Malattie della coagulazione

Vi sono malattie emorragiche da disordini della coagulazione. Le emorragie possono essere profonde - anzi, è facile che lo siano -, e quindi si presenteranno quanto meno in forma di ematomi. Si tratta di ematomi cutanei, mucosi, o di tessuti mucosi. Si mani­festano emorragie oro-faringee, o nel SNC. Possono essere appa­rentemente spontanee, o verificarsi dopo traumi. I test di labo­ratorio danno anomalie nei test di coagulazione (APTT e/o PT). Quello che si ha è la riduzione di specifici fattori della coagu­lazione. Nelle forme congenite, di solito, è ridotto un solo tipo di fattore; si può avere un deficit quantitativo di fattori della coagulazione, o un deficit funzionale. I deficit quantitativi so­no intesi come forme CRM- o CRMr, cioè Cross Reacting Material "senza" proteine (il segno -) o con "ridotta" quota proteica; i deficit funzionali sono indicati come forme CRM+, o dis: es., di­sfibrinogenemia.

Per quanto riguarda le forme ereditarie, la situazione può essere di vario tipo:

- deficit di fattore XII, precallicreina o chininogeno hanno tra­smissione autosomica recessiva e nessuna sintomatologia; il PT è normale, l' APTT è anormale.

- deficit di fattore XI ha trasmissione autosomica recessiva e lieve sintomatologia; il PT è normale, l' APTT è anormale.

- deficit di fattore VIII o IX hanno trasmissione diaginica, e severa sintomatologia - si tratta delle emofilie -; Il PT è nor­male, l' APTT è anormale.

- deficit di fattore VII ha trasmissione autosomica recessiva, e una sintomatologia severa/moderata; il PT è anormale, l' APTT è normale.

- deficit di fattore X, V o II hanno trasmissione autosomica re­cessiva, e una severa sintomatologia; Sia PT che APTT sono alte­rati.

- Nella afibrinogenemia, a trasmissione autosomica recessiva, la sintomatologia è severa, e i test PT e APTT sono alterati.

- La disfibrinogenemia ha una trasmissione autosomica dominante, e la sintomatologia è variabile; non è detto che PT e APTT mo­strino variazioni dalla normalità.

- deficit di fattore XIII ha eredità autosomica recessiva, e sin­tomatologia severa; PT e APTT sono normali.

Nella afibrinogenemia, che consiste nella assenza totale di fi­brinogeno, vi sono difetti nell' aggregazione. Nella disfibrino­genemia si hanno difetti nel distacco di fibrinopeptidi, o difet­ti nella polimerizzazione. In questo disturbo APTT e PT sono va­riamente alterati, ma potrebbero anche non esserlo affatto! Si ricorre quindi al tempo di trombina; si tratta del tempo in cui il sangue coagula dopo aggiunta di una quantità standard - base - di trombina. In questo modo si studia la reazione di trasforma­zione di fibrinogeno in fibrina, quindi è un test specifico. Il tempo normale è di 18-20 sec. In casi di disfibrinogenemia il tempo di trombina è allungato. A volte la disfibrinogenemia dà trombosi, perché potrebbe darsi che la fibrina formata non sia suscettibile di attacco proteolitico.

Tutte queste malattie possono essere severe quando la quantità attiva di fattore è inferiore all' 1%; tra il 2% e il 5% si parla di forme a media gravità. Al di sopra del 5% e fino al 20% si parla di forma lieve. Quindi, in condizioni fisiologiche, vi è in circolo un eccesso di fattori della coagulazione. Il test APTT è allungato almeno nelle forme lievi; questo significa che il test APTT non individua, ad es., presenze di fattori al 35%, non fi­siologiche.

Per quanto riguarda le forme acquisite, queste riguardano sintesi di proteine abnormi, o ridotta sintesi, o presenza di inibitori in circolo, o sindromi da trasfusioni massive, o consumo.

