AVVENTO 2005:
IL TEMPO DELLA VEGLIA

Come vivere questo tempo di Avvento?

Certamente guidati dalla Parola di Dio e accompagnati dalla Vergine Maria, da colei che nella sua vita ha conservato nel cuore ogni Parola; da colei che in ogni evento ha saputo cogliere il passaggio di Dio; da colei che non ha subito gli eventi, neppure i più ordinari e banali, ma è stata il «sì» costante, la serva, la schiava del Signore, per volontà e per amore.

«Vegliate»

È questa la parola d’ordine all’inizio dell’Avvento. Ci viene chiesto di vegliare. È Gesù stesso che ci consegna questa parola: «Vegliate! State attenti alle vostre lampade...: che non vi manchi l’olio!». Il motivo è nelle ultime parole della Bibbia: «Sì, verrò presto!», e nell’invocazione accorata che segue: «Vieni, Signore Gesù!» (Ap 22,20).

Siamo nella notte, saliamo sul monte con fatica, tra i pericoli, nell’oscurità. La distrazione ci prende facilmente.
Ci sembra a volte che questo «Verrò presto» sia qualcosa di lontano che non debba toccarci. Eppure, quanto ci vuole perché si avveri in fretta questa parola? Pensiamo allo sbigottimento che può provocare l’improvvisa notizia di un tumore maligno...
E chi ci assicura che domani saremo ancora vivi? Ma poi: il Maestro non è forse qui che mi chiama? Proprio ora il Signore non sta già venendo? Proprio ora egli sta bussando alla mia porta!

Molte volte noi crediamo di vegliare ma, in realtà, dormiamo. «Vegliate: – dice la prima lettera di Pietro – perché il vostro avversario, il diavolo, come leone ruggente, va in giro cercando chi divorare...». Pensiamo, ad esempio, a come è facile rompere l’unità, l’armonia in una famiglia, in una comunità. Bisogna stare all’erta, bisogna pregare per conoscere le trame del nemico e avere la forza di bloccarle. Senza la preghiera assidua, senza il silenzio, non è possibile vegliare. È così facile uscire dallo stato di preghiera ed è così faticoso entrarvi!
Vegliare significa anche guardare la morte con occhi nuovi, non più con paura; significa attendere la festa, significa vivere da pellegrini, da poveri, non disprezzando le creature ma sentendo in ogni creatura una voce che ci ricorda la festa di Dio a cui siamo chiamati...

«Sentinella, quanto resta della notte?»

La vita è una lunga notte di attesa. E c’è chi ha il compito di scrutare nell’oscurità: siamo noi i cristiani, sentinelle poste da Dio per essere annuncio dell’aurora; anime a cui gli uomini possano rivolgere con fiducia la domanda: «Quanto resta della notte?» per ricevere risposte di speranza.
È notte ovunque. Notte nel mondo, notte nel cuore dell’uomo. Lo smarrimento è il pane quotidiano. Quante persone in questo momento sono nell’angoscia, non ne possono più... «Sentinella, quanto resta della notte?» (Is 21,11).
«Verrà, verrà presto! Vegliate! Vegliate e pregate. Se indugia aspettalo: la Sua venuta è certa come l’aurora!».
Siamo veramente per i nostri fratelli testimoni e messaggeri di questa speranza?

Guardare alla luce

La liturgia dell’Avvento ci spinge a guardare lontano, a indirizzare gli sguardi verso un punto preciso. «Vedo arrivare, come una nube, la potenza di Dio», canta la Chiesa.

Noi siamo definiti dalle nostre attese... «Dimmi che cosa aspetti e ti dirò chi sei!». Avvento è tempo di attesa, ma attesa di che cosa? Che cosa aspetta la nostra gente? Aspetta il lavoro, lo stipendio, la carriera, la casa, il fine settimana... Quanti aspettano il Signore?
«Sei tu colui che aspettiamo?», viene chiesto a Giovanni il Battista. Guardare, dunque, aspettare il Signore senza stancarsi, non sprecare il tempo in curiosità e dissipazioni. Ogni distrazione è un «distogliere lo sguardo» («Marta, Marta... una sola è la cosa di cui c’è bisogno...»).

