VANGELO DI MATTEO :
MORTO, SEPOLTO E RISORTO

Narrando il secondo viaggio di Paolo, abbiamo ascoltato una sua catechesi alla comunità ebraica di Antiochia di Pisidia (At 13,16-41). E siamo rimasti stupiti che, parlando di Gesù, non abbia detto nulla delle molte rivelazioni avute, ma si sia totalmente affidato alla “Tradizione Apostolica”, cioè alla testimonianza di coloro che «sono saliti con lui dalla Galilea a Gerusalemme e che ora sono i suoi testimoni davanti al popolo» (At 13,31).

Il suo discorso su Gesù è tutto centrato sulla passione, morte, sepoltura e Risurrezione. Sono questi eventi che lo porteranno a pronunciare il suo atto di fede: «Cristo è morto per i nostri peccati secondo le Scritture e fu sepolto; è stato risuscitato al terzo giorno secondo le Scritture e si è fatto vedere a Cefa, Pietro» (1 Cor 15,3s).
Ora, vediamo come uno dei Dodici, Matteo, narra questi eventi e mette in evidenza come siano avvenuti secondo le Scritture. Non li percorreremo tutti, ma solo dall’incoronazione di spine in poi (Mt 27,32 - 28,20).

Gesù coronato di spine (27,27-31)

«I soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e gli radunarono attorno tutta la coorte. Spogliatolo gli misero addosso un manto scarlatto e, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo, con una canna nella mano destra; poi, mentre gli si inginocchiavano davanti, lo schernivano dicendo: “Salve, re dei Giudei” e, sputandogli addosso gli toglievano di mano la canna e lo percuotevano sul capo. Dopo averlo così schernito, lo portarono via per crocifiggerlo».
Fissiamo lo sguardo su Gesù. È l’immagine di un re: oltre il manto e la corona di spine, in Matteo c’è anche la canna, simbolo dello scettro. Il suo viso però è sanguinante e coperto di sputi. Perché Gesù sta spargendo il suo sangue, come aveva detto: «il mio sangue versato per voi in remissione dei peccati». Ricordando questo e leggendo gli scherni alla luce di Isaia 50,5-6; 53,7, sappiamo che Gesù sta compiendo il suo servizio: «dare la vita in riscatto per molti».
Egli compie la salvezza passando attraverso la massima umiliazione: la sua vita pubblica è iniziata con un atto di umiltà, mischiandosi ai peccatori, là nel Giordano: la sua vita terrena finisce nella massima umiliazione:

«Disprezzato, reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima, eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze... è stato trafitto per le nostre iniquità» (Is 53,3-4). È così perché vuole. Non ha chiamato a sua difesa dodici legioni di angeli; lo poteva fare, ma non ha voluto. Non ha voluto camminare sul sangue degli altri; lascia che camminino sul suo sangue: «Beati i miti, i non violenti, perché possederanno la terra». Già questo dice che Gesù vincerà.

A questa immagine di Gesù, mettiamo sullo sfondo i segni della gloria e della Risurrezione, come certamente lo contemplava la comunità di Matteo, ma non mettiamogli una corona d’oro, lasciamogli i segni della sua regalità, quella del servizio, come voleva San Francesco d’Assisi. Questi segni dicono che solo lui ha dato la vita per il suo popolo e che non è come i potenti di questo mondo che per salvarsi mandano gli altri, soprattutto i giovani, al macello. Gesù non ha agito così. Perciò non mettiamo la sua immagine accanto a quella dei potenti di questo mondo. Sarebbe insultarlo di nuovo. E ora seguiamolo sul Calvario.

Il Crocifisso (27,33-37)

«Giunti al Calvario gli diedero da bere vino mescolato con fiele. Egli lo assaggiò, ma non ne volle bere. Dopo averlo crocifisso, si spartirono i suoi vestiti tirandoli a sorte». Un dato è subito evidente: Matteo non descrive la crocifissione, si limita a dire “dopo averlo crocifisso”, non gli interessa la crocifissione in sé; essa è un peccato, non è un atto di salvezza. A lui interessa “il Crocifisso”, colui che è stato appeso alla croce. Questo spiega il nostro titolo e il lettore deve fissare lo sguardo su Gesù e non su quello che fanno a Gesù: è lui che realizza la storia della salvezza. Perciò la domanda fondamentale è: Come si comporta Gesù?

«Gli diedero da bere vino mescolato con fiele; lo assaggiò ma non ne volle bere». La parola “fiele” unita alla parola “aceto”, che verrà usata dopo (27,48) è un richiamo al Salmo 69,22: «Nel mio cibo hanno messo fiele e quando avevo sete mi hanno dato aceto». Subito dopo si cita il Salmo 22,19: «Si divisero le sue vesti tirando a sorte su di esse». Il lettore è abituato a questo modo di esporre e, quindi, percepisce la fede della comunità che sa di ascoltare non una storia qualsiasi, ma un evento che si compie secondo le Scritture, cioè un evento salvifico. Il morire in Croce di Gesù è storia di salvezza, è in lui e solo in lui che si compie la salvezza umana.
L’immagine di Gesù è ancora arricchita dal fatto che quando gli diedero quel vino mescolato con fiele, non ne volle bere. È la settima volta che Matteo usa il verbo “volere” con soggetto Gesù e sempre indica che Gesù vuole compiere la volontà del Padre, cioè la salvezza e qui Gesù vuole essere coscientemente fedele sino in fondo a quella totale donazione di sé agli altri che è “riscatto per i molti” (20,28) e “perdono dei peccati” (26,28).