La sintesi di proteine abnormi è esemplificata da quanto avviene nella deficienza di vitamina K e nella disfibrinogenemia. Nella K-deficienza c'è una normale sintesi epatica di fattori K- dipendenti, ma questi fattori non vengono gamma-carbossilati. Le proteine saranno quindi presenti nel plasma, ma in forma inattiva (si chiamano PIVKA, cioè Proteine Vitamina K dipendenti non in funzione). Le forme più comuni sono dovute a condizioni associate a malassorbimento dei grassi, ad epatopatie, a carenze alimenta­ri. Tra le condizioni di malassorbimento c'è l' ittero ostrutti­vo, la steatorrea idiopatica, malattie pancreatiche, uso di anti­biotici che sterilizzano il tratto digerente. Una forma partico­lare è la malattia emorragica del neonato, che dipende dal fatto che il neonato ha poche riserve di vitamina K, e il suo fegato è ancora poco funzionale; oggi si inietta, alla nascita, vitamina K. Inoltre, vi sono forme iatrogene, quando vengono somministrati anticoagulanti orali. Nella disfibrinogenemia in genere si ha che i monomeri di fibrina non possono polimerizzare. Nei tumori epa­tici, oltre a disfibrinogenemia, si può avere anche disprotrombi­nemia: in quest' ultimo caso la protrombina non ha i residui gam­ma-carbossilati.

La ridotta sintesi di fattori della coagulazione si ha in malat­tie epatiche (epatite fulminante, cirrosi epatica, epatite croni­ca); la patogenesi di questi disturbi è complessa. Alle malattie epatiche seguono anche trombocitopenie, aumento della fibrinoli­si, e una forma di CID (Coagulazione Intravascolare Disseminata).

Gli anticoagulanti in circolo (cioè gli inibitori) sono degli an­ticorpi. Alcuni di questi anticorpi sono diretti verso alcuni fattori della coagulazione (in genere VIII o IX; trasfusioni ri­petute di VIII o IX negli emofilici possono portare facilmente a formare Ig G). Esistono anche anticorpi verso il IX, il V, il XIII. Poi ci sono anticorpi che agiscono contro la formazione di fibrina.

Un altro tipo di inibitori interferisce con i complessi enzimati­ci; questi inibitori sono chiamati APA (Anticorpi Anti Fosfolipi­di), e intervengono a livello della formazione di Xa e di trombi­na. In realtà gli APA sono diretti verso proteine associate ai fosfolipidi. Questi APA sono presenti in soggetti con LES (Lupus Eritematoso Sistemico) o con altre malattie autoimmuni, in asso­ciazione con infezioni o con assunzione di farmaci, o in soggetti apparentemente sani. Detti anticorpi sono di tipo diverso (Ig G, Ig M, Ig A), e sono prodotti come conseguenza di un disordine au­toimmune, andando a colpire - per come abbiamo detto - fosfolipi­di a carica elettronegativa presenti sulla membrana. Esistono, in quest' ambito, anticorpi tipo lupus, che in vitro causano l' al­lungamento dei test coagulativi fosfolipidi dipendenti come APTT, diretti verso la protrombina; un secondo gruppo di anticorpi è dato dalle Ig anticardiolipina, evidenziabili con test immunolo­gici tipo ELISA.

Tutti questi tipi di anticorpi sono associati a manifestazioni cliniche che vanno dalla mancanza di sintomi fino a fenomeni di trombosi! Si manifestano anche aborti ripetuti ed emorragie (in quest' ultimo caso si evidenzia quasi sempre una trombocitopenia). Tutto questo fa parlare di sindrome da APA. Da un punto di vista biochimico, Gli anticorpi anticardiolipina sono diretti verso una proteina circolante, che è la beta2-glicopro­teina I. Le trombosi sono dovute forse al fatto che gli APA sono in grado di ridurre la prostaciclina e di reprimere l' attivazio­ne della proteina C. La proteina C non viene attivata perché gli APA riducono la trombomodulina, che attiva la proteina C. Gli A­PA, inoltre, riducono l' effetto anticoagulante della proteina C attivata, e possono portare ad una attivazione piastrinica. Po­trebbero anche indurre le attività trombogeniche dell' endotelio.

