’oscuro, senza destar sospetti. A Napoli dicono muchio surdo; a Minturno: aspro (aspide, serpente) surdo; in Abruzzo aspo sorde.

SCÀNZETE DA GLIU PRUCCHIE SAGLIUTE"Scansati dal pidocchio salito" cioè da quella persona di origine umile che riesce per favorevoli combinazioni ad arrichirsi, risalire la scala sociale e montare in superbia. Vale a dire un pidocchio rifatto o, come dicono in Toscana un pidocchio riunto

SCARDE DE FÉMMENE Scarde deriva dal germanico skarda con il significato di scheggia, tacca. In dialetto squama di pesce anche scaglia, scheggia di legno, di pietra, di metallo. Na scarde de fémmene è una donna formosa, piacente, insomma un bel pezzo di donna.

SCARTE FRUSCE PIGLIE PREMERE Di male in peggio

SCASSE E CUMIENZE DA CAPE "Scassi e ricominci da capo" come chi fa e disfà un lavoro nel tentativo di farlo meglio. Il motto calza perfettamente per quanti hanno l'abitudine di ripetere lo stesso discorso, di narrare sempre le medesime cose, cadendo nella monotonia ed annoiando gli altri.

SCEGLIE GLIU PIMPE GLIU PIMPE Il vocabolo pimpe si incontra soltanto in questo motto che significa scegliere le cose migliori, "scegliere fior da fiore". Pare che derivi dal francese pimpant: attillato, elegantemente vestito. Si tratta, quindi, di un traslato: dai vestiti eleganti a qualsiasi altra cosa scelta fra tante, particolarmente trattandosi di frutta. Dice il contadino all'amico: "Treminte nt'anèspere dente stu panare! Ho scéute gliu pimpe gliu pimpe" (guarda che nespole in questo paniere! Ho scelto tutte le migliori).

SCHIATTÀRESE 'N CUORPE "Crepare in corpo" esprime la sofferenza di chi è roso internamente dall'ira, ma non può darle sfogo. InizioPagina

SCIACQUA ROSE E VIVE AGNESE "Risciacqua Rosa e bevi Agnese". In questa espressione di poche parole sono contenuti un ordine e un invito contemporaneamente: Rosa, la cameriera, riceve l'ordine di lavare il bicchiere, mentre la signora o signorina Agnese è invitata a bere. Nel motto napoletano, dal quale evidentemente deriva, si legge "sciala" al posto di "sciacqua", quindi si tratterebbe di un duplice invito. Allora ci troviamo di fronte a un signore che offre a destra e a manca, senza badare a spese. Messo a punto questo particolare tra il motto napoletano e quello gaetano, è comprensibile il significato: godersela a ingozzarsi, divertirsi e mangiare a spese altrui senza alcuna preoccupazione. Si dice anche che sta facenne sciacqua Rose e vive Agnese quando uno va sciupando in festini il proprio patrimonio.

SCIACQUÀRESE LA VOCCHE "Risciacquarsi la bocca". La locuzione si serve dell'immagine realistica per indicare l'azione riprovevole dello sparlare del prossimo, con critiche maliziose, menzogne o altro.

SCIACQUE Così è detto l'uovo non fecondato oppure marcio. Un discorso è defiDito sciacque se risulta vuoto, sconclusionato, inconcludente. La persona sciacque fa simili discorsi o compie azioni sventate, per cui di essa è bene non fidarsi.

SCIALAPÒPEĜLIE PE SCAGNE "Il popolo sciala per scambio" ovvero per errore. Modo di dire appropriato quando inaspettatamente ci si trova in una situazione conveniente. Si tratta, perciò, di un momento favorevole di cui sarebbe sciocco non approfittare.

SCOLA CAVAIOLE Per "scuola cavaiola" si intende una scuola dove i docenti sono più indulgenti e gli allievi negligenti e svogliatissimi; di conseguenza sono scarsi l'impegno e il rendimento, mentre il baccano e il disordine sono grandi. Si tratta, quindi, di una scuola da burla come, appunto, burlesche erano le "farse cavaiole" (fine del '400 ed inizio del '500), nelle quali gli abitanti di Cava venivano derisi come sciocchi e creduloni.

SCOPA NOVA La scopa nuova spazza meglio di una vecchia. Così si dice di una persona che appena assunta si prodiga a lavorare per poi battere la fiacca quando il lavoro se l’è assicurato

SCÒPPELE "Grave malattia" oppure "grossa perdita economica". Cu st'affare ci'ho ute na scòppele (con questo affare ho subito una grossa perdita). Cuoseme ha ute na brutta scòppele (Cosma ha avuto una grave malattia), dalla quale, però, può riprendersi, perché se ha subito un marasma irreversibile allora si dice che HA UTE NU SCASSE.

SCRAMÀ "Piangere accoratamente" di un bambino ed anche in maniera teatrale, come fa chi vuole far partecipi gli altri delle proprie vicende dolorose. SCRAMÀ A DIE vuol dire "implorare il Signore".

SCRESTARESE Piangere dei piccoli senza motivo plausibile, almeno apparentemente. Stu piccerieglie s'è screstate; chi le sa che tè! (questo bambino piange per capriccio; chissà che gli succede!).

SCUCCEMAGNE Vedi panne dell'acque. InizioPagina

SCUGNÀ "Perdere i denti". Vocca scugnate (bocca senza denù, sdentata). Per burlare i bambini che hanno perso gli incisivi di latte, e gli si vedono in bocca le finestrelle, si dice: Scugnate senza riente vase gliu cuglie aglie pezziente. (Sdentato senza denti, bacia il sedere ai pezzenti).

SCULATE DE ĜLIUNE Fine del ciclo lunare, quando del satellite rimane l’ultima falce

SCUMMUSSÀ A SANGHE "Rompere il muso a sangue", ovvero picchiare con violenza una persona fino a farle perdere sangue dalle labbra.

SCUNCECA'"Guastare", tradotto alla lettera, ed anche "disfare", "mettere in disordine". Riferito a due fidanzati, scuncecà vuol dire rompere il fidanzamento, quindi, guastare i loro rapporti. Se invece si parla di capo di vestiario, o di altra cosa, acquista il significato di disfare. Chiglie duje hanne scuncecate (quei due hanno rotto il fidanzamento). Ho scuncecate la veste (ho disfatto il vestito). Gliu viente m'ha scuncecate glie capiglie (il vento mi ha spettinato i capelli). Scuncecà gliu gliette (disfare o mettere in disordine il letto). SCONCECAIUOCHE = guastafeste.

SCUOGLIE CHE NE' FA PATELLE Lo "scoglio che non fa patelle" è come il Santo che non fa miracoli. Il traslato si addice alle persone egoiste, poco incline ad essere disponibili.

SCUPPÀ GLIU CUOPPE "Rompere il rocchio di monete". Un tempo che il denaro aveva più valore e circolavano le monete di argento, ed anche di oro, era costume raccoglierle a rocchi. Perciò quando uno non aveva la minima intenzione di mettere mano alla borsa, a chi lo sollecitava, ribatteva con calma: "Mò che scoppe gliu cuoppe" (ora che rompo il rocchio) che vuole significare "non me ne parlare neanche". La frase ricorre spesso sulla bocca delle madri i cui figli reclamano giocattoli e dolciumi.

SCUPPETTATE TINTE (VEDI SCURATE TINTE )

SCUPPULONE SCAZZETTE Scuppulone è lo scappellotto dato sull'occipite. La scazzette, oltre che una specie di berretto, è il colpo a mano aperta che i ragazzi danno sulla nuca del compagno appena uscito dal parrucchiere.

SCURATE TINTE ( O SCUPPETTATE TINTE) un epiteto che si può tradurre "senza cuore, malvagio". Tinte, che si "tinto", in questo caso assume il significato di malvagio, perverso, delinquente, ecc. Un tempo, per far durare più a lungo il cadavere dell'impiccato appeso alla forca, veniva "tinto" con catrame o bitume. Chi finiva in quel modo ovviamente non era un buon soggetto. Scuppettate da schioppo, cioè condannato alla fucilazione.

SCUZZIGNE Cattivo odore emanato da indumenti sporchi o impregnati di sudore.

SE FA BEGLIE CU LA SACCHE DEGLI'ATE "Si fa bello con la tasca degli altri" chi, di solito, è piuttosto tirchio quando si tratta delle sue cose, ma diventa improvvisamente prodigo se sono gli altri a farne le spese.

SE FUJE TE SPARE, SE TE FIERME T’ACCURTELLE"Se fuggi ti sparo, se ti fermi ti accoltello" sta a indicare una situazione veramente drammatica

SE LA VERE ISSE E LA NFAMA CORTE Se uno si preoccupa e si interessa di un altro, assillato da preoccupanti problemi, mettendolo in guardia sui rischi che corre, e nonostante ciò lo vede cullarsi in una incosciente indifferenza senza apprezzare le sue premure, infine scocciato lo abbandona dicendo: "Se la vere isse e la 'nfama corte" (se la vedrà lui e l'infame corte). Per infame corte si intende la morte.

SE LA VÉRENE GLIU MIÉRECHE E GLIU SPEZIALE"Se la vedono il medico e il farmacista" è appropriata a due persone che parlano un linguaggio incomprensibile

SE LE DICE A TE ME LE SCORDE I "Se lo dico a te lo dimentico io". Si risponde cosi quando non si ha alcuna intenzione di dire una cosa.

SE L'HA AMMUCCATE "Le ha mangiate". Il traslato, in senso figurato, vuol dire che uno ha creduto ciecamente alle fandonie che gli hanno raccontato; equivale alla locuzione "le ha bevute". S'E' AMMUCCATE, invece, chi si fa corrompere per fare dei favoritismi. La prima voce deriva da imboccare; la seconda da ammucca' o abbuccà che significa piegare, curvare verso terra. InizioPagina

SE ME METTE A FAR CAPPIEGLIE NÀSCENE LA GENTE SENZA CAPE : Se mi metto a far cappelli nasce gente senza testa. Modo di dire per "massimo della sfortuna"

SE NÈ CUOGLIE A CICCE, CUOGLIE A FECARUOGLIE"Se non cogli Ciccio, cogli Ficaruolo" per significare che, comunque proceda una vicenda, un risultato positivo, sia pure minimo, è assicurato

SE N'È ISCITE DA GLIE PANNE "Se n'è uscito dai panni", cioè ha buttato la maschera e si è rivelato per quello che realmente è. Se n'esce da glie panne (se n'esce dai panni) anche chi prova una gioia grande, oppure l'adolescente che comincia a staccarsi dalla famiglia e a vedersela per proprio conto.

SE N'lE CUCCE È TIGNE "Se non è calvizie è tigna", si tratta in ogni caso di una testa calva. Corrisponde a "se non è zuppa è pan bagnato".

SE PIGLIE GLIU RITE CU TUTTE LA MANE "Si prende il dito con tutta la mano" quel tale cui basta concedere un minimo di confidenza perché ne abusi smodatamente, arrivando ad intromettersi in faccende delicate, ad intricarsi in cose che non lo riguardano.

SE SE N'ADDONE GLIU FETECHE! "Se se n'accorge il fegato!". Frase canzonatoria con la quale si suol prendere in giro il bambino, e a volte anche l'adulto, che si lamenta per un semplice graffio o per un altro disturbo da poco.

SE SO NFUTITE LE CERVELLE"Si è svuotato il cervello" quando la memoria comincia a fallire. Una variante: Le cervelle ne’ vòggene cchiù, il cervello non funziona più, ovvero perdita della ragione

SE SO' UNITE GLIU FUSE E LA CHENOCCHIE Il fuso e la conocchia non possono dividersi, devono restare sempre uniti per produrre il filato. Di due persone che si vedono sempre insieme e di comune accordo si suol dire che se so unite gliu fuse e la chenocchie.

SE SO UNITE GLIU STRUMMEĜLIE PAJE E LU FRESE CURTE"Si sono uniti la trottola pazza e lo spago corto". Con uno spago corto è già difficile dar ruotare una trottola, più difficile quella saltelante. Si riferisce a persone che non legano e non possono andare d’accordo

SE SO' UNITE LA ROGNE E LA MAGLIACOZZE La rogne, oltre alla scabbia, indica i germogli emessi dalla vite sul tronco, che il contadino toglie via via per non disperderne le riserve. La magliacozze è il sigaraio, il bruco che taglia i pampini e ci si avvolge dentro, formando una specie di sigaro; il nome scientifico è Byetiscus batulae, famiglia dei Curculionidi. Insomma si tratta di due malanni, uno peggiore dell'altro per la vite; da ciò il mondo contadino ha ricavato il traslato se so unite la rogne e la magliacozze per indicare l'unione di due individui di animo cattivo, capaci soltanto di procurare danni agli altri.