Gesù insultato (27,38-44)

La seconda scena è una rivelazione ancora più evidente. La notizia che due malfattori sono stati crocifissi con lui, ripetuta due volte (vv. 38 e 44), fa da cornice all’intera azione ed è un richiamo a Isaia 53,12: «Tra i malfattori fu annoverato». L’avevano già percepito alcuni antichi amanuensi che la introdussero nel passo parallelo di Mc 15,28 e che in Luca è citata tra le profezie fatte da Gesù (22,37). All’interno di questa cornice ci sono due implicite citazioni del Salmo 22. I passanti lo insultano “scuotendo la testa” (v. 8); i gran sacerdoti, i dottori della Legge e i capi del popolo si burlano di lui, dicendo: «Ha confidato in Dio, lo liberi lui se gli vuole bene» (v. 9). Quella che viene descritta è storia di salvezza, anche se a prima vista è solo una scena di atroci insulti. S’insulta il potere che Gesù ha preteso di avere e ciò che lui pretende di essere. Anche in Marco è così, ma le modifiche di Matteo e l’aver aggiunto due volte il titolo “Figlio di Dio”, rendono gli insulti ancora più duri e sferzanti.

I passanti ridicolizzano la sua capacità di distruggere il Tempio e di ricostruirlo in tre giorni e aggiungono: «Salva te stesso. Se sei il Figlio di Dio scendi dalla croce». I capi dicono: «Se è il Re d’Israele, scenda dalla croce e gli crederemo». La formulazione delle frasi in Matteo è simile a quella delle tentazioni. Il lettore sa che Gesù ha vinto le tentazioni rinunciando a un messianismo spettacolare e ora le vince di nuovo, rinunciando a scendere dalla croce. Non vuole scendere dalla croce, vuole continuare nel suo servizio, per vivere di ogni parola che esce dalla bocca di Dio.

Lo insultano dicendo: «Ha salvato gli altri, non può salvare se stesso?». Anche il più piccolo nella comunità di Matteo ha la risposta pronta: «Non può perché non vuole, se volesse chiamerebbe dodici legioni di angeli, ma come si compirebbero le Scritture?». Ed eccoci al culmine degli insulti. Solo in Matteo si mette in ridicolo l’atteggiamento di fondo di tutta la vita di Gesù, la sua fiducia in Dio. Ma lui si fida lo stesso di Dio: «Ha confidato in Dio: Dio lo liberi se gli vuole bene. Ha detto infatti: “Sono Figlio di Dio”».

Gesù muore in croce (27,45-54)

Avevano detto ridendo: «Ha confidato in Dio». E Gesù risponde pregando: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». È l’inizio del Salmo 21, che è un salmo di speranza, non di disperazione. È il giusto sofferente che nella sua immensa angoscia si aggrappa a Dio, anche se non riesce a sentirne la presenza, perché la morte, che è l’antitesi della vita, si avvicina. Gesù non ha mai cessato di affidarsi a Dio e di pregare, di avere il coraggio di guardare avanti e di sperare contro ogni speranza. Lo dimostra il fatto che, secondo Luca (23,46), Gesù dice tutta la sua fiducia in Dio con le parole del Salmo 31,6: «Padre, nelle tue mani affido il mio spirito»; e secondo Giovanni, con il Salmo 69,22: la sete di Gesù è compimento delle Scritture ed è anche in Giovanni “sete del Dio vivente” (Sal 42,3), espressione del desiderio di Gesù di essere glorificato presso il Padre.

Hanno osato sfidare Dio: «Dio lo liberi, se gli vuole bene, perché ha detto: Sono Figlio di Dio». Non è solo una citazione del Salmo 21, ma anche un’allusione al libro della Sapienza, dove, con sarcasmi, si descrive la vita del giusto: dà fastidio a tutti perché è un vivente rimprovero. Di lui si dice: «Si vanta di avere Dio come Padre» (2,16) e allora dicono: «Se il giusto è figlio di Dio, egli lo libererà... Condanniamolo a morte, tanto il soccorso gli verrà», (2,18.20). L’autore commenta: «La pensano così, ma si sbagliano; non conoscono i segreti di Dio... né credono alla ricompensa delle anime pure» (2,21-22).

Sul Calvario tutto suona come una sfida a Dio, che l’accetta e risponde: «Si fece buio su tutta la terra». Poi, quando Gesù gridò con voce forte e morì, Matteo dice: «Ed ecco che il velo del Tempio si squarciò da cima a fondo; (continua il solo Matteo) e la terra tremò e le rocce si spaccarono, le tombe si aprirono e molti corpi dei santi che erano morti tornarono in vita». Questo non è un racconto di morte, ma di trionfo della vita. È Dio che sente il forte grido del Figlio che si affida a lui e irrompe in modo definitivo nella storia dimostrando che è sempre stato dalla parte del Giusto. Di fronte a questi eventi, cioè come dice il testo: «sentendo il terremoto e tutto quello che accadeva», il lettore cristiano, abituato al linguaggio biblico, sa che è in atto una grande teofania, cioè una manifestazione potente e gloriosa di Dio.

