NATALE 2005:
REGALIAMOCI DIO
Per tutto lanno
si sgomita a destra e a sinistra per arraffare, prendere, sgraffignare.
Poi, improvvisamente, giunge il Natale. Come dincanto,
sintroduce un rito, quello dello scambio dei doni, unespiazione
collettiva, dello spazio di un giorno, in cui tutti avvertono
la vocazione alla generosità, quasi dovessero restituire
quanto nel corso dellanno, anche solo in modo distratto,
hanno sottratto, non necessariamente ad un altro dal volto conosciuto,
ma sottratto alla vita, al senso del dovere, a quellobbligo
verso il tempo che ci vede tutti piccoli e debitori. Un modo
per esorcizzare la paura, per allontanare un senso di colpa,
indistinto ma presente e per questo, forse, più inquietante.
Il Natale diventa consumismo
cieco e crapulone quando anche questo elemento, che, se non altro,
obbliga a tener conto degli altri, di un altro a cui rivolgersi
per sorprenderlo con un gesto, un pensiero, un pacchetto, viene
cancellato. Lentamente cancellato. Al suo posto, sintroduce
la novità del regalarsi. In una società
centrata sullavanzamento, da carica dei bersaglieri, del
proprio incomodo io, Natale è il momento in cui sentiamo
che possiamo regalarci qualcosa che avevamo desiderato: «A
Natale, regalati
». Così, quello che rimaneva,
almeno come resto archeologico, della generosità, viene
seppellito nella tomba dellesaltazione della propria immagine
e del proprio edonismo. Anche a Natale: esisto per me e per me
solo. Devo celebrare la venuta al mondo del mio io.
E gli altri? Respirano per affermare la mia importanza
e la mia notorietà.
Così
la festa si consuma in un delirio solitario e rapidamente si
svuota, poiché la festa, per propria natura, richiede
la presenza degli altri in quanto non si può far festa
da soli. Per questo è facile che il Natale si tramuti
per molti in unoccasione di solitudine e di monotonia,
forse fino a rifuggirne, irritati.
La cura però, prima ancora dessere religiosa, va
dispensata modificando le relazioni e rettificando le aspettative.
Nelle nostre società opulenti, luomo ha smarrito
il senso della meraviglia e della magnificenza. Vi è una
corsa al farsi notare, allapparire, al comparire. Ad essere
conosciuti e riconosciuti, ma si è persa la tensione al
bello e al magnifico. Secondo il filosofo greco Aristotele, magnifico
è colui che compie qualcosa per pura liberalità,
invitando gli altri a goderne.
Magnifico è colui che
sa sottrarre, allambito del puro utilizzo economico, il
tempo e le cose e, sfuggendo alla legge del contraccambio, si
libera dalla nevrosi della produzione, dellaccumulo, del
laborare necesse est, vivere non necesse.
Luomo autentico sa essere magnifico in quanto coglie la
festa non come occasione di ostentazione, ma come tempo strappato
al lavoro e offerto agli altri e, di conseguenza, anche a Colui
che è la radice prima della sua esistenza. Questo uomo,
dalla sua condizione di autenticità in quanto realmente
relazionato agli altri, può così aprirsi allAltro.
Luomo religioso sa di
essere religatus, ossia legato al dovere di rendere qualcosa
che potrebbe ben utilizzare altrimenti e farne offerta, anzitutto
del tesoro del suo tempo, offrendolo a Chi è il Signore
del tempo.
Questa perdita della magnificenza non è che il primo dei
mali. Ve nè un altro, deducibile dallatteggiamento
di sufficienza con cui luomo odierno guarda al presepe.
Per lui, che si crede adulto, il presepe è cartapesta,
lampadine, qualche angelo di cartone. Paccottiglia devozionale.
Ma questo è solo prosciugamento dello spirito di meraviglia.
Inaridimento dello stupore e della riverenza di fronte al sempre
rinnovato mistero dellesistenza. Lo spirito di meraviglia
è segno di giovinezza. Non è forse vero che oggi,
molti sono stanchi di vivere e non trovano più slancio
nel dipanarsi dei giorni?
La spontaneità e la gioia di chi non cessa, da adulto,
di stupirsi di fronte allo spettacolo inesauribile della vita,
vive in segreta intesa con la reverenza e la gioia che abbiamo
cominciato a provare da bambini scorgendo, la mattina presto,
dalla fessura della porta la luce della grotta del presepe con
i regali intorno. Lì, in quel momento del nostro passato,
abbiamo iniziato ad accumulare il tesoro della meraviglia, che
nellora del non-senso e del dolore ci è stata utile.
Il Natale con i suoi riti fonda
la memoria di un individuo e la sua identità. Privare
il bambino di questo stupore, significa negargli lo spessore
della sua individualità e impedirgli di comprendere che
il nostro guaio non sta nel fatto che il mondo abbia cessato
di dare ma nel fatto che noi abbiamo perso la capacità
di apprezzare.
Non neghiamo a noi e ai nostri bambini la gioia di scoprire davanti
al presepio che la vita è il luogo di eventi attesi e
meravigliosi che rapiscono per il loro apparire solo che
abbiamo gli occhi per vederli come il bimbo che non vede
solo una candela ma una stella, non una decorazione ma un angelo.
Perché il Natale apre alluomo la via della meraviglia
di sapersi accompagnato nellincedere dei giorni da Dio
e da Dio che si è fatto uomo. Questo è il più
grande regalo che possiamo farci: a Natale, regaliamoci Dio.
Giuseppe Pelizza SDB
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2005
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VISITA Nr.