SE SO UNITE QUATTE CUMMARE PE FRIJE DOJE OVE "Si sono unite quattro comari per friggere due uova". Comica ironia che si riferisce a più persone che si danno da fare intorno ad una cosa da poco dove una sola sarebbe anche di troppo. Al posto di "due uova" si dice anche "nu pesce" (un pesce). InizioPagina

SE VE LA MORTE, MANCHE GLIE TROVE "Se viene la morte, neppure lei lo trova". Si dice di chi va sempre girovagando e non resiste fermo in alcun luogo.

SECÀ CU TATE "Segare insieme con il padre". Questa espressione metaforica definisce la condizione del disoccupato. Che lavoro fa quello? Seche cu tatedisoccupato).

SECCÀRESE LA LENGHE "Seccarsi la lingua", cioè sentirsi la bocca secca, asciutta, arida. Di un tipo che parla tanto da infastidire gli altri, si suol dire: "Ci ha stordito con le sue chiacchiere; mai se glie secche la lenghe! (mai gli si secca la lingua!). Soltanto così potrà smetterla".

SEMPE A ISSE "Sempre a lui"; espressione di buon augurio per gli astanti, spesso intercalata in un discorso. M'e' muorte gli 'àsene, sempe a isse (mi è morto l'asino, sempre a lui) dovrò comprarne un altro. E caduto il piatto, sempe a isse, e s'è fatto cento pezzi. In sostanza la morte colga sempre un asino e la pericolosa caduta riguardi un piatto, giammai uno dei presenti.

SENTIRESE CICCE CAPPUCCE Sentirsi un personaggio importante, influente, potente

SENTIRESE SCEGNE "Sentirsi scendere" alla lettera, ma in senso figurato acquista il signifio di presentire, presagire, aspettarsi, temere una cosa. Se la senteje scesta mala nove (se l'aspettava questa cattiva nuova).

SENZA FACCE ‘N FACCE"Senza faccia in faccia" è chi non arrossisce di nulla, chi ha la faccia di bronzo

SENZA NÈ RI E NÈ REGNE "Senza re e senza regni", quindi completa indigenza, assoluta mandi risorse sia materiali che intellettuali.

SENZA PARTE E PARTE il ragazzo che vuole rimanere padrone assoluto di ciò che ha rinvenuto pronunciare immediatamente questa formula, prima che altri compagni se ne accorgano e lo precedano dicendo: "parte". In caso contrario deve dividerlo con chi è stato più svelto di lui.

SENZA SANGHE"Senza sangue" è definito una persona molto pallida o molto lenta

SENZA SAPÈ NÈ LÈGGE E NÈ SCRIVE "Senza sapere nè leggere e nè scrivere". L'allegoria assume diversi significati, fra cui: modestamente, inaspettatamente, senza complimenti, senza meriti, senza motivo alcuno... Senza sapé né lègge e né scrive gli 'ha mullate nu pacchere (improvvisamente e senza alcun motivo, gli ha mollato un ceffone).

SERVI'COMME E GLIU PREUTE ALLA MESSE "Servire come il prete alla Messa". Servire in questo modo una persona significa servirla con tutta l'attenzione, la premura e la riverenza che il chierico deve al Sacerdote che celebra la Messa.

SETTE A TÈ Modo sbrigativo ed efficace per porre fine ad una discussione, quando il contendente è irremovibile e vuole avere assolutamente ragione.

SETTE PESTE Indica una grande quantità. Ha fatte sette péste d'acque (è caduta moltissima pioggia).

SFOTTE GLIU PASTICCIOTTE "Sfottere il pasticciotto" è la traduzione letterale, il significato è"rompere le scatole". InizioPagina

SFOTTE PURE LA MAZZA PASTURALE "Sfottere anche il pastorale del vescovo". La irriverente espressione si ddice a chi non lascia in pace nessuno, turba la pace del prossimo senza riarmiare, all'occasione, neppure il vescovo in persona.

SFRIA' DOPPIE E MARCHE DE CIENTE DUCATE Sfrie = sciupare; doppie = monete d'oro di due zecchini; marche de ciente ducate = pezzi da cento ducati. E facile capire che il motto si affibbia allo spendaccione, a chi ha le mani bucate.

SÌ LISTE! "Sei svelto!". Pronunciato ironicamente significa "tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare". In due parole, la vivace espressione sintetizza e sottolinea le difficoltà che si interpongono sempre tra la teoria e la pratica, tra il progetto e l'esecuzione di ogni cosa. "Si liste!" ad esempio, commenta chi, rispondendo a un compagno convinto di sbrigare un lavoro in meno di un'ora, è invece certo che sia necessario un tempo assai maggiore.

SIGNORE GLIBBRANNE! "Signore liberaci!". Glibbranne dal latino "libera nos". L'espressione si è solito intercalarla nel corso di conversazioni varie, ogni volta che si ritiene opportuna l'invocazione divina. SPREME A DIE (spero in Dio) è un'altra invocazione dello stesso tipo.

SIMME STATE PIGLIATE! "Siamo stati presi!", è sottinteso "dai Turchi" che nei secoli XV e XVI minacciavano le nostre contrade. Espressione di sconforto, pronunciata da chi improvvisamente si vede circondato da una folla di intrusi, invadenti e molesti, in un luogo dove fino a quel momento era rimasto in pace e tranquillo.

SIMME TUTTE PURTUAGLIE "Siamo tutte arance". Così disse un escremento galleggiante che la corrente marina portò in mezzo a numerose arance. La stessa frase si dice di una persona che vale poco, ma crede di essere qualcuno.

SO CCHIÙ GLI ÙRECE CHE GLIE MASTE D’ASCE"Sono più i giudici che i maestri d’ascia". Si dice quando in un gruppo ci sono alcuni disposti a parlare o criticare piuttosto che collaborare attivamente insieme con gli altri

SO' DOI MARUZZE, UNA FÈTE E N’ATE PUZZE"Sono due lumache, una pute e l’altra puzza" Due persone, una peggiore dell’altra

SO' FRASCHE DE PUCE Gli entusiasmi passeggeri, le sciocchezzuole, i fuochi di paglia sono denominati in questo modo. Le frasche de puce sono, infatti, un tipo di frasche che bruciano facilmente ma si esauriscono ben presto, fanne sole pampauglie (fanno soltanto fiamma).

SO' ITE PE ME FA' NA ROCE E ME SO' CECATE N'UOCCHIE "Volevo farmi un segno di Croce e mi sono accecato un occhio". La frase è molto chiara: è il commento pieno di amarezza di chi credeva di fare una cosa buona che al contrario è finita in un danno, considerevole per giunta.

SO' PÌZZECHE CA SE RÈNNENE"Sono pizzichi che si restituiscono" si usa dire di favori, regali o cortesie che vanno ricambiate opportunamente

SO' TUTTE SCUPPETTE SCÀRECHE"Sono tutti schioppi scarichi" per significare chiacchere inutili e non fatti concretiInizioPagina

SOLE TRANISCHE "Sole itrano". Si suole chiamare sole tranische il sole estremamente caldo. Nella valle di Itri il sole spunta improvvisamente da dietro i monti, quando già da alcune ore si è levato ed i suoi raggi, abbastanza a picco, so no già cocenti. A Itri, perciò, non si conoscerebbero i raggi ancora freddi, o appena tiepidi, del sole che spunta dal basso orizzonte, come da noi, ma soltanto quelli caldi del sole già alto.

SORDE PAPARINE "Soldo papalino" ossia moneta falsa. A Gaeta, quando faceva parte del Regno di Napoli, le monete pontificie non avevano corso, ma dovevano essere assai frequenti, essendo il confine non molto lontano e i rapporti commerciali abbastanza intensi. Qualunque monetastraniera o di lega falsa (ne circolavano parecchie quando le monete erano di argento), si dice sorde paparine.

SÒRECE NFUSE ALL'UOGLIE "Topo bagnato nell'olio". E l'immagine di una persona che, sorpresa dal temporale, resta bagnata fradicia dai capelli ai piedi. Lo stesso motto vale per un giovanotto molto ricercato nel vestire e con i capelli lucidi di brillantina.

SOTT'ACQUE E SOTTA VIENTE "Sotto l'acqua e sotto il vento" cioè sotto il temporale. "Mi sono avviato sott'acque e sotta viente" dice chi esce di casa mentre imperversa il temporale. Questa locuzione è la prima parte della formula che si crede pronunciassero le ianare la seconda parte è sotte la noce de Meneviente (sotto il noce di Benevento) quando a cavallo di una scopa si lanciavano dalla finestra per raggiungere in volo il famoso noce sotto il quale aveva luogo il sabba.

SPACCÀ N'AME "Spaccare un amo" vuol dire possedere ingegno aguzzo, essere intelligente, essere preciso.

SPANNESSE NA CULATE E ISCESSE ‘O SOLE!"Stendessi un bucato e uscisse il sole!". Oggi il bucato si fa con la lavatrice e chiunque può farlo alla svelta e in un momento qualsiasi della giornata. Un tempo la culate costava molta fatica alla donna, capace di sopportarla, e si protaeva per tre giorni, di solito dal lunedì al mercoledì, con tre differenti operazioni. Era logico che a conclusione ella si aspettasse una bella giornata di sole che le avrebbe risparmiato un lavoro straordinario. Capitando che ad ogni stesura di bucato il sole se ne stia nascosto dietro le nuvole, anche oggi che fa tutto la lavatrice, c’è veramente da considerarsi perseguitati dalla sfortuna. La frase viene pronunziata quando ci va male una faccenda

SPARAGNE E ACCUMPARISCE"Risparmi e fai bella figura" quando a un prezzo conveniente si acquista un buon oggetto e comunque si riesce a fare una buona figura con poca spesa

SPARAGNE MUGLIÈREME AGLIU GLIETTE E GLI’ATE SE LA PÒRTENE ALLA STALLE"Risparmio mia moglie a letto e altri se la portano alla stalla" Si usa questa frase quando un oggetto tenuto gelosamente va a finire nelle mani altrui e viene bistrattato

SPARTIRESE GLIU SUONNE "Dividersi il sonno". Si dice di due amici inseparabili: "Quei due se spàrtene gliu suonne" (si dividono il sonno).

SPECÀ Si traduce "spigare" ma in senso figurato vuoi dire sviluppare fisica mente. Stu uaglione ancora n'ha specate (questo ragazzo ancora non è sviluppato). InizioPagina

SPELONCHE CCHIÙ LA TIRE E CCHIÙ S’ALLONGHE"Sperlonga più latiri e più s’allunga" Commento a una vicenda o a una discussione che vanno per le lunghe

SPEZZINE È detto così il commerciante di tessuti e telerie, il quale spezza, cioè taglia dalle pezze il metraggio desiderato. Una volta andavano in giro con un carrettino tirato da un asinello, si fermavano all'imbocco dei vicoli e alzavano la voce: "Ué, chi cagne" (ohi, chi cambia). Venivano da Formia e, non esistendo agenzie bancarie, cambiavano anche i dollari rimessi dagli emigrati alle famiglie.

SPICCIÀ LE CARTE Vuol dire preparare i documenti per ottenere la licenza di matrimonio, il rilascio del passaporto, ecc. Il significato preciso di "spicciare" corrisponde a districare. Per chi non aveva dimestichezza con faccende simili, e una volta erano in molti a non sapere apporre neppure la firma, avere a che fare con un ufficio voleva dire effettivamente districare una faccenda complicata.

SPILAPIPPE "Sturapipe" ossia uomo alto e magro.

SPIOGLIE A RAZIE E VIESTE A MARIARAZIE"Spogli Grazia e vesti Mariagrazia" se si toglie a uno per dare a un altro

SPREME LA LENGHE Si dice che "spreme la lingua" chi trova difficoltà ad esprimersi per timidezza o altro motivo.

SPUTÀ SPUTAZZE"Sputare saliva" chi, dopo essere stato impegnato intensamente in un lavoro, attraversa un momento di stanchezza, di sconforto, di sfiducia

SQUARCIONE E POCHE MARENALE "Sbruffone e poco marinaio" si dice di un millantatore il quale non solo è sbruffone ma vale poco perché non è un buon marinaio, qualità cui a Gaeta si attribuisce molto valore. Evidentemente il motto è di origine m'arinara.

STÀ ‘N CHÌCCHERE E PIATTINE"Stare in tazza e piattino" equivale a essere elegante come quando ci si prepara per una festa

STÀ A CASE A PESONE"Abitare in una casa presa in affitto"

STÀ ACCIARITE "Stare acciarito". Acciarito vuoi dire ridòtto in acciaio, o rinforzato, o munito di acciaio (Zanichelli). Il traslato indica una persona che ha energie da vendere e la spende non stancandosi di parlare a voce alta senza necessità, di gesticolare, di dimenarsi e di intromettersi, quando le capita, in questioni altrui.

STÀ ACCUOGLIE A UNE "Stare addosso a uno" significa vigilarlo, sorvegliarlo, pressano perché faccia il proprio dovere. A mio figlio gl'aggia stà sempe accuoglie (devo stargli sempre addosso) altrimenti a scuola non combina nulla.

