FEDE e MUSICA:
   
IL TRIONFO DEL TEATRO PROFANO

Nell’ultima puntata si era visto come, gradualmente, dalle rappresentazioni di carattere esclusivamente religioso si pervenne a quelle di carattere profano. Il passaggio non fu brusco, ma notevolmente delicato.

Fu però nel secolo XVI che le rappresentazioni assunsero quel colore decisamente profano che tradusse i miracles e le moralités in sotties (o soties: fatte di pagliacciate, acrobazie, scherzi verbali, canti e satire, il tutto condito da un saporito gergo giuridico).
Questo avvenne nell’àmbito del grande moto intellettuale e artistico sorto in Italia dalla seconda metà del Trecento e diffusosi in tutta Europa fino all’evento, di enorme portata storica, del Concilio di Trento, conclusosi nel 1563. Con tale data, forse, termina il Rinascimento propriamente detto per aprire le porte a quella che viene chiamata l’età moderna.

Ad ogni modo, il Rinascimento si palesò al suo primo sorgere con l’abito dell’Umanesimo, sorto anch’esso in Italia, alla fine del secolo XIV. L’Umanesimo, con una rinnovata attenzione alle discipline morali, civili e letterarie, intese esaltare l’uomo naturale quale si manifestava al suo culmine nell’antichità classica, che andava ricuperata prescindendo però dal suo assorbimento nel cristianesimo.

Nel Rinascimento si ricupera la civiltà classica e la si innalza ad espressione insuperata della pienezza vitale dell’homo naturalis, considerato nel suo valore autonomo. Di qui il suo vocabolario, improntato ai temi della “rinascita” della civiltà e del “ritorno” alla natura e all’antico.
La realizzazione di tale principio spettò alle arti figurative, che, nel giudizio dei teorici cinquecenteschi, il fiorentino Giotto (XIV secolo) fece nascere a nuova vita e Michelangelo (XVI secolo) portò a perfezione.

Guardare agli Antichi

Affinché il nuovo fermento culturale si trasformasse da ideologia di pochi in concezione unitaria dell’uomo e del mondo, fu necessaria la mediazione dell’Umanesimo, come affermazione militante della modernità nell’emulazione degli antichi, sotto il segno del classicismo. Questa nuova cultura pervase ogni campo del pensiero, non solo, ma altresì di ogni espressione artistica anche più modesta. Il suo fondamento unitario, di estrema appetibilità per il compositore di soties come di qualsiasi altra opera letteraria o spartito di più elevato valore, stava nella centralità dell’uomo e nella natura, che si offre a noi nelle sue potenzialità operative all’intelletto umano, il quale si rende addirittura simile a Dio nel conoscerla e perfezionarla.

Tale nozione antropocentrica, sviluppata soprattutto dal platonismo di Marsilio Ficino (1433-1499), alimentò l’ideale eroico dell’etica rinascimentale, fondato sulla tensione verso il compimento della divinità dell’uomo (si pensi a Giordano Bruno, 1548-1600), e fondò anche il canone estetico della misura, ossia la sintesi di natura, come rappresentazione della vita, e arte, come reperimento di un ordine armonico inscritto nelle cose.

Chi ha avuto la pazienza di leggere questo quadro storico, tracciato in modo maldestro, ha ben visto come il terreno per la trasformazione del teatro musicale sacro in teatro musicale profano risulta più che fertile. Così, come si ebbe una rivalutazione del profano nelle arti figurative, la stessa rivalutazione si ebbe nella musica, assegnando a questa piena cittadinanza nel campo delle espressioni artistiche.

La musica naturale

Partendo dunque dall’area spirituale, la musica partecipa alla riscoperta della classicità, cioè al suo naturalismo e alla riconduzione del sacro in limiti appunto naturali. Sulla scia dei modelli fiamminghi, le grandi messe di Giovanni Pierluigi da Palestrina (1525-1594) o del fiammingo Orlando di Lasso (1532-1594), costituiscono monumenti grandiosi all’intelletto umano concepiti con unitaria razionalità. Del resto, sacro e profano sono, anche nel rinascimento musicale, in costante contatto, tanto che fioriscono negli stessi centri artistici, spesso con gli stessi protagonisti.

La musica, come l’arte rinascimentale trova spazio soprattutto nelle splendide corti italiane del Quattrocento e del Cinquecento. In Francia e in Inghilterra la fioritura rinascimentale fu possibile solo dopo la lunga guerra dei Cento Anni e degli sconvolgimenti che ne seguirono. D’altro lato, in Fiandra e in Germania le sorti delle guerre di religione incidono negativamente sulle possibilità di un rinascimento locale.

