LA LITURGIA DELL'EUCARESTIA

Il centro della liturgia cosmica

L’Incarnazione del Signore e la sua Ascensione hanno reso possibile la comunicazione tra cielo e terra, adombrata nella visione della scala di Giacobbe (cf. Gn 28,12) e preannunciata da Cristo stesso (cf. Gv 1,51). L’Apocalisse, con l’altare dell’Agnello al centro di Gerusalemme che scende dal cielo sulla terra, è l’archetipo del culto cristiano: esso è adorazione di Dio da parte dell’uomo e comunione dell’uomo con Dio. Il Canone Romano nell’invocazione Ti supplichiamo, Dio Onnipotente, menziona “l’altare del cielo”, perché di là scende la grazia di Colui che è il Risorto e il Vivente e si compie il meraviglioso scambio che salva l’uomo.
Cristo è il sacerdote universale del Padre, attraverso la cui umanità, lo Spirito Santo trasmette la vita divina al creato e all’uomo e la porta a perfezione. La natura umana di Cristo è fonte di salvezza, egli è il sommo liturgo e sacerdote.
Secondo gli orientali, la presenza della Trinità conferisce all’Eucaristia la qualità di convegno della terra e del cielo: “la tenda di Dio con gli uomini” (Ap 21,3). Dice San Dionigi l’Areopagita che Dio: “è chiamato bellezza ... perché chiama (kaleí) a sé tutte le cose ... e tutte le raccoglie (synagheí) insieme”. I termini greci sono sinonimi della convocazione ecclesiale. La presenza di Cristo là dove si riuniscono i fedeli per l’Eucaristia rende la terra cielo: “Questo mistero trasforma per te la terra in cielo... Ti mostrerò infatti, sulla terra ciò che nel cielo esiste di più venerabile... Ti mostro non gli angeli, non gli arcangeli, ma il loro stesso Signore...”.
Dunque si può “sperimentare fortemente il carattere universale e, per così dire, cosmico. Sì, cosmico! Perché anche quando viene celebrata sul piccolo altare di una chiesa di campagna, l’Eucaristia è sempre celebrata, in certo senso, sull’altare del mondo. Essa unisce il cielo e la terra. Comprende e pervade tutto il creato”.

Quando l’Eucaristia è validamente celebrata

Il sacramento è “un segno sensibile della realtà sacra e forma visibile della grazia invisibile”. Questa definizione del Concilio di Trento, serve a ricordare gli elementi di cui si compone necessariamente anche il sacramento eucaristico: il ministro, i riceventi e il gesto sensibile.
Quanto agli elementi, il gesto dell’Eucaristia è possibile solo col pane, col vino e alcune gocce d’acqua che esprimono l’unione del popolo santo col sacrificio di Cristo, anche se, per la validità del gesto, l’acqua non è necessaria.
Quanto alla formula, per la fede cattolica, sono essenziali e necessarie solo le parole della consacrazione. Il ministro è il sacerdote validamente ordinato. In modo valido possono ricevere l’Eucaristia solo i battezzati, per i quali, secondo la tradizione latina, è richiesto l’uso di ragione, onde conoscere per quanto è possibile i Misteri della fede e accostarvisi con retta intenzione e devozione. È richiesto anche lo stato di grazia, che dopo il peccato mortale, si ottiene con la confessione sacramentale.
Da tutto questo si comprende che la liturgia non è una proprietà privata da sottoporre alla propria creatività per le celebrazioni comunitarie come anche per quelle con pochi o senza fedeli.