Nelle profezie messianiche si parla molto di luce: «In quel giorno ci sarà una grande luce». Fenomeni luminosi accompagneranno le manifestazioni del mondo divino. La luce, per l’uomo biblico, viene dall’alto.
Una giornata piena di luce ci riempie di gioia. A una condizione: che il nostro cuore sia nella pace; perché se il nostro cuore è nel tormento, nessuna bellezza ci può toccare. È il nostro cuore che ha bisogno di luce, la nostra mente...
Gesù è la nostra luce, Gesù è la nostra pace, la nostra gioia «Camminiamo nella luce del Signore» (Is 2,5). Diamogli la gioia di vincere prima di tutto le tenebre del nostro cuore.

Vincere la paura

Dal deserto sta per giungere una voce: «Preparate la via al Signore. Ogni valle sia colmata, ogni monte e colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano» (Is 40,4). È il profeta Isaia, richiamato da Giovanni il Battista l’amico dello Sposo. Giovanni è pieno di gioia perché lo Sposo è vicino.
Preparare è proprio di chi ama. Mettere in ordine, fare pulizia come si fa alla vigilia di una grande festa. Non è triste chi prepara. Chi prepara è sveglio e pieno di attenzioni; non sopporta nulla di fuori posto e il suo pensiero è tutto rivolto alla persona attesa.

Il contrario di questo atteggiamento è la tiepidezza. Il cristiano tiepido è una contraddizione vivente: la sua vita nega ciò che egli è. Non si tratta di grandi peccati ma di un atteggiamento di accettazione del proprio egoismo che si cerca di soddisfare appena possibile. Allo slancio di amore sacrificato verso Dio e verso i fratelli si sostituisce la ricerca del proprio comodo. L’Avvento ci chiede una seria verifica.
Una verifica che ci permetta di camminare spediti, senza timore. L’obiettivo di Satana è invece, quello di paralizzare, impedire il cammino, essere di inciampo. Quando il tentatore riesce ad introdurre in un’anima lo scoraggiamento il gioco è fatto!

Tra le letture che attendiamo con affetto, nell’Avvento c’è quella del «vermiciattolo di Giacobbe»: «Non temere, vermiciattolo di Giacobbe, larva di Israele; io vengo in tuo aiuto, tuo redentore è il Santo di Israele» (Is 41,14).
Chi vive la vita liturgica, chi segue il lezionario quotidiano, attende con ansia questa lettura da un anno all’altro; aspetta la grazia, la forza che questa parola di Dio porta. Sì, perché c’è una grazia particolare in ogni pagina biblica. La Parola è sempre un intervento concreto di Dio. È Dio che viene a darmi coraggio: «Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia!» (Sof 3,16).
Sento allora la mano paterna di Dio che mi solleva, mi sostiene, mi conduce. E non posso più essere scoraggiato. Nonostante tutto!

Gli annunci profetici di gioia sbocciano sempre in momenti drammatici della storia biblica: “Un tronco secco mette un germoglio...; nel deserto fontane di acqua fresca...; fiori nella steppa...”. L’ora della speranza scocca quando nel mondo si dice che non c’è più speranza. Quando tutto ciò che è umano è in scacco, si fa avanti Dio, Dio in persona, a salvare il suo popolo.
«Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa. Come fiore di narciso fiorisca; sì, canti di gioia e con giubilo. Le è data la gloria del Libano. Lo splendore del Carmelo e di Saròn» (Is 35,1-2). Così canta il profeta Isaia. Guardando il mondo e guardando noi stessi, troviamo mille motivi per scoraggiarci. Guardando Dio, ascoltando la sua Parola, troviamo mille motivi per scoppiare di gioia!

Avvento, tempo di accoglienza

«Stilleranno dolcezza le montagne». «In quei giorni – dice il Signore – stilleranno dolcezza le montagne e dai colli sgorgherà latte e miele». Si ha quasi vergogna a dire che siamo affamati di dolcezza, di tenerezza... Eppure di dolcezza parla la Bibbia, di tenerezza parlano i salmi... Si tratta di quel fiume dell’Amore divino di cui tutti siamo assetati, senza cui non si può vivere.
La dolcezza (dulcedo ineffabilis) il cui contrario è la rabbia, il sarcasmo, l’isolamento, il ripiegamento.
Latte e miele sono i doni di Natale. Il Bambino di Betlemme è per noi latte e miele: la tenerezza di Dio incarnata.