Coagulazione Intravascolare Disseminata (CID)

Si può anche trovare come "...Intravascolare Diffusa", o "coagu­lopatia da consumo", o "sindrome da defibrinazione". E' un pro­cesso patologico dinamico che è provocato da una brusca e conti­nuata attivazione della coagulazione intravascolare. Questo fatto depone fibrina su vari distretti dell' organismo, e determina consumo di piastrine e di fattori della coagulazione, per cui si hanno - paradossalmente - anche delle emorragie. Il tutto avviene nel microcircolo. La CID è un fenomeno ubiquitario, ed è sempre associato ad altre patologie, quindi è sempre secondaria ad altre malattie. CID può verificarsi in infezioni gravi, in patologie ostetriche, in neoplasie, in danni tissutali di grave entità; CID si verifica in patologie immunologiche e malattie epatiche, oppu­re situazioni che favoriscono una stasi, o in altre ancora (porp­ora fulminante, morsi di serpenti, pancreatiti acute, porpora trombotica trombocitopenica/sindrome emolitico-urenica).

Le infezioni gravi possono essere sepsi da Gram-, o altre, virali, da Ricket­tsiae, da parassiti; tra le patologie ostetriche c'è l' embolia da liquido am­niotico, o il distacco prematuro della placenta; le neoplasie chiamate in cau­sa sono specialmente le mieloidi acute, e soprattutto la promielocitica acuta - più del 90% dei casi -, oppure tumori solidi metastatizzati, sebbene sia questa un' evenienza più rara. Per quanto riguarda le patologie immunologiche, da ricordare le trasfusioni di sangue incompatibile, le reazioni di ipersensi­bilità da farmaci, il rigetto acuto di trapianto; come malattie epatiche, le cirrosi e le epatiti fulminanti. Tra le condizioni che favoriscono una stasi l' emangioma gigante, l' aneurisma dissecante, l' embolia polmonare massiva, malattie cardiache, arresto cardiaco e shock.

Nella CID compaiono in circolo sostanze che hanno a che fare con TF (TF è sinonimo di tromboplastina). Da dove vengono? Queste so­stanze possono provenire da un danno tissutale (e quindi le pato­logie ostetriche, i traumi, i tumori), cioè un traumatismo cellu­lare extravasale; ma le sostanze possono provenire anche per pro­duzione - da parte di cellule normali e/o patologiche: possono produrre TF le cellule endoteliali sotto stimolo di prodotti bat­terici o batterio-indotti, come le citochine. Infine, le sostanze possono provenire da traumatismo cellulare intravascolare. La produzione di TF si può avere anche da monociti e macrofagi. Di norma i monociti non fanno nulla per la coagulazione, tuttavia è possibile che sintetizzino TF sotto stimolo di un' endotossina. TF può anche essere sintetizzato da cellule leucemiche (i promie­lociti della leucemia), o da cellule di tumori solidi. Il trauma­tismo intravascolare espone i fosfolipidi "buoni", quelli a cari­ca negativa, quelli "interni", perché demolisce le cellule. Tutto ciò favorisce il funzionamento di TF, o dei fattori della coagu­lazione. Alcune cellule, distrutte, liberano TF, ed è ancora peg­gio.

Troviamo TF in circolo:

- per danno extravascolare

- per produzione non fisiologica

da monociti e cellule endoteliali stimolate

da cellule patologiche

- per lisi nei vasi

di cellule che, distrutte, liberano TF

di cellule che, distrutte, espongono fosfolipidi

Quando c'è un danno endoteliale esteso, è pensabile che venga at­tivato il sistema di contatto; questo è vero. Tuttavia ciò non è di nessuna importanza per la CID, perché il TF non viene ad in­terferire con il sistema di contatto. Studi su animali dimostrano che la CID avviene anche se il sistema di contatto è disattivato. Invece, la CID non avviene se il sistema del TF è disattivato. Probabilmente la esposizione del sangue a superfici estranee fa­vorisce la CID, per attivazione del sistema di contatto.

Per quanto riguarda la dinamica della CID, la attivazione della coagulazione consuma piastrine e fattori della coagulazione, e depone fibrina nel microcircolo. Per deposizione di fibrina si può avere un danno tissutale (rene, cervello, polmone), o una e­molisi meccanica (non è massiva, ma è importante dal punto di vi­sta diagnostico, perché i globuli rossi vengono trasformati), o uno shock. Una quota di fibrina, tuttavia, viene lisata, e questo significa che è stata completata la cascata di reazioni della coagulazione; si formano FDP, che impediscono ai monomeri di fi­brina di aggregarsi. In più i fattori della coagulazione - e le piastrine - sono stati consumati: tutto ciò crea rischio di emor­ragia. L' emorragia è però l' ultimo stadio della CID.