STÀ AGLIE PIERE DE PILATE "Stare ai piedi di Pilato". Il motto vale per chi si trova in condizioni gràvi e difficilmente rimediabili, sia fisiche che economiche. Si riallaccia, èchiaro, alla figura di Cristo trascinato davanti a Pilato. Il medesimo significato ha l'espressione STÀ AGLIE PIERE DE CRISTE (stare ai piedi di Cristo).

STÀ AMMIEZE A NA VIE "Stare in mezzo a una via" come chi non ha neppure un buco per rifugiarsi, insomma non possedere la minima risorsa. InizioPagina

STÀ ARRETE ALLE PALLE DE GLIU CRASTATE "Stare dietro lo scroto del caprone", vale a dire in una posizione nienaffatto invidiabile. Infatti l'allegoria ha il significato di non essere ag'mato, non capire niente di ciò che si sta dicendo ed anche non poter npetere con i presenti o non essere all'altezza per affrontare una certa questione.

STÀ ATTE ATTE Vedi atte atte

STA' CAPIZZE E CAPIZZE E un modo usato dai pescatori'di lampare, le quali durante la pesca si pongono ad una conveniente distanza l'una dall'altra in modo da non sturbarsi vicendevolmente. Quelle che vengono a trovarsi più vicine tra ro si dice che stanne capizze e capizze. Il traslato in senso generico vuol restare vicini.

STÀ CAURE "Star caldo" in senso figurato vuol dire star bene economicamente, avere possibilità di spendere con larghezza.

STÀ COMME E SPADE E CURTIEGLIE"Stare come spada e coltello" si dice di due persone in lite o in disaccordo inconciliabili

STA CU L'OMBRE MMOCCHE "Stare con l'ombra in bocca" Vuol dire avere il viso raggiante di gioia, contentezza, soddisfazione.

STÀ NCICCIATE"Essere in germoglio, si dice di persona impettita e piena di boria

STÀ PATTE E PACE Aver saldato i conti in comune, non esserci più nulla in pendenza tra le parti, essere pari e patta.

STÀ PE BEGLIZZE Esserci come ornamento. Modo assai espressivo per indicare una persona che in unj luogo dove ognuno fa qualche cosa egli non porta nessun aiuto e se ne sta con le mani in mano, indifferente come un soprammobile

STÀ SCRITTE AGLIU RIGGISTRE DE GLIE VIECCHIE"Essere iscritto nel registro dei vecchi" vuol significare semplicemente essere sposato

STÀ SEMPE TRE PUNTE ARRETE A CESERE "Rimanere sempre tre punti dietro a Cesare". Si dice di chi, pur dan dosi molto da fare, non riesce a uscire dalla mediocrità sia nel lavoro, sia economicamente, sia nei rapporti sociali e sia culturalmente.

STÀ SFRESATE Si dice sfresate il pane riuscito alla perfezione sia per lievitazione e sia per cottura. Il traslato vuoI dire essere allegro, essere soddisfatto, star bene economicamente.

STÀ SPASSE "Essere disoccupato".

STÀ SPRUFUNNATE DE DENARE "Possedere molte ricchezze" ossia "essere ricco sfondato". Al contrario si può anche stà sprufunnate de diébbete (essere immerso nei debiti); STÀ AFFUCATE DE DIÈBBETE (essere soffocato dai debiti) ha il medesimo significato.

STÀ SUGGIETTE"Essere soggetto" corrisponde a essere sottomesso, soggiogato, suddito. Sta a significare avere degli obblighi

STÀ TRE PUNTE DERETE A CÈSARE"Essere tre punti dietro a Cesare" Trovarsi in una situazione di stallo, non riuscire a superare un ostacolo per raggiungere una meta

STANNE SCHIURENNE L'OVE PICCHELE "Stanno schiudendo le uova piccole". La frase viene detta quando, con lieta sorpresa, si notano gli adolescenti che incominciano a imitare gli adulti.

STARECE PE BEGLIZZE "Starci per bellezza" ossia starci per ornamento.

STATTE SOTE "Sta' fermo", ossia non muoverti, però pronunciato in tono perentorio, autoritario.

STATTE ZITTE E MUTE "Stai zitto e muto". Drastica intimazione a non aprire bocca, di solito rivolta ai piccoli. (Vedi zitte e quite).

STATTE ZITTE!"Sta zitto" equivalente a: non parlarmene! Inizia sempre così la risposta a chi chiede notizia su una vicenda finita maleInizioPagina

STÉVENE SCARZE"Eravamo scarsi....." si sottintende: a fetenti. È il commento provocato dal sopraggiungere di un tizio che viene a mettere confusione in un gruppo

STIGLIONE DE PENNATE "Stellione di soffitta". Lo stellione, o geco, è uno degli animali capaci di mimetizzarsi con l'ambiente in cui vivono. Quelli che si annidano nelle soffitte prendono un colore molto scuro, quasi nerastro, perciò il traslato sta ad indicare una persona di carnagione molto scura.

STIMME MMANE AGLIE TANTE "Siamo in mano ai tanti", equivale al proverbio: dove ci sono tanti galli non fa mai giorno. Cioè dove ci sono tante persone a comandare e ognuno fa a modo suo, regna confusione e si combina un bel nulla. La locuzione vuol significare che siamo finiti nelle mani di molti, capaci solo di creare disordine e anarchia.

STINGELLONE Accrescitivo di stinge, il palo infrascato con rami di mirto, usato negli addobbi delle festa campestri. È sinonimo di persona molto alta

STRACQUE E STRUTTE E CU GLIU CŪĜLIE DUTTE Ritrovarsi stanco morto, dopo una dura sfacchinata, e per di pił con un risultato deludente. Una variante piů elegante sostituisce cuĝlie dutte (culo rotto) con cesta dotte (cesta rotta).

STRÀNGULA PRIÈUTE "Strangola preti" sono denominati gli gnocchi di patate e farina. Perché poi strangolano i preti? Perché sono ottimi e se ne mangiano a sazietà?

STRASCENA' Strascenà nella cucina gaetana acquista, in genere, il significato di cuocere alla buona, senza tante ricercatezze e manipolazioni. Molto comuni sono GLIE PURPE STRASCENATE (i polpi strascinati) cotti con olio di oliva, qualche pomodoro, aglio, prezzemolo e peperoncino forte a piacere. Rappresentano un piatto sbrigativo per la massaia e nello stesso tempo assai gradito.

STREGÀ Letteralmente stregare. In senso figurato sta per riporre un oggetto in un luogo introvabile. "Andó ho stregate le fruóvece?" si chiede la massaia che non riesce a rintracciare le forbici: dove le ho cacciate?

STREGNE "Stringere" con il significato di "mettere da parte" ovvero risparmiare, accantonare. Stregne ove accantonare uova, stregne denare (risparmiare denaro).

STREGNE GLIE RIENTE "Stringere i denti" vuoi dire fare di tutto per superare una difficoltà. Per toglierci questi debiti aimma stregne glie riente (dobbiamo stringere i denti).

STREGNE QUATT’ÀSSELE"Stringere quattro ossa" cioè stringere la mano, dare una stretta di mano

STRITTE DE PIETTE "Stretto di petto" è l'avaro, che in realtà ha tutto stretto, a cominciare dalle mani. Infatti l'avaro è definito anche STRITTE DE MANE.

STUCCHIATE "Zuppa di stoccafisso" preparata con i soliti ingredienti che rendono appetitosa ogni pietanza a base di pesce: aglio, olio, prezzemolo, pomidori, conveniente dose di peperoncino forte. Si mangia con gusto nelle serate invernali, in comitiva tra amici, accompagnata da un buon fiasco locale di vino bianco pastoso.

STUORTE O DERITTE"Storto o dritto" equivale a bene o male, in un modo o nell’altro, a furia di espedienti. Stuorte o deritte se l’ha accattate la case (a furia di espedienti s’è comperata la casa). Stuorte o deritte ha campate na famiglie (bene o male ha campato una famiglia) InizioPagina

STUTÀ LE CANNELE "Spegnere le candele". A cerimonia finita il sagrestano resta per ultimo in chiesa per spegnere le candele e chiudere i battenti. Si dice che è rimasto a "spegnere le candele" chi per ultimo lascia il luogo di un incontro, di una festa, ecc.

SUBBUGLIE Emozione provocata da una improvvisa cattiva notizia o da un episodio spiacevole. Chi prende il subbuglie usa bere il citrato effervescente ad evitare le eventuali conseguenze del subbuglio stesso, come per esempio eruzioni cutanee, palpitazioni cardiache, coliche epatiche.

SUCCERE GLI'AGGRISSE "Succedere l'eclisse". Il fenomeno dell'eclisse ha sempre impressionato l'umanita', specialmente quello solare. Quando si verificava, il popolano, fino a poco tempo fa, diceva che il sole e la luna si bisticciavano facévene asciarre) e si credeva che apportasse calamità varie.

SUMARE CÀRECHE DE FRASCHE È qualcosa cosa in più di semplice somaro come per dire un asino per eccelenza

T’ASPETTE AGLIU PRUCUOJE"Ti aspetto al proquoio". Il proquoio è il luogo dove viene radunata la mandria bovina. Il traslato vuol dire: Ti aspetto alla resa dei conti

TAGLIÀ LA CAPE "Tagliare il capo". Motto che evidenzia la somiglianza perfetta fra due persone, in particolare tra genitore e figlio, uguali come due gocce d'acqua. Ha tagliate la cape agliu pate (ha tagliato la testa al padre) si asserisce di un ragazzo che rassomiglia molto al padre sia fisicamente e sia come carattere.

TALE E TEMBRE "Tale e quale", riferibile tanto a persone quanto a cose ed avvenimenti.

TALUORNE Si può tradurre "lagna" con riferimento sia a persona che a cosa. Quanne vé la cummare cumenze nu taluorne! (quando viene la comare comincia una lagna!).

TAZZE E CUCCHIARE "Tazza e cucchiaio". Chiglie duje stanne comme e tazze e cucchiare si suol affermare di due persone molto in confidenza ed inseparabili. In Toscana dicono "essere a culo e camicia". InizioPagina

TE CE PUÒ MAGNÀ GLIE MACCARUNE Si dice quando una strada, un pavimento, un locale qualsiasi è pulito

TE NE PUOZZE ACCATTÀ MEDECINE"Che tu ne possa comperare medicine" Alle volte capita che uno presti del denaro e per quanti tentativi faccia non riesce più a riaverlo. Il debitore ora con una scusa e ora con un’altra rimanda al domani e, infine, quando è chiaro che proprio non ha alcun intenzione di pagare il debito, si arriva alla rottura e il creditore dà sfogo alla sua rabbia, augurandogli una malattia che non gli faccia veder bene di quel denaro da spendere tutto e unicamente in medicinali

TE PORTE PE CAPEZZE E PURE NCIÀMPECHE! "Ti porto per la cavezza eppure inciampi!". È il rimprovero che il contadino fa al suo asino quando, tenendolo per la cavezza, lo conduce alla stalla e quello tuttavia urta in qualche parte. Per estensione la frase è usata per chi continua a sbagliare nonostante sia stato istruito, assistito e guidato.

TE PUOZZE DOMPE LA NOCE DE GLIU CUOGLIE"Che tu possa romperti l’osso del collo"

TE SI FATTE CCHIÙ RANNE "Ti sei fatto più grande". Lo dice la mamma al figlioletto, che è caduto e piange, cercando di consolarlo in questo modo; si sa, i bambini vorrebbero presto diventare grandi. Ma se il piccolo non la smette, sicura che si tratta di un nonnulla, aggiunge sorridendo: "Vié 'cca ca t'aize!" (vieni qua che ti alzo!).

TE VÈ SEMPE APPRIESSE, CHE GLI’HE ITTATE GLIU UGLÌCHEĜLIE?"Ti viene sempre dietro, che gli hai buttato l’ombelico? Quando si stacca l’ombelico di un neonato per evitare che lo mangi qualche animale, e ciò porterebbe sfortuna al neonato, lo si nasconde in un luogo sicuro oppure ancora meglio, si lascia bruciare sul fuoco. Si crede che il neonato in vita sua resti legato da vincoli di affetto alla persona che ha provveduto a farlo. Da questa credenza deriva il modo di dire che si rivolge a chi di solito viene accompagnato da un inseparabile amico

TE VERE E TE PIAGNE "Ti vedo e ti piango" è la frase di compatimento che in tono beffardo si rivolge a un amico che attraversa un difficile momento, come il ritrovarsi alle prese con il capo ufficio innervosito o essere impegnato in un lavoro lungo e noioso.

TEGNE "Tingere" tradotto alla lettera. In senso figurato vuoi dire fregare, non restituire, sottrarre con malizia cose o denaro. M'ha tinte nu pare de fruòvece (non mi ha più ridato un paio di forbici); chiglie andò va tegne (quello dove va fa debiti e non li paga).