Forse non è fuori luogo che ci esaminiamo, anche sotto questo aspetto, indispensabile per poter essere in pienezza «segni e portatori» dell’amore di Dio. In questi giorni facciamo nostra l’invocazione della Bibbia:

«Risveglia la tua potenza e vieni!». È un grido. Quante volte nei salmi ci è chiesto di gridare... È il Cristo, con la sua Chiesa, che assume tutto il grido dell’umanità sfinita e bisognosa di salvezza. Chi sta bene, certo, fatica ad entrare nella dinamica dell’Avvento. Per questo il salmista dice che «l’uomo nella prosperità non comprende».

Occorre entrare nel dramma della storia umana, della fatica della vita... Canti queste parole, dunque, solo chi si sente di cantarle con verità, chi desidera con tutto il cuore di essere assunto nel grande grido che Cristo e la Chiesa, sua sposa, alzano al Padre.

Esaudimento della fede

Il Messia verrà nella notte, ma la sua è «Una notte più chiara del giorno». Come uno squillo di tromba nel cielo di Israele, la promessa di un intervento solenne e potente di Dio percorre i secoli, ed è sempre là. Ogni mattina gli umili del Signore ascoltano questa voce e attendono con fede incrollabile il giorno del Signore:

«Non sarà tolto lo scettro di Giuda – aveva detto Giacobbe morente – finché verrà colui al quale appartiene. A lui l’obbedienza dei popoli» (Gn 49,10).

Un piccolo resto attende l’ora di Dio: la notte in cui spunterà il Sole di Giustizia; la notte più chiara del giorno, in cui usciranno saltellanti come vitelli di stalla i cultori del nome del Signore; la notte in cui la figlia di Sion esulterà nel Signore suo Dio. «Non temere, piccolo gregge...», ci ripete Gesù.

L’atteso è «Uno a cui appartiene lo scettro di Giuda». Un sovrano, dunque, un re: è l’atteso delle genti. Lo aveva indicato così anche uno strano personaggio, un indovino dell’Eufrate, chiamato per maledire il popolo di Dio e costretto da una forza misteriosa a benedire. Rileggiamo questo oracolo davvero suggestivo: «Come sono belle le tue tende, Giacobbe, le tue dimore, Israele! Sono come torrenti che si diramano, come giardini lungo un fiume. Io lo vedo, ma non ora. Lo contemplo, ma non da vicino. Una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele» (Num 24,5-6.17).

La stella nell’antico oriente è segno di un Dio. Si tratta dunque di un sovrano-Dio, un re-Dio.
Ricuperiamo in modo giusto i simboli natalizi. Se metteremo una stella nei nostri ambienti, pensiamo, guardandola, a Colui che quel segno rappresenta. Ogni luce di Natale è un bagliore di quell’unica stella.

Concludiamo queste riflessioni guardando ancora una volta a Maria di Nazareth, nella quale contempliamo la fioritura, lo spettacolo cantato dal profeta. Maria è la figura centrale dell’Avvento, colei che è beata perché ha creduto. In Maria c’è solo splendore: è un giardino chiuso, tutto per Dio, recintato, con fiori e fontane. Il segreto di questo suo splendore, di questa sua beatitudine, lo sappiamo, sta nella sua umiltà, nella sua obbedienza, nel suo sì.
Ci aiuti, Maria, ad andare incontro al Signore dicendo ogni giorno il nostro sì, con la sua stessa generosità e con la sua stessa fede.
                                                                                            
Domenico Rosso sdb


IMMAGINI:
1
  Andreas Lothar / L’Avvento è il tempo in cui si attende Colui che deve venire e se ne prepa-
ra la venuta. Mentre, tutto nella storia umana è relativo e probabile, la venuta di Cristo è invece l’unico avvenimento che deve capitare quale compimento della creazione.
2  Molti possono essere i segni che Dio invia all’uomo per avvicinarlo a Sé. Come riconoscerli? Essi suscitano in noi una sana inquietudine mentre il cuore prova un generoso appagamento nella sua ricerca.
3  Lanciare lo sguardo oltre i limiti dell’angusto spazio della nostra vita. Sollevare gli occhi nell’attesa di Colui che venendo sarà per noi festa. Questa è la sfida dell’Avvento, è la sua proposta di pace all’instabilità odierna.
4  Andreas Lothar / Accogliere Cristo significa non restare indifferenti alla ricchezza della sua povertà.
 Andreas Lothar / Pura e sincera deve essere la luce di Cristo che brilla nel cuore dei credenti.

6  Luigi Zonta SDB / Il Bambino di Natale è la tenerezza di Dio incarnata che desidera vedere il mondo attraverso i nostri occhi e abbracciare gli altri uomini con le nostre mani.
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2005-11
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