MISSIONE: VITA DELLA CHIESA / 4 :
ANNUNCIARE CRISTO DA 'INNAMORATI'
Quando – con Martin Lutero, con Calvino e con i fautori della “Riforma” – si misero in discussione i dogmi della Chiesa cattolica, la prima e suprema preoccupazione del Papa e di tutti i cattolici si concentrò – giustamente – sulla difesa della fede (non entriamo qui nel campo estremamente delicato delle questioni che portarono alla Riforma e alla Controriforma: le lasciamo agli storici e ai teologi; oggi, con molta buona volontà da parte di tanti, cattolici e protestanti, si sta cercando di giungere ad una ricognizione della verità e ad una riconciliazione).
Certo, al Concilio di Trento la preoccupazione maggiore fu – giustamente! – quella di salvare l’integrità della dottrina. Quella preoccupazione continuò nei secoli successivi, e se ne videro le conseguenze in un sempre più attento esame degli scritti e della predicazione di pastori e teologi, nel timore che si aprissero nuove interpretazioni della Scrittura, nuovi insegnamenti, nuove deviazioni dalla fede custodita per quindici secoli.
Queste preoccupazioni, sia a livello della Chiesa universale e del Papa, sia a livello dei Vescovi e dei teologi, erano più che giustificate; la ripercussione si vide soprattutto nei seminari, dove venivano preparati i futuri annunciatori del Vangelo. La Santa Sede si premurò di garantire fin dagli inizi degli studi la fedeltà alla dottrina della fede. Tutto questo va bene, e ringraziamo il Signore che ci sia stata – in questi ultimi cinque secoli – una costante attenzione a salvaguardare il dono della fede rivelata.
Ma, come succede in tutte le cose umane, le giuste preoccupazioni per salvare un bene, possono creare come conseguenza, senza che subito si noti, una minore attenzione ad altri valori. Dai dogmi proclamati al Concilio di Trento si passò al Catechismo del Concilio di Trento. Questo fu insegnato con molta meticolosità nelle scuole di teologia e nacquero, in seguito, altri Catechismi (pensiamo al Catechismo detto di Pio X, che fu imparato anche a memoria fino a pochi decenni fa), tutti preoccupati di tramandare la vera dottrina.

Non dimenticare l’amore

La preoccupazione della dottrina esatta fece concentrare lo sforzo di catechisti e teologi, e pastori (anche in confessionale), sulle verità da credere, sui doveri e le leggi da osservare e Gesù – che, bisogna riconoscerlo, non fu mai dimenticato – venne ridotto quasi solo ad una verità da credere: sapere tutto su Gesù divenne una preoccupazione più che sacrosanta, ma ridotta alle categorie delle affermazioni e dei ragionamenti.
Ancora oggi, in confessionale, molti fedeli si preoccupano di esaminarsi su ciascuno dei comandamenti da osservare e si preoccupano dell’esattezza della confessione; anche qui, tutto bene, ma con il pericolo di dimenticare... chi? Che cosa? Gesù, il suo amore, la sua grazia, la sua passione per la salvezza dell’umanità!
Sembra che io stia esagerando, ma non è vero. La vera evangelizzazione non può, non deve ridursi all’annuncio delle verità, nemmeno all’annuncio delle verità che riguardano Gesù Cristo, il Padre, lo Spirito Santo. Annuncio sì, guai a dimenticarlo. Ma da che cuore parte l’annuncio? Dal cuore di un dotto o dal cuore di un innamorato? Se leggiamo le lettere di San Paolo, troviamo non di rado delle affermazioni molto dotte e talvolta anche un po’ oscure e contorte. Ma vi troviamo soprattutto il grido di un innamorato: “Per me, vivere è Cristo!” (Filip 1,21). “Sono crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me” (Gal 2,19). “Chi ci separerà dall’amore di Cristo?” (Rom 8,35). “Potreste avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non molti padri; io infatti vi ho generati nella fede” (1 Cor 4,15).
Si potrebbe continuare. Paolo era un vero innamorato di Gesù, lo aveva combattuto acerbamente ma, quando fu atterrato sulla via di Damasco, vide Gesù e capì tutto, e da quel momento non si diede più riposo. Sì, ogni cristiano dovrebbe immergersi nella meditazione degli scritti e dei fatti di Paolo, perché imparerebbe a vivere di Gesù, prima ancora che parlare di Gesù...
Ma come fare a “vivere di Gesù” per poi annunciarlo in modo infuocato e portare altri a seguirlo? C’è il pericolo di cadere in forme disincarnate, di falso misticismo; e questo condurrebbe non a conversioni, ma a rifiuti. È qui necessaria una attenta e umile ascesi: è un cammino che va fatto con Gesù stesso, solo lui può accompagnarci e guidarci.

Aprì loro i cuori

Pensiamo un momento all’episodio dei due discepoli di Emmaus, che senza riconoscerlo camminavano con Gesù, parlando dei fatti relativi alla sua morte e crocifissione. Gesù cominciò a interrogarli e li aiutò ad aprire il loro cuore e a dare sfogo ai loro sentimenti: “noi speravamo...”. Poi li illuminò con una riflessione sulle profezie che si erano sviluppate lungo i secoli; ma li rimproverò anche, chiamandoli addirittura “stolti e tardi di cuore nel credere” (cf Lc 24,13-35).
Questi due poveri disperati, mentre per un verso ascoltavano i rimproveri di Gesù (pur non riconoscendolo), per un altro verso si sentivano il cuore ardere in petto, perché le parole del Signore li toccavano fino in fondo al cuore.
L’analisi di quest’episodio ci aiuta a comprendere che, per arrivare al vero e giusto grado di fede e per essere poi capaci di annunciarla e testimoniarla, dobbiamo avvicinarci a Gesù, tramite i Vangeli e le altre Scritture, con la profonda convinzione che attraverso le parole scritte è proprio Gesù che parla a noi, accompagnandoci, stando al nostro fianco: sentire Gesù presente mentre contempliamo e ascoltiamo le sue parole, non può non scuoterci.
Altro è leggere una pagina di un testo scolastico, altro è leggere una lettera dello sposo o della sposa, o di un papà, una mamma, un figlio! Soltanto se meditiamo con umiltà e semplicità – e volontà di convertirci – arriviamo a scuoterci interiormente e il nostro cuore giungerà a capire molto di più e molto meglio, e si infiammerà. Allora, sì, sentiremo il bisogno di comunicare agli altri la nostra fede, il nostro entusiasmo, e il nostro modo di parlare sarà senz’altro convincente e trascinerà chi ci ascolta a cercare anch’egli la parola di Gesù che salva.
Quanto è triste sentire certe letture e certe spiegazioni del Vangelo che sembrano aride lezioni di matematica o di filosofia... Soltanto se ci si è avvicinati con amore e speranza e fede, si arriva alla gioia di “vedere e toccare” Gesù, e quindi di trasmetterlo agli altri.
Questa riflessione che abbiamo fatto ci spiega tutti i successi e tutti gli insuccessi della missione e dell’evangelizzazione. Vengano pure i metodi didattici, ma guai se ci appoggiamo solo su di essi. Sarebbe un tradire il Cuore stesso di Dio!
                                                                       
        Don Rodolfo Reviglio


RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2004-5
 VISITA Nr.