TENÉ ARTE E PARTE"Tenere arte e parte" Saper fare bene un mestiere o possedere sufficienti beni, tanto poter vivere tranquillo senza preoccupazioni finanziarie

TENÉ CAITTE "Essere indisposta" si può tradurre. E una curiosa allegoria che evita alla donna di dare altre spiegazioni su fatti intimi. InizioPagina

TENÉ COMME E GLIU SICCRIE DE SAN GELORME "Tenere come il secchio di S. Girolamo". Dopo aver molto viaggiato S. Girolamo, detto il Leone della Dalmazia, si ritirò, penitente spietato con se stesso, nel deserto della Càlcide per dedicarsi agli studi. Oltre a un bagaglio di libri, la tradizione locale vuole che portasse con sé un secchio, senza il quale sarebbe stato impossibile sopravvivere. Perciò si comprende perfettamente che tenersi cara una cosa come S. Gerolamo teneva il secchio, significa esserne gelosissimi, averla in gran conto e non essere disposti a cederla o prestarla per nessun motivo.

TENÉ COMME E L'ORE DE L'ARIANE "Tenere come l'oro dell'Ariana" significa tenere in grandissimo conto una cosa o una persona. L'Ariana, una delle contrade gaetane, entra in altri modi di dire prettamente locali. La contrada con la relativa spiaggia era facilmente accessibile ed i suoi prodotti agricoli erano abbondanti e ricerca ti, oltre che precoci. Forse l'oro di cui parla il motto si riferisce proprio alla feracita dei suoi terreni, ricchi soprattutto di vigneti con uva maturata precocemente, bella e gustosa, ma estremamente delicata. "Tenersela come l'uva dell'Ariana" si dice, appunto, di persona e cosa delicate, che richiedono cure ed attenzioni particolari.

TENÉ GLIE DEFlETTE DE LA ROSAMARINE "Avere i difetti del rosmarino". Sarcasmo tagliente che si attira addosso chi è pieno di vizi, chi ha poca voglia di lavorare ma molte pretese, chi fa lo schifiltoso davanti ai cibi offerti, chi non trova mai un abito di suo gusto, ecc. Perché poi i difetti del rosmarino, quando è noto il buon apprezza mento che gode per le sue virtù tra cuochi e profumieri? Il Basile, infatti, in uno dei suoi racconti scrive di un padre che, riferendosi ai suoi sette figli maschi di cui tesse le lodi, dice, tra l'altro, che hanno chiù virtù de la rosamarina (hanno più virtù del rosmarino).

TENÉ GLIE DULURE A TRIDDECE "Tenere i dolori a tredici" è la versione letterale. Triddece è la storpiatura di artritici; quindi il vero significato dell'espressione è "avere forti dolori", indipendentemente dalla loro natura.

TENÉ GLIE PIECCHE "Avere difetti". Piecche deriva da pecca. Mette piecche a tutte quante vuol dire trovar da ridire su tutto e su tutti.

TENÉ GLIE PIERE DOCE "Tenere i piedi dolci" Vuol dire avere i piedi piatti.

TENÉ GLIE STRANGUGLIUNE "Avere gli stranguglioni" cioè la tonsillite. "Che tié glie strangugliune?" si chiede a chi mangia lentamente e svogliatamente come se avesse la tonsillite. In lingua avere gli stranguglioni significa tenere peso allo stomaco e singhiozzi per troppo mangiare.

TENÉ GLIU LAMPIONE "Avere il lampione" è una spiritosa espressione per dire che un uomo ècalvo.

TENÉ GLIU MUSSE ASSUTTE "Avere il muso asciutto" si adatta a coloro che parlano con la pretesa di sapere tutto alla perfezione, e riferiscono le cose con sicurezza, con sofisticata dolcezza persuasiva, e spesso con compiacente pettegolezzo. TENE LA VOCCA ASSUTTE (avere la bocca asciutta) ha lo stesso significato.

TENÉ GLIU PAPIGLIE 'N SACCHE "Tenere il granchio in tasca". Il papiglie è un granchio che ha le chele robustissime e i suoi pizzichi sono dolorosi sino a far sanguinare. L'avaro che non mette mai mano al borsellino in compagnia di amici, si dice che ha gliu papiglie 'n sacche (il granchio in tasca), perciò, avendo una paura terribile di essere morso, si astiene dall 'infilarci la mano per prendere il denaro.

TENÉ GLIU PERE DA FORE "Tenere il piede fuori" si dice di persona, di solito riferito a donna, propensa a uscire di casa. InizioPagina

TENÉ GLIU PERE LEGGE "Avere il piede leggero", cioè camminare spedito, essere un buon camminatore.

TENÉ GLIU SFUNNE "Avere la voragine" tradotto letteralmente. Riferito a persona, ed anche ad animale, è facile afferrarne il significato: non saziarsi mai, avere la voragine al posto dello stomaco.

TENÉ GLI'UOCCHIE SICCHE..."Avere gli occhi secchi", vale a dire aridi per difetto di amore cristiano e traboccanti invidia; occhi siffatti, secondo la credenza, portano sfortuna alle persone e alle cose su cui si posano. Alle volte la frase si completa con.. E FA SCRESCE LA CENERE DAGLIU FUOCHE (e far diminuire la cenere dal fuoco).

TENÉ LA CAPA GLORIOSE"Avere la testa gloriosa" : essere uno svagato, uno smemorato, un distratto, uno stordito, uno sciocco

TENÉ LA CAPA PENE "Avere la testa piena". Locuzione ellittica che sottintende: di maldicenze, di calunnie, di pettegolezzi, di insinuazioni. FÀ LA CAPA PENE (fare la testa piena) vuol dire riempire la testa di chiacchiere a uno. TENE' LA CAPA FUTE (avere la testa vuota) essere smemorato.

TENÉ LA CAPA SCIOTE "Avere la testa sciolta" vuoI dire essere fantasioso, disinvolto, estroso, stravagante.

TENÉ LA CAPE A... "Avere la testa a..." cioè gradire, applicarsi, interessarsi, dedicarsi, correre appresso, ecc. Tené la cape alla fatije (applicarsi al lavoro); tené la cape alle fémmene (correre appresso alle donne); tené la cape agliu luoche (dedicarsi al gioco di azzardo); tené la cape alla pazzije (vuol dire ugualmente dedicarsi al gioco, ma riguarda i ragazzi e i gioehi infantili).

TENÉ LA CAPE DE TROPPELE Le Tròppele sono le radici grosse, nodose e durissime, perciò è facile capire che "avere la testa di tròppele" vuol dire avere la testa dura. L'affermazione vale sia se viene riferita al comprendonio e sia alla cocciutaggine, provocata, a volte, dal gusto di contraddire. Si dice anche TENÉ LA CAPE DE MAGLIE (avere la testa di maglio) quello di legno durissimo con il quale si batte lo sparto per fare le corde. LA MALA CAPE (avere cattiva testa) vuol dire avere cattive intenInvece TENE' CAPE vuol dire avere desiderio, avere intenzione di una cosa.

TENÉ LA COLA TÉSECHE Essere superbo. Caratteristica del superbo e quella di procedere impettito senza degnare di uno sguardo gli altri, aspettando che siano gli altri a salutarlo

TENÉ LA COLE ATTACCATE ALLA SEGGE "Tenere la coda legata alla sedia". E chiaro che chi si trova in simile condizione è costretto a rimanere seduto. Il traslato si adatta al pigro che preferisce poltrire anziché muoversi e passeggiare.

TENÉ LA CONDOTTA MACCHIATE "Avere la condotta macchiata" significa aver commesso un reato tale da essere riportato sulla fedina penale. L'annotazione del reato macchia la fedina stessa che resta sporca, come si usa dire.

TENÉ LA CUCCE"Avere la calvizia"InizioPagina

TENÉ LA DDACIE "Avere l'audacia" è lo stesso che avere ardire, avere sfrontatezza, avere impudenza. Significa anche avere attitudine, avere vocazione, avere disposizione a fare una certa cosa.

TENÉ LA FACCE DE GLIU DEBBETE oppure DE GLIU PECCATE"Avere la faccia del debito, oppure del peccato", si dice di chi è ritenuto un cattivo soggetto.

TENÉ LA FACCE DE LA CAGLINE "Avere la faccia della gallina" cioè fare due facce, essere ipocrita

TENÉ LA FARMACÌA DAPERTE "Avere la farmacia aperta". Traslato che vuoi dire aver lasciato sbottonato lo sportellino dei calzoni. Al posto di farmacia si usa sostituire puteje (bottega), o caiole (gabbia). La puteje sta daperte e gliu maste fatie (la bottega è aperta e il maestro artigiano lavora) è il motto più comune e più simpatico in questo caso.

TENÉ LA FURTUNE APPICCECATE 'N CUĜLIE "Avere la fortuna attaccata al sedere" vuol dire essere una persona molto fortunata sotto tutti gli aspetti. Viceversa chi è sfortunato TÈ LA SORTE ATTACCATE (ha la sorte legata) ovvero immobilitata, in condizione tale da non poterlo mai raggiungere.

TENÉ LA GLIOPE "Avere la lupa" ossia avere una fame da lupa. "Ed una lupa che di tutte brame/ sembrava carca nella sua magrezza" dice Dante. Il lupo è l'animale simbolo della voracità. Si dice anche TENÉ GLIU BUBÙ.

TENÉ LA ĜLIÙPPECHE"Avere l'upupa" significa avere una capigliatura folta, ispida e incolta, alla maniera dei capelloni. L'upupa è un uccello che porta sul capo un ciuffo di penne.

TENÉ LA MENDRÀNGHELE"Tenere la mendrànghele" vuol dire essere di cattivo umore, riferito solitamente ai piccoli, che piagnucolano o fanno i capricci

TENÉ LA NEVE 'N SACCHE "Tenere la neve in tasca" significa avere tanta fretta di andare via da un luogo come chi, avendo la neve in tasca, teme che gli si sciolga. TENÉ LU FUOCHE MMANE (tenere il fuoco in mano) ha il medesimo significato e si capisce bene il perché.

TENÉ LA PAROLA SUPERCHIE Significa poter parlare senza condizionamenti, avendo condotto una i irreprensibile. Letteralmente si traduce "avere una parola in più", ètinteso "degli altri".

TENÉ LA PORVE NCOPPE LE RECCHIE "Tenere le polvere sulle orecchie". Con questa allegoria si indica un gay. InizioPagina

TENÉ LA STIPE DELL'UOGLIE "Tenere la stipe dell'olio". "Stipa" in lingua vuol dire mucchio di cose stivate insieme. La stipe è il ripostiglio dove si conservano (stipene) le provviste alimentari. Di solito nelle vecchie case era ricavata in un sottoscala e veniva chiusa a chiave perché i ragazzi non facessero man bassa di quanto custodiva. Avere un ripostiglio esclusivamente per l'olio, dove se ne accumulava anche per il bisogno di un anno intero, significava, per quel che è sempre costato l'olio di oliva, essere abbastanza ricchi. Perciò tené la stipe dell'uoglie vuol dire possedere molte ricchezze.

TENÉ LA TERRE NCENZITE "Tenere il terreno in enfiteusi". Era un contratto molto diffuso nel territorio.

TENÉ LA TOSCHE La tosche è una cosa di scarso valore; infatti in napoletano il termine corrisponde al nome di un panico per uccelli ed anche a quello di una monetina di rame, la prubbeca, in circolazione nel Regno di Napoli. "Tenere la tosche" significa stare a corto di denaro o di provviste.

TENÉ LA VERTÙ "Avere la virtù", ossia possedere la facoltà di guarire la febbre verminosa, posando semplicemente la mano sul ventre del paziente. Tale potere èattribuito ai nati la notte dei SS. Pietro e Paolo (29 giugno) e al settimo nato dopo sei fratelli tutti dello stesso sesso.

TENÉ LA VISTA CORTE Avere la vista corta, essere poco lungimirante

TENÉ LA VRENNE 'N CAPE "Tenere la crusca in testa" equivale ad essere uno stupido. Evidentemente non si può pensare differentemente, considerando che al posto della materia cerebrale si troverebbe addirittura la buccia del grano.

TENÉ LA ZÒCCHELE ‘N SACCHE"Tenere il topone in tasca". Allegoria alquanto strana che si riferisce a chi, avendo già preso una propria decisione, la tiene nascosta agli altri interessati, mentre ancora si va discutendo della comune vicenda

TENÉ L'ACHE MMANE "Tenere l'ago in mano" significa intendersi di cucito. Rosine tè l'ache mmane, se cose tutte iesse (Rosina sa cucire bene, si cuce tutto da sé).

TENÉ L'ARTE PE LE MANE"Avere l'arte per le mani" ossia essere un buon artigiano.

TENÉ L'ARTÉTECHE Si dice di chi non sa rimanere fermo un momento. "Tène l'artéteche alle mani" chi va toccando tutto ciò che vede; anzi, in questo caso costui viene ancora meglio definito con la seguente espressione: ANDÒ TÈ GLI'UOCCHIE TÈ LE MANE (dove ha gli occhi ha le mani).

