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         FEDE e MUSICA:
     
IL TRIONFO DEL TEATRO PROFANO / 2

La vasta produzione di Pierluigi da Palestrina e di Orlando di Lasso costituisce il fondamento del teatro profano, come si era detto nell’ultima puntata. Tuttavia le loro composizioni continuano ad avere un contenuto e una tonalità essenzialmente sacri, ed oltre alle numerosissime Messe e spartiti liturgici, si hanno centinaia di mottetti e madrigali.

Si tratta di due generi musicali sostanzialmente simili, ma con intenti e provenienze diversi. Entrambi sono basati sulla “polifonia”, vale a dire su di un insieme simultaneo di più suoni, o di successioni combinate di suoni, aventi distinta individualità. La storia della musica occidentale, sia sacra che profana, è fondata proprio sulla polifonia, come risultato del processo di combinazioni di più suoni simultanei. Sulla polifonia quindi si costruirà tutto l’immenso patrimonio melodrammatico mondiale. Il concetto di polifonia si contrappone a quello di monodia, ovvero di una sola voce (anche se con accompagnamento musicale), in quanto questa forma valorizza solo la melodia.

Il madrigale

Storicamente, dovrebbe essere apparso prima il madrigale. Il termine è di origine incerta: ne è stata suggerita la derivazione da mandriale, in relazione al soggetto pastorale dei primi madrigali, oppure da madrigale, cioè “nella lingua madre”. Sono comunque due forme musicali distinte tra loro sia come epoche di formazione che come obiettivi.

Nella prima accezione, il madrigale è una delle forme poetico-musicali della cosiddetta “ars nova” italiana; come le altre forme di quella scuola, esso è uno dei primi esempi di musica polifonica profana, e veniva eseguito, come testimoniano le fonti letterarie, in liete riunioni di giovani, nelle case signorili o all’aria aperta.

Il madrigale di questa accezione fa la sua prima comparsa ufficiale con Giovanni Boccaccio, nientemeno. Infatti nel Decameron, alla fine di ognuna delle dieci giornate, il giovane di turno canta un madrigale, di soggetto amoroso-pastorale. Siamo nel secolo XIV, e tra le forme dell’ars nova, il madrigale è quella che meglio realizza l’ideale di eletta semplicità propria della borghesia fiorentina.

Nella seconda accezione, che si fa risalire al secolo XVI, il termine cominciò ad essere usato intorno al 1530 per indicare componimenti musicali molto simili alla frottola. È molto curioso l’evolversi delle parole e della loro valenza: oggi per frottola si intende un’espressione burlesca e non vera; nel secolo XIV era un componimento popolaresco di vario metro, fatto di pensieri bizzarri, motti sentenziosi, indovinelli che venne a trasformarsi in composizione polifonica vocale e strumentale.

Alla frottola si sostituisce il madrigale che acquista una maggiore dignità perché coinvolge più voci, viene osservato con interesse dai Palestrina e contemporanei e poi da essi stessi ottiene piena cittadinanza artistica. Verso la fine del secolo il madrigale incarna più di ogni altra forma musicale le esigenze di sentimentalità e di espressione degli affetti che caratterizzano il tardo Rinascimento.

Oltre al Palestrina, il maggiore autore di madrigali è Claudio Monteverdi (Cremona 1567 - Venezia 1643), che ne scrisse ben otto libri, rimasti celebri nella musica, di vastità sorprendente, straordinari come invenzione musicale, come soggetto, come allegoria.

Escludendo il madrigale rappresentativo monteverdiano, che viene a costituire un vero e proprio melodramma, il madrigale espresse nei suoi vari stili i più aristocratici ideali del rinascimento musicale, sia per la raffinatezza dei testi poetici, sia per l’elaborazione della scrittura, sia per l’intimo impegno dell’espressione.

Eseguito da pochi solisti che si sedevano attorno a una tavola, ognuno leggendo la propria parte su appositi libretti, il madrigale veniva di norma eseguito per il piacere di chi cantava e di pochi eletti ascoltatori.

Il carattere elitario del madrigale, soprattutto nella sua estrema fioritura, fu avvertito già dai contemporanei, che lo definirono anche musica riservata. Divenne poi, all’inizio del XVIII secolo, melodramma ad ogni effetto, ad esempio con Il combattimento di Tancredi e Clorinda, uno dei capolavori di Monteverdi, rappresentato in casa del conte Mocenigo a Venezia nel 1624. È la prima volta che, nei madrigali, alla forma rappresentativa si unisce lo stile concitato, traendo la fonte da un episodio della Gerusalemme liberata.