E anche in Italia la musica si riduce, nella seconda metà del Cinquecento, alle aree aristocratiche superstiti: Mantova, Roma, Venezia. In questo periodo si impone – con la ricerca di un più intenso rapporto espressivo tra musica e parola, elemento, questo, fondamentale nel teatro lirico – una crescente esaltazione del sentimento individuale, con propensione verso gli atteggiamenti “decadenti” del dolore: ormai esauritasi l’arte delle divine proporzioni, subentra ora un’arte orientata verso un naturalismo più sofferto. E anche la prima cospicua letteratura strumentale, quella per organo, fiorita principalmente a Venezia in quegli anni, rinuncia progressivamente all’unità formale tipica della polifonia vocale, fondandosi sempre più sull’improvvisazione, sul repentino mutamento degli stili e sull’esibizione di bravura: caratteristiche già propriamente barocche, che culmineranno all’inizio del secolo XVII nell’opera di Gerolamo Frescobaldi (1583-1643).

I tre grandi

Tre sono le grandi figure di musicisti europei della seconda metà del secolo XVI: in Italia il Palestrina, in Spagna Tomàs Luis de Victoria (1548-1611), nei Paesi Bassi e a Monaco Orlando di Lasso. Attorno a questi eccelsi nomi, che vanno considerati come i veri padri del melodramma moderno, gravita un grande numero di compositori minori o si formano vere e proprie scuole che continuano senza particolari originalità l’opera dei capostipiti.

Nella produzione del Palestrina si contano più di 100 Messe, 2 Stabat Mater, 250 e più mottetti e numerosissime composizioni liturgiche. Famosissima è la Missa Papae Marcelli, scritta in memoria di Papa Marcello II (1555). L’elemento dominante del suo stile è la delicata bellezza delle linee melodiche, nelle quali è evidente l’influsso del canto gregoriano. L’essenza dell’armonia palestriniana sta in un sottile contrasto tra punti di tensione seguiti da altri di serena distensione. Ne risulta una levigatezza di trama che talora può persino sembrare mancanza di personalità. Forse proprio per questa “impersonalità” colpisce la musica del Palestrina: una dolcezza piena di incanto, che sorprende per il naturale e sublime controllo con il quale “parla”.

Orlando di Lasso è uno dei più grandi maestri della polifonia cinquecentesca, e il più versatile. La sua produzione comprende 58 Messe, 550 mottetti e più di 30 inni. Pienamente compreso dello spirito umanistico, come si vede dalle scelte dei testi poetici (Petrarca in primo luogo, Ariosto, Bembo, Sannazzaro e altri) e dal modo con cui li interpretò musicalmente, il di Lasso seppe rendere con pari abilità il pathos del mottetto latino e la frivolezza della chanson francese. In questo compositore il senso del ritmo (e perciò anche il senso teatrale) è più accentuato che in Palestrina, e ciò contribuisce ad animare la sua musica anche quando, come spesso gli accade, l’armonia è semplice.
Restano ora da vedere il musicista spagnolo e i generi musicali del Cinquecento, dai quali prende l’avvio il teatro lirico.

Per ora basti ripetere che la musica è, se è ammesso un tale paragone, un po’ come il Vangelo. Il Vangelo non è il messaggio di una vicenda vissuta: è un progetto da realizzare sempre. Nel Vangelo si vive in cammino, e in cammino di liberazione. Essere credenti vuol dire essere in viaggio, non già insediati in posizioni comode e collaudate. La musica, in qualche modo, ricorda questo senso della relatività e della provvisorietà delle forme storiche della fede. Accogliere tale senso vuol dire respirare negli orizzonti universali del destino dell’uomo.

La prontezza verso il nuovo e la tensione continua verso il perfezionamento – certo impossibile nel nostro esistere, ma doveroso da perseguire – conduce gradualmente a percepire un suono, sia pur flebile, delle “arpe angeliche”, insieme alle quali saremo chiamati un giorno ad unire in eterno le nostre voci.

                                                                                 Franco Careglio


 IMMAGINI:
1  
Angeli
Giovanni Pierluigi da Palestrina. Il suo talento musicale si manifestò fin dall’infanzia. A 12 anni andò a studiare presso la scuola di musica della Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma.
3  Gerolamo Frescobaldi maestro del barocco musicale.
4   Giordano Bruno, nei suoi giorni migliori, indagò sul rapporto estetico quale sintesi delle meraviglie della natura.
5  Orlando di Lasso (1532-1594), uno dei geni della polifonia del Cinquecento.
 Francesco Petrarca (1304-1374) uno degli autori a cui maggiormente si ispirò Orlando di Lasso.


      RIVISTA MARIA AUSILIATRICE  2007 - 1
     
VISITA Nr.