TENÉ LE CIÀULE 'N CAPE "Tenere le cornacchie in testa" è lo stesso che "avere idee strane" oppure "avere grilli in testa". Si dice anche tené la ciammarruchela storte, la chiocciola al centro dei capelli

TENÉ LE MANE COTTE TENÉ LE MANE DE RECOTTE "Avere le mani cotte", "avere le mani di ricotta". I due motti hanno lo stesso significato e si affibbiano alle persone che si lasciano facilmente cadere gli oggetti dalle mani. InizioPagina

TENÉ LE MANE LONGHE "Avere le mani lunghe" è una locuzione con duplice significato: rubare e menare facilmente le mani. L'espressione si adatta, dunque, sia al ladro e sia al manesco. TENÉ LE MANE LEGGE (avere le mani leggere), oltre ad avere il significato di alzare facilmente le mani per menare, ma non duramente, vuole anche dire avere le mani agili e capaci nel compiere determinati lavori.

TENÉ LE MANE MUDETTE Mudette (il Basile registra mardette) significa maledette ed è un termiin disuso, adoperato solamente in questa locuzione. Tè le mane (ha le mani maledette) il ragazzo irrequieto ed impertinente, che nelle mani tè l'artéteche e le caccia dappertutto combinando pasticci.

TENÉ LE MANE SFUNNATE "Avere le mani sfondate" è lo stesso che avere le mani bucate, ossia essere spendaccione.

TENÉ LE PULACRE ALLE MANE "Tenere la podagra alle mani" si dice di chi facilmente si lascia sfuggioggetti dalle mani.

TENÉ LE RECCHIE DE LEPRE "Avere le orecchie di lepre" vale a dire avere l'udito sensibilissimo. TENÉ LE RECCHIE SPELATE (avere le orecchie sturate) ha lo stesso significato.

TENÉ LU FUOCHE MMANE Vedi tené la neve 'nsacche.

TENÉ LU PEPE 'N CUĜLIE "Tenere il pepe nel sedere" si dice di quei bambini troppo vispi ed irrequieti.

TENÉ LU SANGHE LEGGE "Avere il sangue leggero". Si dice di quelle persone che sostengono di avere delle visioni.

TENÉ LU TUOSSECHE "Tenere il veleno" ossia sentirsi avvelenato, essere amareggiato. essere turbato, essere disgustato.

TENÉ MUNNE E TUNNE "Tenere il mondo e il tondo". Tunne (rotondo) vi è aggiunto per dare maggior forza. L'espressione, in chiave ironica, si attribuisce a chi si dà arie da gran signore, come se fosse padrone del mondo intero.

TENÉ 'N CAMPANE "Tenere nella campana" cioè sotto una campana di vetro sul cassettone, come si tenevano il Bambinello, la Madonna, i Santi, isolati dal mondo esterno. La locuzione manifesta l'ansia di chi vive nell'incertezza e nel dubattesa di una decisione che lo tranquillizzi.

TENÉ NA BONA (MALA) ANNUMENATE"Godere buona (cattiva) fama"

TENÉ NA CAPA GLORIOSE "Avere una testa gloriosa" corrisponde esattamente all'opposto, cioè non capire nulla, quindi "avere la testa d'asino".

TENÉ NA FAME ATTRASSATE "Avere una fame arretrata", vuoi dire essere digiuno da parecchio tempo, aver patito la fame.

TENÉ NA MANA LONGHE E N'ATA CORTE "Avere una mano lunga e una corta". Si dice di chi sa fare bene i suoi affari: pronto a pretendere molto quando deve avere e lento e avaro quando deve dare. Il modo di dire è tratto dalla bella moneta detta nichelio, perché fatta di questo metallo, del valore di 20 centesimi, emessa con R. Decreto del 23 gemi. 1908 n. 20, che nel rovescio portava raffigurata l'allegoria di una donna librantesi a sinistra, con una fiaccola nella mano sinistra e braccio disteso, mentre del braccio destro, completamente nascosto dietro il corpo, spunta solo la mano. Infatti anche a Napoli si dice: Si comm 'a 'u nichelio: tiene 'na mana longa e una corta. InizioPagina

TENÉ NA MANE A FÀ ZÈPPELE "Avere la mano a far zeppole" equivale ad essere avaro. Ovviamente inteso in senso ironico, poiché mentre chi fa le zeppole ha la mano sveltissi ma, l'avaro è restio a muoverla per prendere il borsellino.

TENÉ NA PATANA MOSCE "Avere una patata moscia" vuol dire essere estremamente lento in tutto.

TENÉ NA SORTA SCIOTE "Avere una fortuna sciolta", una fortuna cioè che va avanti da s~ icioltamente, senza impedimenti di alcun genere. E il contrario di TENÈ LA SORTE ATTACCATE (avere la fortuna legata). (Vedi tené la fortune appiccecate 'n cuĝlie).

TENÉ NA SPAZZELE "Avere una spazzola" significa avere una gran fame.

TENÉ NA VOCCA DOCE "Avere una bocca dolce" ha due significati; il primo vuol dire "essere dolce nel parlare" e il secondo "preferire i dolciumi".

TENÉ NU CANNAZZALE Cannazzale da canne ossia gola. Tiene un cannazzale chi ha una gola robusta, non si stanca di parlare a voce alta ed è capace di sovrastare con la sua le altre voci

TENÉ NU CUĜLIE! "Tenere un culo!" significa avere grande fortuna al giuoco.

TENÉ NU PENZIERE A PARTE Avere una particolare attenzione

TENÉ NU PERCUOCHE 'N CUORPE La traduzione letterale è "tenere un'albicocca in corpo". Corrisponde ad "avere un peso sullo stomaco" e ovviamente non per un cibo indigesto, ma per un torto ricevuto che pesa come tale, che è duro a digerire come il nocciolo dell'albicocca. In questi casi si aspetta con impazienza il momento opportuno per rendere pan per focaccia, e solo allora si esclama finalmente placati: "Ah, me glie so luate stu percuoche!" (ah, me lo son tolto questo peso!).

TENÉ NU UAJE DANANZE Avere un intruso, un seccatore tra i piedi

TENÉ PE CÒPPELE E CAPPUCCE "Tenere per coppola e cappuccio". Questi due copricapi si prendono il momento in cui occorrono e poi si abbandonano in un angolo sino a che non si va a ricercarli in caso di nuova necessità. Il traslato significa che di una persona non si tiene alcun conto, salvo a ricordar se ne il giorno che torna utile per sfruttarla a proprio vantaggio. Con lo stesso significato si usa anche TENÉ PE CUPIERCHIE, "tenere per coperchio".

TENÉ QUATTE RETELE DE FRONTE "Avere la fronte alta quattro dita" è un segno di grande intelligenza. Il motto equivale ad "essere molto intelligente e istruito".

TENÉ SANTE 'N PARAVISE "Avere Santi in Paradiso" vale a dire avere per~one che ci proteggono e ci aiutano, come i Santi che possono intercederL per i mortali.

TENÉ SETTE SPIRETE COMME E LA lATTE Il modo sottolinea una persona svelta, che si muove e agisce con estrema agilità e scaltrezza al pari di una gatta. Si dice che "ha sette spiriti come la gatta" anche chi gode di una straordinaria vitalità che gli permette di superare, senza risentirne, dure fatiche e gravi malattie.

TENÉ TUTTE A GLIU GRAN ĜLIBBRE"Tenere tutto nel gran libro" nel senso di possedere molto denaro depositato e non dimostrarloInizioPagina

TENÉ TUTTE LE VIRTÙ DE GLIU SUMARE :Tenere tutte le virtu' dell'asino…e' quanto dire

TENÉ UOCCHIE DE PECE E MANE DE STOPPE "Avere occhi di pece e mani di stoppa". Questa colorita e pungente allegoria è per chi si lascia cadere troppo facilmente dalle mani gli oggetti che prende. Con occhi di pece che non vedono e mani flosce come la stoppa èchiaro che nessuno potrebbe mai prendere con sicurezza e reggere saldamente un oggetto tra le mani.

TENÉ VIGNE E VARCHE "Possedere vigne e barche". Espressione che si adatta ai benestanti che con le loro famiglie possono vivere nell'agiatezza. E uno dei modi di dire dai quali si evince che l'economia del Borgo era imperniata prevalentemente sull'agricoltura e sulla pesca.

TERÀ GLIE PIERE "Tirare i piedi". Si crede che le anime dei morti che vogliono trascinarsi uno all'altro mondo, vengano la notte a tirarselo per i piedi, specialmenle se si tratta di chi ha fatto loro del male.

TERÀ GLIU CCHIÙ LUONGHE Fare un baffo. Due persone discutono animosamente a un certo punto uno dei due minaccia una ritorsione e l’altro subito di rimando "Me tire gliu cchiù luonghe"

TERÀ GLIU MÀNTECE"Tirare il mantice" Tira il mantice l’aiutante dell’organista per dar fiato alle canne dell’organo. Per estensione "tira il mantice" chi, assistendo a una partita di carte fra due giocatori, tifa dentro di se per uno dei due. La presenza di costui è mal sopportata dai giocatori che lo considerano uno iettatore

TERÀ GLIU RACCE (Tirare il braccio". Una madre si fa aiutare dal figlio in un lavoro domestico e questi, a un certo punto, si lamenta di essere stanco. Finge, vor'be correre dai compagni e la madre, che ha capito, gli dice con tono prdace "Vié 'cca ca le lire gliu racce" (vieni qua che ti stiracchio il bracoperazione semplicissima e valida per annullare all'istante quel tipo di stanchezza.Il figlio incassa ed ovviamente il braccio non se lo fa stiracchiare e, di mala voglia, continua.Il motto è usato quando uno si lamenta, esagerando, di fare un lavoro stanca troppo, ma che in effetti è tutt'altro che pesante.

TERÀ LE RECCHIE A MÌNECHE (O AGLIU SUMARE O A MARCHE)"Tirare le orecchie a Menico (o al somaro o a Marco) ha il significato di giocare d’azzardo con le carte

TERÀRESE LA CAUZETTE "Tirarsi la calza" nel senso di rimettersela bene a posto. Se a qualcuno ridato male un lavoro o è fallito un tentativo, gli si dice: "Tiralelle ssa cauzette" (tiratela sù cotesta calza) con il significato di "povero te! Occorre ti metta sotto e ricominci tutto da capo". In napoletano stirarse 'a cazette ha un significato tutto differente; dire star sulle sue, darsi contegno, mettersi in sussiego. In questo senmotto è usato anche dal Basile

TERZIA' Verbo con due significati diversi tra loro. Il primo è in uso tra i gioca tori di carte, in particolare quelli dediti allo zecchinetto, e vuol dire "succhiellare" una carta, "tirare le orecchie al diavolo", cioè scoprirla lentissimamente. Il secondo significato è "colpire un bersaglio" con un sasso o con un proiettile. Gli 'ha terziate na prete 'n fronte (gli ha centrato un sasso sulla fronte). InizioPagina

TIÉ SSU PALAZZE E STAJE A CASA A PESONE "Possiedi cotesto palazzo e stai a casa a pigione!". È la logica espressione di stupore di fronte al qaso eccezionale di uno che, pur possedendo un grande palazzo, vive in una casa presa in affitto. Di solito la sarcastica metafora si pronuncia tra amici alla vista del sedere di una donna più che abbondante.

TINCHE TINCHE Deriva dal lafino tunc. Si può tradurre in vari modi, come ad esempio: con tutti i comodi, come se niente fosse, con faccia tosta, sciolto sciolto... Te ne viene tinche tinche e nuje stimme a fatià da n'ore (te ne vieni con questa faccia tQsta mentre noi stiamo lavorando da un'ora).

TINTE E PINTE Sembra una contraddizione traducibile in "tinto e pinto" invece significa "bastonato e beffato". È la trasformazione di linde e pinte (lindo e pinto) ottenuta con il sostituire a linde il suo contrario tinte. (Vedi scurate tinte).

TIRE LA COLE AGLIU CANE "Tira la coda al cane". Un tempo, quando il pane era il nutrimento principe delle classi popolari, poteva capitare che in un momento qualsiasi uno dei figli andasse a seccare la madre per averne un pezzo. E poteva darsi che la madre glielo rifiutasse, temendo che la quantità comperata il mattino non bastasse sino alla cena. Alle insistenze del figliuolo: "Ohi mà, tenche fame" (ohi mamma, ho fame) non si lasciava commuovere e rispondeva: "Tira la coda al cane", omettendo il seguito "Ca ce truove presutte e salame" (che ci trovi prosciutto e salame): dal cane, con una semplice tiratina di coda, non avrà il pane e prosciutto ma anche un buon companatico mai visto. Al ragazzo non rimaneva che riprendere il largo. Una di queste scene oggi non capita più, di pane se ne butta nell'immondizia a miliardi ogni anno, ma il modo di dire è ancora attuale e si ripete a chi ci chiede una cosa che non abbiamo o che non vogliamo o possiamo dare.

TOPE Buccina, grossa conchiglia conica di tritone che, privata del vertice, o essere usata come una tromba che emette un suono assai cupo. Al tempo delle paranze a vela veniva ancora usata per riconoscersi di notte oppure la nebbia. Forse dal suo suono cupo deriva il mod6 SURDE COMME E NA TOPE (sordo come una tope) per dire che uno è completamente sordo.

