LA SALVEZZA DEI NON CRISTIANI
Sovente si dibattono ancora questi due problemi:

1) I non cristiani si possono salvare?
2) Le religioni non cristiane conducono alla rovina,
     o possono condurre addirittura alla salvezza finale?


Qui sembra conveniente presentare solo il pensiero del recente magistero ecclesiastico. Per questo, occorre distinguere diverse tappe.
Fino a Pio XI, morto nel 1939, si trovano concezioni piuttosto negative sulla possibilità di salvezza dei non cristiani, e soprattutto sul valore delle loro religioni. Si parla di loro come di “poveri pagani”, senza distinguere tra i fedeli delle loro diverse fedi, e neppure tra loro e gli atei: essi sono tutti considerati nel rischio della dannazione e le missioni cattoliche sono tese a strapparli dalla potenza del demonio.
Questa concezione, nonostante gli sviluppi dei Papi seguenti, si nota ancor oggi in alcuni fedeli, e persino in alcuni anziani sacerdoti.

La salvezza implicita

Con Pio XII, troviamo un linguaggio più sereno. Il Pastore Angelico non parla ancora del valore delle diverse religioni: ma scrive che la Chiesa «Non ha mai neppure disprezzato la filosofia dei pagani e non l’ha mai neppure respinta, ma ha inteso purificarla da ogni errore ed impurità, e perfezionarla e coronarla con la sapienza cristiana».
Come si vede, non si parla propriamente di religioni, ma si parla con positività di filosofia, arte, cultura.
Ancor più rasserenante il discorso riguardante la salvezza dei singoli. Nella Mystici Corporis, Pio XII non esclude dal Cielo chi si rivolge a Cristo con un certo desiderio o voto inconsci, e approva una lettera del Sant’Ufficio, in cui si chiarisce che tale «voto» o desiderio, per essere salvifico, non sempre dev’essere esplicito: esso può anche soltanto essere implicito, attraverso la buona volontà di conformarsi alla Volontà di Dio.
Papa Giovanni XXIII non compie passi ulteriori, ma abbandona i termini di «pagani» e «infedeli». Egli si rivolge semplicemente ai «popoli che non sono ancora illuminati dalla luce del Vangelo».

Il dialogo

È Paolo VI che deve dirsi il Papa delle religioni non cristiane, perché istituisce il Segretariato per i non cristiani, e incontra i loro rappresentanti. Prima ancora dei documenti conciliari del Vaticano II, egli scrive nell’enciclica Ecclesiam Suam, che il cristianesimo non può rinunciare al diritto di essere l’unica religione vera, ma non rifiuta attenzione e riconoscimento «ai valori spirituali e morali delle diverse religioni non cristiane».
Dopo l’enciclica citata, approva e stabilisce i decreti del Concilio Vaticano II, dove si legge tra l’altro: «La Chiesa Cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni»; «considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine, le quali... non raramente riflettono un raggio della verità che illumina tutti i popoli». E per quanto riguarda le singole persone non cristiane od atee, si legge: «Quelli che senza loro colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa, e che tuttavia cercano sinceramente Dio e con l’aiuto della Sua grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà di Lui, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna. Né la Divina Provvidenza nega gli aiuti necessari a coloro che senza colpa da parte loro non sono ancora arrivati a una conoscenza esplicita di Dio, e si sforzano, non senza la grazia divina, di condurre una vita retta».
La base del discorso conciliare è l’affermazione scritturistica dell’universale volontà salvifica di Dio, per cui la grazia soprannaturale viene offerta a tutti gli uomini.
Infine, il Papa attuale, Giovanni Paolo II, consolida e dilata le prospettive aperte dai suoi predecessori e dal Concilio Vaticano II, pur ribadendo sempre la necessità della religione cristiana (perché voluta da Dio stesso, fatto uomo in Gesù), per chi se ne rende conto.
In base a tutto ciò, come va considerata oggi la necessità dell’azione missionaria della Chiesa?
Il cristiano dev’essere sempre missionario, ma non perché crede che, senza questo impegno, i non cristiani manchino della possibilità di salvarsi; ma perché sa che il sale e la luce del Salvatore, rendono il mondo più umano e questo è di grande importanza per il Regno di Dio. Il missionario, quindi, non deve certo attentare ai veri valori
delle religioni non cristiane, ma deve accoglierli, purificarli e completarli con il lievito evangelico.
Del resto, Gesù ha detto: «Non sono venuto per abolire, ma per dare compimento»: non è questo anche lo scopo dell’azione missionaria di ogni cristiano?
                                                                   
    Antonio Rudoni SDB


RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2004-2
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