1992

C.S.A.R.

 

 

·        Cosa succederà alla ragazza

·        Tutte le pompe

·        Ecco i negozi

·        La metro eccetera

·        I sacchi della posta

·        Però il rinoceronte

·        Così gli dei sarebbero

·        Cosa farà di nuovo

 

La sigla sulla copertina, in una tremolante grafia in stampatello, nasconde il titolo completo del disco: “Cosa Succederà Alla Ragazza”. La malcelata pigrizia di indicazioni fa anche intuire ed aggiungere mentalmente all’acquirente un punto interrogativo.

Si avverte inoltre, in questa scarsità di informazioni, un’intransigenza che aumenta nelle composizioni dell’ultimo Battisti qui alla sua, quarta prova in cui si rinsalda la collaborazione con il paroliere Pasquale Panella.

Stavolta l’etichetta è la Columbia, ennesimo cambio di produzione per un cantante rimasto fedele per decenni alla “Numero Uno”.

Con questo disco l’arrangiamento e il missaggio (fatti a Londra) passano stavolta da Robyn Smith alle mani di Andy Duncan con risultati talvolta non all’altezza dei precedenti.

Ad ogni modo, la title-track “Cosa succederà alla ragazza” enumera immediatamente le intenzioni dell’opera con un basso automatico e una drum machine che non mutano mai la loro linea per un brano che dà libero sfogo alle associazioni oramai abituali create dai testi surreali di Panella (dialetto-antico diletto-pratico, pori-tori eccetera), e così, neanche alla fine del brano si sa davvero cosa succederà a questa fanciulla persa in possibilità che la vedono volente o nolente, sospesa fra fisica e metafisica come in un quadro di Salvator Dalì.

Come dicevano, il brano propone uno sviluppo musicale deludente se paragonato alle prove dei lavori precedenti e l’impressione sarà presente anche ad altri momenti del disco.

L’ipotesi, oltre a riferirsi ad un ispirazione non sufficiente trova appigli anche nella possibilità che qualcosa non abbia funzionato a dovere nella produzione, a cui difettano gli slanci creativi delle ultime tre prove.

“Tutte le pompe” sembra continuare e lasciare più spazio all’argomento della prima canzone; i riferimenti all’acqua sono stavolta il tema proposto, slanciato in arrampicate verbali rese splendidamente ritmiche dalla voce del cantante.

Parecchi interrogativi lascia la musica un po’ piatta del seguente “Ecco i negozi” che si presenta come una sorta di rap lento probabilmente inutile all’economia del disco ed all’ascoltatore; in particolare perché la recitazione del testo da parte di Battisti non ha sapore di protesta né di sperimentazione, e non può essere un prodotto musicale né affine alla poesia sonora o al teatro, una cosa lontana da Lucio Battisti,  cavaliere solitario della musica italiana.

La canzone più geniale di “C.S.A.R.”, in grado di risollevare da sola il disco, va identificata in “La metro eccetera” che propone una affascinante esibizione del banale, connesso alle scritte e alle situazioni legate ad una metropolitana.

Il treno della canzone non è un simbolo da interpretare ma un momento di vita esattamente uguale a quella di ogni altra linea del mondo dove i viaggiatori sono sospesi tra noia e paranoia. Qui il gioco del testo è nell’osservazione improvvisa e originale di eventi ordinari. Il testo dovrebbe essere letto interamente tanta è la sua fantasia espressa. La metro di Battisti-Panella piomba in una galleria “come un eccetera eccetera”, è un treno dove il giornale che ha più successo è la scritta “in caso di necessità rompere il vetro”, dove i viaggiatori entrano con “il capo chino e l’umiltà dei frati”. La metro descritta di Panella è l’occasione della ricerca di un approdo attraverso l’inesauribile enumerazione di un catalogo di oggetti. Il tentativo di scoprire una legislazione per accumulo di dati, la classificazione maniacale tesa alla scoperta improvvisa. Un  tentativo, infine di dare una sfida all’istituito partendo proprio da esso: una prova senza precedenti nella canzone italiana. 

Quasi sullo stesso piano qualitativo e semantico è i “I sacchi della posta” ipnotica composizione straniante e stravagante. Stavolta l’allegra follia lirica di Pasquale Panella si staglia con treni che partono e svoltano l'angolo  e ad “uno” che non scende e un “due” che non sale.