TORLÒ "Chi te crire d'esse, Torlò?" (chi credi di essere, Torlonia?). Così si apostrofa il tipo dall'atteggiamento tronfio. E chiaro che per Torlò (nel Borgo vecchio si diceva NTRELLÒ) si intende quell'Alessandro che prosciugò il lago del Fucino.

TORTENE DE PASCHE TÒRTENE DE ZÙCCHERE E' la ciambella dolce che si usa fare nel periodo pasquale, ricoperta di glassa e cosparsa di zucchero e confettini colorati. Un tempo si usava affondarci parzialmente uova intere, fermate da una crocetta della stessa pasta. Lo stesso dolce, preparato in altre forme, si dice pigne o campanare; rappresentano il galletto, la femmina pregna, la canestrella, la campana, ecc.

TOZZABANCONE Uno dei pegni che i ragazzi facevano pagare a un compagno, che ancora non conosceva il gioco, era quello di mandano dal pasticciere a comperare un soldo di tozzabancone. Questi, di solito sorridendo, lo rimandava indietro, altrimenti se credeva di essere preso in giro, lo prendeva per il capo e glielo batteva contro il banco.

TRASE, ‘N TE NFONNE"Entra, non bagnarti" si dice a chi si presenta all’uscio di casa mentre fuori piove. In senso scherzoso si dice anche a chi si ferma nel vano della porta e non si decide ad entrareInizioPagina

TRATTÀ A PANE E CASE COMME E LA lATTE "Trattare a pane e cacio come la gatta", significa trattare con tutti i riguardi.

TRATTÀ A PISCE 'N FACCE "Trattare a pesci in faccia" una persona vuol dire trattarla in maniera arrogante, senza riguardi, senza rispetto, con prepotenza. Il rovescio del motto precedente.

TRATTÀ COMME E NA PEZZE D’ACCUTTÀ Trattare come uno straccio per lavare i pavimenti, vuol dire trattare una persona senza riguardo, senza garbo con arroganza, come la cosa più vile, come una pezza da piedi

TRATTÀ GLIE MEZZE "Trattare i mezzi" vuoi dire cercare un modo, fare il favore, ma con un pizzico di ironia. Tratte glie mezze de te ne i (fammi il favore di andartene); tratte glie mezze de fà szìbbete (cerca di far presto).

TRECÀ DA NATALE A SANTU STEFENE "Durare da Natale a S. Stefano", cioè brevissimo tempo.

TRECHESSE E FOSSE BUONE! "Tardasse e fosse buono!". Esclamazione che auspica il felice epilogo di un evento lungamente atteso.

TREMÀ COMME E NU IUNCHE"Tremare come un giunco" Essere preso dal timor panico, spaventato da un pericolo imminente vero o supporto. Tremare verga verga, anche per il freddoInizioPagina

TREMITE SANTUARUM MEUM Ammonizione popolare che stigmatizza un comportamento non troppo rispettoso della morale. E la storpiatura vernacola di "Pa vete ad Sanctuarium meum", che si trova scritto a grandi caratteri sull'arco della chiesa degli Scalzi.

TREZZE DE VIERME "Treccia di vermi". E un ammasso di vermi che secondo la credenza èpresente nell'intestino di ogni individuo. In seguito a uno spavento la treccia si scioglie e i vermi si sparpagliano nell'intestino provocando la febbre.

TRICHE MALANNE, MALE CHI L’ASPETTE Tardi il malanno, guai per chi l’aspetta

TRIPPE DE VIERME"Trippa di vermi" È sottinteso "piena", perciò la frase intera suona: trippa piena di vermi. La locuzione è usata per indicare un pancione e per estensione una persona grassa

TRIVEGLIE DE CASE E BEGLIE DE PIAZZE Si dice di un ragazzo che in casa piagnucola, è scontroso e irrequieto, dà noia, mentre fuori con i compagni è tutto il contrario, resta tranquillo, e si diverte, si rende simpatico.

TRÒNELE "Tuoni" tradotto letteralmente, ma in senso figurato vuol significare una zuppa di pane duro messo a bollire e condito con olio, prezzemolo, olio e peperoncino forte. Una volta era comune nelle famiglie contadine, quando il pane si faceva in casa una volta la settimana. Quello che induriva non veniva certamente buttato via, come purtroppo si fa oggi in molte case con quello del giorno precedente. Un'altra zuppa, condita allo stesso modo, ma con pane meno duro che n veniva messo a bollire, viene chiamata CAZZE ANNIATE (pene affogato). InizioPagina

TROPPA RAZIE SANT'ANTÒ! "Troppa grazia Sant'Antonio!". La frase viene spontanea sulla bocca di chi, avendo bisogno di qualche cosa, gliene arriva troppa. Per esempio il contadino aspetta un po' di pioggia e viene giù un diluvio; la comare chiede un rametto di prezzemolo e gliene procurano un fascio.

TRUÀ CASE CARUTE "Trovare case cadute" quindi materiali che possono essere riutilizzati. La locuzione significa trovare una occasione per fare una cosa gratis.

TRUÀ GLIU MURE VASCE"Trovare il muro basso", non trovare ostacoli non incontrare difficoltà, riferito in particolare a persona senza scrupoli

TRUÀ LA VIGNE DE CUÓSEME"Trovare la vigna di Cosimo". Trova al vigna di Cosimo chi approfitta delle cose altui, chi fa i propri interessi a spesa degli altri, chi plagia facendo man bassa di quanto gli capita tra le mani, chi riesce a sfruttare conoscenze e amicizie

TRUÀ L'AMERECHE "Trovare l'America" vuol dire trovare un'occupazione dove si lavora poco e si guadagna bene. Ha trovato l'America anche il commerciante o chiunque altro fa otfimi affari.

TRUÀ L'ERVA MOLLE "Trovare l'erba molle" si dice quando uno viene a trovarsi di fronte a competitori troppo arrendevoli.

TRUÀ PANE PE GLIE RIENTE SEJE "Trovar pane per i suoi denti". Il prepotente, lo spaccone abituato a fare il gradasso con i deboli, se infine incontra chi non si las4a impressionare ed è capace di tenergli testa ed anche di umiliarlo, si dice che "ha trovato pane per i suoi denti". InizioPagina

TU SÌ COMME E NA RETENEJA SCUPPATE La reteneje è una pianta selvatica, molto simile alla rosa, difficilmente sradicabile quando si stabilisce in un posto: estirpata ritorna a germogliare. Le sue spine sono meno dure di quelle delle rose, ma diventano altrettanto dure e pungenti quando i rametti estirpati (scuppate) essiccano esposti al sole. La frase si addice a chi, stabilitosi in un luogo, non mostra alcun intenzione di muoversi, e se qualcuno tenta di distoglierlo, reagisce duro come la reteneja scuppate con le sue spine indurite al sole

TUBBETTE Viene detta così la cartuccia per pistole giocattolo. Con il traslato si in dica, in tono faceto, un grosso pidocchio. Il pidocchio di solito finisce schiacciato tra le unghie dei pollici e produce uno scoppietto che non è certo paragonabile a quello di un tubbette, ma basta alla fantasia per giustificare il traslato che in verità è abbastanza spiritoso.

TUCCÀ GLIU STÒMECHE"Toccare lo stomaco" Disturbare lo stomaco trattandosi di cibi o bevande non gradite, di cattivi odori o di visioni disgustose

TUCCATE"Toccato" in italiano si dice di uno stravagante, in dialetto di frutto che presenta qualche ammaccatura che ne compromette una buona conservazione

TURCEMIENTE DE MAZZE "Contorcimento dell'intestino crasso", ossia "forti dolori di pancia".

TURNÀ A TAMMURRE SCURDATE "Tornare a tamburo scordato", come i tamburini di una volta, reduci da una dura sconfitta. L'eloquente traslato ci rappresenta molto bene colui che torna sottomesso, con la coda tra le gambe. InizioPagina

TUTTA CARTE E NIENTA CUPETE La cupete, dall'arabo qubbaita, è il torrone fatto artigianalmente che un tempo i fidanzati, per tradizione, andavano a comperare il giorno della fiera dell'Annunziata (25 marzo) per regalano alla fidanzata. Si dice che è tutta carta e nientecopeta la questione che dà più importanza all'apparenza che alla sostanza, come il cartoccio che in tanta carta contiene poco torrone. Insomma molte parole e poohi fatti.

TUTTE NA BÒTTE Locuzione avverbiale equivalente a "di botto", "tutto ad un tratto", "improvvisamente". Tutte na bòtte è venuto a piovere.

TUTTE NA CAZÈTTE Tutto uguale, tutto come sempre

TUZZULÀ CU GLIE PIERE "Bussare con i piedi". Un tempo, quando il colono si recava al palazzo del padrone gli portava i prodotti della terra e dell 'allevamento. Avendo le mani impegnate, era costretto a bussare servendosi dei piedi. Il motto è ria significare che, andando a chiedere un favore, occorre presentarsi conregali adeguati e, quindi, avere sempre le mani ingombre. Ma oggi non serve, è di moda la bustarella: non dà all'occhio e non costringe a bussare con i piedi.

UARDA STÒMECHE "Guarda stomaco". È il grembiule di tela di olona, che l'ortolano indossa durante il lavoro per difendersi dall'umido. lì termine è esteso a tutti gli zinali che coprono il petto, usati dagli artigiani, come il ciabattino, il fabbro, ecc.

UASTÀ "Guastare", tradotto alla lettera, ed anche "abortire" e "slogare". Nennelle S'e' uastate (Ninella ha abortito); Ntonine S'è uastate gliu racce (Tonino s'è slogato il braccio). Slogare si dice anche SGUMMÀ. InizioPagina

UÉÈ il saluto più spontaneo, semplice e cordiale scambiato fra due amici. Vale per buongiorno, buonasera, guarda chi si vede

UGGIÀ GLIU CUĜLIE ALLA CATENE "Voltare il sedere alla catena". Nel Borgo vecchio c'era la torre della catena, minata dai nazisti e fatta crollare durante l'ultimo conflitto mondiale. In quel punto il transito veniva sbarrato con una catena, e da ciò il nome della torre, che si estendeva al rione. L'espressione ha il significato di voltare le spalle al paese, essendo costretti ad emigrare in altri luoghi in cerca di fortuna. Era pronunciata con un certo scherno poiché era opinione comune che chi "voltava le spalle alla catena" non avesse potuto trovare un'occupazione in paese o per incapacità o per dubbia condotta morale.

UGGIÀ GLIU QUARTE "Girare il quarto", sottinteso di luna, vuoI dire andare in bestia, uscire dai gangheri. Statte quite sennò a tate glie vogge gliu quarte (stai fermo se no il babbo va in bestia).

UNE ‘N CUĜLIE AGLI’ATE"Uno dietro l’altro" ossia in fila indiana

UNE DE DENTE TERRE "Uno dell'entroterra", cioè di località lontana dal mare. L'espressione è sinonimo di gente arretrata e cafona. Non capire di cose di mare rappresenta una grossa lacuna da parte del ceto marinaro.

UNE È POCHE, DOI SO ASSAIE, TREJE ME MITTE AMMIEZE A NU MARE DE UAJE"Una è poco, due sono tante, tre mi metti in mezzo a un mare di guai"

UOCCHIE FRITTE "Occhi fritti", vale a dire arrossati per aver pianto molto o per altri motivi.

UOHI PESCE! PARE CA MÒ TE VENNE! "Ohi pesce! Pare che ora ti vendo!". Il pescatore sta fermo a capo del vicolo, in attesa di qualcuno che comperi il suo pesce fresco e luccicante, bene in mostra nella spaselle posata a terra davanti a sé. Lo guarda e pare ripetere tra sé: "Ohi pesce! Pare che ora ti vendo!". Le sue speranze sono riposte su quel pesce, il cui ricavato rappresenta il frutto del suo lavoro, il sostentamento della famiglia. Il modo di dire, con un certo senso di commiserazione, si addice a quanti fanno grande affidamento su cose modeste, oppure a una madre, preoccupata e impaziente perché la figlia non trova marito. InizioPagina

UÒMMECHE "Vomito". Ma il vocabolo, usato metaforicaniente, acquista il signifiCato di affettazione, moina, sdolcinatura e simili. Quante uòmmeche che faje! (quante moine fai!).

UOSSE PAZZIGLIE "Malleolo". ME TOCCHE GLI'UOSSE PAZZIGLIE (mi tocca il malleolo) si dice celiando di uno con il quale si hanno vincoli di parentela lontani, ai quali neppure si dà importanza.

UOVE A QUAGLIARELLE Uovo al tegamino, a occhio di bue

URFATANE Vocabolo che deriva da orfe (golfo). Indica il vento che spira da levante scirocco e prende di infilata tutto il golfo di Gaeta dal Miseno al Circeo. Non è molto frequente, ma quando soffia a velocità forte sconvolge il golfo e in modo particolare da S. Agostino al Circeo. In quei giorni nessuna attività è possibile nelle acque dell'intero golfo di Gaeta.