Il mottetto

Tutta diversa è invece la genesi e l’obiettivo del mottetto, anch’esso forma musicale polifonica, che si sviluppa in un lunghissimo arco di tempo, dal secolo XIII al Novecento addirittura, assumendo via via aspetti diversi. È una delle forme polifoniche più importanti del Medioevo europeo; deriva in linea diretta non dalla frottola, ma dalla clausola, una delle formule conclusive nei canti del repertorio gregoriano. Nella forma polifonica primitiva, le clausole corrispondevano a delle sezioni in cui la voce inferiore intonante il canto si muoveva più agilmente, mentre le voci superiori si conformavano a uno schema ritmico regolare.

Esattamente come si sente oggi la cosiddetta seconda voce, in certi canti liturgici, molto semplici, che vengono volentieri eseguiti dai giovani. Fu la scuola di Notre-Dame a divulgare il mottetto.

I primi furono creati aggiungendo a una melodia gregoriana preesistente (detta tenor) una o due voci (rispettivamente chiamate motetus e triplum) che eseguivano una sorta di commento al testo del tenor con un testo liturgico diverso e melodie nuove.

La base risulta quindi di carattere liturgico, e la tonalità religiosa non abbandonerà mai il mottetto. Accanto però a mottetti dichiaratamente religiosi con testo tratto dall’Ordinarium Missae o dal Magnificat, il secolo XV vede la vasta fioritura di mottetti legati ad occasioni solenni, come la consacrazione di chiese, o ad una religiosità intima e domestica.

I mottetti di Orlando di Lasso e del Palestrina segnano i culmini della produzione cinquecentesca del genere, e sono tra le espressioni massime delle personalità dei loro autori.

Dal XVII secolo in poi il mottetto si sviluppa secondo due linee divergenti. Da una parte si tende a conservare la tradizione palestriniana di stile severo, che nella scuola bolognese del secolo XVIII troverà il maggiore sostegno.

Fondatore e pilastro di questa scuola musicale fu il francescano conventuale padre Giovanni B. Martini (Bologna 1706-1784). Mente enciclopedica, versato anche nella fisica e nelle matematiche, fu il maggior teorico musicale europeo della seconda metà del Settecento, ed ebbe come allievi, tra gli altri, Bach e Cherubini, e lo stesso Mozart ebbe da lui lezioni e consigli preziosi. Per padre Martini dunque il mottetto continua la sua funzione tipica di composizione sacra, o quanto meno che ricorda il sacro.

La parte invece che non osserva la tradizione elabora nuove forme che calano il tema religioso nel linguaggio musicale del tempo.

Nascono così i mottetti del barocco italiano, di cui, oltre a Monteverdi, fu creatore Francesco Cavalli (1602-1676), che divenne il maggiore operista del suo secolo; i mottetti-cantata di Bach, il “gran-mottetto” della scuola di Versailles (con i musicisti A. Charpentier, J.-Ph. Rameau, F. Couperin).

Ovviamente in questo solco il mottetto perse il riferimento formale alle sue origini, mantenendo però sempre il carattere di composizione sacra o comunque relativa ad un’azione liturgica o ecclesiale.

Anche Giuseppe Verdi, le cui composizioni religiose sono in tutto sei, compose nel 1880 un coro a cinque voci e uno spartito per soprano e archi che possono essere considerati mottetti: un Pater noster e un’Ave Maria. Non sono pagine che si possano sentire con facilità.

Chi avesse la fortuna di ascoltarli, riconoscerebbe, come in tutti i grandi, brillare un raggio dello Spirito di Dio. La conoscenza di queste pagine favorirà nell’animo umano l’opera del vignaiolo, affinché la vera vite innestata nel cuore dell’uomo possa veramente “portare più frutto” (Gv 15,2).
                                                                             
 Franco Careglio


 IMMAGINI:
 
Il concerto, Gerrit van Honthorst (1655), Galleria Borghese, Roma. / Il madrigale espresse nei suoi stili i più aristocratici ideali del Rinascimento.
Claudio Monteverdi
compone un lavoro che nel suo insieme lascia senza fiato. La struttura strumentale viene da lui usata per precisi effetti drammatici ed emotivi, in un modo che non si era mai visto prima.
3  In Tancredi, Monteverdi, per primo utilizza il tremolo, una veloce ripetizione dello stesso tono e il pizzicato (da pizzicare le corde con le dita) per ottenere effetti speciali nelle scene drammatiche.
4  François Couperin (1668-1733) elaborò una musica elegante, raffinata e formale e offrì un modello esemplare di barocco francese, definito anche stile galante. Ebbe rapporti epistolari con Bach ma la loro corrispondenza è andata perduta.
 Johan Sebastian Bach (1685-1750) fu allievo del grande padre Giovanni Martini, il maggior teorico musicale europeo del Settecento.

           RIVISTA MARIA AUSILIATRICE  2007 - 3  
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