LIBERTA' E OBBEDIENZA
«Il bene più inestimabile conquistato dall’uomo attraverso tutte le sue sofferenze e le sue lotte, e nonostante tutti i suoi pregiudizi, è l’idea che non esiste una verità divina; che tutte le verità che non ci vengono da noi stessi sono una menzogna e che se Dio in persona apparisse un giorno agli uomini, il loro primo dovere sarebbe quello di rifiutargli obbedienza e di considerarlo eguale a noi e non già un Padrone a cui dobbiamo sottometterci». Così parlò alla Camera dei Deputati francese, un tal Jaurès, ormai caduto anche lui nel dimenticatoio della storia, l’11 febbraio del 1895, nel quarantacinquesimo anniversario delle apparizioni della Madonna a Lourdes. Nella schiuma del suo orgoglio, il poveretto si è dimenticato di dire che la sua argomentazione non era affatto nuova. Già nel Vangelo stava scritto che i vignaioli avrebbero ucciso il figlio del padrone della vigna per impossessarsi della proprietà (cf Mt 21,33-46).
Da sempre l’uomo ha tentato di sostituirsi a Dio. Oggi questa ambizione si è fatta meno appariscente e chiassosa. Ma non per questo è scomparsa. L’uomo odierno gioca a fare Dio, facendo finta che Dio non esista, si sente padrone incontrastato del creato, signore assoluto della storia. Ma tutto ciò conduce solo a due immediate conseguenze.
La prima è che se l’uomo vuole disincagliarsi da Dio è perché si sente creatura e questo abito gli va troppo stretto. Ed è proprio questo suo desiderio di rimpiazzare Dio che lo costringe ad ammettere che lui in fondo è solo una creatura.
La seconda conseguenza è che illudendosi di essere l’unico sovrano del mondo diventa automaticamente irresponsabile del suo operato. Responsabilità significa rispondere a qualcuno di ciò che si compie. Ora, se l’uomo non ha nessuno a cui rendere conto, vuol dire che lui è un despota in quanto non riconosce al di sopra di sé nessuna autorità. Questo essere completamente slegato da qualunque riferimento a lui superiore, lo rende libero di compiere ciò che vuole, ma anche sfrenato nel perseguire i propri obiettivi, senza alcuna remora se non quella illusoria della maggioranza democratica.
Questo lo conduce inevitabilmente a comportamenti le cui conseguenze saranno pagate amaramente da altri. E questa è la somma ingiustizia. Da un lato si afferma che la libertà propria termina là dove inizia quella altrui, e dall’altro ci si comporta come se l’altro mai esistesse. Così si compiono azioni che avranno ripercussioni sulle generazioni future le quali sicuramente non desiderano pagare per i nostri errori.
L’uomo che si svincola da Dio rifiuta anche di cercare la propria perfezione poiché questa è Dio stesso che è la realizzazione piena, poiché infinita, dell’uomo. Questo rifiuto della propria pienezza non farà altro che costringere l’uomo a ripiegarsi su se stesso e a identificarsi con il proprio smisurato orgoglio ma nello stesso tempo avvertirà che il proprio io gli è troppo angusto e piccino e non lo sazia più, e non avendo altro di cui cibarsi, cade in un terribile vuoto, dando così origine allo svuotamento di senso e di bellezza che pervade ogni ambito del vivere e che colpisce la componente più raffinata della dimensione umana: l’arte e l’aspetto più nobile della creazione: la donna.
L’uomo svincolato da Dio smarrisce il senso della bellezza e si decompone nello smembramento della realtà non riuscendo più a riportare l’esistenza in un tutto unico che la comprenda e la spieghi.
Orgoglio e disperazione sono i due poli fra i quali si dimena l’uomo la cui esistenza s’infiamma solo nella spasmodica ricerca del piacere quale unico sedativo alla brama prodotta dalla solitudine nel volersi senza Dio.
L’indipendenza cui tanto si aspira per essere autentica e duratura deve sempre poggiare su una dipendenza che la garantisca, la ponga in essere e l’assicuri. Altrimenti essa finirà col riferirsi unicamente al soggetto che l’ha proclamata: l’uomo.
Ma l’uomo è mutevole nei suoi desideri ed incerto nel suo proseguire, per cui la stessa indipendenza non finirà che essere essa stessa incerta e capricciosa producendo disagio e insofferenza del vivere.
L’indipendenza autentica nasce dall’obbedienza la quale non è esecuzione di ordini impartiti da un sergente ma scaturisce dall’amore per l’ordine e la vita. Per comprenderla appieno dobbiamo osservarla nei due momenti caratteristici della vita di Maria. Il primo fu quello in cui lei fece atto di obbedienza alla volontà di Dio dicendo: «Si compia in me la tua volontà» e il secondo fu quando disse ai servi delle nozze di Cana: «Fate tutto quello che Egli vi dirà». Tra questi due fatti s’inseriscono trent’anni, durante i quali Gesù cresceva in pienezza di grazia e di sapienza e stava sottomesso ai suoi genitori. In Gesù anche Dio ha obbedito, fino a farsi conoscere come figlio del carpentiere. Questa sua umiltà era esattamente il contrario di quello che ci saremmo aspettati dal riformatore del genere umano. L’umiltà, la vita nascosta di Nazaret, il dovere quotidiano compiuto per trent’anni sono i mezzi ordinari con i quali Dio ha parlato all’uomo e sono anche la sua contestazione più radicale alla pretesa della donna e dell’uomo di oggi: il successo, la fama, l’orgoglio della ribalta a qualunque prezzo, anche a quello della propria dignità umana.
Per questo, Maria e Gesù, sono per noi modelli di libertà realizzata e di vita piena perché totalmente obbedienti all’amore e alla bellezza del Padre.
                                                                                
 Giuseppe Pelizza
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2004-2
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