UZZARIEGLIE E' il diminutivo di gozzo, cioè piccola barca da pesca. Il termine, in senso figurato, viene usato da quattro amici che con le carte si giocano una consumazione al bar, di solito un caffè. I due perdenti della partita fanno tra loro gliu uzzarieglie, cioè giocano ancora con le carte, e chi perde pagherà la consumazione per tutti e quattro.

UZZE DA RICEVE E' un tipo di barca che non esiste più, ma che per lunghissimo tempo fu assai utile; scomparve insieme con le paranze a vela. Era il più grande dei gozzi (uzze); arrivava sino a sette metri circa di lunghezza, armato con una vela latina ed un fiocco. Costruito per la navigazione a vela, era difeso da una coperta nella parte prodiera, sotto la quale si poteva dormire e stare al riparo, e manteneva molto bene il mare. L'equipaggio, di solito due persone praticissime del mestiere, in caso di bonaccia ricorreva ai remi e doveva sottoporsi a lunghe ed estenuanti remate. Il compito di questi gozzi era quello di portare a terra ogni giorno il pesce pescato dalle paranze a vela (le quali restavano in mare ininterrottamente dal lunedì al sabato successivo) e scaricarlo nei magazzini (nialazzere) dove veniva preparato con il ghiaccio triturato nelle spaselle (cestine con il coperchio) e spedito per le varie destinazioni, con il treno o con i carretti in modo da trovarsi sui mercati il mattino seguente. Ogni gozzo serviva più coppie di paranze alle quali si annunziava, di notte e con la nebbia, con il suono della lope (vedi) per farsi riconoscere. Nei pomeriggi dei giorni festivi, le ore in cui più favorevoli spirano i venti occidentali, essi erano l'ideale per gruppi di amici desiderosi di fare una bella uliate nelle acque della rada; il giorno di S. Giovanni portavano allegre comitive di famighuole intere alla festa di Mola, ben forniti di vettovaglie a base di tielle per la cena sul mare.

VA A SIGGE NCOPPE CU GLIU VÉSCHEVE"Va a riscuotere su dal vescovo" si dice di chi conduce un tenore di vita superiore alle sue possibilità finanziarie

VA BBUÒ, E' FESSE MINECHE! "Va bene, è fesso Menico!". Frase con la quale chiude la discussione colui che, avendo di fronte un interlocutore che non intende ragionare, rinuncia, dandosi ironicamente la patente del fesso, vista l'inutilità di conti nuare.

VA E VÈ, LA WÀLLERE TÈ"Va e viene, l’ernia tiene" si suol dire di chi si dà da fare, che si nota sempre in movomento, ma che in concreto combina poco o nulla

VA E VIE' "Via vai", quindi andirivieni, confusione. InizioPagina

VACANTA VALIRE "Vuota barile" è lo stesso che scarica barile sia nel giuoco infantile e sia per il significato allegorico di gettarsi la colpa addosso l'un l'altro.

VACHE A LEGGE E SCRIVE "Vado a leggere e a scrivere". Cosi dice il ragazzo che frequenta la elementare.

VACHE TRUENNE AIUTE E TROVE CUNZIGLIE "Vado cercando aiuti e trovo consigli". Lo dice sfiduciato chi, avendo logno di aiuti materiali, riceve soltanto inutili consigli.

VALE CCHIÙ LA SPESE CHE L’IMPRESE"Essere più la spesa che l’impresa", il gioco non vale la candela. Quando per ottenere una cosa si spende o si lavora più del valore stesso della cosa

VARCHE DA RICEVE Era una grossa barca (varche), lunga un nove metri, a vela latina, che eva servizio giornaliero tra Napoli e Gaeta per il trasporto del pesce, del merci e dei passeggeri. Anche dopo l'inaugurazione della ferrovia Gaeta Sparanise rimase ora in servizio per diversi anni. Il servizio era assicurato da più barche facevano la spola tra Gaeta e Napoli. Se ne servivano gli emigranti per ungere Napoli, dove si imbarcavano sui "clipper" o sui vapori, prima dell'avvento dei transatlantici , raggiungevano Marsiglia (Marzelle), Sette, Algeri (Liggiere), Nuova York, Montevideo, Buenos Aires (Bonisarie)... Il tempo migliore per la traversata era quando spirava il libeccio. Lebbecce, iamme a Nàpeghe senza mpicce (libeccio, andiamo a Napoli senza intoppi) dice un proverbio. L'equipaggio formato da otto robusti vogatori, nei momenti di bonaccia, doveva spingere la barca ed il suo carico a forza di remi 

VARCHE E UZZARIEGLIE "Barca e gozzetto. La menaide (varche) e il gozzetto (uzzarieglie) sono due barche, la prima grande e l'altra piccola al suo rimorchio, che vanno e tornano dalla pesca delle sardine sempre insieme. Con la felice locuzione varche e uzzarieglie si suole indicare una madre che porta per mano il figlioletto, magari con abiti della stessa stoffa, come la menaide ed il suo gozzo verniciati con pittura dello stesso colore.

VASE A PEZZECHIGLIE "Bacio a pizzichini" è detto il bacino che il bimbo in tenera età dà volentieri all'adulto se gli viene richiesto, mentre contemporaneamente gli pizzica divertito le guance.

VATTE A ITTÀ AGLIU PUZZE DE LE CHIAVE "Vatti a buttare nel Pozzo delle chiavi". Il Pozzo delle chiavi è una voragine senza parapetto, con il diametro di una diecina di metri, che si trova dopo Fontania. Mediante una grotta a fior d'acqua è in comunicazione con il mare che, quando è mosso, si infrange e rumoreggia schiumoso in fondo ad esso. Un tempo solitario e suggestivo, oggi è assediato dalla folla di costruzioni che hanno saccheggiato e deturpato la riviera di ponente. Con questo nome è ancora conosciuto da contadini, pescatori e popolani, nonostante da.epoca relativamente recente tra coloro che "se ne vanno sui tetti" sia invalso l'uso di appellarlo il Pozzo del diavolo. La frase si rivolge di solito a un buono a nulla o a chi ha combinato un grosso pasticcio. VATTE A ITTÀ A MARE (vatti a buttare a mare) ha lo stesso significato.

VATTENNE A CACÀ CA FAJE QUATTE SO’"Va a evacuare che fai quattro soldi" si può tradurre: ma sta’ zitto; piantala; non scocciarmi; gira alla larga........Con lo stesso significato si dice anche vatte a fà na cacate

VÈ LA BRUSCHE La brusche è la filossera, l'insetto piccolissimo che si attacca alle radici della vite e fa seccare prima i pampini e poi la pianta stessa. In Italia fu scoperta la prima volta a Valmadrera di Lecco, nel 1879 Mò vè la brusche (ora viene la brusche) è un colorito modo di esprimersi per evidenziare l'approssimarsi di tempi difficili, come una volta poteva essere una carestia o una epidemia e oggi la febbre influenzale.

VENI' BONE LA TELE "Venir bene la tela". Quando le donne tessevano in casa erano felici se la tela riusciva bene. Ora non tessono più ma si sente ancora dire: "Vè bone la tela teje? efuttatenne de chelle che dicene le male lenghe" (vanno bene i tuoi affari? e fregatene di ciò che dicono le cattive lingue). InizioPagina

VENÌ CU LE VELE VASCE "Venire con le vele basse". Il veliero con le vele basse, cioè ammainate, non è da paragonarsi al veliero a vele spiegate che fila veloce e fende spumeggiante le onde. Sono due quadri molto differenti. Il traslato vuol dire presentarsi umile e conciliante dopo un atto di superbia e di insofferenza.

VENÌ CURTE GLIU VESTITE "Venir corto il vestito". Un abito che riesce corto vuol dire che è stato bagliato, cosi per estensione la locuzione si usa quando una iniziativa non raggiunge l'obbiettivo. T'è venute curte gliu vestite! (ti è venuto corto il veito!) si dice ad esempio a chi, facendo una speculazione, rifonde anzichè guadagnare.

VENÌ GLIU MALE ALLIEVE Certe annate, capita che gli acini di uva non maturano tutti e nei grappoli ne restano molti piccoli e acerbi sino alla vendemmia. In questo caso si dice che è menute gliu male allieve: la vite ha allevato male i suoi frutti e il vino riesce aspro. In senso figurato si dice quando una cosa riesce male

VENÌ LA CECAGNE"Venire la sonnolenza" Sentire desiderio di dormire. Cecagne deriva da cecate (cieco)

VENI 'N PARE "Venire in pari" vuol dire il realizzarsi di un sogno o di un desiderio. Il sogno e il desiderio "vengono su" e si mettono "alla pari" con la realtà. AVE' LA QUAGLIE 'N PARE (avere la quaglia in pari, cioè a tiro) vuol dire "avere un colpo di fortuna".

VÈNNE LE PISCIARELLE"Vengono le pisciarelle" Viene la stagione delle pioggie, l’autunno e quindi l’inverno. Le pisciarelle sono le grondaie che scaricano acqua piovana dalle terrazze e dai tetti

VENNE PURE GLIE CAPIGLIE CHE TE 'N CAPE "Vende anche i capelli che ha in testa" significa che è disposto a spendere sino all'ultima lira in caso di bisogno.

VÉNNESE PURE LA CRÉSEME"Vendersi pure la Cresima" si addice a chi per denaro è disposto a tutto

VERBE DOMINE Dal latino "Verba Domini". Il motto si può tradurre: in tutto, completamente, tale e quale e simili. Gliu uaglione ha pigliate verbe domine de gliu pate (il ragazzo ha preso completamente del padre). A Formia si dice verbo verbo. (Vedi taglià la cape).

VERE' COMME ASSOMME L'ARIE Letteralmente "vedere come compare l'aria". La locuzione, così com'è, riesce poco chiara. Significa vedere da che punto dell'orizzonte si avvicinano le nuvole. E una cosa molto interessante per il pescatore che da quella osservazione trae la previsione del tempo che farà.

VERE' COMME CAMMINE L'ARIE "Vedere come cammina l'aria" ha un significato diverso dal precedente: significa accertarsi che vento spira, osservando la direzione in cui si spostano le nuvole. L 'Arie cammine de punente significa che spira il ponente. Come il precedente è di origine marinara.

VERÉ CU GLI’ACCHIARONE"Vedere con il binocolo" ossia soltando da lontano, le cose irrangiungibili. Per esempio un tempo, in certe famiglie, anche la carne si vedeva con il binocolo, vale a dire si mangiava in occasione delle feste e in quantità tanto modesta da richiedere, si fa per dire, una lente d’ingrandimento. A volte anche quel poco mancava e si suppliva con le polpette di sarde

VERÉ DIE"Vedere Dio" "Ho visto Dio" lo dice l’affamato che riceve un pasto; l’assetato che s’imbatte in una fontana; il morto di freddo che ottiene un cappotto; il naufrago che vede sopraggiungere un aiuto ecc. InizioPagina

VERÉ GLIE SÙRECE RUSSE"Vedere cose strabilianti"

VERIGNANE "Melanzana" ovvero il livido dal colore bluastro, simile a quello della buccia di questo ortaggio, che percosse o urti, a volte involontari, lasciano sul corpo umano. "T'aggia impì de verignane" (ti devo riempire di lividi); così la madre, con la verga in mano, minaccia il figlio che la fa disperare. Questi lividi vengono denominati anche PIZZECHE DE MUORTE (Pizzichi di morto) quando appaiono quasi misteriosamente su una parte del corpo: indubbiamente sono il prodotto di urti incontrollati, ma la fantasia popolare, si sa, è ricca di fertile inventiva.

VERIMME LE FACCE NOSTE "Vediamo le facce nostre" significa facciamo i conti, mettiamo le carte in tavola, parliamo chiaro, ecc.

VÈRNIE Si può tradurre smorfia, moina, affettazione; come pure partaccia o paternale; ed ancora chiasso, baccano. La peccerelle fa le vèrnie: la bambina fa le smorfie, fa la schifiltosa nel mangiare o nel vestire, fa la svenevole o l'affettata nel comportamento in generale e, a secondo il contesto nella frase, significa anche fare la permalosa, fare la suscettibile. Gliu pate gli 'ha fatte na vernie (il 'ladre lo ha sgridato). Stanne a fa vernie (stanno a far baccano). Nel lucchese la "vernia" è un discorso noioso ed insulso. Deriva da verna,ae, che significa servo, sfacciato, petulante, buffone.