La storia è davvero al suo punto cruciale: l’antico è spazzato via: «il velo del tempio si squarciò». È Gesù che distrugge il Tempio terreno, quel velo che segnava la separazione da Dio; squarciandolo ci apre la via verso il Padre.
Quanto il Centurione dice: «Veramente quest’uomo era Figlio di Dio», noi ascoltiamo l’atto di fede della comunità cristiana. È la comunità che riconosce in Gesù innalzato sulla croce la vera e definitiva teofania della storia, quella che dà inizio ai tempi nuovi e sono tempi in cui trionfa la vita. Quando Matteo parla dei morti che ritornano in vita: «uscirono dalle tombe dopo la Risurrezione di lui», non intende dire che sono rimasti tre giorni vivi nei sepolcri. Sta facendo teologia e legge in modo sincronico due eventi diversi: morte e Risurrezione. Matteo intende affermare che la morte di Gesù dev’essere intesa come vittoria sulla morte. È la vita che trionfa ed è una vita che trascina tutti coloro che gli appartengono, i santi. Gesù è il vero vincitore della morte: è risorto e vince la morte in ciascuno di noi.

Attorno al sepolcro (27,30-28,6)

Con un simile annuncio, sappiamo già che il racconto della sepoltura non è la fine. L’espressione: «Giuseppe di Arimatea fece rotolare una grande pietra sulla porta del sepolcro e se ne andò via» è solo la documentazione di un atto di fede: “Fu sepolto”. Ma tutti sentono che non è finita. Anche quelli che hanno fatto uccidere Gesù non si sentono tranquilli, e, secondo il solo Matteo, corrono a sigillare il sepolcro e vi mettono le guardie, almeno fino al terzo giorno.

C’è una parola di Gesù che dà loro fastidio. Quando era vivo diceva: «Il terzo giorno risorgerò». Non sanno che la Parola di Dio non può essere incatenata (è un’esperienza viva). Il loro atteggiamento indica “non fede”.
Non così l’atteggiamento delle donne che «alla sera del sabato, alle prime luci del primo giorno della settimana». Così bisogna tradurre 28,1, come si fa in Luca, quando racconta la fretta di metterlo nel sepolcro, perché oramai «si era alle prime luci del sabato» (Lc 23,54).

Le donne, appena iniziò il primo giorno della settimana, cioè alla sera del sabato, andarono a visitare la tomba. Non portano come in Marco e Luca un vasetto di aromi per ungere il corpo di Gesù, ma «vanno a visitare la tomba». È chiaro che sono in attesa del compimento della Parola del Signore. Infatti «vi fu un grande terremoto, perché un angelo del Signore, sceso dal cielo, si avvicinò, rotolò via la pietra e vi si sedette sopra». Poi disse alle donne: «Non abbiate paura. So che cercate Gesù il crocifisso. Non è qui; è risorto come aveva detto».
Nessuno ha visto Cristo risorgere, lo hanno visto vivo dopo la morte. Infatti, «si è fatto vedere a Pietro, ai Dodici e a più di cinquecento fratelli in una sola volta. Si è fatto vedere a Giacomo e poi, dice Paolo, anche a me come a un aborto» (1 Cor 15,5-8).

“Andate” (28,7-10.16-20)

Come incontrare Gesù nella nostra vita? L’angelo dice alle donne: «Presto, andate a dire ai suoi discepoli: È risorto dai morti…». E, mentre esse andavano, «Gesù venne loro incontro e disse: “Rallegratevi... E ora andate ad annunciare ai miei fratelli, che vadano in Galilea; là mi vedranno”». E quando si fa vedere a loro in Galilea, dice: «Andate a fare miei discepoli tutti i popoli». L’incontro con Gesù è possibile se lo annunciamo. Il suo comando: “Andate” continua a risuonare per tutti nella storia, ed è il compito più bello per ogni discepolo.

Preghiamo

Gesù, ora so che davvero mi ami e che fai di tutto per salvarmi. Lascia che fissi su di te, crocifisso e coronato di spine, il mio sguardo e che adorandoti ti dica: Tu sei il mio re, Tu sei colui che regna sovrano nella tua Chiesa. Tu sei un re che non vive, anche oggi che sei risorto, come i potenti di questo mondo, ma metti sempre la tua autorità a servizio di tutti, perché hai versato il tuo sangue per tutti, per liberare
tutti dal peccato e riconciliarli con il Padre. Tu sei la vera guida della mia vita. Fa’ che non lo dica solo a parole ma con i fatti. Amen!

                                                                                          D. Mario Galizzi SdB


IMMAGINI:
1-4: Disegni di G. SCHNOOR - G. B. CONTI, Editrice ELLE DI CI Torino-Leumann
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2005-3
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