Per quanto riguarda i test di laboratorio, questi devono essere semplici, rapidi e affidabili, poiché la CID è un' emergenza. Te­nendo conto che un solo test alterato non fa diagnosi, e che al­cuni test sono - non già a causa della CID - alterati nel pazien­te, è bene fare più test nella stessa giornata. I test consistono nei seguenti:

- Conta delle piastrine (piastrinopenia)

- PT

- APTT

- Tempo di trombina (allungati)

- Tempo di reptilase

- Dosaggio del fibrinogeno (diminuisce)

- FDP (inibizione della fibrinolisi secondaria)

- D-Dimeri (degradazione di fibrina)

- Test di paracoagulazione- Antitrombina III (consumo)

La reptilase è un veleno; il tempo di reptilase serve per vedere se il valore del tempo di trombina è dovuto ad un anticoagulante naturale o meno, come la reptilase. I test di paracoagulazione vanno alla ricerca di monomeri di fibrina; in pratica si aggiunge etanolo al plasma: se si forma gel, il test è positivo. SI trat­ta, per quest' ultimo, di un test che è possibile svolgere anche nei laboratori più "sfasulati".

Per quanto riguarda la terapia, bisogna tentare di eliminare il fattore causale, quando possibile; in ogni caso, occorre bloccare la coagulazione. In questo modo, però, il paziente potrebbe san­guinare da un momento all' altro. Quindi bisogna usare eparina a basso dosaggio, oppure bisogna ricorrere ad una sostanza, l' iru­dina, che blocca direttamente la trombina. Approccio seguitissimo è anche quello di rimpiazzare ciò che manca: si somministrano concentrati piastrinici, plasma fresco congelato (per i fattori della coagulazione), concentrati di antitrombina III.

Disordini emorragici da alterazioni della fibrinolisi

Ci sono difetti congeniti (deficienza di alfa2-antiplasmina, o di PAI-1) e acquisiti. Ci si riferisce, per queste patologie, a i­perfibrinolisi primarie. E' molto rara, e si verifica in alcune leucemie, alcune neoplasie, nei trapianti epatici; c'è poi una forma indotta dal medico, con agenti trombolitici, attivatori della fibrinolisi.

Trombosi e aterosclerosi

La trombosi consiste nella formazione di una massa solida (trom­bo) nei vasi o nel cuore. Il trombo è costituito da elementi pre­senti nel sangue, insieme a fibrina. Le proporzioni dei due co­stituenti sono diverse, a seconda dei vasi colpiti. Ci sono quin­di trombosi arteriose e trombosi venose. I due tipi di trombi so­no diversi: i trombi arteriosi hanno molte piastrine e fibrina, con pochi globuli bianchi e rossi, mentre quelli venosi hanno molti globuli rossi. I trombi arteriosi sono anche detti murali o parietali, perché possiedono una "testa" che si àncora al vaso, mentre i trombi venosi sono anche detti rossi o occludenti, poiché riescono a chiudere il vaso. La formazione del trombo si ha con i processi che già conosciamo. Alcuni chiamano la trombosi come "emostasi nel posto sbagliato".

La patogenesi della trombosi è identificata nella "triade di Vir­chow" (1856). Poiché un trombo si formi, occorre una alterazione nella parete vascolare, una alterazione nella composizione del sangue (piastrine, coagulazione, fibrinolisi), alterazioni nel flusso sanguigno. Attualmente si considera che, in realtà, le al­terazioni piastriniche possono non avere nulla a che fare nella patogenesi dei trombi.

Nella trombosi arteriosa il fattore patogenetico principale è l' alterazione della parete vascolare. Questa alterazione può essere morfologica o funzionale, ma in genere si tratta della conseguen­za di una malattia che è l' aterosclerosi. Si forma, in altri termini, una lesione vasale che è detta lesione aterosclerotica. In questa malattia si formano delle placche; queste placche pos­sono ostruire il vaso, possono sanguinare (in quanto vascolariz­zate), possono dare luogo ad emboli, e indeboliscono la parete dei vasi, con formazione di aneurismi.