Il clap elettronico lascia un andamento attraente su versi davvero originali, si pensi ai quarti di bue che “soggiogano ragazzi incappucciati” e ad una sottile critica riferita alla più attuale e orrida maniera di seviziare la lingua  italiana,  si mette alla berlina un mondo dove “i minutini, gli attimi, gli istanti, tengono a bada tutti quanti” Similitudini, equivalenze, analogie e per Panella le cose del consueto diventano ancora una volta i segni di un mondo sovraccarico di allucinazioni.

“Però il rinoceronte” è il pezzo più incisivamente poetico del disco in cui la musica assieme alle parole affrontano un ambito più tradizionale senza rinunciare ad una stravaganza malinconica in cui si ammette di essere preda di disinganni “grassi come un bue”, e dove si finisce per ammettere che “si dovrebbe vivere lontani per dire ho visto qual’é il colmo di me stesso”.

Altri versi appaiono come intelligenti depistaggi, ritrosie per non scoprire subito le proprie intenzioni, è il caso di momenti in si descrive come il “gusto si fa estivo a mezze maniche esaminando la Venere di Milo” oppure quando un cammello si slancia in una cruna d’ago, smascherando l’acrobata di sabbia in sé sopito”.

Le sperimentazioni metriche e fonetiche di Panella continuano nella successiva e provocatoria “Così gli dei sarebbero” dove dalle divinità inutili del consumismo “proviene, per esempio, la numerosa serie dei profumi”. I momenti ritmici e melodici sono stavolta ben caratterizzati e personalizzati in un arrangiamento che paradossalmente è invece frutto di una base programmata. 

Il disco, innalzatosi negli ultimi quattro brani ricade nei suoi difetti iniziali con l’ultimo brano “Cosa farà di nuovo”, sorta di rap troppo meccanico e innaturale, lento, incentrato però su un testo assai divertente, dedicato all’indecisione adolescenziale di una ragazza descritta dallo scorrere di noioso riff di basso e una chitarra lo accompagnano e non lo lasciano minimamente decollare dall’ordinarietà.

In quell’anno, in Italia l’ambiente musicale è confuso e vive progressivamente di miti ancor più passeggeri del solito, in discoteca (sempre meno luogo di aggregazione), si ascoltano la techno e la house-music, il rap appare tutto sommato lo stile con caratteristiche di ribellione ereditate dal rock.

I cantautori di un tempo perdono colpi in maniera definitiva, conseguenza in verità, di dischi indifendibili in ogni senso; su altri fronti il look e il disimpegno, prendono largo, sulle rimanenti idee musicali rimaste nel bel paese dove crescono i limoni. Tutto è già sentito, fatto, rimasticato.

 

 

COSA SUCCEDERA' ALLA RAGAZZA

 

L'alba, la barba, la curva della gola,

rasoiate che sono orli di gonna.

La luce ha ancora sonno ma si dà

un tono da ostetrica che è urgente.

Apre gli occhi sul mondo partoriente

ed è a disposizione

l'alba, la barba, presa con le buone.

Offrire la gola al tocco leggero, l'alba

la lanolina candida

gli uccelli appostatissimi nell'aria,

come i chiodi senza quadri, alle pareti;

ed è ancora mattina.

I pesci, pesci, pesci i pori, pori,

cosa succederà alla ragazza,

vede i pori con le corna come i tori;

le corna curve sono due ferventi trafficanti a bassa voce

sotto la croce, sotto la croce,

nel loro dialetto antico, nel loro diletto pratico,

che la vogliono fare bollire,

che la vogliono suonare appesa al campanile.

Che la vogliono ricoprire di cioccolata,

che la vogliono servire in bocca,

ad una bocca sterminata di forno:

che cosa le tocca sentire che cosa.

Allora ricordarsi di fare delle pose

delle fotografie: che possono sempre servire,

e non se ne parli più.

Gesù, Gesù, che non se ne parli più

Gesù, Gesù, ed è ancora mattina,

tutti sono pronti a bere qualcosa;

e poi si riprende fiato per fare le bolle acustiche.

Che la vogliono olio e limone;

che la vogliono aggiustare: entriamo in un portone...

Che la vogliono un pò scoperta per accertare;

che la vogliono nell'ascensore,

per implorarla da che piano a che piano,

acquetta, fuochino; la gloria all'ottavo.

Che la vogliono ricoprire di cioccolata,

che la vogliono servire in bocca,

ad una bocca sterminata di forno:

che cosa le tocca, sentire che cosa.