La preparazione alla Comunione

L’Eucaristia è la presenza vivente di Cristo nella Chiesa. L’umiliazione del Signore, lo ha portato a trasformarsi in nutrimento per l’uomo (cf 1 Cor 10,16; 11,23s).
Uno dei simboli tradizionali di questo mistero è il pesce: “... m’imbandì per cibo il pesce di fonte ... incontaminato, che la vergine pura prende e ogni giorno porge agli amici perché ne mangino, con vino eccellente che offre mescolato al pane”, come riferisce la celebre epigrafe di Sant’Abercio, vescovo del II secolo, la più antica di contenuto eucaristico.
Un altro simbolo della donazione di sé è il pellicano: “Pie pellicane Jesu Domine...” esclama San Tommaso d’Aquino nell’inno Adoro te devote. Il mistero dell’incarnazione del Verbo continua nel Corpo eucaristico, pane dell’uomo. Gesù lo ha preannunciato nel discorso di Cafarnao: “Io sono il pane disceso dal cielo...” (Gv 6,41). La sua carne è vero cibo, il suo sangue è vera bevanda (cf Gv 6,55). Nella Comunione eucaristica si alimenta la comunione ecclesiale, la Comunione dei santi; infatti “poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo” (1 Cor 10,17).
L’Eucaristia è il convito pasquale dell’Agnello immolato, Cristo Signore. La piena partecipazione dei fedeli alla S. Messa si compie nella Santa Comunione, ricevuta con le dovute disposizioni esterne ed interne.
Quindi, come non è accettabile l’astensione prolungata per eccesso di scrupolo, così non va incoraggiata la frequenza indiscriminata.
L’esclusione dalla Comunione a causa di peccati gravi è attestata dalle parole stesse dell’istituzione: “sangue versato ... in remissione dei peccati” (Mt 26, 28) e dalle antiche anafore. Ben presto la Chiesa ha richiesto un itinerario per catecumeni e per penitenti; questi ultimi potevano partecipare alla Messa come akoinônetôi (privi di Comunione); per i peccati gravi bisognava ricorrere alla penitenza canonica. Il fatto che molti Padri insistano sulla necessità d’essere degni prova che la richiesta della remissione dei peccati, anche nell’epiclesi postconsacratoria, non è un invito, rivolto ai rei di peccati gravi, ad accostarsi all’Eucaristia senza la previa penitenza. Anche se alla Messa si può partecipare validamente anche senza la Comunione, che è parte integrante del sacrificio, ma non essenziale, tuttavia si afferma che la partecipazione piena al corpo di Cristo non avviene senza una buona disposizione.
La preparazione personale si perfeziona attraverso i riti di Comunione:
Padre nostro: in esso c’è la domanda del pane quotidiano, che è anche il pane eucaristico, mentre “si implora la purificazione dai peccati, così che realmente i santi Doni vengano dati ai santi”. Domandando di essere perdonati, chiediamo di saper perdonare, perché il Regno e la volontà di Dio si compiano in noi e siamo fatti degni di ricevere il Sacramento.
Il rito della pace: lo scambio o saluto della pace, cioè del perdono, che nelle liturgie orientali e in quella ambrosiana si fa prima dell’anafora, nel rito romano avviene prima della Comunione. Il Signore risorto apparve in mezzo ai suoi e offrì la sua pace, approntò, dice San Giovanni Crisostomo, “la mensa della pace”.
L’Eucaristia dona la pace e la salvezza delle anime che è Cristo stesso (cf Ef 2,13-17); egli è stato immolato per pacificare le realtà celesti e terrestri, per vivere in pace con i fratelli. Perciò l’Eucaristia è il vincolo della pace (cf Ef 4,3): “Come la pace stabilisce l’unità tra il molteplice, così l’agitazione divide l’uno in molti”. Infatti “pace... è la Chiesa di Cristo”. Il cristiano, chiedendo la pace, in realtà chiede Cristo: “Chi cerca la pace cerca Cristo poiché egli è la pace”. La liturgia è il mistero con cui la pace di Cristo giunge di nuovo a tutta la creazione.
Le Costituzioni Apostoliche descrivono così il rito del gesto di pace: “I membri del clero salutino il vescovo e, tra i laici, gli uomini salutino gli uomini e le donne le donne”. Il bacio dei fedeli è un’azione sacra, esperienza dell’unità che unisce i fedeli tra loro e con il Verbo. Perciò la pace innanzitutto si implora con una preghiera che chiede anche l’unità per la Chiesa, per la famiglia umana ed esprime l’amore vicendevole con un breve dialogo tra sacerdote e fedeli. Il rito, comunque, non obbliga allo scambio del gesto di pace, che si compie secondo l’opportunità.
In tal caso, come nello stile sobrio della liturgia romana e in quello ricco del rito bizantino, ciascuno lo dà a quelli immediatamente vicini, evitando di lasciare il proprio posto e creare distrazione. Sarebbe opportuno, quindi, disciplinare questo rito per il decoro della liturgia.
Pace è un nome che i primi cristiani davano all’Eucaristia, perché essa significa radunare, superare le barriere, condurre gli uomini in una nuova unità. Con il raduno eucaristico i cristiani, perdonandosi l’un l’altro prima di fare la Comunione, hanno creato condizioni di pace in un mondo senza pace.
Frazione del Pane: questo rito significa che, pur essendo molti, nella comunione del pane spezzato diventiamo un corpo solo. Dice San Giovanni Crisostomo: “Ciò che Cristo non ha patito sulla croce lo patisce nell’oblazione a causa tua e accetta di essere spezzato per poter saziare tutti”. Ma il Cristo pur spezzato non si divide. Dopo la frazione ogni particola del santo pane è Cristo intero. Tutti coloro che si accostano alla Comunione ricevono tutto il Cristo, che riempie totalmente. Nessuna comunità può ricevere Cristo se non con tutta la Chiesa.
Unione delle specie: è un gesto semplice nel rito romano ma dal grande significato, che esalta l’opera dello Spirito, dall’Incarnazione alla Risurrezione del Signore. La liturgia bizantina lo spiega come ‘Pienezza di Spirito Santo’; poi, nel singolare rito dello zéon, versando acqua calda, si dice: ‘Fervore di Spirito Santo’. Ora Cristo risuscita!
– Preparazione personale: è fatta dal sacerdote con preghiere molto belle recitate sottovoce e anche da qualche attimo di silenzio che anticipa quello più disteso dopo la Comunione. È un esempio per aiutare i fedeli nella loro preparazione.