A un certo punto l' endotelio della placca può danneggiarsi (ad es., per desquamazione), oppure può generarsi una disfunzione en­doteliale. In queste condizioni, tuttavia, è difficile che si formi un trombo occludente. Un danno più pericoloso è dato dalla rottura della placca (fissurazione), per cui all' interno della placca entra del sangue. L' interno della placca è ricco in ele­menti trombogenici: ci sono grosse quantità di TF - per presenza di macrofagi, di cellule muscolari lisce, dei "cores" lipidici di cellule morte, senza contare il TF che può essere prodotto dalle cellule endoteliali -. La terapia è attuata con somministrazione di antipiastrinici.

La trombosi venosa insorge nelle vene in cui il flusso sanguigno è più lento (arti inferiori), nelle zone dove ci sono valvole e seni venosi, che favoriscono una stasi.

La stasi è un grande fattore di rischio. Anche gravidanza, vari­ci, obesità, insufficienza cardiaca, sono fattori di rischio, in quanto favoriscono una stasi. Anche età e trombosi pregresse sono importanti. Poi ci sono altri fattori di rischio: interventi chi­rurgici, traumi autentici, neoplasie (soprattutto i tumori soli­di), contraccettivi, disordini mieloproliferativi cronici, infar­to del miocardio, sindromi da APA (Anticorpi Anti Fosfolipidi). Dunque si tratta di condizioni che favoriscono stasi e facilitano la attivazione della coagulazione.

La patogenesi della trombosi venosa si ha per stasi insieme ad attivazione della coagulazione. La stasi concentra i componenti della coagulazione, anche quelli attivati. Ma in che modo si ha l' attivazione della coagulazione? Per liberazione in circolo di TF (in quantità inferiore rispetto a quella della CID), ma anche per alterazioni funzionali dell' endotelio (condizione verifica­bile per via di mediatori liberati nelle situazioni "a rischio"), o per attivazione di leucociti/monociti; forse anche per azione delle piastrine, o di prodotti di cellule patologiche (ad es., cellule tumorali).

Carenze di inibitori della coagulazione (Antitrombina III, Pro­teina C, Proteina S) predispongono alla trombosi venosa; proba­bilmente in ciò è importante anche un deficit di cofattore epari­nico II. Tuttavia, nella maggioranza relativa dei casi, si evi­denzia la resistenza alla proteina C attivata; il fattore V di alcuni soggetti è resistente alla degradazione da parte della proteina C attivata. Si tratta di una anomalia del fattore V, per cui il gene è mutato, col risultato della mutazione in un singolo aminoacido. La frequenza di questa mutazione nella popolazione sana è del 2-5%, ed è del 20-60% in soggetti che hanno trombosi. Questo dato è importante per le forme di trombosi ereditarie.

Anche difetti nella fibrinolisi possono avere il loro peso (ca­renza di plasminogeno, displasminogenemia, difetti nel rilascio di t-PA, aumento di PAI-1, disfibrinogenemia), anche se nelle forme ereditarie di trombosi sono poco importanti. In ogni caso, si tratta pur sempre di fattori che predispongono alla trombosi venosa.

La profilassi è attuata con eparina a basso dosaggio e cercando di ridurre la stasi (i pazienti sono mobilizzati dopo interventi chirurgici). La terapia è fatta con trombolitici e anticoagulan­ti.

La aterosclerosi è una malattia delle arterie elastiche e musco­lari di grosso e medio calibro, caratterizzata da lesioni focali fibro-adipose (placche aterosclerotiche, ateromi) nell' intima. Queste lesioni sono inizialmente sparse, poi sono sempre più nu­merose, e progressivamente più grandi; ne consegue una invasione del lume vascolare, con alterazione della parete del vaso. Le placche aterosclerotiche insorgono soprattutto alle biforcazioni e alle diramazioni, creando le condizioni per l' instaurarsi di moti turbolenti, che creano stasi di sangue. La placca si può così rompere, con quelle che ne segue. La placca può rompersi an­che per via di metalloproteasi macrofagiche.