 

TUTTE LE POMPE

 

Quando le ha chiesto conosci il tale, il tal dei tali, Tizio Caio,

ti dico che ho sentito, dice, ti dico che ho sentito

tutto il rosso del sangue partirsene col nero

dei corvi e le cornacchie sopra il giallo,

le macchie ondose e lente, dei campi gialleggianti di frumento,

ha sentito come un gran rivoltamento,

e cateratte urbane e vigili del fuoco e din don dan,

tutti i bicchieri straripare dai bar,

scoppiando in un cin cin, di bei cristalli isterici

tutte le pompe, con l'acqua nelle vene,

si mettono a ballare, e pioggiano di gioia.

Io ti vorrei incontrare però non lo vorrei.

Arriva lo schiumogeno e la gente sussulta di piacere è pronta a tutto,

a consumare lì sopra l'asfalto la scivolata delle relazioni;

lo sguazzo dell'ardire e dell'osare, ed è da tanto tempo che volevo;

e dirmelo potevi dirlo prima: o farmelo capire, o farmelo capire.

Le macchine rampando sulle ruote, le gomme posteriori fanno un giro,

di piazza col pennacchio, soffiato dai roventi radiatori;

lo struzzo, lo spauracchio, il gongolo di gioia,

lo spruzzo e lo sbatacchio, l'immensa scorciatoia, per arrivare al sodo.

Una lady s'incendia un po' per sfizio, e un po' per gaudio immenso anticipato.

E il suo marito in cravatta con la lingua, diventa un calamaro così che non sfigura.

Marameo, marameo fanno i cupidi, i frecciatori dal culetto nudo;

più fitti fitti più dei pipistrelli nella notte stellata, che volano d'estate.

Però più belli, belli più bellini, bianchi color del lilla gridellino;

ma non è notte è giorno: magari è estate forse;

forse magari è estate,

cominciano le corse tutti arrivando i primi:

i primi in una cosa, una cosina dolce, una cosina dolce.

Io ti vedrei davvero volentieri.

Volentieri davvero ti vedrei.

 

ECCO I NEGOZI

 

Deve essere stata una costosa distillazione la marea del mare,

il cielo è più professionale: premedita sè stesso.

Il tempo, questo tempo è inaffidabile, vengono giù gelati, poi rane,

un giorno baci celebri, un altro giorno eliche in funzione.

E come informazione, si sente spesso chiedere,

dov'è che si sistemano le capocchie ai fiammiferi

Queste le uscite spicce, celeri così come lei le intuisce,

che veloci inceneriscono se stesse,

avanti un'altra: così si va, a spasso si va.

Ecco i negozi e non le sembra più di stare a casa,

ecco cammina nell'uno e l'altro senso,

non avendo al fianco chi l'accompagnerebbe

nelle minime e le massime escursioni.

Ecco i negozi che ingoiano tutti i fracassi,

non affliggono né stomaco né cuore, eccola

qui dov'è la padrona del proprio giro vita,

del proprio girocollo, del proprio giro periplo del corpo.

E lo spazio non è quella questione,

ecco i negozi, si può tacere senza dare il silenzio come spiegazione:

ecco qui, tra le creature scisse, tra chi entra e chi esce,

c'è uno scambio di temperature.

Si diventa termometri contraddittori,

si passa tra le cose sfuse e vaghe,

come tra lacci d'alghe di tante in tante maghe Circi annegatrici,

dimenticando e poi dimenticando;

così sei fortunata: hai trovato esattamente quello che cercavi:

tre bravi di caienna, ovvero, un forchettino per i ravanelli.

Così sei fortunata: hai trovato il posto più esclusivo della storia,

le pagine in cui Antonio con Cleopatra, si strapazzano

ancora, come otarie dalle braccia ormai implicite nell'altro,

sopravvissuti ad ogni nave che s'inabissò.

Immersi in un tripudio misto seta,

in una negligenza e oblio di sciarpe,

ed è come non mai non stare a casa.

 

LA METRO, ECCETERA

 

La metro dei riflessi, gli sguardi verso il vetro,

gli appositi sostegni verticali,

le mani che fatali li discendono,

e quelli orizzontali, in alto i polsi e gli orologi

viaggiano da soli.

La metro, i seduti di fronte sono semplicemente gli avanzati

dal viaggio precedente che andava dove vanno

tutti i presentimenti, eccetera.