VERTÙ Minestra di legumi che per antica tradizione si cucina il 1° maggio. Una volta le vertu' si facevano all'aperto, in comunità, nei vicoli e nelle campagne: ognuno portava qualche cosa da cuocere in un pentolone, capace di contenere il sufficiente per tutti i partecipanti. Vi si mettevano legumi vari (fagioli di tutte le qualità, piselli e fave, ceci e cicerchie) con odori e condimenti abbondanti. Con il fascismo, temendo che servisse a mascherare e a tener viva la festa dei lavoratori, anche la secolare tradizione fu proibita, e dove si azzardarono ad accendere il fuoco si videro rovesciare la pentola dai calci degli squadristi mobilitati appositamente. La tradizione delle vertu' deriva senza dubbio dalla festa pagana del risveglio della natura, celebrata e ricordata in tutto il folclore europeo. Esse corrispondono alla lanx satura, un piatto contadinesco contenente un po' di tutto, cotto dai Romani nelle feste campagnole ed offerto agli dei. Le nostre popolane le chiamano le "Virtù della Madonna" e a lei le ofin quel primo giorno del mese mariano. Similmente avviene nella vicina Formia. Anche in Abruzzo le dicono "Virtù" e si fanno ancora oggi come a Teramo, dove si cucinano nella piazza principale.

VESTUTE E CAUZATE"Vestito e calzato" Un tempo la possibiltà di potersi vestire e calzare bene non era di tutti. Chi non ricorda la poesia di Pascoli che ci racconta del piccolo Valentino vestito di nuovo ma con i piedini scalzi? In estate e alle volte non solo in estate, c’era chi andava scalzo e indossava indumenti pieni di toppe. C’era chi non conosceva un cappotto. Ricordo sempre il viso raggiante di un mio scolaretto che tutto felice venne a dirmi che a Natale avrebbe incignato il cappotto. Vestito e calzato è colui che gode di agiate condizioni economiche e che quindi può permettersi l’acquisto di abiti e scarpe a sufficienzaInizioPagina

VEVE LU VINE E ITTÀ GLIU FIASCHE "Bere il vino e buttare il fiasco" si dice quando in una faccenda, una volta raggiunto lo scopo, si trascura tutto il resto. Per esempio di una ragazza che, non appena realizzato un buon matrimonio, dimentica la famiglia di lui, si dice che s'ha vippete lu vine e ha ittate gliu fiasche (ha bevuto vino e ha buttato il fiasco).

VIA NOVE Strada carrozzabile che si contrappone alla vevecchie (via vecchia), strada mulattiera. La via nuova per eccellenza era il Corso Attico di una volta, il lungomare costruito dai Borboni: Vevecchie sono tutte le mulattiere delle campagne e dei colli gaetani

VIENTE DE CANNITE"Vento di canneto", un vento debole che appena farebbe muovere le foglia di un canneto che subito ondeggia al primo soffio di vento

VIENTE DE LA TERRE "Vento della terra" detto anche viente alla terre o viente de terre. E il vento che spira intorno al grecale, proveniente dall'Appennino molisano. solito soffia l'inverno ed è molto freddo e violento; può durare anche al giorni di seguito (si crede sempre in numero dispari) im'lerversando città e sul golfo: sono i giorni peggiori dell'anno. Non è avvertito nel;ùera di ponente, dove il mare rimane calmo.

VINCETICCE E' chiamata cosi la persona che la vuole sempre vinta, malgrado non lo meriti. Riferito ai piccoli è assai comune come sinonimo di capriccioso.

VISE ANNEBBIATE Viso emaciato, sbianchito, pallido di persona sofferente o malata, un viso che non è più quello di una volta ma visto appannato e trasformato come quello dal volo della nebbia

VÒ FÀ SOLE PAPPE E CUCENELLE Vuoi fare solo pappa e cucina". lì modo si addice a coloro che amano molto il mangiare ma non il lavorare.

VÒ Ì ‘N PARAVISE CU GLIU ZUÓCCHEGLIE E LA CAMMISE"Vuole andare in paradiso con gli zoccoli e la camicia" chi vorrebbe realizzare i suoi propositi senza il minimo impegno

VO' I 'N PARAVISE CU LA CARROZZE "Vuole andare iii Paradiso con la carrozza". Cioè vuole meritarlo godendosela e senza rinuncia alcuna. Questa allegoria ha un significato simile alla seguente.

VO' LA QUAGLIE COTTE E BONE "Vuole la quaglia bell'e cotta", cioè senza cacciarla, spennarla, pulirla, cuocerca, ecc... Si dice sarcasticamente di chi senza neppure un minimo di fatica, di ifilpegno, di interesse, vuole ottenere il soddisfacimento dei suoi bisogni o la realizzazione di un suo intento.

VO MAGNÀ, VO VEVE, VO PURE I 'N CARROZZE "Vuole mangiare, vuole bere, vuole pure andare in carrozza". Il significato è chiaro; si usa dire di chi pretende troppo, pur non meritandolo.

VO PANE, FICHE, CEUZE E CASECAVAGLIE "Vuole pane, fichi, gelse e caciocavallo". Curiosa allegoria che dipinge realisticamente un tipo invadente che parla, parla e vuole anche avere ragione. InizioPagina

VOCI DI AMBULANTI I venditori ambulanti sono scomparsi da tempo e solo raramente al giorno d'oggi si sente la voce di un solitario. Un tempo invece ti portavano di tutto fino sull'uscio di casa. Passavano per la Via (dell'Indipendenza) e all'imbocco di ogni vicolo sostavano e alzavano la voce. Le donne, in casa, udivano e accorrevano a comperare il necessario. Raccogliere tutte le voci che una volta si udivano in ogni stagione e nelle diverse ore del giorno è impresa impossibile, perciò se ne riportano le piu comuni. I pescatori, che avevano tirato la rete a Serapo, in due portavano uno spasone (cesta rettangolare con due manici) piena di sarde e una bilancia con i due piatti e i pesi e gridavano: Oppure:

ARRUSTE E MAGNE, ARRUSTE E MAGNE!

SARDE E ALICE! VOPE 'E REZZE, SUGLIE 'E REZZE!

Invece i riattoni (rivenditori di pesce) si fermavano col carrettino a mano e gridavano:

N'ATA FRAVAGLIE 'E TREGLIE!

TREGLIE, FICHE E SUACE, 'O PESCE! CECENIEGLIE, CECENIEGLIE!

PURPETIEGLIE VERACE!

CAPE 'E QUAGLIE, CAPE 'E QUAGLIE! (Un pesce che si pesca a maggio ed è ottimo alla scapece cioè marinato).

I fruttivendoli e gli erbivendoli:

PURTUAGLIE 'E PALERME!

PURTUAGLIE SANA MALATE!

CAPUANIEGLìE CHINE 'E ZÙCCHERE! (meloni)

SANT'ANTUONE CI'HA PUOSTE 'O FUOCHE! (cocomeri).

ME PÀRENE MUZZARELLE STI CEPOLLE!

PATANE A CAPE 'E CIUCCE!

NZALATE ACCAPPUCCIATE! InizioPagina

Le donne che vendevano uova, ranocchie, formaggini, olive, ecc.:

OVA FRESCHE, OVA FRESCHE! RANUNCE, RANUNCE!

CASU FRISCHE RUOSSE!

CHI VÒ LU CASU MARZUGLINE!

CHI VÒ LE SCOPE, CHI VÒ LU SAPONE!

AUGLIVE ALL'ACQUE, UOGLIE, UOGLIE!

'O BACCALÀ E 'O STOCCHE!

Gli artigiani:

'O RAMMARE, FEMMENE! (ramaio).

'O STAGNARE, STAGNÀTEVE A RAMME! (stagnaio).

ACCONCIASIEGGE, 'O MPAGLIASEGGE! (seggiolaio).

ARROTINO, ARROTA FORBICI, COLTELLI E TEMPERINI!

ACCONCIATE GLI PIATTI ROTTI! (accomoda-stoviglie).

'O MBRELLARE, FEMMENE! (ombrellaio).

CAGNATE 'O FIERRE VIECCHIE, 'A RAMMA VECCHIE, 'E PEZZE VECCHIE! (baratta-rottami e stracci).

'O CAPELLARE, FÉMMENE! (quello che comperava i capelli).

LENTA FINI OCCHiALI! (venditore di occhiali).

'O ZUCA ZUCHE TENE PASCARIE! (venditore di una specie di franfellicco fatto con melassa).

N'ATA PARIGLIE 'E MAGLIE! (venditore di maglie). InizioPagina

ROBBA BBELLE! (venditore di indumenti vari).

UE, CIII CAGNE! (venditore di tessuti e tele e nello stesso tempo cambia-valute).

PIAGNITE UAGLICJE', E VENUTE 'A PROVE N'ATA VOTE! (venditore di sorbetto). I

CAZETTE, BELLI FE! (venditore di calzini, filo, aghi, elastici).

S'E NFUCATE 'O SOLE, ACCATTATE NA BONA PERSIANE! (venditore di persiane).

PACCARIEGLIE CÀU RE! (venditore di filoncini di farina di granturco).

LUPINE 'E NAPULE, SO SALATE! (venditore di lupini).

AMERECIIE E 'O SPASSE! (venditore di arachidi e brustolini).

CRAUNELLA D'ÒSSELE, CRAUNELLA DOCE! (venditore di carbonella).

MUNNEZZE, CHI TE MUNNEZZE! (raccoglitore di immondizie per concimare).

  

VOLE GLIU SUMARE? "Vola l'asino?". Ovviamente no. Capita alle volte che bisogna acconsentire, come quando, di fronte a questioni lapalissiane, si è costretti per quieto vivere e per il bene di tutti. In casi di questo genere l'interessato, facendo di necessità virtù, esclama: "Ho uta fa: vole gliu sumare? Vole" (ho dovuto fare: vola l'asino? Vola).

VÒTECHE E CATELLE Gioco di gruppo per ragazzi che consiste nel far rollare una barca sino al massimo a furia di spin toni. Il divertimento sta nell'oscillare alternativamente, una specie di altalena, ora su un fianco e ora sull'altro, come in mezzo al mare mosso. Però guai a farlo su una barca di pescatori! InizioPagina

VULE' PANE PE CIENTE CAVAGLIE "Voler pane per cento cavalli". Si definisce con questa espressione l'impazienza e il desiderio di agire, di applicarsi, di impegnarsi con abilità e sollecitudine. Chigliu giovene vò pane pe ciente cavaglie (quel giovane smania per fare qualche cosa).

VUTÌTEVE A MIO FRATELLO CA È CCHIÙ CLEMENTE"Rivolgetevi a mio fratello che è più clemente" Risponde così chi è interpellato e non può o non sa rispondere, oppure non ha tempo o non ne ha voglia. Si racconta che S. Lucilla rispondesse in questo modo a chi si rivolgeva a lei: il fratello più generoso era S. Aniello gobbo

ZAMPERE Zotico, villano, cafone, grossolano. Dal greco chimaros (caprone).

ZAPPIEGLIE "Giovane caprone". Il termine è passato dall'animale all'uomo rozzo, che si comporta villanamente. Lo stesso che zàiiipere.

ZECCHE DE PETTENALE Persona che si attacca come una zecca a un altro e gli dà noie continue in un modo o nell’altro

ZÈLLERE DA POPPE "Sedano da poppa" alla lettera. Motto marinaresco che assume il significato di grave danno, di perdita, casuale ed inattesa, di denaro o di altro bene. "Ci 'ho ute nu zèllere da poppe!" (ho subito un grave danno) dice l'agricoltore che ha perso il raccolto distrutto dalla grandine.

ZEPPE DE GLIU STESSE LIGNAME "Zeppa dello stesso legno". Il traslato si usa per definire individui della medesima mentalità o della stessa posizione sociale.

ZI CARE"Zio caro - zia cara" tradotto letteralmente. Si usa con rispetto quando si parla con persone anziane che non si conoscono. Nella forma vocativa si dice zi cà

ZI PAZZÈTTE Si definisce così un tipo buffo, comico, matterellone.

ZI PEPPE Altro nome faceto che si usa dare all'orinale, e propriamente al càntero, alto e fornito di due anse. InizioPagina

ZITTE CHI SAPE ‘O IUOCHE!"Zitto chi sa il giuoco!" In una riunione tra amici, chi conosce il trucco di un giuoco fa bene a non svelarlo prima della fine, altrimenti priverebbe gli altri del divertimento comune e del piacere della sorpresa. Il motto si ripete con malizia quando si vuol dare un avvertimento a non rivelare i retroscena di una burla o di qualche cosa di simile

ZITTE E QUITE "Zitto e quieto" vale a dire tranquillo, buono buono.

ZITTE I E ZITTE TU"Zitto io e zitto tu" vale come prudente raccomandazione di non parlare con gli altri di quanto si è detto o si è saputo: evidentemente quando si tratta di fatto di cui è meglio tacere e conservare il segreto

ZUMPÀ LE CANNE"Saltare le canne" Il vòllere è un sistema di reti per pescare i cefali. I pescatori individuato un branco di cefali, lo circondano con una rete verticale che va dal fondo alla superficie. Ma poichè i cefali salterebbero la rete, immediatamente dopo segue una seconda barca che getta una rete orizzontale tenuta a galla da canne. I cefali saltano ma restano impigliati nella rete orizzontale. Tuttavia qualcuno più bravo riesce a saltare la rete e si salva, salta le canne, quindi, colui che, coinvolto in una questione delicata, riesce a liberarsene senza conseguenze dannose InizioPaginaInizioPagina