LA MISSIONE, OPERA DI DIO
Abbiamo già visto, nell’articolo precedente, come ’opera missionaria di evangelizzazione è affidata da Gesù a tutta la Chiesa: una missione che investe tutti, nessuno escluso. Ma se siamo impegnati tutti noi cristiani in quest’opera di evangelizzazione, ancor più è impegnato Dio! La missione è prima di tutto “opera di Dio”. Senza Dio, noi che cosa siamo in grado di fare?
Nulla: «Senza di Me – ha detto Gesù (Gv 15,5) – non potete fare nulla».

Tutto da Dio

D’altra parte, anche l’adesione alla fede da parte di chi è evangelizzato è più opera di Dio che nostra. «Questa è l’opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato» (Gv 6,29). Insomma, tutto il nostro cammino è nostro, certamente, e dipende dalla nostra adesione di fede; ma questa stessa adesione di fede non ha la sua radice ultima nei nostri cuori, bensì in Dio. Tutto parte dal Padre e dal Figlio e dallo Spirito.
È bene che ci soffermiamo un po’ a riflettere su questo principio molto importante, che è la chiave di volta di tutta la creazione e della redenzione.
Dio è in Se stesso Unità e Fecondità di Vita infinita. L’Amore, per dirlo con le nostre povere parole, consiste nel dare, nel ricevere, nel condividere. Se è amore il dare, è anche amore il ricevere, accettare, accogliere con tutto il cuore; ma il bene di uno non è mai esclusivo di se stessi: intanto io amo, in quanto sono disposto – e gioisco! – a con-
dividere con il mio prossimo.
Balbettando, possiamo dire che il Padre dà, il Figlio riceve, e lo Spirito Santo è la condivisione del Dare e del Ricevere. Una fecondità infinita che spiega il mistero della Trinità; una condivisione infinita che spiega il mistero dell’Unità!
Unità significa che c’è un Dio solo, ma ciò non esclude che all’interno di questo Dio Uno esista una fecondità, che è appunto il dare e ricevere. Il Padre è uguale al Figlio: tutto ciò che è, il Padre lo dà, ed ecco il Figlio: dà tutto, quindi Padre e Figlio, pur essendo distinti, sono un’unica Vita infinita, un unico infinito Amore. Dando e ricevendo, esprimono questo dare e ricevere in un Dono, che chiamiamo lo Spirito Santo: infinito come il Padre e il Figlio. Ripeto: i nostri, i miei, sono poveri balbettii, perché – per dire esattamente e totalmente Dio – bisognerebbe essere Dio!

A immagine di Dio

Quando Dio crea l’essere umano, lo vuole forgiare “a sua immagine e somiglianza”, e per questo lo crea maschio e femmina: perché ci sia un rapporto di amore tra le creature, un dare e un ricevere e un condividere; questo lo vediamo a partire dal matrimonio e dalla famiglia, ma deve svilupparsi in tutta la realtà umana e in tutta la storia. Anche i problemi immensi della vita politica, economica, culturale, insomma, “della pace nel mondo e a tutti i livelli”, sono racchiusi nella capacità dell’uomo, di ogni uomo, a dare, ricevere e condividere.
Per questo, il Figlio di Dio si è fatto uomo: perché ci fosse un uomo capace di dare, ricevere e condividere in pienezza. Ma un tale uomo doveva avere in sé la stessa carica di Dio: questo è il senso dell’Incarnazione: il Figlio si fa uomo, per fare entrare nell’umanità la capacità del ricevere, per poi dare e condividere. In Dio, tutto comincia dal dare (il Padre), mentre nella creatura tutto comincia dal ricevere.

Le dimensioni dell’amore

La missione, nella vita della Chiesa, è racchiusa in questo triplice modo di amare, in queste tre dimensioni dell’unico amore. Ogni cristiano è missionario nella misura in cui dà tutto se stesso, sa ricevere dagli altri (anche dai pagani, anche dagli extracomunitari, sì!), e infine sa condividere. Dovremmo ogni sera esaminarci sul modo in cui abbiamo vissuto queste tre dimensioni lungo la giornata.
Ma nella misura in cui viviamo le tre dimensioni dell’amore, in quella misura noi non siamo tanto protagonisti, quanto “opera di Dio”. È Dio che in noi ama, riceve e condivide! Non è stupendo tutto questo?
Anche il fine – potremmo dire: la conclusione – della missione si attuerà quando, nella vita eterna, saremo tutti, in Gesù Cristo, partecipi dello stesso dare, ricevere e condividere di Dio!
Il ricevere, per noi, è alla base di tutto e consiste principalmente nel credere: cioè nell’accogliere il dono di Dio e farlo nostro in pienezza di intelligenza e amore. Credere non consiste solo in un ragionamento (riconosco che esiste Dio, che esiste Gesù) ma è anche atto di amo-
re: mi sento amato, creato, santificato da Dio e chiamato a condividere la sua stessa Vita nell’eternità!
Se noi per primi non ci lasciamo affascinare in questo ricevere, se non
ci sentiamo interamente occupati e pervasi da Dio Amore, come possiamo dare? Ci limiteremo a dare delle nozioni, a imbottire dei cervelli, ma non a trasmettere Dio nel cuore altrui! Se Dio non è in noi, il nostro lavoro è sterile, inconcludente. Questo spiega l’insuccesso di tante imprese, apparentemente apostoliche ed evangelizzatrici, ma prive del dono di Dio.

Ricevere per condividere

Quindi, primo compito del missionario è fare spazio a Dio nel proprio cuore, accoglierlo fino in fondo, in perenne atteggiamento di ascolto, di contemplazione, di adorazione e di ringraziamento. Solo a partire da lì, Dio entra in noi e – essendo in noi e operando in noi – trasmette ad altri il Dono. E noi, così, ci facciamo alleati di Dio: prima nel ricevere e quindi nel dare, e infine nel condividere. La missione è, pertanto, un’opera tutta di Dio e – per parte nostra – un’azione mistica. I più grandi missionari sono infatti i mistici.
Proviamo pertanto a sentire Gesù presente in noi, che bussa al nostro cuore. E nella nostra preghiera quotidiana – di ascolto, fede, accoglienza, contemplazione e infine domanda – facciamogli spazio, e sarà Gesù stesso a donarci il suo Spirito e a ispirarci ciò che dobbiamo fare e ciò che dobbiamo dire.
* * *
La missione, essendo principalmente un’opera di Dio, che esige la nostra adesione, non possiamo incapsularla in parole, programmi, attività, documenti... Sì, tutto questo è necessario, ma ha bisogno dell’impulso divino, e questo impulso divino entra nella vita della Chiesa, in quanto trova cuori umili, generosi, disponibili, preparati a ricevere, ad assimilare il Dono divino; e così, ma solo così, il Dono si fa visibile e – diciamo pure, ma in senso buono – “contagioso”! Dio si diffonde nei cuori, e noi – che splendida vocazione! – ne siamo gli umili ma efficaci trasmettitori, facendo così nostre le parole di San Paolo: «Non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me! » (Gal 2,20).
                                                                             
Don Rodolfo Reviglio


RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2004-3
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