In un soffio di porta, fa l'ingresso la bella incatenata a testa alta;

invece i viaggiatori sono entrati

col capo chino, e l'umiltà dei frati.

Bella incatenata dai sui stessi ormeggi:

la cinghia della borsa,

e stringhe mosce, e fasce di camoscio e stratagemmi

dei morbidi tormenti d'organzino.

Si fa la trigonometria,

nei finestrini corrispondenti agli occhi alessandrini,

di lei che guarda fissa un suo sussulto fuso nel vetro,

che le ricorda tanto un suo sussulto.

La metro piomba nella galleria come un eccetera eccetera,

che continua tremante veranda di lettura,

da un attico mittente, tutta giù a fendente.

E più di tutti i giornali e i giornaletti

ha successo una scritta:

“In caso di necessità rompere il vetro,

e tutti i trasgressori saranno… eccetera”.

La metro si avvicina alla stazione prossima e rallenta.

I posti a sedere, ad occhio e croce: diciamo trentasei;

le scale sono mobili, ma le pareti no,

e fermi i corridoi; la folla passa e sale.

La metro accelera, eccetera, eccetera,

e puntini di sospensione.

 

I SACCHI DELLA POSTA

 

Fiera, sommessa, repentina, breve l'estensione variabile dei piedi,

l'andatura, l'adagio, lo svelto, l'incedere e il procedere.

Poi le scarpe sono la precisa espressione del viso,

andare passo passo, fare moto, per correre e agitarsi molto poco

appena in tempo per la messa cantata, un altro po'.

Ed il treno era partito, svoltato l'angolo,

aggirato il monumento, lungo le mura, rasente la barriera,

di sotto il porticato, sfiorando la ringhiera,

la spalletta, la spalletta sul fiume.

Le scale, sulle scale, le scale, da un sarto senza manica sinistra,

dall'ebanista discutendo se si possa chiamare diceria,

il capriccio della cornice.

Perché non scende e uno, perché non sale e due,

i sacchi della posta, questa è l'ora, quasi da soli saltano, sugli sbarcatoi.

I quarti di buesse sanguinose soggiogano ragazzi incappucciati,

gli appuntamenti sono plateali: vedi venirsi incontro due vocali.

I cagnolini vanno avanti al trotto, i cani grossi hanno scontri di botto,

col non si sa che sia, col non si sa.

I minutini, gli attimi, gli instanti tengono a bada tutti, tutti quanti,

ma le mezz'ore perse sono già funeste,

son teste emerse e rifugiate leste,

nelle finestre, nelle finestre.

A prima vista tutto è secondario,

poi le scarpe sono la precisa volontà del viso,

cominciano i miraggi: atti notori, col nastrino in gola,

fanno i graziosi mentre fan la spola.

Patenti a fisarmonica, a soffietto hanno da dire e da ridire su tutto,

licenze ancheggiatrici fanno adescamento;

quindi i certificati sono pellirossa tutti illustrati.

Arrivederci e uno a risentirci e due,

le parti per il corpo articolato, si piegano, si snodano polpose,

e succulente ossee nervose.

Il ginocchio, il polso, l'anca, il pennone, intorno al quale il muscolo fa vela;

lo zigomo, la tempia, il metatarso; poi le scarpe, con i lacci o senza;

la faccia, arrivederci arrivederci.

 

PERÒ IL RINOCERONTE

 

Se non si cuoce a fuoco lento rimane cruda dentro.

Al dunque quando puo' le piace sentirsi al centro dei carciofi tenerelli.

Cosa sa, cosa sa che gli animali sono esseri scorrevoli;

però il rinoceronte ha il freno a mano,

l'amore è un gesto pazzo 

come rompere una noce con il mento sopra il cuore,

e si dovrebbe vivere lontani per essere creduti se si dice:

Qui è nato un disinganno mai allevato

e grosso come un bue, mangiando poco,

e si dovrebbe vivere lontani e dire: ho visto qual è il colmo di me stessa,

sfilandomi un maglione sulla testa, per ora si interessa all'infusione,

che dona brillantezza ai suoi capelli e la parola chiave è “rosmarino”.

Il gusto si fa estivo a mezze maniche, esaminando la Venere di Milo,

i riti i riti, ma che riti d'Egitto, tutto è fidanzamento, la colazione in tazza,

il pranzo, poi la cena e gli intermezzi,

basta non le si dica "Indovina chi sono", e “non te l'aspettavi”

ecco cose così tra gentili e tristi cose di burro in forma di conchiglia.