La Santa Comunione

Il sacerdote eleva l’Ostia consacrata come il Corpo di Cristo fu elevato sulla croce, dicendo nella liturgia latina: “Beati gli invitati alla Cena del Signore. Ecco l’Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo”; nella bizantina: “Le cose sante ai santi”. Inoltre “Poiché la comunione ai Misteri non è permessa indifferentemente a tutti, il sacerdote non invita tutti... invita a comunicarsi quanti sono nella condizione di parteciparvi degnamente: Le cose sante ai santi... Egli qui chiama «santi» quelli che sono perfetti nella virtù, e anche quanti tendono a quella perfezione, pur mancandone ancora. Nulla infatti impedisce a costoro, partecipando ai santi Misteri, di esserne santificati”.
L’Eucaristia è il sacramento dei riconciliati, offerto dal Signore a coloro che sono una cosa sola con lui. Per questo fin dall’inizio il discernimento precede l’Eucaristia (cf 1 Cor 11,27s) sotto pena di sacrilegio. La Didaché riprende questa tradizione apostolica e fa pronunciare al sacerdote, prima della distribuzione del sacramento, queste parole: “Se uno è santo, venga; se non lo è, si penta!”. La liturgia bizantina contiene ancora quest’invito. Nella liturgia romana il sacerdote rivolge l’invito alla Comunione e con i fedeli recita “Signore, non sono degno” per esprimere sentimenti di umiltà; la risposta è l’Amen personale di ogni comunicando.
Dalle fonti antiche si evince che la Comunione non si prende ma si riceve, quale simbolo di ciò che significa, cioè Dono ricevuto in atteggiamento di adorazione. Nei casi previsti di Comunione sotto le due specie, nel rito latino,va ricordata la dottrina cattolica riguardo ad essa. Per i riti orientali va osservata
la tradizione secondo i canoni.
Si raccomanda la vera devozione nell’accostarsi a ricevere la Comunione. San Francesco d’Assisi ardeva “di amore in tutte le fibre del suo essere, preso da stupore oltre ogni misura per tanta benevola degnazione e generosissima carità. Si comunicava con tanta devozione da rendere devoti anche gli altri”. E Cabasilas invita a riflettere che “mentre comunichiamo ad una carne e ad un sangue umano, riceviamo nell’anima Dio: corpo di Dio non meno che d’uomo, sangue e anima di Dio, mente e volontà di Dio non meno che d’uomo”.
La realtà del Corpo di Cristo è la sua persona e la sua vita, mistero e verità salvifica da abbracciare, come San Tommaso d’Aquino, con la fede e la ragione.
Infine, la preghiera dopo la Comunione chiede i frutti del mistero celebrato e ricevuto, poiché al conseguimento di essi la Santa Messa è ordinata.

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RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2004-9
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