EUCARESTIA / 3
QUESTO E' IL MIO CORPO

Gesù, sapendo che era ormai giunta la sua ora, raccolse i suoi per il banchetto pasquale. Mentre cenava, prese del pane e disse:

                                      «Questo è il mio corpo».

Cosa intendeva dire esattamente con queste parole? Anzitutto, il contesto grammaticale ebraico non prevede l’uso del verbo essere, per cui quando si indica un oggetto o una qualità e la si riferisce ad una persona, significa che quella cosa o quella qualità è identica alla persona. Così Giovanni – buono, significa che Giovanni è buono; pane – salato, corrisponde all’italiano: il pane è salato. Vi è, dunque, in ebraico, un’identificazione immediata fra il soggetto e il suo attributo, o fra due soggetti differenti. L’assenza del verbo essere non solo non toglie nulla alla forza della frase, ma, anzi, ne rafforza ancor più il senso. Quando Gesù disse: «Questo è il mio corpo», intendeva proprio dire che quel pane, in quel momento stesso era il suo corpo, e lo sarebbe stato finché sarebbe rimasto pane.

La lingua latina, usata nella Chiesa per la celebrazione liturgica, a tal proposito è molto chiara. L’espressione utilizzata nella consacrazione del pane dice: hoc est enim, dove la parola enim viene utilizzata per sottolineare con forza l’identità del pane con il Corpo di Cristo. Questo uso era comune nella lingua latina, tanto che scrittori come Plauto e Cicerone lo usavano frequentemente. L’italiano avrebbe potuto tradurre: «Questo è veramente il mio corpo», ma per ragioni di stile linguistico, si è preferito alleggerire la frase, lasciando solo: «Questo è il mio corpo».

Risolto, dunque, questo problema di carattere grammaticale, vediamo cosa potesse intendere Gesù con questa frase.
Anzitutto, va chiarito che la frase non indica la presenza del Suo corpo nel pane. Questo può forse sembrare strano, ma in questo contesto ogni parola ha un peso di particolare importanza. Oggi noi non diamo molta importanza alle parole che usiamo ed è forse proprio per questa ragione che non ci capiamo più. Ma qui non possiamo permetterci il lusso di parlare come se fossimo ad un dibattito televisivo.

Gesù dicendo che il pane è il suo corpo, non intende dire che il suo corpo è nel pane, come se il pane contenesse, come una scatola, un qualcosa che chiamiamo corpo di Cristo.
Gesù dice che il pane è il Suo corpo. Non esiste più ciò che prima chiamavamo pane, esiste un’altra realtà, che è il Suo corpo, e che ha sostituito totalmente la realtà precedente che conoscevamo come pane. Questo è quanto ci dice la fede.

La mente umana ha cercato di comprendere questa verità, unica ed esclusiva in tutta la storia, dicendo che la sostanza del pane si è mutata totalmente nella sostanza del corpo di Cristo. Le apparenze esterne sono rimaste le medesime: forma, colore, gusto, ma la sostanza a cui ineriscono, la sostanza del pane, questa è stata mutata.
Anche l’uomo muta col tempo: cambia il colore dei capelli, la pelle e anche se qualcuno, con il lifting, cerca di spostare l’orologio dell’invecchiamento, queste mutazioni avvengono in tutto il suo corpo. Tuttavia, l’uomo avverte di essere sempre la stessa realtà, di avere la medesima coscienza di quando era bambino. Tanto che la psicologia ci insegna che i problemi irrisolti si trascinano per tutta la vita. Dunque, nell’uomo vi è una mutazione esterna ma un permanere della consapevolezza della propria realtà.

Nel caso dell’Eucaristia abbiamo, invece, il permanere del dato esterno (colore, forma e gusto del pane) ma un mutamento della realtà a cui questi dati si riferiscono: la sostanza del pane si muta nella sostanza del corpo di Cristo.

Sostanza che noi non possiamo vedere, proprio come non possiamo avere nessuna esperienza della coscienza dell’altro o della sostanza della sua identità. Possiamo solo riconoscere un altro dalla somiglianza fisica ma mai secondo la percezione che lui ha di se stesso nella sua coscienza.

È il dato fisico dell’altro che ci dice che lui è lui e non un’altra persona. Ma questo dato fisico, per quanto importante – e oggi esagerato – non è mai l’identità della sua persona perché questa sempre sfugge all’esperienza che possiamo avere.

Nell’Eucaristia, Gesù non ci consegna la fisicità materiale del suo corpo – ora pienamente trasfigurato – (e quale poi? Quello di bambino in braccio a sua madre, quello di adolescente nel Tempio, o quello di giovane predicatore?), ma la sostanza del suo corpo, ricevuto totalmente da Maria, che gli ha permesso di condurre la sua esistenza terrena.

Inoltre, secondo il suo intendimento ebraico, quando Gesù parlava di corpo, intendeva tutta la realtà umana fatta di volontà, emozioni, esperienza, storia e mistero.

Dicendo: «Questo è il mio corpo», indicava la sua persona nella completezza della sua realtà, tanto storica quanto spirituale.

Ma questo è un altro aspetto su cui indagheremo, a Dio piacendo, la prossima volta. Per ora, soffermiamoci a contemplare questa realtà della presenza eucaristica di Gesù vero, nato dalla Vergine madre e a noi donato nel consumarsi dei giorni.
                                                                                                 
D. Giuseppe Pelizza SdB


RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2005-3
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