“Sono io quella ragazza” dice puntando il dito come viene viene,

in uno sprazzo acrilico a colori mimetici soltanto di sé stessi,

e di un papero, a sbuffo accidentale, contro un mazzo una messe di cielo,

o rosso mormorio di un acquitrino.

“Sono io quella ragazza”, infatti è lei.

Per lei un sovrano avrebbe rinunciato a nascere, e un cammello si è lanciato

in una cruna d'ago, smascherando l'acrobata di sabbia in sé sopito.

“Sono io quella ragazza” dice, “il giorno prima come il giorno dopo,

e il giorno in mezzo me lo metto al dito, così sarà un anello e non un peso”.

E per lei, qualche atleta contenzioso si è battuto, smantellato da solo,

crollando coi talenti e i gusti intatti.

“Sono io quella ragazza”, infatti è lei.

 

COSÌ GLI DEI SAREBBERO

 

Le condizioni sono atmosferiche comunque,

comunque meteorologiche, e lei si è invaghita del bitume:

carbonio con idrogeno composto, bollente ed odoroso, grasso in fusti,

colato e rimpastato, misto a scisti.

Così le salta in mente, all'improvviso, che esistono gli dei, e dagli dei

proviene, per esempio, la numerosa serie dei profumi;

e lei se esistono gli dei sarebbe prediletta dal maestoso

ordigno in argentato, sovrumano

tubo di scappamento con solenni alucce o pinne da raffreddamento.

E, cosa c'è da fare, vorrebbe lei portare questa sera, come stola,

un raccordo anulare, un'intera fila alle poste oppure la costiera amalfitana.

Si prende il nastro della merce scelta, si ammorbidisce e si fa svolazzare,

si smussa e lei così lo può indossare, vorrebbe lei per caso liquefare

un palazzo in cui l'innamorato sguazza nel delirio, ridotto ad un cetaceo.

Si attiva un lanciafiamme, un forno ad onde, oceanico,

un sesquipedale, prospero per la pipa universale.

C'è da fare la spesa si fa, da andare dal dentista ci si va,

e il trapanatore sarà un titillatore piumato.

Così come bambina, mancandole la esse, lei diceva "Nettuno, Nettuno"

così gli dei sarebbero un intimo difetto di pronuncia.

C'è da fare una piazza, si fa: si prende una balena con fontana inclusa e

traballanti cocomeri per occhi a tutti quanti, ed alberi spioventi dalle orecchie.

E voci emerse sulla testa a delta e i mignoli,

gli eterni mignoletti, suonati da pestanti martelletti.

Così lei, può passare di là.

Perché se c'è da fare, una cosa si fa.

 

COSA FARÀ DI NUOVO

 

Le quattro meno un quarto della notte,

il sonno se n'è andato all'improvviso,

si ferma il borbottio delle guanciotte,

l'ombra è severa ma addolcisce il viso.

Cosa non farà più, cosa farà di nuovo, cosa farà di meno,

seduta in mezzo al letto lei promette cosa non farà più.

Cosa farà di nuovo, cosa farà di meno,

con un leggero margine d'incerto,

con la sincerità di tutto il cuore leggero, pesante, volubile.

Crede le dolcezze sono come le amarezze, pesi falsi senza pietà.

È una misericordia, un'operetta pia

considerare adesso con che garbo

ha piegato, ripiegato e messo via il maglioncino

su un bracciolo, un gambo.

Cosa che rifarà, che rifarà di nuovo, non sa se più, se meno,

seduta in mezzo al letto nel rispetto timido che ha di sé.

E le dolcezze sono, son come le amarezze

con un cordiale ed umile sospiro

si sente sangue del suo stesso sangue

e corpo del suo corpo in un bel giro d'edera intorno a sé,

con strette blande, non si resiste più

e non è più questione tra il giulivo e il triste.

Seduta in mezzo al letto lei promette cosa non farà più,

cosa farà di nuovo, cosa farà di meno,

con un prudente margine d'incerto.

Le tre e quarantacinque della notte,

il sonno se n'è andato all'improvviso,

le dolcezze sono come le amarezze: strette blande senza pietà.

Nella notte, sonno sperso, ombra austera, caro il viso,

con che garbo,con che umile sospiro:

cosa non farà più, cosa farà di nuovo, cosa farà di meno.