Questa malattia è responsabile, nel mondo occidentale, della più elevata mortalità e morbilità. I fattori di rischio sono iperli­pidemia/dieta, ipertensione, diabete, fumo. La iperlipidemia è misurata con la ipercolesterolemia e le LDL, ricche in colestero­lo; nella placca c'è colesterolo. Diete ricche in acidi grassi saturi favoriscono l' instaurarsi di questa malattia, mentre die­te ricche in poliinstauri sortiscono l' effetto contrario. Nella ipertensione il vaso dimostra una pressione elevata, e quindi si creano le condizioni per una alterazione del vaso stesso. Il dia­bete altera il metabolismo lipidico e forma pericolose (per la parete vascolare) proteine glicosilate. Anche il fumo determina direttamente danni ai vasi. Accanto a questi fattori, ve ne sono altri, che sono età (dai 40 in su), sesso (le donne, dopo la me­nopausa, ammalano quasi quanto gli uomini), obesità, inattività fisica, stress, personalità e stile di vita, uso di contraccetti­vi orali, fattori genetici (storia familiare); in più, ci sono varie alterazioni biochimiche, come la iperfibrinogemia, aumenta­ti livelli di fattore VII, iperomocisteinemia - nella omocistei­nuria c'è rischio di aterosclerosi -.

Le lesioni aterosclerotiche sono le placche aterosclerotiche  (ne esistono di fibrose, fibroadipose, fibrolipidiche, lipidiche), le placche aterosclerotiche complicate (cioè coniugate ad altro; per es., a trombi), le strie lipidiche.

Una placca "standard" è fatta da una parte centrale, detta "core", e da un rivestimento, detto "cap". Il core è composto da materiale lipidico (cristalli di colesterolo e cellule schiumose piene di grassi: si tratta dei macrofagi); il cap è invece fibro­so, con cellule muscolari lisce e cellule schiumose, insieme a macrofagi e linfociti. La placca può avere una composizione ete­rogenea, per quando riguarda i rapporti quantitativi dei compo­nenti. In generale, più macrofagi ci sono, maggiori sono le pos­sibilità di una trombosi; se invece il cap è preponderante, ed è molto fibroso, il rischio è minore. Al di sopra del cap vi sono macrofagi ricchi in lipidi - schiumosi -, ammassati, che prendono il nome di strie lipidiche. Queste formazioni sono state trovate anche in bambini di dieci anni.

Le lesioni aterosclerotiche si formano probabilmente sul modello della risposta al danno. Probabilmente all' origine c'è un danno sulla parete vascolare, e la risposta a questo danno potrebbe es­sere la "placca". In genere questo tipo di danno è funzionale, e non anatomico; quindi si potranno avere aumenti della permeabi­lità lipidica, e quindi di colesterolo e LDL, o espressione di molecole adesive. Quando questo succede, le LDL passano attraver­so l' endotelio, e l' endotelio esprime siti di attacco per i mo­nociti, o per le piastrine. I monociti convengono poiché rispon­dono a stimoli chemiotattici; si dispongono nell' intima come ma­crofagi. Le LDL, al passaggio endoteliale, sono trasformate in LDL ossidate, e vengono fagocitate dai macrofagi: per questo mo­tivo i macrofagi locali appaiono schiumosi. A questo punto biso­gna considerare che le cellule endoteliali possono produrre IL-1, PDGF, FGF, vari fattori di crescita, fattori chemiotattici (come MCP-1, proteina chemiotattica per i monociti, o M-CSF e GM-CSF); tutto ciò stimola migrazione e proliferazione di cellule muscola­ri lisce. A questo punto è formata la placca aterosclerotica, che viene completata con vascolarizzazione per neo-angio-genesi.

Come visto in precedenza, la placca aterosclerotica è capace di dare trombosi arteriosa. Soprattutto in seguito a fissurazione, è possibile che il sangue infiltrante la placca venga coagulato, dal momento che nella placca sono contenuti elementi trombogeni­ci, che sono i macrofagi, le cellule muscolari lisce e le cellule morte, che contengono TF. TF può essere anche prodotto dalle cel­lule endoteliali in seguito a stimoli particolari.

 

 

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